Ottobre 9th, 2022 Riccardo Fucile
E NON INTENDE MOSTRARE LE PRESUNTE BOLLETTE RICEVUTE… IN COMPENSO HA TROVATO IL SISTEMA PER METTERE IN CASSA INTEGRAZIONE 250 DIPENDENTI
La storia dell’imprenditore pugliese Attilio Caputo è stata raccontata più volte dai quotidiani e dai programmi televisivi in cui viene chiamato in qualità di ospite.
Con la sua famiglia, Caputo guida 5 alberghi nel Salento, i Caroli Hotel. Un giorno, ha rivelato di aver ricevuto una bolletta della luce dall’importo di 500mila euro. Cifra che supererebbe di 5 volte i 100mila euro che era solito spendere nello stesso periodo per tutti i suoi alberghi. Per questo motivo, ha annunciato che li avrebbe chiusi.
Tuttavia, c’è qualcosa che non torna: quelle bollette esorbitanti Caputo non le ha mai mostrate. E quando un giornalista de Il Foglio gli ha chiesto se poteva vederle, lui ha rifiutato sostenendo che ciascuno è libero di credergli o meno.
Non solo, per i suoi dipendenti, che dice siano 250, Caputo ha annunciato che chiederà la cassa integrazione.
Gli investimenti eco dei Caroli Hotel
Ma le contraddizioni di Caputo non finiscono qui. Come rivelato da un articolo di Franco Bechis, pubblicato su Verità&Affari, negli ultimi tempi i Caroli Hotel avrebbero beneficiato di circa 820mila euro di contributi e sussidi pubblici, denaro proveniente dalla Regione Puglia, dal ministero del Turismo e dallo Stato italiano sotto forma di sostegni o sgravi di varia natura.
Ad esempio: l’hotel Joli avrebbe ricevuto 50.458,33 euro di sgravi fiscali per l’efficientamento energetico e la posa di pannelli solari che lo rendessero autosufficiente; il Terminal ne avrebbe ricevuti 52.963,07 euro per installare impianti fotovoltaici. Ecoresort Le Sirene, come dice il nome, sarebbe autosufficiente dal punto di vista energetico al punto da usarlo come bandiera Eco friendly.
Sul sito internet del gruppo Caroli Hotel, si parla di questo Ecoresort come di un albergo in grado di produrre «acqua calda sanitaria con pannelli solari», di utilizzare «energia elettrica derivata in parte da risorse rinnovabili», grazie ai pannelli fotovoltaici installati sul tetto almeno dal 2016 (come mostrano alcune foto su Instagram) ma anche «soffioni doccia a risparmio idrico, programma di riciclo dei rifiuti e lavaggio discrezionale della biancheria da letto e degli asciugamani».
Bollette incompatibili
Insomma, tutti alberghi che portano avanti pratiche lodevoli per quanto riguarda il risparmio energetico e l’impatto ambientale. Per questo motivo, sostiene Bechis, non può avere ricevuto una bolletta energetica da 500 mila euro e anche i 100mila euro precedenti risultano incompatibili con i dati a bilancio delle varie società.
Come se non bastasse, infatti, in quei bilanci sarebbe stato specificato che le strutture sono affidate a terzi ed è proprio chi ha la gestione dei singoli alberghi che deve provvedere al pagamento delle bollette, non la famiglia Caputo.
Intanto, però, solo nel 2021 la catena avrebbe ricevuto finanziamenti pubblici per il Fondo per la filiera della ristorazione, da 5mila euro, dal ministero del Turismo, altri 100mila euro e 64.290 euro di credito di imposta per il fondo perduto del dl 41/2021. Ma anche 213.193 euro di credito di imposta dal primo decreto Conte, 91.213 euro di bonus vacanze, 50.924 euro di credito per la legge sugli investimenti nel Mezzogiorno, 4.277 euro da un «credito di imposta speciale Rai», un «esonero contributivo previsto dal decreto sostegni bis per euro 34.904» e altri 150mila euro a fondo perduto grazie a Custodiamo il turismo in Puglia 2.0.
(da VeritàAffari)
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Ottobre 9th, 2022 Riccardo Fucile
COSA CI SI DEVE ASPETTARE NELLE PROSSIME SETTIMANE, PRIMA DELL’ARRIVO DELL’INVERNO
Al momento, la situazione sul campo resta estremamente critica per i russi, con gli ucraini che continuano ad avanzare su almeno due direzioni – nel nord della regione di Luhansk e nel nord della regione di Kherson, dove nell’ultima settimana ci sono stati i movimenti principali.
Inoltre, stando a diverse fonti il comando ucraino si starebbe preparando ad aprire un nuovo fronte nella regione di Zaporozhye con l’obiettivo di liberare Melitopol e Berdyansk e tagliare così in due il corridoio terrestre che collega la Crimea alla Federazione Russa.
Si tratterebbe, nel caso di successo, di un vero e proprio colpo del ko per le chance russe di mantenere il controllo dei territori occupati e recentemente illegalmente annessi.
Da parte sua, in attesa che la mobilitazione porti a qualche risultato concreto, il comando russo spera nel “Grande Fango” in arrivo, che dovrebbe rendere molto più complesse le future avanzate ucraine visto che i campi e le strade diventeranno a quel punto più difficili da percorrere con i mezzi blindati.
Ma anche il meteo sembra essere dalla parte di Kyiv: le piogge non inizieranno prima del 20 ottobre in direzione di Kherson, e non sono previste piogge serie prima del 19 neppure nella zona di Svatovo nel nord della regione di Luhansk. Quindi gli ucraini hanno ancora una congrua finestra temporale da usare per proseguire l’offensiva.
