Ottobre 17th, 2022 Riccardo Fucile
LA TREGUA CON LA NUOVA RIPARTIZIONI DELLE POLTRONE: PRONTI PER DIVIDERSI IL MALLOPPO DEL PNRR
Il faccia a faccia di circa un’ora tra Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi avrebbe portato a una sostanziale accelerazione sul completamento delle caselle per il nuovo governo.
Secondo un retroscena dell’agenzia Ansa, nel vertice tenuto oggi nella sede di Fratelli d’Italia in via della Scrofa, si sarebbe discusso per confermare Antonio Tajani nel ruolo di vicepremier e ministro degli Esteri, così come ormai consolidato dai totoministri degli ultimi giorni. Si sarebbe trovato un accordo sulla collocazione dell’ex presidente del Senato, Elisabetta Casellati, che andrebbe a guidare il ministero delle Riforme, finora però attribuito dai rumors al leghista Roberto Calderoli che potrebbe andare agli Affari regionali.
Forza Italia così rinuncerebbe all’ambizione di avere per sé il dicastero della Giustizia, su cui FdI indicherebbe l’ex magistrato Carlo Nordio. Nella trattativa di oggi tra la leader di FdI e quello di Forza Italia ci sarebbero stati anche i nomi del forzista Gilberto Pichetto Fratin, che andrebbe al ministero della Transizione Ecologica.
Meloni, spiega ancora Ansa, avrebbe dato disponibilità per altri due esponenti di Forza Italia a cui sarebbero affidati il ministero della Pubblica amministrazione e quello dell’Università. Tra i nomi più gettonati ci sarebbero quelli di Alessandro Cattaneo, Anna Maria Bernini e Sestino Giacomoni, ex deputato di Forza Italia non rieletto.
I leghisti, i tecnici e i nomi di FdI
A completare la squadra di governo ci sarebbero i nomi circolati nei giorni scorsi con il leghista Giancarlo Giorgetti al ministero dell’Economia e Matteo Salvini come vicepremier e ministro delle Infrastrutture, Gian Marco Centinaio all’Agricoltura, Simona Baldassarre alla Disabilità, Marina Elvira Calderone come tecnica al ministero del Lavoro, il prefetto di Roma Matteo Piantedosi all’Interno. Per FdI Guido Crosetto è dato allo Sviluppo Economico, Adolfo D’Urso alla Difesa, il presidente della Croce rossa Francesco Rocca alla Salute, Giuseppe Valditara all’Istruzione, lo scrittore e storico Giordano Bruno Guerri alla Cultura, Raffaele Fitto agli Affari europei, Chiara Colosimo alla Gioventù e Sport, mentre Gianbattista Fazzolari sarà sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Un ministero andrà anche a Noi Moderati, con Maurizio Lupi che dovrebbe ricoprire il ruolo di ministro ai Rapporti con il Parlamento.
(da agenzie)
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Ottobre 17th, 2022 Riccardo Fucile
AVRANNO NOTATO IL SUO PHYSIQUE DU ROLE ALLA FESTA DEL SALAME DI SANT’OLCESE
“Non c’è dubbio si apprezzi il salame perché ha una storia, un radicamento, un’importanza culturale e gastronomica fondamentale per questo territorio, ma anche simbolo diffuso della Liguria”. Parola del presidente di Regione Liguria Giovanni Toti in occasione della festa del salame di S. Olcese.
Da ieri il poliedrico governatore può fregiarsi di un altro titolo: è infatti stato nominato Nobile Protettore dell’arte del salame. Un riconoscimento nei confronti del presidente di Regione Liguria che si è concretizzato con una cerimonia solenne nell’Oratorio di San Giovanni Battista, a Sant Olcese. L’onere dell’investitura è toccato ad Andrea Pedemonte Cabella la cui bisnonna oltre 100 anni fa aveva dato il via all’omonimo salumificio.
“Un prodotto che è inserito in un’offerta integrata che regala alle persone che sono qui oggi un’emozione particolare – aggiunge Toti – fatta anche da altri prodotti come il pesto, i nostri vitigni autoctoni, o una tela di Rubens dentro un palazzo di Genova o lo scorcio di un tramonto dalle alture della città. Quei beni non delocalizzabili che fanno dell’Italia un posto unico. E’ difficile riprodurre la bellezza dei Rolli, o la sapienza del nostro pesto, e i profumi di una terra che è unica, compreso il salame di Sant’Olcese che fa parte a pieno titolo della nostra tradizione”.
