Ottobre 11th, 2022 Riccardo Fucile
BERLUSCONI NON MOLLA SU GIUSTIZIA, ESTERI E UN MINISTERO PER LA RONZULLI… LA RUSSA O CALDEROLI: CHI LA SPUNTERA’ PER LA PRESIDENZA DEL SENATO?
Il centrodestra continua a lavorare alla squadra di Governo, mentre le nubi continuano ad addensarsi all’orizzonte con il Fondo monetario internazionale che, per il 2023, taglia le sue previsioni per l’Italia di 0,9 punti percentuali.
Silvio Berlusconi arriva a Roma e si trasferisce subito a Villa Grande in attesa di tornare al Senato giovedì, dopo 9 anni di assenza: nel 2013 decadde dal mandato di parlamentare dopo la condanna in via definitiva per frode fiscale.
E subito si parla di un vertice di maggioranza visto che anche Matteo Salvini e Giorgia Meloni sono al lavoro nella Capitale.
Ma nel pomeriggio il Cavaliere riceve solo Salvini e il colloquio dura poco più di mezz’ora. Venerdì scorso la leader di FdI aveva annunciato un nuovo vertice di coalizione da tenersi fra oggi e domani, alla vigilia dell’insediamento del nuovo Parlamento.
Nell’attesa, impazza il gioco del ‘toto-ministri’.
In queste ore prende sempre più corpo l’ipotesi di Giancarlo Giorgetti, al Ministero dell’Economia. Il diretto interessato, interrogato sul punto, scoppia in una sonora risata. E divertito è anche il commento di Ignazio La Russa, che in molti nel centrodestra vedrebbero già seduto sullo scranno più alto di Palazzo Madama: “Giorgetti potrebbe fare anche il generale delle Forze armate – assicura – lui potrebbe fare tutto, è un mio amico”.
In realtà per la presidenza del Senato si fa anche il nome di Roberto Calderoli il leghista già vicepresidente della Camera alta e tra i ‘padri’ del nuovo Regolamento interno. “Io sono pronto a fare tutto – ammette – ma la scelta dipende dai leader”.
In mattinata diventa notizia la riunione in via della Scrofa tra i vertici di FdI, Calderoli, Maurizio Lupi, Lorenzo Cesa e Antonio De Poli dell’Udc. Un incontro al quale avrebbe preso parte anche Licia Ronzulli e Alberto Barachini per FI. Sul tavolo la composizione del Governo e i nuovi equilibri politici che si dovranno creare al Senato.
Altri, come Antonio Tajani, che i rumors vedono sempre in pole per la Farnesina, non scoprono le carte limitandosi a dire che i nomi li sceglierà Berlusconi. Anche se poi in ambienti parlamentari della maggioranza si apprende che pur di avere Ronzulli nell’Esecutivo, il Cav sarebbe anche pronto a “sacrificare” un ministero di peso come gli esteri.
(da agenzie)
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Ottobre 11th, 2022 Riccardo Fucile
RISCHIA DI FARSI BOCCIARE MOLINARI ALLA CAMERA (A PROCESSO PER FALSO), SI È INIMICATO GIORGETTI E CALDEROLI. E’ IL VON CLAUSEWITZ ALLA NUTELLA… IN POCHI ANNI HA SFASCIATO DUE GOVERNI, CANNATO L’ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, INGIGANTITO LA SUA ALLEATA
Il generale Cadorna, quello di Caporetto, era un fenomeno rispetto a lui. Questa è la strategia di Matteo Salvini. Per frenare l’elezione di Giancarlo Giorgetti a presidente della Camera (Pd e Calenda sono pronti a votarlo) rischia di vederselo promosso ministro dell’Economia (FdI: “Sarebbe un ministro di spessore”).
Per accontentare Riccardo Molinari, a cui Salvini ha promesso la guida di Montecitorio, scontenterà per sempre Roberto Calderoli che sogna di guidare il Senato.