L’obiettivo del comando ucraino è duplice: a sud liberare tutta la regione di Kherson sulla riva destra del Dnjepr, compresa la città di Kherson, e, nel nord est, liberare tutti gli insediamenti della regione di Luhansk occupati dopo il 24 febbraio, vale a dire Svatovo, Starobelsk, Shchastye, Severodonetsk e Lysychansk.
Ciò permetterebbe agli ucraini di ottenere un importantissimo risultato: raggiungere la vecchia linea di contatto prima del 24 febbraio ed allo stesso tempo azzerare tutti i guadagni territoriali ottenuti nel Donbass dai russi a caro prezzo durante l’offensiva estiva.
Per cercare di fermare l’avanzata ucraina prima dell’arrivo del “Grande Fango”, i russi hanno iniziato da subito ad inviare in prima linea a Luhansk anche una parte di coloro che sono stati mobilitati nelle ultime settimane. Trattandosi in molti casi di soldati inviati al fronte senza praticamente nessun addestramento, si sono anche moltiplicati i casi di resa.
Il punto è che la efficacia di queste nuove truppe in combattimento, per usare un eufemismo, è quantomeno molto discutibile, ed è improbabile che queste tattiche disperate possano consentire ai russi di poter migliorare la situazione velocemente.
Il dato di fatto è che, al momento, l’Ucraina ha una risorsa a disposizione che manca disperatamente alla Russia: 400.000 soldati con esperienza di combattimento e bene armati già schierati sul campo, oltre a molti altri in fase di addestramento in Occidente pronti ad essere schierati al fronte come riserve se necessario per rafforzare la capacità di penetrazione nel territorio nemico.
Questa situazione favorevole a Kyiv, almeno teoricamente, potrebbe non durare a lungo: la Russia, infatti, ha una capacità potenziale di mobilitazione molto più elevata di quella dell’Ucraina, fosse solo per la sua popolazione in età militare.
Come afferma Igor Kurtukov, storico militare russo, dal punto di vista strettamente militare “se la Russia fosse davvero in grado di schierare ed armare una forza tre volte superiore, gli ucraini avrebbero ben poche chance di farcela. L’unica speranza, che però non è infondata, è che la Russia non sia in grado di farlo”.
Permane molto scetticismo, infatti, sulla possibilità che la mobilitazione annunciata da Putin abbia davvero successo. Non passa giorno che non venga riportata la morte di qualche soldato mobilitato “per suicidio” nei vari campi di addestramento del Paese. Inoltre, continuano a circolare video di soldati mobilitati in situazioni difficili, costretti a dormire per terra o che si lamentano di mancanza di cibo e beni di primaria necessità.
Tutto ciò, ovviamente, non può che impattare negativamente sul loro morale anche prima di essere schierati sul campo di battaglia. Non per nulla l’Ucraina ha deciso di approfittare di questa situazione istituendo una hotline apposita per consentire a coloro che sono stati mobilitati di poter arrendersi immediatamente non appena schierati in Ucraina. La hotline in oggetto ha un nome che da solo è un programma: “Voglio vivere”.
Se la situazione continuasse a peggiorare nonostante la “mobilitazione parziale”, prima di arrivare alle atomiche Putin avrebbe comunque a disposizione altre opzioni: ad esempio potrebbe anche dichiarare la guerra totale e una vera e propria mobilitazione generale, mettendo l’intera economia del Paese al servizio dello sforzo bellico, 24 ore su 24, 7 giorni su 7.
Dopo tutto, si tratta di ciò che aveva già fatto a suo tempo l’Unione Sovietica nel 1941 quando era stata invasa dai nazisti. Ma ora la situazione è ben diversa: sono i russi ad invadere un altro Paese. Di conseguenza, è estremamente difficile poter ottenere lo stesso grado di mobilitazione popolare condotta dall’Unione Sovietica durante quella che ancora oggi i russi definiscono la “Grande Guerra Patriottica”.
Uno dei problemi a cui la Federazione Russa andrebbe incontro in questo ultimo caso è, inoltre, l’impatto che l’immensa massa di mobilitati avrebbe sulla stabilità politica del Paese: “Questa massa di persone ha bisogno di essere nutrita, trasportata. La mobilitazione continua è proprio ciò che ha portato alle rivoluzioni in Russia all’inizio del XX secolo”, fa notare Kirill Mikhailov di Conflict Intelligence Team (CIT).
(da Fanpage)
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Ottobre 9th, 2022 Riccardo Fucile
CASINISTI, IMPREPARATI AL RUOLO E VOLTI CHE HANNO PALESI CONFLITTI DI INTERESSE PER I LORO RUOLI RECENTI NEL PRIVATO O IN ISTITUZIONI PUBBLICHE… DA URSO A LA RUSSA, DA CROSETTO A FITTO E SANTANCHÈ
Mettere la polvere sotto il tappeto. E di polvere Giorgia Meloni in casa ne ha talmente tanta che sta faticando non poco a nasconderla. Dal 25 settembre, data del trionfo alle urne per Fratelli d’Italia, Meloni si è chiusa al sesto piano della Camera nell’ufficio di presidenza del gruppo, che sarà il più ampio del Parlamento. E un po’ perché ha avuto un abbassamento di voce, un po’ perché di parlare con alcuni volti del suo partito e dei partiti alleati soprattutto non ne ha proprio voglia, insomma parla pochissimo.
E sta facendo saltare i nervi anche a quelli che fino al giorno del voto sembravano essere i suoi fedelissimi in Fdi, da Ignazio La Russa a Guido Crosetto, da Raffaele Fitto (meno fedelissimo) ad Adolfo Urso, per non parlare degli altri leader della coalizione che non riescono nemmeno a scambiarci due chiacchiere vere se non battute di circostanza, da Matteo Salvini a Licia Ronzulli.
