Ottobre 18th, 2022 Riccardo Fucile
IL CAVALIERE: “INCONTRERO’ NORDIO, MA ALLA GIUSTIZIA ANDRA’ CASELLATI”… FDI: “IL POSTO E’ DI NORDIO”
Sono passate meno di 24 ore dall’incontro chiarificatore in via della Scrofa tra Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni. Ma l’unica notizia certa emersa dalla riunione nella sede di Fratelli d’Italia resta che la coalizione di centrodestra andrà unita alle consultazioni del Colle.
Molti versanti della trattativa, invece, sono ancora da definire. A partire dal dicastero di via Arenula: il fondatore di Forza Italia si dice «già convinto della scelta della Casellati, conosco le cose che ci sono da fare come riforma della giustizia».
Berlusconi è loquace, in Senato, dopo l’elezione di Licia Ronzulli a capogruppo. Agli esponenti del suo partito conferma che sulla scelta di Elisabetta Casellati come Guardasigilli c’è l’accordo con la leader di Fratelli d’Italia. «Meloni mi ha suggerito soltanto di incontrare Carlo Nordio: “Vedilo, che è bravissimo. Magari ti convinci che è la scelta giusta”. Ma io sono già convinto della Casellati».
Insomma, Berlusconi è inamovibile sul ministero della Giustizia. Anche se sono molti gli esponenti di centrodestra, interni e no a Forza Italia, che non scommetterebbero sul suo nome per via Arenula. Lo dicono più o meno apertamente, mentre il magistrato veneto viene ricevuto da Meloni negli uffici di Fratelli d’Italia alla Camera, accompagnato da Francesco Lollobrigida.
In alternativa, all’ex seconda carica dello Stato – alla quale è succeduto Ignazio La Russa – potrebbe andare il dipartimento per le Riforme.
La giornata di ieri, 17 ottobre, si era conclusa anche con i totoministri che affibbiavano ad Alessandro Cattaneo la casella della Pubblica amministrazione.
Invece, per lui Berlusconi ha chiesto che i suoi deputati lo eleggessero capogruppo alla Camera. Per quel ministero circolano anche i nomi di Deborah Bergamini e di Anna Maria Bernini. L’ormai ex capogruppo di Forza Italia al Senato, nel primo pomeriggio, ha ricevuto anche la conferma pubblica da Berlusconi: «Ringraziamo la capogruppo uscente che andrà a fare il ministro». In realtà Bernini, da settimane, è in lizza principalmente per un altro dicastero: quello dell’Università e della ricerca. Ministero che questa mattina un’indiscrezione di Repubblica assegnava all’outsider Gloria Saccani Jotti, deputata di Forza Italia – docente di Patologia clinica a Parma – eletta nel collegio di Forlì-Cesena. Stimata da Marta Fascina, la sua elezione è stata accompagnata dalle polemiche perché è stata “paracadutata” in un territorio con cui non ha legami.
Lasciando Montecitorio dove è appena stato eletto Cattaneo come capogruppo di Forza italia, Berlusconi ha fatto diverse dichiarazioni ai giornalisti. La più forte è quella della lista dei cinque ministri che spetterebbero al suo partito, comunicati con nomi e posizioni specifiche: «Tajani andrà agli Esteri e sarà anche vicepresidente del Consiglio dei ministri. Poi, Casellati alla Giustizia, Saccani all’Università, Bernini alla Pubblica amministrazione e Pichetto Fratin all’Ambiente ed alla transizione ecologica”.
(da agenzie)
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Ottobre 18th, 2022 Riccardo Fucile
“I DECRETI SICUREZZA LI ABBIAMO SCRITTI INSIEME” – DA PREFETTO DI ROMA, DOPO L’ASSALTO ALLA SEDE DELLA CGIL, SI È DETTO “STUPITO” DI QUANTO ACCADUTO
Il curriculum di Matteo Piantedosi, il prefetto di Roma che si avvia a diventare ministro dell’Interno designato dalla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni con l’assenso del segretario della Lega Matteo Salvini, dice tutto.
Lui il capo di gabinetto di Salvini quando era ministro dell’Interno.