Qualora Salvini insistesse su Molinari potrebbero esserci franchi tiratori a favore di Giorgetti. Dovesse invece fare eleggere Molinari o Calderoli, Giorgetti lo ricorderà. Se Salvini fosse capo delle Forze armate ci farebbe invadere dall’Azerbaigian.
Cosa produce l’invidia? La sconfitta. Roberto Calderoli a cui è rimasto solo un’ambizione, diventare presidente del Senato, non si capacita ancora del perché Salvini abbia preferito la Camera per Molinari. La verità è che tutto quello che tocca Salvini diventa adesso bronzo: danneggia chi vuole aiutare e aiuta chi vuole punire.
Salvini si tiene i brocchi e gli alleati fanno campagna acquisti. Sapendo che Salvini non acconsentirà mai e che piuttosto che vedere Giorgetti al Mef sarebbe pronto a incatenarsi.
Solo Salvini poteva compiere questo miracolo, fare sembrare Giorgetti una specie di Luigi Einaudi. Se Giorgetti rimanesse invece parlamentare semplice farà quello che gli riesce meglio: l’editorialista che spiega a Salvini cosa dovrebbe fare Salvini, uno che questa volta loderemo.
E’ il Von Clausewitz alla Nutella. In pochi anni ha sfasciato due governi, cannato l’elezione del presidente della Repubblica, ingigantito la sua alleata, elevato il suo numero due.
(da il Foglio)
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Ottobre 11th, 2022 Riccardo Fucile
LA RUSSIA STA PERDENDO, E ALL’IDEA DI TERRORIZZARE GLI UCRAINI CON LE BOMBE CREDE ORMAI SOLTANTO PUTIN
Vladimir Putin lancia i missili non soltanto sulle città ucraine, ma anche sui suoi stessi falchi: per la prima volta nel mese trascorso dopo la fuga dell’esercito russo da Kharkiv, nei talk show, nelle chat di Telegram e nei corridoi della Duma si torna ad applaudire il comandante supremo.
«Sono finalmente soddisfatto al cento per cento dell’operazione militare speciale», scrive ai suoi tre milioni di seguaci Ramzan Kadyrov, il leader ceceno che aveva minacciato nei giorni scorsi di «spiegare alla leadership russa la verità» scavalcando i vertici militari.
La capa della tv di propaganda RT Margarita Simonyan gongola sulla «nostra piccola risposta», e il suo sottoposto Anton Krasovsky balla con un sorriso di gioia sul suo balcone, vestito con un pigiama dell’esercito russo e un cappellino con la Z simbolo dei sostenitori dell’invasione russa.
Il ministero della Difesa russo fa rapporto sulla «missione compiuta, con tutti i bersagli colpiti», e stavolta le televisioni russe non nascondono nulla, non fingono di colpire «esclusivamente obiettivi militari» e mostrano trionfanti i bombardamenti, e i civili ucraini colpiti.
L’esultanza della parte della nomenclatura e dell’opinione pubblica più assetata di sangue riappacifica il Cremlino con i suoi sostenitori, e incorona subito Sergey Surovikin, «il generale Armageddon» della guerra in Siria, come il nuovo eroe, nel suo esordio nella nuova carica di comandante di tutta la “operazione militare speciale”.
Dopo 48 ore di atterrito silenzio seguite all’attacco al ponte della Crimea, la Russia vuole mostrare di aver riconquistato l’iniziativa, anche se lo spionaggio di Kiev sostiene che in realtà i missili lanciati ieri mattina sono stati puntati già una settimana fa. Cioè proprio quando le fazioni più radicali del Cremlino invocavano un attacco ai “centri decisionali” ucraini, alle infrastrutture energetiche, alle dighe e ai ponti (Kadyrov chiedeva anche di sganciare una piccola bomba atomica).
