Ottobre 27th, 2022 Riccardo Fucile
NON SA NEANCHE CHE LA VALUTAZIONE DEI RISULTATI E’ GIA’ LEGATA ALLE CIFRE INCASSATE E NON ALLE CONTESTAZIONI
La premier durante il discorso programmatico ha sostenuto che serve una modifica degli attuali parametri. Il presupposto da cui parte è falso, come già chiarito otto anni fa nella risposta a un’interrogazione parlamentare di Enrico Zanetti (che infatti l’ha smentita). La convenzione con il ministero dell’Economia prevede, come stabilito dalla legge, che i parametri di attribuzione dei premi siano legati alle entrate effettive da attività di contrasto all’evasione e promozione della compliance
La prima a smentirla, martedì pomeriggio, è stata la deputata dem Marianna Madia. Mercoledì è arrivata anche la precisazione di Enrico Zanetti, ex deputato di Scelta civica e viceministro dell’Economia del governo Renzi, che l’argomento lo conosce bene perché nel 2014 era caduto anche lui nell’errore e l’Agenzia delle Entrate gli aveva riservato una risposta piccata.
Gli addetti ai lavori che gravitano intorno all’amministrazione finanziaria tacciono, ma la frase di Giorgia Meloni sulla necessità di “una modifica dei criteri di valutazione dei risultati dell’Agenzia delle Entrate“ li ha fatti saltare sulla sedia. Perché quello che ha detto la premier durante il discorso programmatico alla Camera, sostenendo che quei criteri vanno “ancorati agli importi effettivamente incassati e non alle semplici contestazioni, come incredibilmente avvenuto finora“, parte da presupposti falsi.
Un attacco al fisco senza fondamento, dunque, che strizza l’occhio a chi considera la lotta all’evasione un intralcio all’attività economica.
Tutto torna visto che il nuovo governo intende esordire con un condono (in linea con il predecessore), innalzare il tetto all’uso del contante e concentrare le azioni di recupero su “evasori totali, grandi imprese e grandi frodi sull’Iva”, quando in Italia il nero è un fenomeno di massa, pervasivo tra i lavoratori autonomi.
“Il tema non è quello di passare dal considerare gli importi delle semplici contestazioni al considerare gli importi dell’effettivo incassato, perché è così già da 20 anni“, ha scritto mercoledì Zanetti su facebook (per poi contestare la mancanza di “discriminazione qualitativa delle attività di controllo”). Come aveva avuto modo di spiegargli l’Agenzia replicando a una sua interrogazione parlamentare, infatti, già la norma del 1997 che ha introdotto i primi incentivi al personale delle Entrate li legava al recupero del gettito evaso – cioè ai soldi davvero entrati nelle casse pubbliche – e non al mero invio di avvisi di accertamento per somme dovute ma con chance di recupero incerte. Una svolta decisa proprio per (cercare di) superare la tendenza a privilegiare gli accertamenti “virtuali”, ricorda un ex altissimo dirigente.
In seguito la relazione tra ministero dell’Economia e Agenzia e di conseguenza anche i parametri di attribuzione dei premi sono stati via via regolati dalle convenzioni triennali previste dal decreto legislativo del 1999, quello che ha istituito le agenzie fiscali.
Ogni convenzione prevede l’erogazione di una quota incentivante all’ente oggi guidato da Ernesto Maria Ruffini al raggiungimento di una serie di obiettivi suddivisi in aree di intervento. La fetta più grossa, in base al decreto del 2015 che ha riformato le norme sull’incentivazione del personale, è correlata al “maggior gettito incassato” grazie a promozione dell’adempimento spontaneo, controlli fiscali e stop a rimborsi e crediti di imposta non dovuti. Maggior gettito reale, dunque.
La convenzione attualmente in vigore, firmata a fine 2021 e valida fino al 2023, cita la famigerata “maggiore imposta accertata” ma solo tra gli “ulteriori elementi informativi” da tenere in considerazione.
La tabella con gli indicatori che contano nella valutazione dei risultati dell’Agenzia relativi al contrasto all’evasione non ne fa cenno: a rilevare sono, appunto, solo le “entrate complessive da attività di contrasto” (l’obiettivo 2022 era di 15,87 miliardi), affiancate da percentuali di successo relative ai casi in cui l’atto viene impugnato e si finisce in commissione tributaria (si punta per esempio a un 69% di sentenze definitive totalmente favorevoli all’Agenzia).