Lui il prefetto di Roma che è rimasto stupito dall’assalto alla Cgil guidato dai leader del partito neofascista di Forza Nuova.
Pronto a ricoprire la carica della ministra tecnica uscente, Luciana Lamorgese, con una nuova variante tecnico-politica, visto che Salvini ricorda che «i decreti sicurezza» per bloccare la navi delle Ong e gli sbarchi dei migranti «li abbiamo scritti insieme».
Nato a Napoli il 20 aprile 1963, Piantedosi è sposato e ha due figlie, come si legge sul sito del ministero dell’Interno.
Laureato in Giurisprudenza e abilitato all’esercizio della professione forense, è entrato nell’amministrazione civile dell’Interno nell’aprile 1989 ed è stato assegnato alla prefettura di Bologna.
Nel 2009 si è spostato per la prima volta a Roma: è stato chiamato al ministero dell’Interno a dirigere l’Ufficio relazioni parlamentari presso l’Ufficio affari legislativi e relazioni parlamentari. Il ministro era il leghista Roberto Maroni.
Nel 2011 gli è stato affidato l’incarico di capo gabinetto del capo dipartimento per le politiche del personale dell’amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie. Nominato prefetto il 3 agosto 2011, con l’avvento del governo tecnico è stato destinato a Lodi.
Una breve convivenza con Lorenzo Guerini, il ministro uscente della Difesa dem allora sindaco, poi nel gennaio 2012 Piantedosi è tornato al ministero.
La ministra del governo Monti, Annamaria Cancellieri, lo ha nominato vice capo di gabinetto del ministro dell’Interno e, dal giugno 2012, vice capo di gabinetto vicario. Il 16 novembre 2012, il consiglio dei ministri lo ha chiamato a ricoprire il ruolo di vice direttore generale della pubblica sicurezza per l’attività di coordinamento e pianificazione delle forze di polizia.
Negli anni Piantedosi ha avuto responsabilità di diversi fondi del ministero dell’Interno, per poi tornare prefetto di Bologna a cavallo tra il 2017 e il 2018.
La decisione l’ha presa il ministro dell’Interno Pd Marco Minniti. La lontananza è stata breve. Con l’arrivo del governo “gialloverde”, l’11 giugno 2018 Piantedosi ha fatto un salto di carriera ed è stato nominato capo di gabinetto del ministro dell’Interno Salvini.
Ormai Roma è la sua casa, e dal 17 agosto 2020, su indicazione della ministra Lamorgese, Piantedosi è diventato prefetto di Roma.
La collaborazione con Salvini rende il suo nome noto alle cronache nel periodo dei “porti chiusi”.
Il primo caso che lo vede coprotagonista è quello della nave Diciotti. Dal 20 al 25 agosto del 2018, Salvini blocca lo sbarco di 177 migranti dalla nave della guardia costiera a Catania. Il 22 agosto, vengono fatti scendere 29 minori, mentre bisogna arrivare fino al 25 per lo sbarco degli altri.
Il prefetto riferì che c’era un «allarme generalizzato» sulla possibile infiltrazione di soggetti radicalizzati in Italia attraverso i barconi: nel caso della nave Diciotti non c’era un «allarme specifico», ma «il modello di comportamento» del Viminale teneva conto del pericolo: «C’è il tema di proteggere le frontiere» aveva detto ai magistrati di Catania, era riportato nel verbale secretato risalente al 12 novembre di quell’anno. Nessun pericolo tuttavia venne mai verificato.
Il caso delle indagini su Salvini. Per la Diciotti, dopo la dichiarazione di incompetenza territoriale del tribunale palermitano, gli atti passarono a Catania che chiese l’autorizzazione a procedere al Senato. A salvare l’ex ministro fu il no dei parlamentari. Seguiranno altri blocchi. I più celebri i casi Open Arms e Gregoretti.
Nel luglio del 2019 venne ritardato lo sbarco di 131 migranti dalla nave Gregoretti, ancora una volta della Guardia costiera italiana, nel porto di Augusta, nel Siracusano. Salvini finirà imputato, ma il gup Nunzio Sarpietro nel 2021 ha deciso l’archiviazione.