Le centrali e le linee elettriche in realtà erano stati colpiti dai missili russi già dopo la ritirata da Kharkiv, ma un attacco massiccio come quello di ieri segna, secondo molti osservatori, una nuova fase della guerra, della quale la bomba sul ponte della Crimea è solamente il simbolo più visibile. La «paura della sconfitta è tale – scrive la politologa Tatyana Stanovaya – da far apparire perfino Putin come troppo indeciso».
Ora, il partito della guerra ha prevalso, e questo «peggiora la situazione, perché non si può più tornare indietro».
I falchi incalzano: il web si riempie di russi (e non tutti sono troll) che commentano le foto delle vittime ucraine dei bombardamenti con frasi come «che bella giornata, fatelo più spesso», e si lamentano che non sono stati colpiti gli uffici di Zelensky, mentre il giornalista Aleksandr Kots – uno dei più influenti “corrispondenti di guerra” legati all’esercito – esprime pubblicamente il timore che la pioggia di missili rimanga una rappresaglia isolata, invece di diventare quotidiana.
I bombardamenti a tappeto in Siria hanno reso celebre il generale Surovikin, ma le aspettative più feroci dei putiniani come il vicepresidente della Duma Pyotr Tolstoy – che chiede di bombardare fino a «ridurre l’Ucraina al XVIII secolo» – potrebbero rimanere deluse.
Innanzitutto, ricorda l’esperto militare russo Yuri Fyodorov, la Russia non possiede scorte infinite di missili Iskander e Kalibr, e bombardamenti come quello di lunedì – costato a Mosca, secondo le stime degli esperti, circa mezzo miliardo di dollari – per fortuna non possono venire ripetuti frequentemente.
L’iniziativa al fronte resta invece in mano agli ucraini, e l’arrivo dei primi neomobilitati russi non sembra poter fermare la controffensiva di Kiev. Il ricorso ai missili per fare terra bruciata aveva spinto già nelle settimane scorse Zelensky a chiedere agli alleati occidentali sistemi di difesa antiaerea, e a novembre dovrebbero arrivare gli Iris tedeschi a difendere la capitale ucraina dai droni.
La Russia sta perdendo, e all’idea di terrorizzare gli ucraini con le bombe nelle retrovie per costringerli a invocare una tregua nonostante i successi sul terreno «crede ormai soltanto Putin», afferma Stanovaya.
Eventuali nuove rappresaglie, come quella promessa dal direttore dell’Istituto del Medio Oriente Evgeny Satanovsky, di colpire «i centri decisionali non solo di Kiev, ma anche di Londra e Washington», non farebbero che alzare il livello di scontro e chiudere la prospettiva di qualunque negoziato, nel quale a Mosca si continua a sperare, alla vigilia dell’incontro di Putin con Recep Tayyip Erdogan nel Kazakhstan.
(da La Stampa)
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Ottobre 11th, 2022 Riccardo Fucile
QUANDO I CAPORALI SONO ITALIANI HA FORSE DEDICATO POST INDIGNATI?
Oggi, 11 ottobre, la Guardia di Finanza di Pavia ha arrestato tre amministratori di aziende calzaturiere della Lomellina. L’accusa è di sfruttamento di manodopera e di intermediazione illecita.
Si tratta di tre opifici che avrebbero costretto i dipendenti a lavorare dalle 10 alle 15 ore al giorno, senza pause e giorni di riposo. Ci sarebbero anche delle immagini raccolte dagli inquirenti che riprendono i lavoratori vivere, in condizioni igieniche precarie, negli stessi locali dove lavoravano. La notizia, pubblicata da Il Giorno, è stata ricondivisa da Giorgia Meloni.
La leader di Fratelli d’Italia, nel commentarla, ha ringraziato «la Guardia di Finanza di Pavia per aver chiuso tre opifici e per aver posto in stato di arresto i “caporali” di origine cinese accusati di sfruttare i lavoratori, loro connazionali».