La parte specificamente dedicata al sistema incentivante del personale contiene 37 indicatori: il peso maggiore (28%) spetta a quelli che misurano gli sforzi per favorire la compliance, vale a dire l’adesione più o meno spontanea in seguito all’invio di lettere bonarie, seguiti (con un peso del 16,7%) da quelli che valutano la qualità dei servizi erogati (rimborsi, tempi di lavorazione delle pratiche), mentre solo un 10% viene attribuito al numero di controlli sostanziali, molto diminuiti negli ultimi anni ma indispensabili se si vuol ottenere un minimo effetto deterrenza.
(da agenzie)
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Ottobre 27th, 2022 Riccardo Fucile
IL MINISTRO DEGLI ESTERI UCRAINO HA RISPOSTO RICORDANDO LE POSIZIONI FILO-RUSSE DI ROMEO: “IN PRECEDENZA HA PRESENTATO AL PARLAMENTO UNA RICHIESTA DI RICONOSCIMENTO DELLA CRIMEA RUSSA. CERTI POLITICI VOGLIONO PIACERE A PUTIN”
Kiev risponde al leghista Massimiliano Romeo e lo accusa di fare il gioco di Putin.
Durante le dichiarazioni di voto sulla fiducia al governo Meloni di ieri, il senatore ha affermato, a proposito della guerra in Ucraina: “Si fa fatica a sentire ‘decideranno gli ucraini’. È la comunità internazionale che deve decidere per loro”.
Un passaggio che ha fatto rumore e che non è piaciuto affatto ai ministri di Volodymyr Zelensky, attentissimi in questa fase alle prime mosse della premier Giorgia Meloni e dei suoi alleati.
La replica è stata affidata a Oleg Nikolenko, portavoce del ministro degli Esteri ucraino Dymitro Kuleba. “In precedenza questo senatore ha presentato al Parlamento una richiesta di riconoscimento della Crimea russa”, dice Nikolenko. “Quasi tutti i Paesi troveranno politici che cercheranno di piacere a Putin. Allo stesso tempo, dovrebbero rendersi conto che diffondendo narrazioni russe stanno incoraggiando la Russia a continuare i crimini contro l’Ucraina”
(da La Repubblica)
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Ottobre 27th, 2022 Riccardo Fucile
DRAGHI SI ERA RACCOMANDATO: “INNALZARE ANCORA IL TETTO DEL CONTANTE INCENTIVEREBBE L’EVASIONE E IL RICICLAGGIO”
Carlo Nordio, ministro della Giustizia, da magistrato ha combattuto per tantissimi anni la criminalità. Sa cosa sono i reati di evasione fiscale e di riciclaggio. E, dunque, cosa pensa della proposta di Matteo Salvini di alzare il contante a 10 mila euro?
Il ministro non ha voglia di rispondere. Allunga il passo verso la buvette del Senato: «L’unica risposta che darò è allo spritz che prenderò tra poco».
C’è imbarazzo dentro Fratelli d’Italia. Poca voglia di parlare, di commentare l’ultima trovata solitaria – e non concordata con gli alleati – del leader leghista.
Eppure, Meloni in qualche modo ha avvallato e legittimato in Aula il disegno di legge già depositato dalla Lega, sostenendo che non esiste alcuna correlazione tra l’intensità al limite del contante e la diffusione dell’economia sommersa. In realtà tra i dirigenti e i ministri di FdI emerge un atteggiamento contraddittorio, dettato molto probabilmente dalla necessità di non farsi vedere spiazzati dal blitz di Salvini.
Giovambattista Fazzolari, regista del programma, e probabile prossimo sottosegretario a Palazzo Chigi, conferma che l’aumento del tetto sarà già nella prima legge di Bilancio. Il punto, però, è di quanto aumenterà
Ormai Mario Draghi è solo spettatore dei tormenti politici della nuova legislatura. Ma ricorda molto bene il precedente di Salvini, quando con Forza Italia la Lega, a inizio 2022, impose per via parlamentare l’aumento da mille a duemila euro, in sede di esame delle modifiche all’ultimo decreto milleproroghe, mentre il governo Draghi aveva espresso parere contrario.
In tante occasioni, Draghi ha avuto modo di far sapere cosa pensa della proposta della destra di aumentare il tetto. Lo ha detto ai partiti che componevano la sua maggioranza e lo ha suggerito a Meloni e all’attuale ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, draghiano di ferro ma vincolato alla fede leghista: «Innalzarlo ancora incentiverebbe l’evasione e il riciclaggio».