Sempre nel 2019 in piena crisi di governo, Salvini nega ancora una volta il permesso di attracco alla ong spagnola Open Arms, costringendo i 164 profughi che erano a bordo a restare a largo di Lampedusa. La procura di Agrigento, invocando un’emergenza sanitaria in corso, sequestrò poi l’imbarcazione facendoli scendere a terra. Oggi l’allora ministro dell’Interno è imputato presso il tribunale di Palermo per questi atti.
Nelle cronache il nome di Piantedosi passa in secondo piano per un po’, quando a un certo punto, a fine 2021, torna in occasione dell’assalto alla Cgil del 9 ottobre. Oltre 1.500 manifestanti guidati dai leader del partito neofascista Forza nuova irrompono nella sede del sindacato.
Gli imputati sono più di 20, di cui sei già condannati per devastazione e saccheggio. La ministra dell’Interno, Lamorgese, viene chiamata in parlamento a renderne conto, l’allora leader dell’opposizione Giorgia Meloni evoca in aula la “strategia della tensione” che avrebbe permesso ai manifestanti di sfondare porte e rompere i mobili, in uno stile che per l’Anpi ricorda il ventennio fascista.
«Solo nelle ultime ore prima dell’evento (…) è stato possibile rilevare un livello della partecipazione non solo quantitativamente molto elevato, ma pure caratterizzato dalla variegata composizione dell’adesione alla manifestazione», ha precisato poche ore dopo i fatti il prefetto Matteo Piantedosi che presiede il comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza.
A un anno di distanza, l’ascesa di Piantedosi non si ferma, benedetta da Meloni e Salvini. «Non nego che mi piacerebbe continuare a fare il ministro degli Interni – ha detto il leader della Lega –. Perché un tecnico? Detto questo Piantedosi ha fatto il ministro (capo di gabinetto, ndr) con me, i decreti sicurezza li abbiamo scritti insieme…», ha detto il leader della Lega Matteo Salvini a Quarta Repubblica su Rete 4. Per Salvini Piantedosi è «uno dei servitori dello stato migliori che io conosca».
(da Editoriale Domani)
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Ottobre 18th, 2022 Riccardo Fucile
UN MODO PER NEGARE IL DIRITTO ALL’ABORTO SENZA TOCCARE LA LEGGE 194 (COME AVEVA ASSICURATO LA MELONI IN CAMPAGNA ELETTORALE)
Comincia la nuova era del centrodestra. E riparte l’attacco all’aborto. Il senatore Maurizio Gasparri, Forza Italia, ha appena depositato una proposta di legge il cui titolo è più che chiaro su quali siano le intenzioni: «Modifica dell’articolo 1 del codice civile in materia di riconoscimento della capacità giuridica del concepito».
È la terza volta che ci prova, Gasparri. Un testo fotocopia lo ha presentato già nella XVI legislatura, e poi nella XVII. Ora siamo alla XVIII e la settimana scorsa ha depositato il solito testo. La storia peraltro è lunga perché ricalca una proposta legislativa del movimento per la vita, nel lontano 1995. Sono appena tre righe, ma dirompenti: «Ogni essere umano ha la capacità giuridica fin dal momento del concepimento. I diritti patrimoniali che la legge ricono
È evidente, infatti, anche se qui si parla di diritti patrimoniali e di codice civile, che dare capacità giuridica all’embrione appena concepito è la negazione totale del diritto all’aborto. Una va contro l’altra. E infatti, come lo stesso Gasparri scriveva nella relazione alla sua penultima proposta, «nell’articolo 1 della legge 194, sulla interruzione volontaria della gravidanza, è detto che lo Stato “tutela la vita umana fin dal suo inizio”. Vi è dunque una attenzione verso il concepito, ma non vi è l’attribuzione del diritto alla vita e tanto meno il riconoscimento della sua soggettività, giacché il concetto di “tutela” può essere riferito anche alle cose».
E ancora, per essere più esplicito: «Opportuna è la modifica dell’articolo 1 del codice civile perché essa condurrebbe ad una applicazione della intera legge n. 194 del 1978 più coerente con l’intento di prevenire l’aborto volontario, in qualsiasi forma, legale o clandestino che sia».