(da La Repubblica)
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Ottobre 17th, 2022 Riccardo Fucile
“ORMAI IL LOOK DELLA MELONI E’ DI MODA, ME LO HANNO CHIESTO GIA’ 50 CLIENTI”: PARLA IL PARRUCCHIERE DI “DONNA GIORGIA”… “AL GIURAMENTO LA MELONI AVRA’ UN TAGLIO ‘BOB LUNGO’ BIONDO MIELATO. MAGARI LE FARÒ UNA PIEGA CON DELLE ONDE”
I capelli di Giorgia Meloni? “Sono già venute quasi 50 donne nel mio salone che mi hanno chiesto il taglio alla Giorgia, le mie clienti mi telefonano e mi chiedono il taglio ‘bob lungo’, il taglio alla Meloni, e il suo stesso colore, un biondo mielato”.
A parlare a Rai Radio1, ospite di Un Giorno da Pecora, è Antonio Pruno, parrucchiere della premier in pectore Giorgia Meloni, che oggi è stato ospite della trasmissione condotta da Giorgio Lauro e Geppi Cucciari.
Per il probabile giuramento da premier pensa le farà un nuovo look? “No, magari cambierò la piega, vediamo come ci si sentirà quella mattina. Probabilmente Giorgia si presenterà con il ‘bob lungo’ biondo mielato – ha detto Pruno a Un Giorno da Pecora – magari le farò una piega con delle onde ma dipende da come ci sveglieremo quella mattina. Comunque le faremo qualcosa di elegante, con lo stile di Giorgia Meloni”.
(da agenzie)
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Ottobre 17th, 2022 Riccardo Fucile
NULLA DI NUOVO, ECCO LA LISTA DEI SOLITI NOTI, SEMPRE GLI STESSI DA 25 ANNI, ALTRO CHE RINNOVAMENTO
Causa balletto sui ministri il “governo Meloni” ancora non c’è. Sono però dati per certi, salvo qualche casella, tutti gli incarichi di ‘sottogoverno’, vale a dire i posti di vertice nei ministeri che fan girare la “macchina amministrativa”, prima fra tutte Palazzo Chigi: dai segretari generali, ai capi dipartimento e giù a scendere.
Non per chiarezza di vedute, né per concordia tra alleati, quanto per il fatto che da un quarto di secolo la debolezza della politica eleva i grand commis dalla magistratura amministrativa e contabile al rango di “supplenti” e “garanti” per governi di destra e sinistra. Anche Meloni, nonostante la forza dei suoi numeri, sembra orientata ad attingere da quel serbatoio di “giurisperiti” che poi comandano davvero, tanto da rimanere nei “palazzi” più a lungo di chi li han nominati.
I nomi che girano son sempre gli stessi.
Benché la Presidenza del Consiglio dei Ministri sia avvalga già di 70 dirigenti generali di ruolo, qui come nei ministeri, il 90% degli incarichi dell’alta dirigenza, compresi gli uffici di staff sono conferiti da un quarto di secolo a consiglieri di Stato, dei Tar e delle Corte dei Conti in “distacco permanente”. Siccome di vera e propria nomenklatura si tratta, facciamoli questi nomi.
Carlo Deodato, attuale capo del dipartimento per gli affari giuridici e legislativi è accreditato come prossimo segretario generale di Palazzo Chigi. Rassicurazioni in questo senso sarebbero arrivate da un pranzo informale dalle parti di Piazza Nicosia, con Deodato e i capi dipartimento, nel quale i giochi venivano dati per fatti, e gli “incaricati” venivano confermati, salvo rotazione da una direzione all’altra. Da sempre “sostenuto” da Gianni Letta, oltre ad aver ricoperto in passato (con il Governo Enrico Letta) lo stesso incarico, Deodato è stato, negli ultimi anni, segretario generale della Consob e capo di gabinetto e capo legislativo di numerosi ministri.
I “soliti noti” posti al vertice delle principali istituzioni pubbliche, a loro volta, “collocano” a cascata nei posti di vertice delle varie amministrazioni le solite figure da oltre venti anni. Ed ecco allora, solo per fare l’esempio più vistoso, che negli ultimi due decenni gli importanti incarichi di capo dipartimento presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri sono appannaggio esclusivo dello stesso gruppo di magistrati, avvocati dello stato o dirigenti di prima fascia della stessa Presidenza che al massimo si “scambiano” tra loro i posti di vertice delle varie strutture.