Gli unici che hanno accesso alla stanza, e alle parole della leader, sono Giovambattista Fazzolari, che ha in mano tutti i dossier che scottano, dal caro energia alla crisi economica, e il cognato Francesco Lollobrigida.
In queste ore è la polvere la vera ossessione di Giorgia Meloni: dove per polvere si intende nostalgici del fascismo che le farebbero fare brutta figura in Europa già all’indomani della formazione del governo, casinisti che prenderebbero i ministeri per fare campagna elettorale permanente, impreparati al ruolo in un momento storico difficilissimo per il Paese e per l’Europa intera, e volti che hanno palesi conflitti di interesse per i loro ruoli recenti nel privato o in istituzioni pubbliche.
a polvere che Meloni vuole nascondere e non mettere in posti di governo e di visibilità, per evitare di essere impallinata dai giornali e fare brutte figure proprio quando deve accreditarsi in cancellerie europee che già non pensano di accoglierla a braccia aperte.
Così, mentre tutti gli aspiranti ministri parlano con i giornalisti sussurrando che loro sanno qualcosa di quel che pensa Meloni in queste ore, e quindi magari salta fuori il nome di Daniela Santanché per il Turismo (con un lievissimo conflitto di interesse) o quello di Guido Crosetto al Mise o alla Difesa (lui che ha società di consulenza in settori legati a molte aziende di Stato e del settore delle armi) la presidente del Consiglio in pectore cerca di trovare soluzioni non traumatiche per dire a chi ambisce a certi ruoli che no, non è questo il momento.
Si narra in Fratelli d’Italia, a esempio, di una certa tensione di La Russa, uno dei fondatori del partito: prima la storia del fratello che alza il braccio salutando alla fascista con il grido “presente” ai funerali dello storico volto della destra Alberto Stabilini, poi lo stesso ex ministro dei governi Berlusconi che in televisione parla di radici storiche comuni con il fascismo e Mussolini di tutti gli italiani, mentre lei è impegnata a rassicurare il mondo esterno sulla fine della “matrice” nera in Fratelli d’Italia, ribadendo che lei non ha detto nulla quando Gianfranco Fini ha rinnegato il fascismo come «male assoluto».
Fini che, guarda caso, dopo anni di silenzio per gli scandali familiari che lo hanno travolto, è tornato fugacemente sotto i riflettori nella sede della stampa estera per dire che «Giorgia è brava».
Per La Russa si deve trovare quindi un altro ruolo, forse la presidenza del Senato se questa non va a Lega o Forza Italia, oppure un dicastero meno influente.§
Un altro volto che si agita molto e che non capisce bene dove Meloni lo voglia piazzare è quello di Crosetto: l’altro fondatore del partito, ex democristiano di destra, ma soprattutto lobbista nel campo delle aziende di armi e con portafoglio ampio di clienti, durante la campagna elettorale è stato uno dei frontman mediatici del partito. Sempre in televisione, decine di interviste per spiegare il Meloni pensiero.
Certe volte creando più irritazione che altro proprio alla leader: che dicono si sia molto innervosita per l’ultima intervista rilasciata da Crosetto ad Avvenire.
Sul giornale della Conferenza episcopale italiana il fondatore di Fdi si è lanciato nel dire che «siamo in guerra, per salvare l’Italia servono tutte le energie. E tutte vuol dire tutte. Giorgia è libera e non ha paura, sa che deve unire».
Dopo due giorni sullo stesso giornale Meloni rilascia una intervista che smentisce Crosetto e ribadisce: «Stop larghe intese, ora esecutivo con mandato popolare».
Ma la vera tensione con Crosetto, come anche con Urso, è dovuta alla linea che la futura presidente del Consiglio (a meno di sorprese clamorose) ha tracciato e che Fazzolari e Lollobrigida ribadiscono ad ogni piè sospinto: «Nel governo non ci devono essere potenziali conflitti di interesse, dobbiamo dimostrare che siamo diversi da chi ci ha governato negli ultimi dieci anni».
Crosetto ha annunciato subito di aver liquidato una delle sue società, Urso ha ribadito da tempo che non ha più partecipazioni nella società, rimasta al figlio, che si occupa di internazionalizzazione delle imprese. Basteranno queste mosse per avere ruoli di peso nel prossimo governo? Meloni è una sfinge, mentre cerca sponde in tecnici che possano rassicurare Europa e mercati che detengono il debito italiano, su tutti Fabio Panetta, ex direttore generale di Banca d’Italia e dal 2019 nel board della Bce, per il ministero dell’Eco- nomia, o Elisabetta Belloni per gli Esteri.
La polvere sotto il tappeto, il mantra di Meloni che teme brutte figure come nessuno in Fratelli d’Italia.
Tanto che un altro volto considerato in prima linea per un ruolo nel governo in questo ore vive un po’ di ansia: Raffaele Fitto, uno dei pochi ex centristi e di famiglia democristiana di cui Giorgia si fida, lei che gli ex Dc non li ha mai amati e non li ama.
Fitto è il candidato naturale per il ruolo di ministro con la delega agli Affari Europei o al Mezzogiorno. Ma c’è la polvere che rimane: Fitto oggi è copresidente a Bruxelles del gruppo dei conservatori europei.
Un ruolo delicato per gli equilibri nell’Ue di Meloni. Se Fitto va a fare il ministro, chi potrebbe rimpiazzarlo nel partito in questa poltrona chiave nel Parlamento europeo? Non certo Carlo Fidanza, indagato per corruzione a Milano e già finito su tutti i giornali per le sue spa- rate da nostalgico del fascismo. E nemmeno un moderato come l’ex sindaco di Catania Raffaele Stancanelli, con il quale i rapporti sono tesi per le vicende siciliane sulla scelta del candidato governatore.
