Ottobre 13th, 2022 Riccardo Fucile
ECCO COSA DICHIARAVA SULLE UNIONI NATURALE E SUL “RISVEGLIO CRISTIANO” NELLA RUSSIA DI PUTIN
Lorenzo Fontana, già vicepresidente della Camera, è il candidato per la terza carica dello Stato. Lo fa sapere una nota della Lega, mentre è in corso un incontro tra Matteo Salvini e i i suoi vice, Andrea Crippa, Giancarlo Giorgetti e lo stesso Fontana che è vicesegretario federale della Lega dal 26 febbraio 2016 e che nel 2018 era stato eletto alla Camera dei deputati.
Chi è Fontana
Fontana, classe 1980, laureato in Scienze politiche presso l’università di Padova. Giornalista pubblicista e militante sin da giovanissimo della Lega Nord, è considerato in Lega uno degli euroscettici.
Lorenzo Fontana, idee politiche sulla Famiglia
Il pensiero politico di Fontana in tema di famiglia sta tutto nel libro scritto a quattro mani con l’ex presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, prefazione di Salvini, il pensiero dell’ex ministro leghista su gay, aborto e famiglia: delega quest’ultima di cui si è dovuto occupare (insieme alla disabilità) nel governo Conte 1.
La Culla vuota della civiltà. All’origine della crisi, questo il titolo del volume presentato il 14 febbraio 2018 a Verona (città di cui il leghista 38enne è stato fino a due mesi fa vicesindaco), è un manifesto contro le unioni omosessuali, la legge 194, la globalizzazione, i flussi migratori in grado di salvare l’Italia che non fa più figli e invecchia, le posizioni atlantiste.
Summa del credo pro-life, e pro-Putin del già ministro della Repubblica. Arrivato persino a sostenere che la caduta dell’Impero Romano sia stata causata dalla scarsa natalità.
Idee peraltro di cui l’ex europarlamentare, classe 1980, eletto alla Camera il 4 marzo di quattro anni fa e subito divenutone il vicepresidente, non ha mai fatto mistero. “La famiglia naturale è sotto attacco. Vogliono dominarci e cancellare il nostro popolo”, scriveva Fontana sul suo sito, riportando una dichiarazione del 2016.
“Per la Lega Nord la famiglia è una sola: uomo donna e figli”, ribadì il vicesegretario della Lega nel 2014 contestando il patrocinio concesso dalla Regione Lombardia al Pride.
Successivamente, al “Festival per la Vita” promosso dall’organizzazione dell’ultradestra Provita Onlus, che lo ha sempre sostenuto e sponsorizzato, ha spiegato che “da un lato l’indebolimento della famiglia, la lotta per i matrimoni gay unita e la teoria gender nelle scuole, dall’altro l’immigrazione di massa che subiamo insieme alla contestuale emigrazione dei nostri giovani all’estero, sono tutti fattori che mirano a cancellare la nostra comunità e le nostre tradizioni”.
La Russia un esempio da seguire per Fontana
L’esempio da seguire, per Fontana, è la Russia: “Se trent’anni fa la Russia, sotto il giogo comunista, materialista e internazionalista, era ciò che più lontano si possa immaginare dalle idee identitarie e di difesa della famiglia e della tradizione, oggi invece è il riferimento per chi crede in un modello identitario di società”, ha scolpito. Promettendo “provvedimenti” contro qualunque leghista osasse esprimere opinioni a sostegno dei diritti omosex. Tanto da opporsi in sede europea alla Relazione Lunacek “che apre alle nozze gay, chiede corsi di educazione sessuale pro Lgbt per bambini e considera omofobo chi si batte per la famiglia tradizionale”.