A prescindere dal colore politico del Governo – ed a riprova del fatto che non è la politica “a scegliere” – gli incarichi di capi dipartimento sono, da anni, appannaggio di un ristretto numero di “eletti”; come Francesca Gagliarducci che, oltre ad aver rivestito l’incarico di vice segretario generale di Palazzo Chigi, da oltre sei anni è a capo del delicatissimo dipartimento del personale della Presidenza del Consiglio; come Paola D’Avena che, dopo essere stata anch’essa per anni capo del dipartimento del personale della Presidenza del Consiglio, attualmente riveste l’importante incarico di vice segretario generale di Palazzo Chigi e, come se non bastasse, ad interim dirige il delicato Ufficio di Segreteria del Consiglio dei Ministri; come Sabrina Bono che, dopo aver rivestito l’incarico di capo di gabinetto del ministro dell’Istruzione e di capo dipartimento nell’ambito dello stesso dicastero, attualmente è anch’essa, vice segretario generale di Palazzo Chigi.
A queste situazioni se ne aggiungono altre ancor più eclatanti. Solo per fare qualche altro esempio: Elisa Grande e Diana Agosti da oltre tre lustri sono a capo di vari dipartimenti della stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri (Agosti da quasi dieci anni è l’inamovibile capo del dipartimento delle Politiche europee). Da ultimo, ma non per ultimo, non si può trascurare la famiglia Siniscalchi, a partire dal capo stipite Alfredo Siniscalchi, ex capo dipartimento per i Rapporti con il parlamento nei primi anni Duemila, per continuare con i suoi figli che hanno monopolizzato i più importati incarichi pubblici. Infatti sia Ermenegilda Siniscalchi sia il fratello Flavio Siniscalchi da diversi anni, nonostante il succedersi di vari governi di colore diverso, sono stati posti a capo di vari dipartimenti della stessa Presidenza del Consiglio. Ai due sopra citati si aggiunge Arturo Siniscalchi che, oltre a rivestire l’incarico di vice direttore vicario del Formez, è titolare di una serie di importantissimi e remuneratissimi (e, quindi, ambitissimi) incarichi extra, come quello di componente della Commissione di Valutazione dell’impatto ambientale presso il ministero della Transizione ecologica. Per i Siniscalchi, si può dire, gli incarichi più prestigiosi siano una “questione di famiglia”.
A questi dirigenti occorre aggiungere coloro che, pur non essendo più in Presidenza del consiglio, hanno rivestito fino al recente passato numerosi incarichi di vertice come Antonio Naddeo, oggi influente Presidente dell’ARAN ed in passato a capo di vari dipartimenti della stessa Presidenza nonché Ferruccio Sepe anch’esso posto negli ultimi quindici anni a capo di vari dipartimenti importantissimi quali, da ultimo, il dipartimento dell’Editoria che gestisce i fondi per l’editoria nonché il contratto di servizio con la RAI.
Per quanto riguarda la lobby dei Consiglieri di Stato, un esempio è l’attuale sottosegretario di stato Roberto Garofoli, da sempre nel “giro” che conta (ex Segretario Generale a Palazzo Chigi, ex Capo di Gabinetto del ministro dell’Economia e delle finanze). Ma c’è anche l’attuale segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, Roberto Chieppa (ex segretario generale dell’Autorità per la concorrenza ed il mercato ed ex consulente di vari ministri). Continuando, nell’elenco che conta c’è Giuseppe Chinè, attuale capo di gabinetto del ministro dell’Economia e finanze e, nel recente passato, capo di gabinetto dei ministri della Salute e della Pubblica istruzione e ricerca universitaria.
Il nuovo governo “a guida Meloni”, forte di un consenso che le permette di sfidare gli alleati sui ministri e pure sui presidenti delle Camere, potrebbe forse guardare a quel mondo con occhi nuovi e diversi, potrebbe spezzare le tradizionali logiche di potere che ha permesso i civil servant dell’alta burocrazia di diventarne i veri detentori, tanto da tramandarselo tra loro, come una casta. Darebbe, quantomeno, il segno di un inizio diverso.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Ottobre 17th, 2022 Riccardo Fucile
CON IL RISCHIO DI (RI)APRIRE LE PORTE A UN GOVERNO TECNICO, CHE NON È DETTO CHE SIA UN PROBLEMA PER IL CAV E PER LE SUE AZIENDE
Forza Italia è ormai una polveriera. E se esplode le conseguenze della deflagrazione colpiranno in primo luogo Giorgia Meloni. Il suo governo e la speranza di vararlo in tempi brevi. Facendo rimaterializzare uno spettro che sembrava svanito. E che ora, invece, sta tornando nelle analisi allarmate della destra italiana: l’esecutivo “tecnico” o comunque “non politico”.