A proposito: a dimostrazione della tanta polvere che ha in casa Meloni, e di mancanza di classe dirigente adeguata in Fratelli d’Italia, per il ruolo di ministro del Sud potrebbe puntare sul governatore uscente si- ciliano Nello Musumeci.
Già candidato ed eletto al Senato e perdonato per certe uscite, come quella nel 2018 quando disse di non voler aderire a Fratelli d’Italia perché non entrava in partiti del tre per cento. Recentemente ha cambiato idea e Giorgia lo ha accolto a braccia aperte
Negli anni da governatore, a differenza del collega delle Marche Francesco Acquaroli, non ha mai fatto parlare di sé per pagliacciate fasciste, al massimo ha organizzato mostre sull’architettura degli anni Venti e Trenta, ristrutturato i borghi rurali fascisti, o speso qualche milione di euro per la fiera del cavallo in una tenuta a due passi dal suo paese di origine, Militello. Musumeci è un volto presentabile e potrebbe avere ruoli di peso.
A differenza di molti suoi neo colleghi nel partito. Ma la leader di Fratelli d’Italia non vuole nemmeno casinisti in ruoli di governo: ogni riferimento a Matteo Salvini non è del tutto casuale. Dietro il braccio di ferro sul ministero dell’Interno si nasconde il timore di Meloni di finire tutti i giorni suoi giornali per le piazzate di Salvini e non magari per altri importanti provvedimenti.
Uno scenario subito molto dall’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte e che Meloni non vuole assolutamente rivivere. E non vuole persone che considera non adatte al ruolo in poltrone delicate, ogni riferimento all’ex infermiera Licia Ronzulli alla Sanità anche qui non è del tutto casuale.
Il vero problema è che si può provare a nascondere la polvere sotto il tappeto, ma se ne hai talmente tanta, come nella coalizione strampalata di questo centrodestra, il compito è difficile. Se non impossibile.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non vede l’ora di ricevere la prima lista dei ministri: sulla scrivania quirinalizia ha già una scorta di bianchetti. E anche un aspirapolvere.
(da L’Espresso)
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Ottobre 9th, 2022 Riccardo Fucile
LA GRANDE FUGA DALLA RUSSIA DI PUTIN… LA STORIA DI VIKTOR CHE INSEGNA STORIA ALL’UNIVERSITA’
Quando Putin invade l’Ucraina, Syktyvkar è una città povera della Russia nord occidentale di circa 250 mila abitanti che fonda la propria sopravvivenza sull’industria di legname e sull’estrazione di gas.
Viktor (nome di fantasia, ndr) è nato 26 anni prima tra le fabbriche di questa città circondata dalle foreste, ma i suoi genitori sono ucraini. È anche per questo che quando inizia la guerra la sua vita cambia radicalmente e decide di fuggire in Romania.
«Dopo le proteste in strada, i problemi sono continuati al lavoro», racconta a TPI il docente di storia diventato riservista dell’esercito russo. «L’università in cui insegnavo ha rifiutato di rinnovarmi il contratto per le mie origini, così ho iniziato a insegnare in una scuola, dove però mi hanno chiesto di tenere lezioni sul tema dei Soldati russi liberatori dell’Ucraina. La mia famiglia si trovava sotto le bombe in quel momento e ovviamente ho rifiutato».
A marzo, Viktor scende in piazza con la sua ragazza Alyonushka e alcuni amici per partecipare alle proteste contro la guerra, ma la maggior parte di loro finisce arrestata, picchiata e multata. Evita il carcere e inizia a mettere soldi da parte per lasciare il Paese.
Nikolai, il docente che lo segue nel suo lavoro di ricerca all’università, è stato appena sospeso dall’insegnamento per le posizioni anti-governative che esprime sui social e il supporto che fornisce ai suoi studenti dissidenti sempre più sotto pressione e incalzati a partecipare a manifestazioni di propaganda bellica.
Grazie alla sua doppia cittadinanza russo-canadese, in grado di evitargli le rappresaglie più dure legate alla sua attività di contestazione, il professore cerca di mediare con il rettore dell’università per tutelare studenti e studentesse. «Chi si rifiuta di prendere parte a questi eventi pro-guerra, deve rinunciare a frequentare le lezioni ed è tenuto a prestare servizio militare finendo per combattere in Ucraina», spiega Nikolai a TPI.
Destinazione Bucarest
Il motivo per cui Viktor, una volta cacciato dall’università, riesce a evitare la coscrizione obbligatoria è che, all’età di diciotto anni, è stato giudicato non idoneo a svolgere il servizio militare per motivi di salute. Il suo permesso è però valido solo nei periodi di pace e Viktor è stato inserito tra le riserve dell’esercito.
Intanto la città di Syktyvkar subisce le conseguenze della guerra, l’inflazione cresce e le proteste si affievoliscono dopo l’iniziale mobilitazione: «In una città piccola come la nostra, dove la propaganda è ovunque, per molte persone è stato difficile continuare a protestare, soprattutto vedendo quello che accade nelle grandi città», ci spiegano Viktor e Alyonushka.
Le notizie della repressione violenta che arrivano da Mosca e da San Pietroburgo colpiscono gli abitanti, che scelgono di mantenere un profilo basso. «I pochi che non temono le botte e continuano a scendere in strada contro la guerra chiedono delle donazioni per riuscire a pagarsi le multe, che superano i 10 mila rubli».
Manca un mese al discorso con cui Putin chiamerà alle armi anche i riservisti e Viktor riesce ad acquistare il biglietto per un volo di sola andata per la Romania al costo di 35 mila rubli (circa 625 euro), dopo aver ottenuto un visto per rimanere a Bucarest trenta giorni.