Fontana: “Ben impressionato da parole di Putin”
Nell’aprile 2018 Fontana diceva: “Da parte mia sono stato favorevolmente impressionato da tante dichiarazioni di Putin e dal grande risveglio religioso cristiano registrato nel Paese, frutto indubbiamente di una reazione ai settant’anni di regime sovietico. Ho visto in questo una luce anche per noi occidentali, che viviamo la grande crisi dei valori, immersi come siamo in una società dominata culturalmente dal relativismo etico, che può essere spietato come mostra la cronaca di questi giorni”
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 13th, 2022 Riccardo Fucile
ALTRO CHE “IL NUOVO CHE AVANZA”, SIAMO AL MUSEO DELLE CERE
Lunedì 10 ottobre Giorgia Meloni ha riunito alla Camera la nutrita truppa dei parlamentari di Fratelli d’Italia (119 deputati e 65 senatori), per suonare la carica, in vista dell’avvio della nuova legislatura e dell’imminente varo del governo. Per gli addetti a lavori, è stata la prima occasione di conoscere dal vivo molti dei neoeletti, di quello che sarà il primo gruppo in tutti e due i rami del Parlamento.
Molte facce nuove, soprattutto amministratori locali, promossi con un ruolo a Roma. Ma accanto a loro, i cronisti hanno visto affacciarsi anche tanti politici, che da decenni sono abituati a frequentare le aule parlamentari.
Il nome più noto – tra quelli che il successo di Meloni ha trascinato di nuovo in Parlamento – è senza dubbio Giulio Tremonti. Eletto per la prima volta nel 1994, quella che inizia è per lui la settima legislatura. Ma soprattutto, Tremonti è ricordato come l’onnipresente ministro dell’Economia dei governi Berlusconi. Un incarico che ha ricoperto per quattro volte, fino al 2011, con la brusca fine dell’ultimo governo del Cavaliere, dopo la “guerra dello spread”, di cui Tremonti fu uno dei principali protagonisti. E se sembra tramontata l’ipotesi che possa tornare a via XX Settembre, senza dubbio l’ex ministro sarà uno dei principali consiglieri economici della leader nei prossimi mesi.
Un amarcord del governo Berlusconi
D’altra parte, l’elenco degli eletti di Fdi che hanno fatto parte del quarto e ultimo governo Berlusconi è abbastanza impressionante. A cominciare ovviamente dalla stessa Meloni, che in quell’esecutivo è stata ministro per le Politiche Giovanili. E continuando con quello che oggi è uno dei fedelissimi della premier in pectore, ovvero Ignazio La Russa, ministro della Difesa dal 2008 al 2011. Non è un mistero che oggi La Russa punti alla poltrona di presidente del Senato. Sarebbe il coronamento di una carriera parlamentare iniziata nel 1992, quando l’allora esponente del Msi mise per la prima volta piede in Parlamento.
Noto è anche il percorso di Daniela Santanché, ex passionaria del berlusconismo e sottosegretaria nel governo Berlusconi IV, ormai da qualche anno convertita alla causa meloniana.
Stesso discorso per Raffaele Fitto, che è stato ministro per gli Affari Regionali dieci anni fa, nell’ultimo governo a trazione Forza Italia. La sua carriera politica è iniziata ad appena vent’anni, come consigliere regionale della Dc in Puglia. Della Regione, Fitto è stato anche presidente a inizio anni 2000, mentre altre due volte, nel 2005 e nel 2020, si è candidato, uscendo però sconfitto, nella corsa a governatore. Nel mezzo, l’ex ragazzo prodigio democristiano ha collezionato anche tre incarichi da europarlamentare, esperienza che oggi gli torna buona, per aspirare al ruolo di ministro degli Affari Europei nel prossimo governo.
Gli ex finiani e i Democristiani per Giorgia
C’è poi chi l’esperienza dell’ultimo governo Berlusconi, l’ha iniziata, ma non l’ha finita, perché nel 2010 lasciò l’esecutivo per seguire Gianfranco Fini, nella poco fortunata avventura della scissione dal Pdl e della fondazione di Futuro e Libertà.
Si tratta di Adolfo Urso e di Roberto Menia, entrambi pronti a una nuova corsa da onorevoli, nonostante le scarse simpatie, che oggi il nome di Fini suscita nel mondo della destra. Il primo inizia la sua settima legislatura, è presidente uscente del Copasir e ora si prepara a diventare, forse, ministro della Difesa del governo Meloni. Il secondo invece torna in Parlamento, dopo dieci anni di pausa. La prima volta è stato eletto nel 1994.