Ecco la vera posta in palio nello scontro tra la “premier in pectore” e Silvio Berlusconi. Non si tratta solo di una guerra dettata da ragioni personali.
Nel piatto, adesso, c’è finito qualcosa di ben più consistente: la possibilità che il nuovo esecutivo nasca nei tempi prestabiliti e con uno orizzonte sufficientemente ampio. Senza la paura che un “novello Draghi” si affacci nel panorama dei partiti.
Il terrore che sta facendo largo in Via della Scrofa (la sede di Fratelli d’Italia e un tempo dell’Msi) è allora che se Forza Italia perdesse una quota di suoi parlamentari, una parte non potrebbe che finire tra le file di Matteo Renzi e Carlo Calenda. Risultato: la maggioranza di Meloni sarebbe come minimo numericamente più debole.
Basterebbero cinque senatori per far precipitare le azioni meloniane. E soprattutto si irrobustirebbe il “partito” di chi vorrebbe riportare un “tecnico” a Palazzo Chigi. È questa la prima preoccupazione della presidente di Fratelli d’Italia. Che deve correre ai ripari sapendo che questi rischi non sono eventuali, ma concreti.
Le scosse tra i tre partiti hanno già archiviato l’idea di nominare nei posti- chiave “esterni” di grandissimo valore come Fabio Panetta, l’attuale membro del board della Bce. Ma una falsa partenza farebbe cadere ogni speranza. Quale “alto profilo” accetterebbe di far parte di una compagine già ammaccata da una catena di produzione inceppata
Certo anche Berlusconi ha bisogno di uscire dal cul de sac. Ma paradossalmente la sua esigenza è inferiore. A lui serve soprattutto che gli venga restituito il ruolo di “padre nobile” del centrodestra. Ha meno da perdere. Anche in termini aziendali.
Anzi, tra gli “amici di sempre” c’è anche chi gli suggerisce di spingere sull’acceleratore. Perché un governo più rispettato all’estero – come è stato quello di Draghi – rappresenta un ombrello protettivo più ampio rispetto a Mediaset. E rispetto alle scalate che Oltralpe vengono preparate contro il Biscione. Il sentiero della pace è ancora tortuoso. Nessuno, per ora, scommette su una immediata fumata bianca.
(da La Repubblica)
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Ottobre 17th, 2022 Riccardo Fucile
L’EX STRATEGA DI TRUMP CONDANNATO PER OLTRAGGIO AL CONGRESSO POTREBBE DOVER PAGARE ANCHE UNA MULTA DI 200.000 DOLLARI
Sei mesi di carcere e una multa da 200 mila dollari. È questa la pena che il Dipartimento di giustizia americano chiederà per Steve Bannon, ex stratega di Donald Trump alla Casa Bianca. Bannon, 68 anni, è stato condannato lo scorso luglio per il reato di oltraggio al Congresso e rischiava una pena da 30 giorni a due anni di carcere per essersi rifiutato di testimoniare nell’indagine sull’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021.
Secondo i procuratori, da quando è imputato, Bannon «ha perseguito una strategia in malafede di sfida e disprezzo».
Gli inquirenti hanno chiesto più volte all’ex stratega di Trump di consegnare alcuni documenti attinenti all’attacco al Campidoglio e di testimoniare davanti al Congresso.
«In risposta – si legge nel documento del Dipartimento di giustizia – l’imputato ha violato l’autorità del Comitato e ha ignorato le richieste del mandato di comparizione». Secondo quanto riportato da Abc News, l’avvocato di Bannon, David Schoen, ha annunciato un ricorso, precisando che «questo è solo il primo round».
I guai legali di Bannon
Il capo di imputazione di oltraggio al Congresso per i fatti del 6 gennaio 2021 non è l’unica grana giudiziaria di Steve Bannon. A settembre, il procuratore distrettuale di Manhattan, a New York, lo ha accusato di riciclaggio di denaro e cospirazione nell’ambito della costruzione del muro al confine tra Stati Uniti e Messico.
Secondo gli inquirenti, Bannon avrebbe usufruito a titolo personale di almeno un milione di dollari, su un totale di 25 milioni raccolti dal gruppo We Build the Wall Inc.