Quando arriva l’annuncio della “mobilitazione parziale”, i prezzi per i biglietti raggiungono le centinaia di migliaia di rubli. Il 22 settembre, alle 6 del mattino, Viktor lascia la Russia e Alyonushka, e in quelle stesse ore comincia il rastrellamento dei riservisti. «Nonostante le difficoltà economiche e il timore di partire, avrei voluto andarmene anche prima. Per me, come per tanti altri miei conoscenti che stanno cercando il modo di scappare, era disgustoso ed emotivamente difficile restare lì. Sembrava di essere nel Terzo Reich», racconta a TPI dopo essere atterrato all’aeroporto di Bucarest.
L’annuncio dello Zar
A poche ore dal discorso del presidente Putin del 21 settembre che segna l’inizio della “mobilitazione parziale” in Russia, nel Paese si re-innescano alcuni focolai di protesta. Dopo un lungo periodo estivo di silenzio nelle strade, interrotto solo da qualche isolata contestazione, a guidare le manifestazioni sono ancora una volta le chat dei movimenti di opposizione attivi sui gruppi Telegram, che non hanno smesso di fare contro-informazione e diffondere dure critiche sull’operato del regime. Sulle chat gli antagonisti del governo si danno appuntamento nelle piazze e davanti agli uffici locali di registrazione e arruolamento militare. Proprio alcuni di questi uffici, secondo il sito di informazione indipendente MediaZona, avrebbero subito diversi tentativi di incendio da parte dei manifestanti durante la prima settimana di mobilitazione.
Viktor e Alyonushka seguono le proteste scorrendo con le dita il proprio schermo, ormai lontani diverse migliaia di chilometri l’uno dall’altra. Secondo Ovd-Info, il primo giorno delle manifestazioni sono state arrestate più di 1.300 persone in almeno 38 città del Paese e i dipartimenti di polizia hanno iniziato a inviare ai riservisti le prime convocazioni agli uffici di arruolamento militare. Le azioni repressive nelle grandi città russe si sono ripetute nei giorni successivi portando all’arresto di quasi altri 800 manifestanti, e proseguono tuttora.
Repressione e naja
Anche a Syktyvkar la situazione si fa più cupa, come racconta Alyonushka a TPI. In poche ore in città non si parla d’altro se non di come evitare il servizio militare e anche chi sostiene il governo prova a capire come riuscire a sfuggire alla leva, mentre tanti tentano la fuga in auto, come hanno già fatto suo fratello e molti suoi amici.
I confini della regione di Komi, di cui Syktyvkar è il capoluogo, sono però stati blindati e l’attività di reclutamento militare è diventata piuttosto intensa.
«L’esercito lascia gli avvisi di comparizione a casa delle persone e sul posto di lavoro. Per strada ci sono pattuglie di militari che fermano gli uomini intimando di presentarsi alle visite mediche di reclutamento, ma è solo una formalità», spiega Alyonushka. «Chi si presenta viene messo su un autobus e portato direttamente nei centri militari. Molte persone ci vanno perché temono le multe o di finire in prigione per più di dieci anni, molte altre che si informano tramite i media di Stato credono che si tratti di un campo di addestramento di sole due settimane, altre ci finiscono con la forza».
La testimonianza di Alyonushka è confermata da alcuni portali indipendenti di informazione come Novaya Gazeta e MediaZona. Queste testate riportano casi di abusi da parte degli uffici di reclutamento militare e interventi delle forze dell’ordine per strada, nei centri commerciali e alla frontiera del Paese, dove gli uomini considerati dell’età giusta per servire nella riserva militare vengono sottoposti a controlli intimidatori.
Dopo essere state fermate, alcune persone hanno dichiarato anche di aver ricevuto avvisi di comparizione sul posto. Oltre al reclutamento forzato e immediato di chi si presenta presso gli uffici di registrazione militare, MediaZona segnala casi in cui la notifica di arruolamento è stata consegnata in carcere ai manifestanti arrestati durante le proteste, minacciati dalla polizia di essere prelevati e portati direttamente nei centri di addestramento.
Un’accoglienza fredda
A Bucarest, con qualche parola di inglese in tasca, Viktor raggiunge suo fratello, fuggito dall’Ucraina per salvarsi dai bombardamenti. Sa di non poter tornare in Russia e teme di mettersi in pericolo provando a oltrepassare i confini ucraini per ricongiungersi con i suoi genitori. «Dopo lo pseudo-referendum nelle repubbliche di Donetsk e Luhansk, entrare e uscire dalla Russia sarà praticamente impossibile e sono convinto che sarà annunciata la mobilitazione generale», ci confida Viktor, che prosegue: «Anche se il governo per il momento dice che a essere chiamati in guerra saranno solo persone con esperienza nell’esercito, si tratta di una menzogna, come tutte le parole di Putin».
Dal suo arrivo in Romania, dopo un’accoglienza che descrive come fredda e sospettosa al controllo passaporti, Viktor trascorre la maggior parte del suo tempo in ambasciata, dove ha fatto richiesta per un visto ucraino, che potrebbe essergli rilasciato nell’arco di tre mesi.
«La possibilità che rifiutino la mia domanda è molto elevata e in quel caso non saprei cosa fare. Nel frattempo il mio visto romeno scade tra un mese e poi sarò senza documenti».
Il fratello di Viktor, che possiede lo status di rifugiato, lo sostiene nelle sue attività quotidiane, ma gli sconsiglia di andare in Ucraina, dove alcuni loro parenti sono stati feriti gravemente.
La vita del giovane riservista russo, in fuga dal suo Paese, in pericolo se raggiungesse l’Ucraina e con poche chance di essere accolto altrove, dipende dal suo passaporto. Anche Novaya Gazeta scrive che fare domanda di asilo politico in un altro Stato per evitare la mobilitazione parziale è difficile.