La presidente del Consiglio in pectore, poi, assicura: «Tolleranza zero verso chi pensa che in Italia gli esseri umani possano essere trattati come schiavi, tolleranza zero per chi non rispetta le regole e fa concorrenza sleale».
(da agenzie)
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Ottobre 11th, 2022 Riccardo Fucile
CHE COERENZA, PER CONSERVARE LA POLTRONA RINNEGA PURE IL TATUAGGIO… UN ALTRO ESEMPIO DA AVANSPETTACOLO
«Il segretario si è scusato e lo cancellerà», così il presidente del gruppo della Lega in Regione Emilia-Romagna, Matteo Rancan, ha riferito in merito al caso del tatuaggio del neo segretario leghista di Bologna, Cristiano Di Martino, a margine di una conferenza stampa.
L’annuncio arriva a seguito delle polemiche nate per la presenza sul braccio destro del segretario di un “dente di lupo”, uno dei simboli runici utilizzati dalle Ss tedesche e vietato ora in Germania.
Il tatuaggio è sovrastato anche da un pugno che regge un martello, simbolo di Terza Posizione, il movimento neofascista attivo in Italia tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli ’80. Di Martino si era difeso dicendo che era un tatuaggio che aveva fatto solo perché era «affascinato fin da ragazzino dalla mitologia nordica». Ma la bufera nata in seguito non ha lasciato indifferente il partito guidato da Matteo Salvini.
(da agenzie)
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Ottobre 11th, 2022 Riccardo Fucile
IL CAPITONE BOLLITO VEDE COME UNA PROVOCAZIONE PROPORRE IL MINISTERO A UN SUO AVVERSARIO INTERNO
La formazione del nuovo Governo di Centrodestra continua a dare non pochi grattacapi a FdI, Lega e FI. Trovare la quadra sui nomi dei ministri e delle rispettive poltrone è un’operazione complessa e delicata: il percorso verso un accordo che faccia contenti tutti è insidiato da rifiuti, condizioni non ignorabili e veti.
Anche le proposte apparentemente più vantaggiose per un partito finiscono per essere messe in discussione dallo stesso quando ne vanno a stravolgere gli equilibri interni.
Fatto, questo, che è apparso piuttosto evidente in relazione a un Ministero strategico come quello dell’Economia che, dopo il “no” di Fabio Panetta, Domenico Siniscalco e Dario Scannapieco, continua ad essere l’incubo di Giorgia Meloni.
Già, perché la leader di FdI avrebbe ora proposto per il Tesoro il vicesegretario leghista Giancarlo Giorgetti, attuale ministro dello Sviluppo economico. Un nome che avrebbe fatto storcere il naso, incredibile ma vero, proprio al segretario del Carroccio Matteo Salvini, che avrebbe visto messa in discussione con questa proposta la sua leadership all’interno del partito (già precaria dopo i risultati deludenti delle elezioni).
Insomma: un esponente dell’ala “governista” della Lega come Giorgetti all’Economia potrebbe essere scomodo per Salvini stesso.
Scrive Repubblica: “Salvini non ha voglia di garantire una postazione così importante a un suo rivale interno. La vive come una provocazione. A meno che la prossima presidente non gli assicuri il ruolo di vicepremier, assieme a una delega minore come Agricoltura o Infrastrutture”.
In ogni caso, sulle voci che lo vedono come futuro volto del Mef, il leghista Giancarlo Giorgetti si è espresso oggi all’ingresso del Parlamento, dove si è recato per registrarsi come deputato della XIX legislatura (è la settima volta che viene eletto a Montecitorio).
Ai giornalisti che gli hanno domandato se sarà proprio lui il prossimo ministro dell’Economia, Giorgetti ha risposto con una fragorosa (ed eloquentissima) risata.