Rieccolo contro il diritto all’aborto, insomma. Che il senatore spiega così: «Lo presento tutte le legislature, è un impegno che avevo preso con Carlo Casini del movimento per la vita che fu a lungo deputato Dc ed è scomparso alcuni anni fa. Mi farebbe piacere una discussione serena su questi temi. Che avesse almeno come obiettivo la applicazione delle intera legge 194, che non va abolita, ma che andrebbe rispettata in tutte le sue norme. Almeno questo sarebbe importante. Parlare della vita. Sarà lecito? Diciamo che la presento sempre sperando che prima o poi si possa discutere con serenità di tutti questi temi. Nessuna imposizione, ma nessuna fuga davanti a questioni di cui comprendo la rilevanza, la delicatezza e la complessità».
Per Maurizio Gasparri è dunque una battaglia identitaria e di bandiera, dare lo scudo giuridico al concepito. Sapendo che tutto il resto seguirebbe come conseguenza logico-giuridica. Anche l’impossibilità di abortire per la donna e il rischio penale – alla maniera di quanto accade in Polonia – per il medico. Lui rilancia a prescindere. La novità stavolta è che in Parlamento c’è una forte maggioranza di centrodestra che potrebbe seguirlo. «Spero in una riflessione sul tema quanto meno senza scontri ideologici. So che non è facile», si limita a dire.
Non si è fatta attendere la reazione del Pd, affidata a un tweet di Simona Malpezzi: «In Senato FI ripresenta il ddl per modificare l’art 1 del CC in materia di riconoscimento della capacità giuridica del nascituro. Questa è la destra che ha a cuore la libertà delle donne, la destra che dice che non tocchera la 194. Inaudito».
(da agenzie)
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Ottobre 18th, 2022 Riccardo Fucile
“SI ERA RIFIUTATA DI CANTARE L’INNO NAZIONALE”
Asra Panahi, una studentessa iraniana di 16 anni, sarebbe morta a scuola dopo un pestaggio da parte della polizia.
Secondo quanto riportato dai media locali, la ragazza si sarebbe rifiutata, insieme ad altre compagne di classe, di cantare l’inno dedicato ad Alì Khamenei, guida suprema del Paese.
A denunciare l’episodio è stato il Consiglio di coordinamento del sindacato degli insegnanti iraniani, secondo cui altre ragazze sono state portate in ospedale dopo il raid delle forze dell’ordine. Nei giorni scorsi, le studentesse di decine di scuole in tutto il Paese si sono unite alle proteste per la morte di Mahsa Amini, la 22enne curda morta dopo essere stata arrestata dalla polizia morale per non aver indossato correttamente lo hijab.
L’episodio che ha portato alla morte di Panahi sarebbe avvenuto in una scuola di Ardabil, una città nella zona a nord-ovest del Paese. La ragazza, insieme ad alcune sue compagne, si sarebbe filmata mentre – senza velo – si rifiutava di cantare l’inno. E per questo sarebbe stata picchiata violentemente dalla polizia. Sulla vicenda, però, circolano ancora versioni contrastanti. Secondo il sindacato, la morte di Panahi sarebbe una diretta conseguenza del pestaggio da parte della polizia. Secondo lo zio di Asra, invece, la nipote avrebbe perso la vita per un problema cardiaco congenito. In una nota condivisa su Telegram, il sindacato degli insegnanti ha denunciato «comportamenti brutali e disumani» da parte delle forze di sicurezza. Secondo le stime della ong Iran Human Rights, dall’inizio delle proteste nel Paese sarebbero morte almeno 215 persone, tra cui 27 bambini.
(da agenzie)
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Ottobre 18th, 2022 Riccardo Fucile
SILURATO BARELLI, VICINO A TAJANI
Il totoministri di queste settimane ha oscurato le altre partite che animano gli inizi di ogni legislatura. Domani, 19 ottobre, si eleggeranno i vicepresidenti, i questori e i segretari di Camera e Senato. Oggi, invece, c’è un’altra scelta fondamentale da fare: i gruppi parlamentari devono votare per i propri capigruppo. Un ruolo decisivo per l’esecuzione dei lavori a Montecitorio e a Palazzo Madama, ma un ruolo anche di prestigio per la visibilità di chi lo ricopre: ad esempio, saranno i capigruppo che nel giro di consultazioni incontreranno Sergio Mattarella al Quirinale.