Ancora più curioso il caso di Gianfranco Rotondi, che ha portato in dote a Meloni il simbolo della Democrazia Cristiana. Rotondi ha abbracciato lo Scudo Crociato nel lontano 1979 e non lo ha mai abbandonato, tanto che il 25 settembre è stato sì eletto dentro le liste di Fdi, ma come indipendente. Rotondi è stato eletto per la prima volta nel 1994, con il Partito Popolare Italiano e prima di consegnare il vessillo di ciò che resta della Dc, nelle mani di Meloni, ha marciato per anni nella fila di Forza Italia. Anche lui, stava nella foto di gruppo del governo Berlusconi, varato nel 2008, come ministro per l’attuazione del programma.
Berlusconiani e missini
Anche Marcello Pera è stato folgorato sulla via di Giorgia, dopo gli anni di militanza in Forza Italia. Ex presidente del Senato dal 2001 al 2006, dopo l’abbandono di Fi, Pera è stato un supporter di Matteo Renzi ai tempi del referendum costituzionale del 2016. E poi di Matteo Matteo Salvini, al cui orecchio ha sussurrato negli ultimi anni, prima di trovare di nuovo spazio in Parlamento (e magari al governo, come ministro per le Riforme), nel gruppo di Fratelli d’Italia.
Lucio Malan invece può vantare il primato, di essere transitato in tutti e tre i principali partiti del centrodestra attuale. Entrato in parlamento nel 1994, con la Lega, ha poi fatto il parlamentare per altre cinque legislature, con Forza Italia. A metà dell’ultima, però, ha lasciato Fi per aderire a Fratelli d’Italia. Una scelta vincente visto che ora torna per la settima volta in Parlamento, con la maglia di Fdi.
Tra i nuovi “vecchi” di Fratelli d’Italia, ci sono poi esponenti come Edmondo Cirielli e Andrea Augello E lo storico esponente del Msi milanese Riccardo De Corato, che torna nelle aule, dove si era seduto per la prima volta nel 1994, prima di essere destinato, per diversi anni, a ruoli di vertice al Comune di Milano e alla Regione Lombardia. Qui si è guadagnato la fama di “sceriffo”, per le sue posizioni estreme su temi come immigrazione e sicurezza.
Dalla tradizione missina arriva anche il personaggio, con cui chiudiamo la nostra carrellata. Si tratta di Alessio Butti e la sua particolarità è di essere sconosciuto o quasi, anche agli osservatori più attenti delle cose della politica. Una vera e propria abilità nel navigare sotto traccia, se si pensa che insieme a La Russa, è il parlamentare che vanta la più elevata anzianità di servizio. Il suo esordio in aula, infatti, risale al lontanissimo 1992.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 13th, 2022 Riccardo Fucile
OMOFOBO E ANTISEMITA VOLEVA STERMINARE EBREI E OMOSESSUALI… POI SI E’ SUICIDATO, ALMENO UNA BUONA NOTIZIA
È di due morti e un ferito il bilancio di una sparatoria avvenuta ieri fuori da un locale LGBT di Bratislava, capitale della Slovacchia. Un sospetto, armato, è stato trovato senza vita questa mattina in una strada della città.
I fatti si sono verificati al bar Teplaren, non lontano dal centro cittadino. Al momento la polizia non ha fornito spiegazioni sul movente, tuttavia i media locali riferiscono che l’assassino in passato avrebbe pubblicato post sui social network antisemiti ed omofobi, e che si tratterebbe del figlio di un ex candidato di un partito politico dell’estrema destra slovacca.
Il giovane è stato anche identificato come Juraj K. e suo padre militerebbe per Vlasť (patria, in lingua slovacca), partito politico extraparlamentare di estrema destra. L’arma impiegata dal giovane apparterrebbe effettivamente a suo padre e sarebbe stata regolarmente detenuta.
Chi è il presunto attentatore: un giovane neonazista
Secondo i media slovacchi l’assassino si sarebbe radicalizzato consultando siti dell’estrema destra statunitense e pagine curate da influencer spargitori di bufale.
In una sorte di “manifesto ideologico” di oltre 60 pagine, scritto nei giorni precedenti la sparatoria, Juraj K. parla dei “controllori” del mondo e di come dovrebbero essere combattuti, riferendosi in particolar modo agli ebrei. La sua tesi era che l’unico modo per porre fine al loro dominio fosse quello di ucciderli e per questo rivendica la legittimità dell’Olocausto.