La correlazione è stata analizzata in un recente paper di Bankitalia, di fine 2021, intitolato “Pecunia olet. L’uso del contante e l’economia sommersa”. Non c’è alcun dubbio, secondo Draghi, che i due fenomeni siano legati. Tanto più se si arrivasse a cinque volte il tetto attuale. L’ex banchiere non è più a Palazzo Chigi. Ma di sicuro Giorgetti ricorda bene quei suggerimenti.
(da agenzie)
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Ottobre 27th, 2022 Riccardo Fucile
UNA CONCENTRAZIONE DI DELEGHE INUSUALE NELLE SUE MANI (EX DC, EX CDU. EX FORZA ITALIA, EX CONSERVATORI RIFORMISTI, EX NOI CON L’ITALIA, ORA FDI)
L’ordito riguarda la ripartizione degli uffici, ma la trama è politica. L’ordito è fatto di una distribuzione di deleghe che accentra a Palazzo Chigi, legittimamente nelle mani di poche persone vicine alla premier, gran parte della gestione e della vigilanza sull’esecuzione del Piano di ripresa e resilienza. Ma queste persone, a partire dal ministro per le Politiche europee Raffaele Fitto, dovranno compiere alcune scelte politiche di peso e accettarne le conseguenze.
La più importante, probabilmente già entro febbraio, riguarda i cosiddetti «poteri sostitutivi». Dato il ritmo del piano, all’inizio del 2023 andranno individuati gli enti inadempienti nell’attuazione dei progetti, magari perché non hanno bandito le gare. Questi andranno di fatto commissariati sul Pnrr, con il governo che si sostituisce alla politica locale nel progettare, bandire, assegnare e far eseguire.
Un governo profondamente politico come quello di Giorgia Meloni avrà molti occhi addosso su queste scelte, anche da Bruxelles, per capire se le amministrazioni di centrodestra e centrosinistra sono trattate con lo stesso metro.
Di certo la concentrazione di deleghe nelle mani di Fitto è inusuale. Non solo avrà le politiche europee (che sotto Mario Draghi erano del sottosegretario Enzo Amendola), ma anche il coordinamento del Pnrr (che con Draghi erano del suo sottosegretario Garofoli) e la gestione dei fondi europei di coesione (che con Draghi erano della ministra per il Sud Mara Carfagna).
Di sicuro sarà tutto da regolare e potenzialmente fragile il rapporto fra Fitto di Fratelli d’Italia, con la sua accumulazione di veri uffici in uno a Palazzo Chigi, e il ministero dell’Economia guidato dal leghista Giancarlo Giorgetti.
Qui si trova la struttura che finora è stata il perno e il braccio operativo del piano: il Servizio centrale per il Pnrr presso la Ragioneria dello Stato, guidata da Carmine Di Nuzzo.
Fitto, da parte sua, si è attrezzato circondandosi di funzionari già rodati sul Pnrr: Mario Capolupo come capo del legislativo (aveva lo stesso ruolo al ministero delle Infrastrutture sotto Draghi) e Gilda Siniscalchi come capogabinetto (era capo degli Affari regionali).
Che Meloni abbia scelto l’accentramento in mano a pochi suoi fedelissimi si nota anche dal passaggio delle deleghe al digitale del Pnrr (progetti da 49,8 miliardi) che con Draghi furono di Vittorio Colao. Spetteranno al responsabile per tecnologia e telecomunicazioni di Fratelli d’Italia Alessio Butti, nominato sottosegretario a Palazzo Chigi.
Un crocevia delicato diventerà poi quello presidiato da Matteo Salvini al ministero delle Infrastrutture, con progetti per 61 miliardi. A causa dell’inflazione, il ministero ha già chiesto da settimane altri 10 miliardi per poter adeguare ai prezzi correnti. Ma quei fondi non sono già stimati del deficit atteso. A Giorgetti il compito di trovarli. O di dover rintuzzare il suo stesso leader di partito.
(da Il Corriere della Sera)
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Ottobre 27th, 2022 Riccardo Fucile
POSIZIONI FILO-RUSSE, NO VAX E ANTI-NATO: COSI’ I “CATTIVI” LEGITTIMANO “I BUONI” E IL GIOCO E’ FATTO (BASTA AVERE BUONA MEMORIA STORICA)
Il partito di estrema destra Forza Nuova si sta riorganizzando. E lo fa un anno dopo l’assalto alla sede della Cgil a Roma, avvenuto il 9 ottobre 2021. I suoi dirigenti nazionali si sono riuniti pochi giorni fa per rilanciare il nuovo sito internet e i suoi account social.