In prima mattinata, è arrivata la lettera firmata da Silvio Berlusconi che chiede ai suoi parlamentari di eleggere Licia Ronzulli come capogruppo al Senato e Alessandro Cattaneo, deputato molto vicino alla senatrice, alla Camera.
Una compensazione per l’esclusione di Ronzulli dalla squadra dei ministri dopo le ritrosie manifestate, in primis, da Giorgia Meloni? È il minimo a cui potesse ambire la senatrice di Arcore, dopo essere stata in odore di dicastero.
Tuttavia, la scelta di destituire Paolo Barelli dal coordinamento del gruppo Camera per sostituirlo con un deputato di area ronzulliana preoccupa la parte di Forza Italia che riconosce ancora la leadership di Antonio Tajani. «Con il coordinatore nazionale fuori dai giochi, visto che tra gli Esteri e la vicepresidenza del Consiglio avrà altre cose di cui occuparsi, la gestione del partito finirà completamente nelle mani di Ronzulli», lamenta a Open un deputato azzurro.
Diversi forzisti non escludono che questo potrebbe essere il primo passo verso la richiesta a Berlusconi, da parte di Ronzulli, della rimozione ufficiale – e non solo di fatto – di Tajani dal coordinamento nazionale.
Detto ciò, se Meloni avesse avuto lungimiranza sul caso Ronzulli, avrebbe acconsentito a darle un ministero. Fuori dall’esecutivo e con il partito in pugno, Ronzulli sarà molto più intransigente nei confronti del governo e del presidente del Consiglio che l’ha delegittimata pubblicamente
(da agenzie)
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Ottobre 18th, 2022 Riccardo Fucile
AL GOVERNO DUE PARTITI CHE HANNO RAPPORTI AMICHEVOLI CON UN CRIMINALE… E FORZA ITALIA AVRA’ PURE IL MINISTERO DEGLI ESTERI, INCREDIBILE
Ma quale andare a Canossa. Altro che tre giorni inginocchiato, altro che cessione dello scettro del centrodestra a Giorgia Meloni. Il volto tirato immortalato dalle telecamere all’uscita da via della Scrofa lunedì sera diventa l’ennesimo ritorno da protagonista a neanche ventiquattr’ore di distanza.
Silvio Berlusconi dice di aver ripreso a sentire Vladimir Putin scambiandosi regali e lettere: rivelazioni – che Forza Italia ha provato a smentire – cristallizzate in un audio e destinate a mandare in fibrillazione la maggioranza con il rischio di incrinare anche l’immagine del governo nascente in Europa.
E intanto l’ex Cav. riapre anche i giochi di governo, prova a rimescolare le carte rilanciando il ruolo di Maria Elisabetta Casellati. Il pallino è sempre lo stesso: il ministero della Giustizia.
Almeno quello, dopo il ‘no’ stentoreo a Licia Ronzulli, subito piazzata come capoguppo al Senato, nella squadra di governo e l’altrettanto fermo diniego al ministero dello Sviluppo economico, che custodisce la delega alle telecomunicazioni, affaire carissimo all’editore di Mediaset.
Dopo la stringata nota comune di prassi dopo il faccia a faccia, Berlusconi si riprende la scena a modo suo: appena si ritrova davanti alle telecamere, ecco lo show, poi proseguito di fronte ai parlamentari forzisti per l’elezione dei capigruppo.
Non si contiene e nei suoi interventi mescola tutto: rapporti interni alla coalizione, lezioni di bon ton istituzionale a Meloni, il nascente esecutivo – arrivando a elencare i ministeri che spetteranno a Fi e a chi – nonché la politica estera con affermazioni destinate a far discutere. E che hanno messo in imbarazzo Forza Italia. Il partito ha provato a smentire, ma un audio pubblicato da La Presse conferma in toto le parole.