In verità, tutto è ancora avvolto in una nebbia di dubbi, mentre tra due giorni inizieranno le votazioni per le presidenze delle Camere. Molti, oggi, sono pronti a scommettere che Giancarlo Giorgetti sia il candidato numero uno proprio per lo “scettro” di Montecitorio. Con il Mef che, quindi, rimarrebbe ancora in bilico.
(da agenzie)
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Ottobre 11th, 2022 Riccardo Fucile
M5S ORMAI A UN PUNTO DAL PD, CALATI LEGA E FORZA ITALIA, CRESCONO AZIONE, VERDI E + PIU’ EUROPA
A oltre due settimane dal voto del 25 settembre, che ha consegnato il Paese al centrodestra – anche se l’ormai annunciato governo Meloni si deve ancora formare, così come il nuovo Parlamento si deve ancora riunire per la prima volta – i sondaggi politici tornano a far discutere e a delineare i trend per i partiti.
C’è chi è uscito con le ossa rotte dalle elezioni e chi vincitore, sia all’interno delle coalizioni stesse che in generale. I trend, alla fine, si sono sostanzialmente confermati anche nelle settimane successive. Il Movimento 5 Stelle, ad esempio, punta a superare il Pd in pochissime settimane.
Se guardiamo il sondaggio di Swg per il Tg La7, scopriamo che Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, in meno di venti giorni, ha raggiunto il 27,5%. Alle elezioni, per capirci, ha preso il 26%. Un punto e mezzo in due settimane.
Il Partito Democratico del dimissionario Enrico Letta, intanto, è in pieno caos. E questo si riflette nei sondaggi: secondo Swg vale il 17,5%, contro il 19% delle elezioni di settembre.
Discorso completamente opposto, invece, per il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, che continua a volare e punta a sorpassare a stretto giro i dem: è al 17%, contro il 15,6% del voto.
Anche per la Lega di Matteo Salvini continuano le brutte notizie: è passata dall’8,9% delle elezioni all’8,3% del sondaggio. Il Terzo polo di Azione e Italia Viva, intanto, continua a stabilizzarsi su quel livello lì: è all’8%, mentre ai seggi ha preso il 7,7%. Male anche Forza Italia di Silvio Berlusconi, che rispetto all’8,3% del voto è scesa al 7,4%.
Verdi e Sinistra è al 3,8%, poco oltre il 3,5% del voto. Per +Europa, invece, il sondaggio rivela una piccola beffa: alle elezioni si è fermato al 2,9% – sotto lo sbarramento – mentre ora avrebbe il 3,1%.
Cresce anche Italexit di Paragone, dall’1,9% raccolto ai seggi al 2,4% nelle intenzioni di voto. Chiude Noi Moderati all’1,0%.
(da Fanpage)
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Ottobre 11th, 2022 Riccardo Fucile
IL DISSIDENTE RUSSO LEV SCHLOSBERG: “NEL 2012, QUANDO FINÌ LA STAFFETTA CON MEDVEDEV E TORNÒ AL CREMLINO, RIMASE SORPRESO DALLE CONTESTAZIONI PER QUELLA DECISIONE”
«Non accetta la realtà. Questo è il pericolo più grande che stiamo correndo, tutti noi». A che punto è la notte. Dopo l’attentato al ponte di Crimea e il bombardamento a tappeto dell’Ucraina di ieri mattina, se lo chiedono tutti. Anche Lev Shlosberg, due volte deputato, ex grande promessa di Jabloko, il partito di ispirazione liberale che sognava di diventare una alternativa democratica all’attuale potere.
Negli ultimi anni è diventato famoso per la sua attività da dissidente. Dallo scorso aprile, lui e sua moglie sono sotto inchiesta per aver screditato l’esercito. È uno dei pochi politici «contro» a non avere lasciato la Russia. «Più si va avanti, meno razionalità si vede nelle mosse di Putin. La sua rabbia, così evidente nel discorso che celebrava l’annessione dei territori ucraini, sta diventando sempre più aggressiva, rumorosa. Ma anche impotente, a mio avviso».