La Lettonia ha annunciato il 21 settembre che non rilascerà visti umanitari a coloro che evitano le armi, mentre la Germania ha affermato che il rifiuto del servizio militare non costituisce un motivo per concedere asilo politico ai russi.
(da TPI)
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Ottobre 9th, 2022 Riccardo Fucile
ORA VOGLIONO ABROGARE L’ISOLAMENTO DOMICILIARE DEI POSITIVI ASINTOMATICI, INTANTO PERÒ L’EFFETTO DEI FOCOLAI SCOLASTICI FA AUMENTARE I CONTAGI, E ALCUNI GOVERNATORI PENSANO DI REINTRODURRE L’OBBLIGO DI MASCHERINA
Spinta dai focolai scolastici, l’onda autunnale continua a montare anche se la crescita sembra un po’ meno decisa di quella riscontrata qualche giorno fa, con un più 30% circa di casi in sette giorni contro il più 40% della settimana scorsa.E confortati da un tasso di letalità del Covid sempre più basso, oltre che da una riconfermata efficacia dei vaccini nel prevenire le forme gravi di malattia, gli esperti vicini al centrodestra, capitanati dal virologo del San Martino di Genova, Matteo Bassetti, suggeriscono: abrogate l’isolamento domiciliare dei positivi asintomatici, imponendo casomai l’obbligo di girare con le Ffp2 e quello di tenersi alla larga dagli assembramenti fino a che non ci si negativizza.
Un’idea che il nuovo esecutivo potrebbe far propria, perché oggi bloccati in casa per il Covid ci sono 491 mila italiani, ma il loro numero sta crescendo abbastanza rapidamente e in un’economia già stressata da inflazione e caro bollette, tenere in malattia un milione e mezzo di persone, come nel gennaio scorso, sarebbe un po’ come spargere sale su una ferita.
Altri esperti sono invece più prudenti. In testa quelli del ministero di Speranza, che nei giorni scorsi hanno inviato una circolare ai tecnici delle Regioni per aver un loro parere, nella quale si suggerisce di imporre di nuovo le mascherine nei luoghi affollati e di tornare alla quarantena dei contatti stretti dove il quadro epidemiologico dovesse peggiorare oltremodo.
Il ministro uscente ha deciso di non firmare, lasciando la patata bollente a chi gli succederà. Ma diversi governatori, anche del centrodestra, come il piemontese Cirio, sono spaventati dalla situazione e potrebbero optare per il dietrofront, tornando alle mascherine almeno sui mezzi di trasporto.
Soprattutto se l’ondata in atto, anziché raggiungere rapidamente il suo picco, dovesse inerpicarsi verso l’alto più decisamente.
Intanto ieri si sono contati 43.716 contagi, meno di venerdì ma 10 mila in più di quelli contegiati sette giorni prima, rispetto ai quali è più corretto fare il confronto. E in rapido aumento sono anche i ricoveri. In particolare quelli nei reparti ordinari, ieri altri 110 letti in più occupati da positivi al Covid, per un totale di 5.489. Numero ancora gestibile, mentre oltre i 10 mila gli ospedali iniziano ad andare in affanno, come i precedenti insegnano.
A far peggiorare la situazione ha sicuramente contribuito la riapertura delle scuole. Il bollettino epidemiologico diffuso ieri dall’Iss rileva infatti un aumento dei casi in età scolare, passati ad essere in una settimana dal 14,9 al 17,5% dei contagi totali, con una incidenza maggiore tra i 12 e i 19 anni.
Da qui l’appello del dg dello Spallanzani, Francesco Vaia: «Il nuovo governo metta come priorità quella di occuparsi della ventilazione meccanica nei luoghi affollati», come appunto le scuole. Il bollettino dell’Iss offre però la sponda anche al partito degli aperturisti, rilevando il crollo della letalità da Covid, che era del 19,6% nell’era pre vaccini, è crollata allo 0,2% nel gennaio con Omicron, per dimezzarsi ora allo 0,1%. Mentre i vaccini, quando si fa il booster, continuano a proteggere all’82,5% dalle forme gravi di malattia. Come dire: più iniezioni e meno obblighi.
(da La Stampa)
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Ottobre 9th, 2022 Riccardo Fucile
I DUE TRENTENNI SONO STATI CONDANNATI PER IL TENTATO STUPRO DELLA RAGAZZA, MORTA NEL 2011 DOPO ESSERE PRECIPITATA DALLA FINESTRA DI UN HOTEL DI MAIORCA… “NON POSSO PERDONARE. DURANTE IL PROCESSO NON HANNO MOSTRATO PENTIMENTO”
Il tribunale di sorveglianza di Firenze ci ha messo undici mesi a stabilire che i due devono scontare la pena in prigione. Respinta la loro richiesta di messa in prova ai servizi sociali, che non andava bene nemmeno alla procura generale.
Ma Albertoni e Vanneschi non rimarranno dietro le sbarre a tempo pieno: di giorno potranno svolgere un lavoro, per poi rientrare in carcere la sera. Semilibertà quindi. Una decisione che Bruno Rossi e Franca Murialdo, genitori della ragazza, commentano da Imperia con amarezza: «Tanto valeva metterli a dormire in hotel, gli veniva più comodo».
Per Bruno Rossi e Franca Murialdo «sembra quasi che siamo noi a voler torturare i due ragazzi, ma è l’ultima cosa che vogliamo. Il problema è che questi evidentemente vivono senza conoscere la dimensione del male. La semilibertà per loro è un mezzo premio, e non è meritato. Sarei stato più felice se fossero rimasti in carcere e mi chiedo: quali lavori potranno fare? Uno correva in moto, l’altro non mi risulta abbia mai lavorato. Ma il problema non sono soltanto loro, è tutto il loro paese, sono le istituzioni locali che in questi anni li hanno protetti come fossero vittime. C’è una sentenza della Cassazione che dice che hanno tentato di violentare una 20enne e con il loro comportamento l’hanno uccisa (il reato di morte come conseguenza di altro delitto è andato in prescrizione, ndr ). Sono forse loro due le vittime? O lo è una ragazza innocente?».