Non mancano, nel “manifesto”, lodi esplicite a Brenton Tarrant, autore della strage nella moschea nella città neozelandese di Christchurch in cui nel marzo del 2019 morirono 51 persone. Juraj K. trasmise integralmente il video dell’attacco e si sarebbe ispirato proprio a quell’episodio per commettere il duplice omicidio di ieri.
Non solo: sempre nel documento scovato dalla polizia dopo la sua morte Juraj K. di fatto annuncia la strage, affermando che si sarebbe concentrato su “obiettivi di grande valore”, e che il suo scopo sarebbe stato quello di affermare i valori della “razza bianca”, “resistendo” al sistema fino alla sua completa distruzione.
È in questo humus culturale – fatto di suprematismo bianco, antisemitismo, fascismo e omofobia – che Juraj K. avrebbe maturato la decisione di commettere un atto estremo dall’alto valore simbolico: uccidere i frequentatori di un locale gay del centro di Bratislava utilizzando un’arma di suo padre, anche lui estremista di destra.
La folle rivendicazione: “Se sei stato tu, fotografati con una scarpa in testa”
Poche ore dopo l’attentato Juraj K. ha rivendicato il suo folle gesto su Twitter e sul forum di discussione 4chan. È qui che ha risposto anche ai post di alcuni utenti, confermando la sua identità e scattandosi una foto con una scarpa in testa. Un suo follower, infatti, poco prima gli aveva chiesto di ritrarsi in questo modo se fosse stato davvero lui a commettere il duplice omicidio al bar Teplaren.
Intorno a mezzanotte, Juraj K. ha pubblicato due post sul suo account Twitter annunciando l’intenzione di suicidarsi. “Ci vediamo nell’aldilà”, ha scritto. Per un po’ ha continuato ad interagire con i suoi followers, poi tutte le comunicazioni con il giovane si sono interrotte. Questa mattina la polizia ha trovato il suo corpo vicino alla stazione centrale di Bratislava.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 13th, 2022 Riccardo Fucile
UNA MACCHIETTA AL DI LA’ DEL BENE E DEL MALE
Dalla padella alla brace e ritorno. Se le istituzioni parlamentari hanno ancora un senso, un cuore, una funzione e soprattutto una dignità, con Ignazio La Russa presidente del Senato e seconda carica dello Stato il sistema di cottura della maggioranza di destradestra sfrigola sopra la fiamma lasciando comunque poco scampo in termini di misura, riserbo e moderazione.
In questo senso la memoria è crudele, specie là dove ormai le mille imprese del prescelto hanno ormai lasciato abbondantissime tracce negli archivi elettronici in termini di eccessi, effervescenze, sovraeccitazioni, scherzi, euforie.
Così, a proposito di decoro istituzionale, di La Russa, ti viene subito incontro la foto di quando (2006) andò a prendersi una torta in faccia da Pippo Franco; e il fatto che una cultura politica a lungo emarginata e perfino maledetta, una volta uscita dal recinto scegliesse in allegria la via dell’intrattenimento più degradato dice molto sul traguardo, ma anche sulle peripezie del post-fascismo nella società, ormai, del disincanto.
L’iconografia, ma anche lo stile di vita e la carriera stessa di La Russa offre poco o pochissimo dell’antica nostalgia.
Qualche accenno, in pandemia, all’utilità del saluto romano; qualche riflesso nostalgico ricordando, a bordo di una Lancia Astura 1938, che gli italiani avevano inventato l’automatizzazione della capote, “poi sono arrivati gli altri…”; qualche ricordo di quando, con lunghi capelli e un pastore tedesco di nome Schranz, o qualcosa del genere, guidava a Milano i giovani del Msi.
Ma ciò che da un bel po’ di anni più colpisce di lui è un che di esorbitante, vertiginoso e perfino allucinatorio proprio rispetto al modello e alle caratteristiche finora richieste alla figura del presidente del Senato.