Una rabbia dovuta solo all’andamento dell’operazione militare speciale?
«C’è qualcosa di più profondo. Il presidente è una persona del passato, consapevole di essere tale, a suo agio in questa dimensione. Un uomo profondamente sovietico, un nostalgico dell’imperialismo che vuole riscrivere la storia del ventesimo secolo nella parte in cui la ritiene ingiusta. E se le cose non vanno come desidera, se addirittura sente di essere oggetto di critiche in patria, fatica a farsene una ragione».
È sempre stato così?
«Il cambiamento irreversibile nella sua coscienza è avvenuto nel momento in cui lui ha preso la decisione di rimanere al potere per sempre. Nel 2012, quando finì la staffetta con Dmitry Medvedev e tornò al Cremlino, rimase sorpreso dall’ondata di contestazioni per quella decisione. Da quel momento, la sua prassi politica è cambiata, e ha preso una direzione più radicale. In Russia e all’estero».
Quindi Putin sta improvvisando?
«Al contrario. Nonostante tutto, agisce sempre in modo sistematico. Con il suo metodo. Capisce cosa deve essere distrutto e cosa mantenuto in vita per la sua convenienza, sia in politica interna che estera. Ha la virtù del cinismo. È convinto che in politica non esista un dialogo franco, e tutto abbia un prezzo. Di qualunque genere».
In Russia sta cambiando la percezione dell’operazione militare speciale?
«La propaganda televisiva segue una agenda precisa dettata dallo Stato, che assegna i temi e i compiti da svolgere. Ma è vero che negli ultimi mesi il suo effetto si sta indebolendo. Sei mesi fa, i talk show promettevano un’operazione rapida, indolore e trionfale. Ora la gente comincia a dubitare, a informarsi su Telegram, che è ormai diventato un media alternativo, con tutti i suoi limiti».
La fuga di massa cambierà qualcosa?
«Oggi è l’evento pubblico senz’ altro più importante. Sta cominciando a passare il concetto che l’operazione militare speciale riguarda le vite di tutti noi. Ma l’addio al Paese di così tante persone non preoccupa le autorità. Per loro, è al massimo uno sgradevole danno di immagine. Purtroppo, l’emigrazione esterna e l’opposizione interna sono due cose ben diverse tra loro».
Non era facile prevedere cosa sarebbe successo con la mobilitazione?
«Certo. Ma Putin ha smesso di comprendere lo stato della sua società, che comunque lo venera ancora in gran parte, lo idolatra. Per milioni e milioni di persone, lui è una guida. Proprio questo ha fatto sì che perdesse ogni interesse a capire la sua gente. La comprensione passa dal confronto. E se alla Duma tutti e 450 i deputati sono putiniani, se le poche voci contrarie sono mele marce dell’Occidente, allora vivi un’altra realtà. Nella quale è più facile commettere errori di sistema».
Anche la minaccia nucleare è un retaggio del passato?
«Entrambe le parti stanno puntando solo sulla vittoria militare. La diplomazia della parola è distrutta e non influisce, almeno per ora. Il buon senso esclude che il nucleare venga utilizzato. Ma date le condizioni attuali, potrebbe anche non prevalere».
(da agenzie)
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Ottobre 11th, 2022 Riccardo Fucile
I DIPENDENTI POTREBBERO LAVORARE UN GIORNO IN MENO, IN CAMBIO DI UN’ORA IN PIÙ AL GIORNO… MENO GENTE IN UFFICIO SIGNIFICA UN RISPARMIO IMPORTANTE NELLE BOLLETTE
Un’ora in più di lavoro al giorno, in cambio di un giorno in meno in ufficio. Saldo finale: la settimana si accorcia, da 37 ore e mezza a 36 complessive, lo stipendio resta lo stesso, ci si riappropria di un po’ di tempo, azienda e dipendente risparmiano (resta da risolvere, ça va sans dire, un braccio di ferro sindacale: che si fa con i buoni pasto del giorno di riposo guadagnato?). Intesa Sanpaolo ha 76mila dipendenti, come nessuno nel nostro Paese.