(da agenzie)
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Ottobre 9th, 2022 Riccardo Fucile
“IL MIO MODELLO E’ MATTARELLA”… LE PROIEZIONI LO DANNO OLTRE IL 54% AL PRIMO TURNO… IL SOVRANISTA ROSENKRANZ SI FERMA AL 19%
Stando alle prime proiezioni, l’attuale presidente della Repubblica con il 54,6% avrebbe ottenuto la maggioranza assoluta. Lo sfidante, Walter Rosenkranz dell’Fpoe, segue con il 18,9%. Sorpresa per il leader del Partito della birra, Dominik Wlazny, dato all’8%
In Austria, con tutte le probabilità, si va verso la rielezione dell’attuale presidente della Repubblica, il 78enne Alexander van der Bellen, che, stando ai sondaggi e alle prime proiezioni, verrà riconfermato già dopo il voto durante il primo turno delle elezioni presidenziali svoltesi oggi, 9 ottobre. L’ex leader dei Verdi, attualmente in corsa in una lista indipendente sostenuta da tutte le forza che sostengono il governo, a eccezione della destra, alle ore 17, ossia subito dopo la chiusura delle urne, stando alle proiezioni della tv pubblica Orf avrebbe ottenuto il 54,6 per cento delle preferenze. Il rinnovo del suo mandato presidenziale era dato per certo dai sondaggi pre-elettorali, dato che i partiti Popolare e Socialdemocratico hanno rinunciato a presentare loro candidati. In uno scambio di battute subito dopo il voto, il presidente van der Bellen ha ironizzato sulla sua età in vista di altri 6 anni di incarico: «Il mio modello è Sergio Mattarella, il nostro amico italiano che stimo molto. Gli è stato chiesto di rimanere come presidente e lui è un po’ più vecchio di me». Stando alle proiezioni, dunque, il presidente 78enne resterà in carica per altri sei anni. E, qualora le proiezioni dovessero essere confermate durante lo spoglio che si concluderà ufficialmente domani, lunedì 10 ottobre, non sarà necessario andare al ballottaggio, dato che van der Bellen avrebbe superato la soglia del 50 per cento dei voti.
Ben lontano dalle percentuali ottenute da van der Bellen si pone il suo principale rivale, Walter Rosenkranz, musicologo sessantenne candidato per l’ultradestra Fpoe, che avrebbe raccolto circa il 19 per cento dei voti. A sorpresa, al terzo posto, con circa l’8 per cento delle preferenze, si piazza il comico viennese Dominik Wlazny della Bierpartei, il Partito della birra. Alle urne sono stati chiamati circa 6,3 milioni di austriaci.
(da agenzie)
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Ottobre 9th, 2022 Riccardo Fucile
LA TEORIA DEL CAMION BOMBA VA BENE A TUTTI: COME MAI AI CONTROLLI I MILITARI RUSSI NON SI SONO ACCORTI DI NIENTE? SONO SOLO PIPPE O LI HANNO CORROTTI?
Il ponte di Kerch non è un target a sorpresa ma un obiettivo ampiamente annunciato dagli ucraini, che da tempo minacciavano di centrarlo con gli Himars. Tanto è vero che i russi avevano adottato contromisure antimissile (poi rimosse) perché temevano colpi. Alla fine è stato avvolto in una bolla di fuoco.
Mosca ha dato la «colpa» a un mezzo in arrivo dalla Russia che è esploso coinvolgendo poi il convoglio di cisterne sulla linea ferrata. È una teoria con derivate.
1) Un veicolo-trappola, l’autista inconsapevole. Magari aveva un carico d’armi a bordo e un infiltrato ha piazzato una carica poi attivata a distanza.
2) L’attentatore suicida, con il guidatore che si trasforma in kamikaze mentre ha all’interno tonnellate di fertilizzante. Un’azione resa possibile dalla mancanza di controlli: l’accesso al ponte è sorvegliato da un check-point con «macchine» scanner per le ispezioni. Le guardie non si sono accorte di nulla: svagate o corrotte per guardare dall’altra parte, pratica normale.
Chi non crede a questa ricostruzione sospetta un’operazione delle forze speciali ucraine, ormai protagoniste da tempo di incursioni in profondità. E, nelle ore successive, sono uscite indiscrezioni in questo senso, attribuendo il merito a un team dell’Sbu. Ammissione in seguito smentita.
Gli «specialisti» hanno usato il camion come Cavallo di Troia o hanno piazzato ordigni in qualche modo? Sembra di rivivere il «misterioso» attacco alla base aerea di Saky, sempre in Crimea, ai primi d’agosto.
Anche allora erano emerse tesi parallele, tutte plausibili: tiro di missili, commandos, deflagrazione accidentale, sabotatore interno. Ci sono osservatori che propendono per uno strike preciso, condotto con sistemi a lungo raggio. E non manca la pista di un barchino esplosivo radiocomandato mandato sotto il ponte, possibilità confutata da alcuni esperti e accarezzata da altri con particolari su battelli/droni simili a un modello rinvenuto sulla costa di Sebastopoli.
Ora è evidente che la teoria del camion fa comodo a tutti. Puoi fare passare l’evento per un gesto individuale, non sono state impiegate armi occidentali che implicherebbero una reazione di livello, non si mettono in imbarazzo gli Stati Uniti, può costruirci attorno mille castelli di carte dando modo alla Russia di scegliere l’opzione migliore e meno imbarazzante. Perché, quale che sia la causa della botta, lo sfregio al Cremlino resta.