Il soggetto possiede un’indubbia capacità di acchiappare il microfono e tenere la scena con qualsiasi mezzo, vedi il video in cui contro le disposizioni anti-movida canta e lecca un cono gelato, ancora una volta aiutato dallo sguardo fiammeggiante, dalla voce cavernosa e dalla barba mefistofelica – una sera se la fece anche radere per scommessa sotto i riflettori di Porta a porta – che hanno contribuito a renderlo un politico-meme per eccellenza fin dai tempi dell’irresistibile “La Russa jouer” di Fiorello: “Ascella sudata/ Mutande ragno/ Alabarda…”.
È difficile ricordare un discorso politico di La Russa; troppo facile al contrario recuperarlo nella memoria per le smorfie e gli strilli nei talk-show o qualche greve esagerazione da tifoso nerazzurro (a proposito di Lukaku: «L’Inter ha cambiato un grande centravanti col pisello confuso con un centravanti confuso dal pisello grande »).
Espressività del genere più fracassone e fazioso se si pensa che una delle sue più spontanee e irresistibili prestazioni lo ritrae su YouTube mentre nella calca ingaggia un’asperrima colluttazione a base di pedate e pestoni con il giornalista Formigli.
A suo modo formidabile è la recente e magari profetica immagine di ‘Gnazio che, assiso sullo scranno più alto del Senato, governa l’assemblea leggendo La Gazzetta dello Sport, così come appare ineffabile il frammento video d’aula in cui, rivolgendosi alla Segretaria Generale, commenta l’outfit di una sua collega: «Ma gome gazzo è vestita?» prima di concentrarsi sul telefonino la cui cover reca la scritta “100% Milf”.
Sempre molto teatrale, da ministro della Difesa si travestiva spesso, in mimetica e da top-gun; per il 150° dell’Unità d’Italia con la sua amica Santanché si mise addirittura a disegnare gioielli tricolore, rubino, zircone, smeraldo.
Già una decina d’anni fa il produttore De Laurentis gli chiese di interpretare se stesso in un cinepanettone, non esattamente ciò che fa curriculum per la presidenza del Senato. Ma basta, e non solo perché si potrebbe andare avanti quasi all’infinito, ma perché gli spettacoli politici presentano il conto quando ormai i buoi sono scappati dalla stalla dell’intrattenimento buffonesco.
Ora, siccome nulla è mai perduto, è anche vero che anche nelle istituzioni esiste la “grazia di Stato”, per cui può darsi che l’elezione e la responsabilità normalizzi La Russa.
Eppure, osservato a debita distanza prima del voto e al di là dei giochi di Palazzo, più che un patriota, un fantasista esibizionista, l’impressione è che sia vissuto dal grande pubblico come una figura, un personaggio, una maschera e insieme una macchietta al di là del bene e del male.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 13th, 2022 Riccardo Fucile
BANKITALIA RIVEDE AL RIBASSO LE STIME PER L’ECONOMIA ITALIANA: QUEST’ANNO LA CRESCITA DEL PIL SARÀ DEL 3,3% E IL PROSSIMO SOLO DELLO 0,3% … CON UN BLOCCO TOTALE DELLE FORNITURE, IL PRODOTTO INTERNO LORDO SUBIREBBE UNA CONTRAZIONE DI PIU DELL’1,5% NEL 2023
La Banca d’Italia rivede al ribasso le stime per l’economia che ora, nello scenario di base, vedono una crescita del Pil in Italia del 3,3 per cento quest’anno, allo 0,3 nel 2023 e all’1,4 nel 2024.
Nella Nota di aggiornamento rispetto al bollettino di luglio (che non riflettono quelle condotte in ambito Bce) domina comunque “una elevata incertezza”. Nel caso di scenario avverso con un blocco totale delle forniture e rallentamento del commercio, il Pil si espanderebbe del 3 per cento quest’anno, si contrarrebbe di oltre l’1,5 per cento nel 2023 e tornerebbe a crescere moderatamente solo nel 2024.
L’inflazione inizierà a scendere gradualmente solo nel corso del 2023 solo con la progressiva stabilizzazione dei prezzi dell’energia, seppur su livelli elevati, e l’attenuazione delle strozzature all’offerta.