(da agenzie)
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Ottobre 17th, 2022 Riccardo Fucile
LA CONFERMA DEL SUO AVVOCATO… I SERVIZI SEGRETI RUSSI SONO RIUSCITI A FARSELA SCAPPARE SOTTO IL NASO, ERA AGLI ARRESTI DOMICILIARI
La giornalista televisiva moscovita Marina Ovsyannikova – nota per aver protestato, a marzo 2022, dietro la conduttrice di un notiziario della Tv di Stato russa con un cartello contro l’invasione russa dell’Ucraina – ha lasciato la Russia poco dopo aver evaso gli arresti domiciliari, lo scorso 5 ottobre.
A confermare che la dissidente del regime di Putin non si trova più entro i confini della federazione è stato il suo avvocato Dmitry Zakhvatov, aggiungendo che sia Ovsyannikova che la figlia – con lei fuggita – si trovano in Europa.
La fuga dagli arresti domiciliari non era passata inosservata alle autorità russe due settimane fa, senza che però queste riuscissero a stabilire la posizione della donna.
La notizia era rimbalzata in patria e poi confermata da un messaggio sul canale Telegram personale della giornalista nel quale lei si definiva «completamente innocente».
Ovsyannikova, 44enne, era stata posta ai domiciliari ad agosto, in attesa di processo, dopo aver partecipato a una protesta nella capitale russa nella quale mostrava un cartello in cui Putin veniva definito un assassino, mentre i soldati delle Federazione venivano chiamati fascisti.
La detenzione sarebbe dovuta durare fino al 9 ottobre. La donna era stata fermata, quindi, con l’accusa di aver diffuso di notizie false. Come previsto dalla legge bavaglio russa entrata in vigore in otto giorni dopo l’inizio della guerra, Ovsyannikova avrebbe potuto passare in carcere fino a 15 anni.
(da agenzie)
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Ottobre 17th, 2022 Riccardo Fucile
IL REDDITO DI CITTADINANZA NON BASTA: VA SOLO AL 41% DEI POVERI… TRANQUILLI, ORA ARRIVANO I SOVRANISTI A TOGLIERLO AGLI INDIGENTI PER DEVOLVERLO AI RICCHI
In Italia ci sono quasi 2 milioni di famiglie in povertà assoluta, pari a 5.571.000 persone che sono il 9,4% della popolazione residente.
È quanto emerge dal 21esimo Rapporto della Caritas italiana su povertà ed esclusione sociale dal titolo “L’anello debole”. L’incidenza si conferma più alta nel Mezzogiorno (10% dal 9,4% del 2020) mentre scende in misura significativa al Nord, in particolare nel Nord-Ovest.
La povertà assoluta nel 2021 conferma i suoi massimi storici toccati nel 2020, anno di inizio della pandemia di Covid”, si legge chiaramente nel report.
I numeri della povertà in Italia
Il testo del Rapporto prende in esame le statistiche ufficiali sulla povertà e i dati di fonte Caritas, provenienti da quasi 2.800 Centri di Ascolto su tutto il territorio nazionale.
Tra il 2020 e il 2021 la povertà è cresciuta più della media nelle famiglie con almeno 4 persone, con persona di riferimento di età tra 35 e 55 anni. le famiglie degli stranieri e quelle con almeno un reddito da lavoro. I livelli di povertà continuano ad essere inversamente proporzionali all’età: la percentuale di poveri assoluti si attesta infatti al 14,2% fra i minori, ovvero quasi 1,4 milioni di bambini e ragazzi, scende all’11,4% fra i giovani di 18-34 anni e all’11,1% per la classe 35-64 anni, mentre scende al 5,3% per gli over 65. Gli immigrati tornano ad essere la maggioranza degli assistiti dalle Caritas parrocchiali le quali hanno ricevuto quasi l’8% in più di richieste di aiuto nel 2021.
Tantissime le richieste di aiuto per pagare le bollette
Nel 2021 gli interventi della rete Caritas sono stati numerosi e vari. Complessivamente risultano erogati quasi 1 milione 500 mila interventi, una media di 6,5 interventi per ciascun assistito (considerate anche le prestazioni di ascolto).