Sul web, accanto al logo c’è il motto «Dio, Patria e Famiglia», mentre sullo sfondo il volto di Roberto Fiore, membro storico del gruppo e tornato in libertà dopo i fatti del 9 ottobre 2021,
Chi manca, però, è Giuliano Castellino, nei confronti del quale la Cassazione – il 14 ottobre scorso – aveva confermato il regime di sorveglianza speciale, respingendo il ricorso della difesa del forzanovista contro il decreto emesso dalla Corte di Appello di Roma del 17 giugno 2021.
Al suo posto è stato scelto come vicesegretario Luca Castellini ultras dell’Hellas Verona, anche lui coinvolto nella devastazione della Cgil.
FN si è riunita a Terni «contro il deep state» per il primo evento dalla sua “rinascita”.
I temi sono sempre gli stessi: appoggio alla Russia e ai no-vax e opposizione al diritto all’aborto. Nel mirino del gruppo neofascista, però, è finita di recente anche la nuova presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, definita dai forzanovisti «incoerente» per le posizioni pro-Nato espresse sia al Governo, ma anche in campagna elettorale.
(da agenzie)
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Ottobre 27th, 2022 Riccardo Fucile
PIANTEDOSI DICE CHE BISOGNA EVITARE TENSIONI SOCIALI NEL PAESE? LO DICA A SE STESSO… LE RESPONSABILITA’ DEL RETTORATO CHE NON HA GARANTITO IL CONTRADDITTORIO CHE E’ LA PRASSI DELL’ATENEO
“Le nostre richieste sono chiare: vogliamo le dimissioni immediate della rettrice Polimeni e la garanzia che non verranno mai più fatte entrare le forze dell’ordine nell’ateneo. Richieste semplici, atte a ristabilire livelli minimi di democrazia e vivibilità nell’università, prendendo atto che le massime istituzioni interne alla Sapienza non sono state in grado di garantire la sicurezza degli studenti”.
“Fuori le guardie dall’Università” è il coro scandito dagli studenti all’assemblea convocata nel cortile della Facoltà di Scienze Politiche, durante la quale sono state anche invocate le dimissioni della rettrice Polimeni.
I ragazzi hanno letto un comunicato su quanto accaduto in occasione della protesta contro l’incontro organizzato da Azione universitaria, che aveva invitato a parlare il neo deputato Fabio Roscani e Daniele Capezzone: la piazza è stata convocata – dicono gli studenti – perché “nell’ateneo che esige controparti nelle iniziative”, in questa occasione “l’imparzialità” non è stato “un valore”.
“Ci teniamo a dire – ha aggiunto la studentessa che ha letto la ricostruzione – che le nostre aule non devono essere utilizzate per passerelle politiche”.
Dopo le tensioni con le forze dell’ordine in occasione della protesta contro il convegno promosso dai movimenti di destra, gli studenti hanno organizzato un’assemblea pubblica, ed è massiccia la partecipazione, con centinaia di persone che affollano il cortile della facoltà. Su un altro striscione, calato da una scala si legge: “Vostro il governo. Nostra la rabbia”.
Con il microfono sono stati invitati gli agenti della Digos ad allontanarsi.
(da agenzie)
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Ottobre 27th, 2022 Riccardo Fucile
“ANDATE VIA O VI SPARIAMO CON I MISSILI”… LA REPLICA: “QUESTE NON SONO ACQUE INTERNAZIONALI LIBICHE, E’ AREA DI RICERCA E SOCCORSO EUROPEA”
La cosiddetta Guardia costiera libica avrebbe minacciato di colpire con dei missili terra-aria l’aereo di ricognizione Seabird, legato alla Ong Sea Watch, che fornisce soccorso marittimo nel Mediterraneo. L’organizzazione lo denuncia con un video, pubblicato sui social, in cui si sente anche lo scambio tra l’aereo e la motovedetta libica, avvenuto via radio.
“Uscite dal territorio libico, altrimenti vi spareremo con missili terra-aria”, dice in inglese un uomo a bordo della nave.