E’ quanto stima la Banca d’Italia aggiornando al rialzo le previsioni rispetto al bollettino di luglio. “L’inflazione si collocherebbe all’8,5 per cento nella media del 2022, principalmente per effetto dei forti rincari dei beni energetici” “e la crescita dei prezzi dei beni alimentari”: Il prossimo anno scenderebbe al 6,5 per cento nella media del 2023 e al 2,3 nel 2024.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 13th, 2022 Riccardo Fucile
FORZA ITALIA FURIBONDA PER I VETI DELLA MELONI… IN EFFETTI SE LA RUSSA PUO’ FARE IL PRESIDENTE DEL SENATO E IL LEGHISTA PUTINIANO FONTANA QUELLO DELLA CAMERA, CI PUO’ STARE ANCHE LA RONZULLI MINISTRO
Ignazio La Russa è stato eletto presidente del Senato: superato il quorum delle 104 schede necessarie per la prima votazione. Un’elezione che arriva senza i voti di Forza Italia, i cui senatori non si sono presentati alla chiama, ad eccezione di Silvio Berlusconi ed Elisabetta Casellati. Sono 116 le schede su cui è stato segnato il nome del senatore di Fratelli d’Italia. Almeno 17, invece, i voti arrivati dalle opposizioni. Le schede bianche sono state 65. Infine, 2 voti a testa sono andati a Liliana Segre, solo per oggi presidente dell’Aula, e al leghista Roberto Calderoli, vice presidente uscente.
La strategia di Forza Italia, dunque, non ha funzionato: la coalizione si spacca e, adesso, bisognerà ricomporre i cocci in vista delle votazioni per la presidenza della Camera.
I forzisti, a differenza delle dichiarazioni rassicuranti che arrivavano da Fratelli d’Italia, non avevano raggiunto l’accordo con il resto della coalizione. Tra i più animosi nell’opporsi allo schema proposto da Giorgia Meloni, si apprende, c’erano Licia Ronzulli e Giovanni Miccichè.
Al partito di Berlusconi non sono andati giù i veti che Fratelli d’Italia avrebbe imposto sui nomi per i ministeri. Lo stesso cavaliere è stato descritto da più fonti come «indiavolato» nei confronti di Meloni.
E i ragionamenti sono principalmente due.
Primo, nello spirito di leale collaborazione tra alleati, non si possono accettare “no” secchi su esponenti di rilievo di un partito. «Se può fare la ministra Daniela Santanchè, anche Ronzulli è legittimata a guidare un dicastero», dicono gli azzurri.
Secondo, se Forza Italia lascia a Fratelli d’Italia presidenza del Consiglio e presidenza del Senato e alla Lega presidenza della Camera, è intollerabile ricevere anche dei “niet” sui futuri ministri.
«Nessun ministero a Ronzulli? No, così non va bene», avrebbe ripetuto più volte Berlusconi nel corso della mattinata. «Non ci piacciono i veti». Durante il discorso di La Russa dallo scranno più importante di Palazzo Madama, Forza Italia ha diramato una nota per spiegare la sua scelta di non sostenere l’esponente di Fratelli d’Italia: «Sinceri auguri al nuovo presidente del Senato Ignazio La Russa. Forza Italia ha voluto dare un segnale di apertura e collaborazione con il voto del presidente Berlusconi. Ma in una riunione del gruppo di Forza Italia al Senato è emerso un forte disagio per i veti espressi in questi giorni in riferimento alla formazione del governo. Auspichiamo che questi veti vengano superati, dando il via ad una collaborazione leale ed efficace con le altre forze della maggioranza, per ridare rapidamente un governo al Paese». Le indiscrezioni che si sono rincorse durante le procedure di voto per la presidenza del Senato parlavano di una «vendetta» di Ronzulli per il veto calato sul suo nome dal primo partito della coalizione e di un Berlusconi «infuriato» che ha letteralmente mandato a quel Paese La Russa, battendo i pugni sul banco dell’Aula.