“Più del 70 per cento delle richieste sono di carattere economico “, afferma il presidente di Caritas italiana, monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli che aggiunge che sono drammaticamente aumentate le richieste di aiuto per far fronte al pagamento delle “bollette”. Più nel dettaglio, ecco i dati sulle risposte delle Caritassul territorio italiano secondo il Rapporto: “Complessivamente risultano erogati nel 2021 quasi 1milione 500mila interventi, una media di 6,5 interventi per ciascun assistito (considerate anche le prestazioni di ascolto). In particolare: il 74,7% ha riguardato l’erogazione di beni e servizi materiali (mense/empori, distribuzione pacchi viveri, buoni ticket, prodotti di igiene personale, docce, ecc.); il 7,5% le attività di ascolto, semplice o con discernimento; il 7,4% gli interventi di accoglienza, a lungo o breve termine; il 4,6% l’erogazione di sussidi economici (per il pagamento di affitti e bollette), il 2,2% il sostegno socio assistenziale e l’1,5% interventi sanitari”.
Reddito di cittadinanza non basta
“La misura di contrasto alla povertà esistente nel nostro Paese, il Reddito di Cittadinanza, è stata finora percepita da 4,7 milioni di persone, ma raggiunge poco meno della metà dei poveri assoluti (44%).
Sarebbe quindi opportuno assicurarsi che fossero raggiunti tutti coloro che versano nelle condizioni peggiori, partendo dai poveri assoluti. Accanto alla componente economica dell’aiuto vanno garantiti adeguati processi di inclusione sociale”, afferma ancora il Rapporto di Caritas italiana, organismo Cei, diffuso in occasione della Giornata internazionale di lotta alla povertà.
“Quasi 6 milioni di persone sono in povertà assoluta. È un rapporto preoccupante che ci deve aiutare a scegliere e a vivere consapevolmente delle settimane e dei mesi difficili, che richiedono e richiederanno tanta solidarietà e delle risposte rapide. La sofferenza non può aspettare e non deve aspettare. Per guardare il futuro dobbiamo capire bene il presente. “Non parliamo di previsioni ma di dati. Il rapporto non può farci continuare come prima”, ha detto il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, per poi aggiungere: “La crisi energetica e gli aumenti dei costi accentueranno i casi di povertà estrema, per questo dobbiamo essere ancora più fermi per trovare una soluzione”.
(da Fanpage)
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Ottobre 17th, 2022 Riccardo Fucile
FOTTENDOSENE DEI PEDONI CHE DOVEVANO FARE LO SLALOM PER PASSARE, HA OCCUPATO IL TRATTO DI STRADA PER ANDARE AL RISTORANTE
È una domenica di sole, una domenica ideale per un pranzo fuori. Deve averlo pensato anche il deputato Antonio Angelucci, rieletto dopo il 25 settembre nelle liste del partito della Lega che è andato a pranzare in un ristorante del quartiere romano di San Lorenzo, la Trattoria Maghetto.
Il posto per lasciare la propria automobile a Roma è difficile da trovare, è vero. Ma basta spostarsi pochi metri più in là, al piazzale del Verano, e parcheggiare sulle strisce bianche, come fanno tutti.
Angelucci, invece, ha posteggiato la propria Ferrari sulle strisce pedonali di via Volsci, all’incrocio di via dei Reti.
Quasi davanti al ristorante, ma soprattutto davanti gli occhi dei fidati bodyguard, che hanno potuto tenere così sott’occhio il bolide per tutto il tempo. Con buona pace di chi doveva attraversare in quel tratto di strada, costretto a fare lo slalom a causa dello spazio occupato dalla Ferrari.
L’automobile rossa fiammante del deputato sembra brillare sopra all’asfalto grigio e alle strisce pedonali gialle del tratto di strada nel quartiere San Lorenzo.
Il deputato Angelucci, che più volte ha fatto sfoggio della sua Ferrari, sia nella sua vita quotidiana che per recarsi a Montecitorio a svolgere il suo lavoro di rappresentate dei cittadini nelle pubbliche istituzioni, anche oggi si è messo alla guida della sua automobile ed ha raggiunto il quartiere di San Lorenzo, lasciando la propria vettura in un luogo proibito.
Secondo il Codice della Strada, come si legge nell’articolo 158 comma 1 lettera g, è vietato sostare o fermarsi sulle strisce pedonali. L’articolo, più precisamente, recita: “La fermata e la sosta (dei veicoli, ndr) sono vietate sui passaggi e attraversamenti pedonali”.
Difficile, però, non fare caso alla Ferrari lasciata in sosta sulle strisce gialle in questa domenica di metà ottobre.
(da Fanpage)
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