Le fiamme hanno avvolto un simbolo e hanno provato ancora una volta che il regime non è in grado di garantire la protezione di siti cruciali. Con il rischio di ripercussioni sulla rete logistica indispensabile nel conflitto. I danni hanno riguardato la sezione stradale e quella ferroviaria, da cui l’Armata dipende per portare materiale al fronte. Lo schiaffo è ancora più pesante perché avviene in concomitanza con il compleanno di Vladimir Putin. Tutto questo mentre a Mosca crescono le divisioni tra gerarchi, ufficiali, capi mercenari, il ceceno Kadyrov, tutti impegnati a scaricare le responsabilità uno sull’altro.
Lo confermano i ripetuti avvicendamenti, l’ultimo queste ore con la nomina del generale Sergei Surovikin a comandante delle truppe. Un clima velenoso che lascia spazio ai sospetti, alle voci incontrollabili, compresa quella che la deflagrazione sia una provocazione, parte della faida tra apparati del neo-zar.
Era stato detto anche per l’omicidio della figlia di Dugin, poi è stata l’intelligence statunitense a indicare, in forma anonima, il colpevole: gli 007 ucraini. Confidenza consegnata al New York Times e interpretata come un avviso a Zelensky a frenare. La storia, per certi aspetti, ricorda gli episodi in serie avvenuti in Iran, con «incidenti» e sabotaggi in luoghi strategici, fabbriche, basi.
Alcuni sono chiaramente legati ad operazioni di servizi, di oppositori interni ingaggiati da nemici esterni (Israele, Usa, Arabia), altri restano avvolti dalla nebbia di guerra. Sono atti che possono essere rivendicati ma anche no, lasciando che siano gli altri a offrire una narrazione. E il balletto di versioni avvantaggia chi ha sferrato il fendente ma, nel contempo, permette a chi lo subisce di rispondere in un momento più opportuno.
(da i Corriere della Sera)
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Ottobre 9th, 2022 Riccardo Fucile
ANCHE QUEST’ANNO FESTEGGIANO I RICAVI DA RECORD. IN MEDIA, DELL’11% IN PIÙ RISPETTO AL 2021 – LVMH, HERMES, PRADA E GUCCI VANNO BENE. ALLORA PERCHÉ IN BORSA CONTINUA A DOMINARE LA PAURA?
Un’estate di lusso, quella appena conclusa, che a dispetto di guerra e recessione farà registrare utili record a tutte le aziende del settore. Come sempre, alcuni marchi e alcune aziende andranno meglio di altre, ma la crescita dei ricavi sarà corale.
La media degli investitori si aspetta che nel trimestre luglio-settembre 2022 i ricavi delle aziende europee del lusso siano cresciuti – a parità di cambi – in media dell’11%, rispetto a un buon trimestre come quello 2021, dove le griffe erano già tornate a superare i livelli pre-pandemia. Gli analisti di Bank of America Merrill Lynch (Bofa) stimano un aumento medio dei ricavi dell’industria del lusso del 15% a parità di cambi, quelli di Ubs del 16%, trainati dalle riaperture in Cina, dal ritorno dei turisti in Europa e aiutati dalla forza del dollaro che per le griffe del Vecchio continente che vendono in Usa rappresenta un grande vantaggio.
Per Planet Data, il rimborso delle tasse chiesto lo scorso agosto dai turisti che hanno visitato l’Europa è stato del 148% superiore rispetto al 2021, ma inferiore rispetto all’agosto pre-pandemia. Merito del ritorno dei turisti americani (+85% rispetto all’agosto del ’19) aiutati dal dollaro forte, mentre i consumatori di lusso cinesi – che ormai sono la parte importante del mercato – sono tornati a spendere in patria e a Hong Kong, grazie alle riaperture post pandemia.
La stagione dei risultati partirà la settimana entrante con Lvmh (11 ottobre), e proseguirà con Cucinelli (19 ottobre), Hermès e Kering (20 ottobre), Moncler (26 ottobre) e così via, per chiudersi il 17 novembre con Burberry. Lvmh, colosso mondiale del lusso, dovrebbe registrare una crescita a due cifre di tutte le divisioni, con abbigliamento e borse in aumento addirittura del 20%. Ma anche Hermès è tra i titoli preferiti dei broker, dato che ha già raccolto buoni ordini per borse e accessori per tutto il 2023.
Quanto all’inflazione, i maggiori marchi non hanno fatto mistero di aver già aumentato i prezzi (e di esser pronti a farlo ancora) per tenere conto dei maggiori costi delle materie prime, dei trasporti e dell’energia. Ma finora l’incremento dei listini di Dior, Prada e Gucci, non ha scoraggiato gli acquisti della clientela di lusso
A dispetto dei positivi risultati del primo semestre, la paura si è riflessa sui corsi azionari: da inizio anno solo Zegna – che si è quotata lo scorso dicembre a New York – è in territorio positivo. Secondo Ubs il settore del lusso tratta a premio del 120% rispetto all’indice Msci Europe, contro una media degli ultimi cinque anni del 90%; il premio sarebbe giustificato dal fatto che quest’industria ha dimostrato di saper creare valore nel lungo termine, e promette bene anche per il 2023.
Bofa ha invece qualche timore che la congiuntura si ripercuota sull’umore degli americani, che già a settembre in patria hanno frenato sullo shopping. Ma i marchi di alta gamma hanno saputo fidelizzare i propri clienti che tipicamente continuano a comprare a dispetto della recessione. La crescita dei primi mesi del 2023 sarà poi facilitata dall’incremento delle vendite in Cina (che quest’anno si è fermata tra gennaio e maggio per il lockdown) senza contare che i buyer internazionali si sono detti entusiasti delle sfilate di Milano e di Parigi per la primavera estate prossima.
(da La Repubblica)
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