Ecco allora che la proposta che la banca ha avanzato agli impiegati, filiali escluse, potrebbe segnare tra poche ore (domani il possibile via libera) uno spartiacque in un mercato del lavoro, quello italiano, che il grande balzo nella flessibilità lo ha fatto solo quando è stato costretto dalla pandemia. Per poi tornare frettolosamente indietro non appena l’emergenza sanitaria è rientrata, lasciando riaffiorare le diffidenze per tutto ciò che si discosta dalle classiche otto ore alla scrivania dal lunedì al venerdì.
Qui non si tratta di smart working, che pure nel settore bancario è diffuso già dal pre-pandemia, quando il contratto di categoria aveva inserito dieci giorni da casa al mese, cioè quasi il 40% del tempo di lavoro. Il modello della settimana corta guarda in due direzioni. La prima è contingente e di portafogli: meno gente in ufficio significa per l’azienda un risparmio in bolletta ai tempi della crisi energetica e per i dipendenti un bel taglio alle spese di trasporto.
La seconda è strutturale e di cosiddetto work-life balance: migliorare la qualità della vita dei lavoratori. E non c’è bisogno di spiegare perché faccia una gran differenza chiudere la settimana al giovedì alle 18 anziché al venerdì alle 17 o andarsene in gita al mercoledì.
Il modello è in crescita, ma ancora un’eccezione in Italia. Il suo guru sta dall’altra parte del mondo: l’imprenditore Andrew Barnes, fondatore della più grande fiduciaria neozelandese, la Perpetual Guardian, ha messo su una fondazione per convincere tutti che il futuro è nella settimana corta, come si fa nella sua azienda. La “4 Day Week Global Foundation” ha una mission evangelizzatrice: lavorate tutti quattro giorni a settimana e il benessere globale migliorerà, noi siamo qui per parlarne e insegnarvi come ci si organizza.
Il principio-guida, anche nello schema di Intesa Sanpaolo, è la flessibilità, dunque non si impone di godere del terzo giorno di riposo a fine settimana per chiudere l’ufficio al giovedì: il lavoratore può scegliere, concordandolo, quando prendersi il break aggiuntivo. Libero al martedì, al lavoro al venerdì. O viceversa, senza paletti. In una filosofia che trova un compromesso tra i vecchi modelli organizzativi e quella grande fame di riappropriazione del proprio tempo che ci hanno lasciato i lockdown.
E che ha spinto fenomeni come la great resignation americana, le dimissioni di massa figlie di una concezione della vita in cui il lavoro ha sceso diversi gradini della scala di priorità. Dal lato delle imprese, non c’è solo il risparmio in bolletta o la possibilità di stringere gli spazi dell’ufficio: l’idea è che un dipendente meno stressato e più padrone del proprio tempo finisca per sentirsi meglio, rendere di più e alzare quella produttività che in Italia resta sempre drammaticamente più bassa che nel resto d’Europa.
«Attenzione però, perché l’idea di stare in ufficio un giorno in meno attira molto, ma non è detto che la qualità della vita e dunque l’efficienza migliorino – avverte Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano -. Proviamo a pensare a quanta fatica già si fa dal lunedì al giovedì, immaginare di aggiungere un’ora non è affatto un dettaglio.
Una cosa è certa: la scelta del giorno libero aggiuntivo deve essere assicurata con la massima flessibilità, altrimenti serve a poco. In linea generale il benessere del lavoratore e quindi la sua produttività aumentano sicuramente più con lo smart working che con la settimana corta, perché c’è maggior libertà».
(da agenzie)
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