Subito dopo lo scrutinio, è partita la caccia a chi, dall’opposizione, si è allineato a Lega e Fratelli d’Italia. Mario Borghese, del Maie, ha dichiarato di aver votato per La Russa, mentre M5s, Pd e Terzo polo hanno iniziato ad accusarsi a vicenda.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 13th, 2022 Riccardo Fucile
BERLUSCONI SOSTIENE CHE GIA’ SAPEVA CHE SAREBBE PASSATO LO STESSO CON I VOTI DEI RENZIANI… MA AZIONE HA SOLO 9 SENATORI, AMMETTE SOLO IL SENATORE DEL MAIE
Elezione finita, a Palazzo Madama i più corrono al moviolone: cronometro alla mano, si contano i secondi spesi dai senatori nel catafalco. Ovviamente di quelli che in teoria avrebbero dovuto votare scheda bianca. L’elezione a sorpresa, clamorosa, di Ignazio La Russa senza i voti di quasi tutta la pattuglia di Forza Italia, che non ha ritirato la scheda, scatena i boatos.
“C’è la manina di Renzi, all’insaputa di Calenda”. “Avrà aiutato Casini?”. “Sono stati quelli del Pd”. “No, i 5 Stelle”.
Tutti naturalmente negano. Il principale indiziato, Renzi, arriva nella Sala Garibaldi proprio per smarcarsi: “Fossi stato io – dice – lo avrei rivendicato”. Si smarca seccamente anche Calenda. Lo stesso fa il Pd, che punta il dito sui contiani. E i grillini ricambiano l’accusa.
I numeri del pallottoliere sono chiari: la destra poteva contare su 115 voti. FI ha 18 senatori ma solo 2, Berlusconi e Casellati, hanno ritirato la scheda. E i più, dopo il vaffa plateale rifilato a La Russa, nutrono dubbi sul voto del Cavaliere.
La Russa ha totalizzato in tutto 116 preferenze. Vanno tolti 16/17 voti azzurri, dunque, e 2 voti per Calderoli, arrivati presumibilmente dalla Lega. La destra da sola dunque avrebbe racimolato 97/98 voti. Gli altri 18/19 sono arrivati di sicuro dal soccorso dell’opposizione.
Nei corridoi si fanno alcune ipotesi: Dafne Musolino, eletta con Sud Chiama Nord di Cateno De Luca, vicino alla destra. E a un senatore del gruppo autonomia. E gli altri? Se qualcuno ha provato a giocare una partita parallela per le vicepresidenze che spettano alle minoranze, lo si scoprirà mercoledì, ore 15, quando il Senato si riunirà di nuovo, proprio con questo ordine del giorno: eleggere i vice di La Russa. Per ora, tutti al moviolone.
Intanto arrivano le prime reazioni. “Irresponsabile oltre ogni limite il comportamento di quei senatori che hanno scelto di aiutare dall’esterno una maggioranza già divisa e in difficolta. Il voto di oggi al Senato certifica tristemente che una parte dell’opposizione non aspetta altro che entrare in maggioranza”. Il segretario del Pd Enrico Letta è furibondo. L’opposizione è nel caos mentre da Forza Italia si punta il dito contro il Terzo Polo: “La Russa è stato votato da Azione e dai senatori a vita”. Mentre fonti del M5S si dicono convinte che ” E’ il primo giorno di legislatura e per qualcuno è già cominciata la finta opposizione fatta di soliti giochini di palazzo. Il dato certo è che alla prima prova il centrodestra si è già diviso”.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 13th, 2022 Riccardo Fucile
IL 20 LUGLIO 2021 IL POLITICO AVEVA UCCISO CON UN COLPO DI PISTOLA IL 39ENNE MAROCCHINO… I LEGALI DEI FAMILIARI DELLA VITTIMA AVEVANO CHIESTO L’IMPUTAZIONE PER OMICIDIO VOLONTARIO
Dopo più di un anno la procura di Pavia ha chiuso le indagini sulla morte di Youns El Bossettaoui, il marocchino di 39 anni ucciso in strada a Voghera il 20 luglio 2021 dall’allora assessore alla Sicurezza del Comune Massimo Adriatici, che gli sparò con la sua pistola durante una colluttazione.
L’accusa nei suoi confronti è quella originaria: eccesso colposo di legittima difesa.
La famiglia di El Boussettaoui aveva ripetutamente chiesto che l’imputazione fosse quella di omicidio volontario: la tesi è che l’ex assessore non abbia sparato per difendersi da un’aggressione, come da lui sempre sostenuto, ma che fosse lui stesso l’autore di una provocazione nei confronti della vittima.