La risposta del Seabird è: “Sappiate che vi trovate all’interno dell’area di ricerca e soccorso europea. Vi trovate all’interno dell’area di ricerca e soccorso europea. Queste non sono acque territoriali libiche, ripeto, queste non sono acque territoriali libiche. Passo”.
La risposta è nuovamente “andatevene, altrimenti vi spariamo”.
Nella versione integrale della conversazione via radio, durata poco più di 2 minuti, la nave della Libia ignora Seabird per circa 30 secondi prima di chiedergli di uscire dal “territorio libico”.
La minaccia di sparare, poi avviene tre volte, seguita dal silenzio radio. L’aereo ha poi continuato a circolare attorno alla nave, senza che gli venissero rivolti degli spari.
(da Fanpage)
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Ottobre 27th, 2022 Riccardo Fucile
LA VITA DI UNA OPERAIA VALE DUE ANNI DI CARCERE (CHE NESSUNO FARA’) E UNA MULTA DI 10.000 EURO
Un pubblico ministero accetta la proposta degli imputati e il giudice ratifica: la vita di Luana D’Orazio, l’operaia ventenne uccisa da una macchina in una fabbrica di Prato, vale due anni di carcere e 10 mila euro di multa.
Questo è il prezzo pagato dai titolari della fabbrica per non aver rispettato le norme antinfortunistiche creando le premesse perché un orditoio si mangiasse il sorriso di Luana.
Un paese civile non giudica le sentenze sulla base dell’indignazione che producono. La giustizia non è una pubblica ordalia. Lo abbiamo creduto per troppo tempo consegnando le chiavi del potere al partito delle manette, con i risultati che hanno visto tutti.
Dunque la sentenza di Prato non è ingiusta perché indigna. E’ ingiusta perché è ingiusta.
Un sistema giudiziario non può prevedere pene da reato bagatellare per chi causa la morte di un dipendente ignorando le norme di sicurezza. Perché la sicurezza costa, certo, ma la vita vale molto di più di quel prezzo.
Nella storia di Luana ci sono imprenditori senza scrupoli ma anche partiti e organizzazioni imprenditoriali che si sono opposte alla creazione di una procura nazionale sugli infortuni sul lavoro, come aveva invano proposto il pm Raffaele Guariniello.
Che hanno contrastato l’inasprimento delle pene per chi viola le norme sulla sicurezza. E ci sono magistrati che si sono sottratti alla loro responsabilità di cittadini accettando un patteggiamento che grida vendetta e che senza il loro assenso non sarebbe mai diventato sentenza. Con il risultato che da oggi tutti sanno quanto poco vale la vita di un’operaia morta sul lavoro. Quanto poco costa spegnere quel sorriso.
Se la pena deve essere un deterrente, la pena di Prato rischia di diventare, al contrario, un avallo.
(da Fanpage)
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Ottobre 27th, 2022 Riccardo Fucile
IL COMMENTO AMARO DELLA MADRE DI LUANA…LA PERIZIA STABILI’ CHE ERA STATA TOLTA DAI TITOLARI LA BARRIERA ANTINFORTUNI
La tragica fine di Luana D’Orazio, l’operaia 22enne stritolata dall’orditoio a cui lavorava all’interno di un’azienda tessile di Prato, potrebbe risolversi giudizialmente con un patteggiamento a due anni per i principali imputati della vicenda: i coniugi Luana Coppini e Daniele Faggi, rispettivamente titolari di diritto e di fatto dell’azienda in cui è avvenuto l’incidente mortale.
Questa mattina procura di Prato ha accolto infatti la richiesta avanzata dalle parti di accesso al procedimento penale speciale. Per cui ora si attende solo il «placet» del gup Francesca Scarlatti, che — salvo sorprese (ovvero, salva la possibilità di mandare le parti comunque a processo) — dovrebbe «ratificare» l’entità della pena accordata questo pomeriggio alle 15. Una decisione che non mancherà di sollevare polemiche. Laconico il primo commento della madre di Luana, Emma Marrazzo: «Il pm non ha figli».
Luana morì il 3 maggio 2021, impigliata nel macchinario che stava utilizzando, il quale — come sostiene la perizia del consulente della procura — in quel momento aveva le barriere antinfortunistica disattivate.
Una vicenda che sconvolse l’intero Paese, anche in ragione dell’età dell’operaia coinvolta nell’ennesimo incidente sul lavoro e del fatto che fosse madre di un bambino piccolo.
(da agenzie)
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