Massimo Adriatici era allora assessore alla Sicurezza (per la Lega) con un passato da funzionario di polizia. In città molti lo chiamavano “lo sceriffo“: girava regolarmente armato (aveva il porto d’armi per «motivi di sicurezza personale») e in passato alcuni dirigenti delle forze dell’ordine si erano lamentati con il sindaco perché aveva cercato di interferire con il loro lavoro.
I video ripresi dalle telecamere hanno permesso di ricostruire i minuti precedenti allo sparo, che non è stato immortalato. Da alcuni filmati si potrebbe intuire che Adriatici stesse seguendo a distanza El Boussettaoui da circa 10 minuti. Una volta in piazza Meardi, le immagini mostrano il 39enne marocchino avvicinarsi all’ex assessore che, estraendo dalla tasca la mano destra, gli mostra la pistola, senza mai smettere di parlare al telefono.
Un testimone ha detto di aver visto Adriatici alzare il braccio e sparare mentre era a terra. Un’altra ha detto che Adriatici ha sparato mentre si rialzava.
Oltre alle dinamica dell’omicidio, nelle settimane seguenti sono stati i momenti successivi allo sparo a suscitare molte polemiche. Non solo per i particolari emersi sulla giunta comunale, della quale sono state pubblicate diverse conversazioni whatsapp dal contenuto razzista e “squadrista” («Finché non si comincerà a sparare, sarà sempre peggio», scrivevano in merito alla presenza in città di immigrati), ma soprattutto per il trattamento riservato ad Adriatici dalle forze dell’ordine. L’ex assessore fu lasciato libero di girare per la scena del crimine per diverso tempo, continuando a parlare al telefono, confrontandosi con i carabinieri e addirittura i testimoni.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Ottobre 13th, 2022 Riccardo Fucile
L’IRRITAZIONE DELLA MELONI: “E’ L’ULTIMA VOLTA CHE VADO IO DA LUI” MA LO AVRA’ GIA DETTO DIECI VOLTE
“E’ l’ultima volta che vado io da lui”, ripete Giorgia Meloni ai colonnelli che l’osservano salire in auto diretta verso Villa Grande, la residenza romana di Silvio Berlusconi.
Quando diventerà premier incaricata anche questa prassi cesserà: non ci saranno più queste visite a domicilio che iniziano a darle a noia. Intanto le tocca. La leader di Fratelli d’Italia si fa accompagnare da Ignazio La Russa, che però non partecipa all’incontro.
Il presidente in pectore del Senato rimane fuori dalla sala. Dentro ci sono solo loro due: Giorgia e il Cav. Il faccia a faccia produce un nulla di fatto. Il capo di Forza Italia chiede un pacchetto di ministeri pesanti: Giustizia, Esteri, Sviluppo economico e Turismo “come risarcimento per non aver preso nemmeno una delle due presidenze della Camere”.
La leader non cede confessa, l’idea di presentarsi al Colle con una lista di nomi che poi le sarebbero respinti Morale della favola: il vertice risolutivo del centrodestra non c’è stato nemmeno questa volta.
“Stanno tirando la corda, ma dove vogliono andare?”, si sfoga Meloni uscita dalla residenza berlusconiana. A chi le chiede come va spesso risponde con l’emoticon di una donna che fa yoga e che dunque è in fase zen. Calma e gesso. Li conosce.
I leghisti per tutta la giornata hanno avvertito i cronisti in Transatlantico: “Guardate che il problema non siamo noi, ma il rapporto fra lei e Forza Italia”.
La copertura di Berlusconi a Licia Ronzulli, il malessere di Antonio Tajani che si vede messo da parte dalla senatrice plenipotenziaria, le “durezze” di Meloni che non è intenzionata a farsi imporre nomi e caselle. “Parliamoci chiaro: senza di noi non governeranno mai, dunque prima o poi dovranno abbassare le pretese”, ripete da giorni la premier in pectore, consapevole del piombo sulle ali che le stanno mettendo gli alleati.
(da il Foglio)
argomento: Politica | Commenta »