Di fronte ai neo-eletti il fondatore degli azzurri ha rivelato di aver “riallacciato” i rapporti con Putin – che il 23 settembre aveva già in parte difeso – e di aver ricevuto dal capo del Cremlino un regalo per il suo compleanno, venti giorni fa.
“I ministri russi hanno già detto in diverse occasioni che siamo noi in guerra con loro, perché forniamo armi e finanziamenti all’Ucraina – ha detto – Io non posso personalmente fornire il mio parere perché se viene raccontato alla stampa viene fuori un disastro, ma sono molto, molto, molto preoccupato. Ho riallacciato i rapporti con il presidente Putin, un po’ tanto”.
Talmente tanto da aver ricevuto per il suo 86esimo compleanno, lo scorso 29 settembre, un sostanzioso regalo: “Venti bottiglie di vodka e una lettera dolcissima”.
Uno scambio alla pari: “Gli ho risposto con bottiglie di lambrusco e con una lettera altrettanto dolce”.
Quindi un giudizio scentratissimo sull’invasione dell’Ucraina rispetto a quanto sta avvenendo e al riposizionamento filo-atlantico del resto della coalizione di centrodestra: “Io l’ho conosciuto come una persona di pace e sensata…”. E la chiusura: “Sono stato dichiarato da Putin il primo dei suoi cinque veri amici”.
Una ricostruzione che il partito è costretto a smentire a stretto giro, sottolineando che l’ex presidente del Consiglio raccontava vecchi aneddoti. “Roba del 2008”, taglia corto Antonio Tajani, candidato a guidare il ministero degli Esteri.
Ma l’audio catturato da La Presse conferma che le parole dell’ex presidente del Consiglio sono riferite a un periodo recente.
(da agenzie)
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Ottobre 18th, 2022 Riccardo Fucile
SULL’AUTONOMIA I SALVINIANI FRENANO, MENTRE DAL NORD-EST VORREBBERO SPINGERE SULL’ACCELERATORE… ZAIA E’ UN ALTRO PAROLAIO: AL MOMENTO DELLA VERITÀ NON HA AVUTO LE PALLE DI CHIEDERE LA TESTA DI SALVINI
Se c’è un posto dove non sono certo volati i tappi di prosecco per brindare all’elezione del veneto Lorenzo Fontana alla presidenza della Camera quel posto è proprio il Veneto. «La sua nomina ci preoccupa, perché significa che via Bellerio pensa di poter assopire in questo modo i nostri appetiti ministeriali» ragiona più di un esponente della Liga veneta. Sembra quasi una provocazione: Fontana qui non è amato. È colpa sua se abbiamo perso le comunali a Verona. Lui viene premiato, noi restiamo a bocca asciutta».
Non che i quadri veneti della Lega, da mesi ipercritici nei confronti della segreteria guidata da Matteo Salvini, si aspettassero esiti diversi. «Le liste per deputati e senatori le ha fatte Salvini ed è normale che adesso decida lui chi fra i suoi possa aspirare a un incarico di governo – riflette Fulvio Pettenà, ex presidente della provincia di Treviso, fedelissimo del governatore Luca Zaia -. La terza carica dello Stato è una posizione istituzionale e politica, non operativa. Noi veneti invece abbiamo bisogno di qualcuno che si sporchi le mani per il territorio, e che combatta le nostre battaglie. Questo ci chiedono militanti e mondo produttivo».
Non resta che sperare nel sottogoverno. «Più che al toto-ministri noi giochiamo al toto-sottosegretari» scherza amaro un ex onorevole. Si ipotizza il «salviniano» ed ex sindaco di Padova Massimo Bitonci al Mef; poi girano i nomi di Mara Bizzotto, vicentina, considerata molto vicina al commissario regionale Alberto Stefani, e del veronese Roberto Turri, anche se quest’ ultimo potrebbe non farcela proprio perché Verona ha già «avuto» con Fontana.
L’unico candidato in quota Zaia sarebbe il ministro uscente Erika Stefani, che potrebbe restare a occuparsi di disabilità oppure passare al ministero del Lavoro o più difficilmente andare agli Affari Regionali (ministero che ieri sera Salvini ha suggerito di accorpare alle Riforme).
Ed è proprio su questa casella che sono puntati gli occhi e i cuori dei veneti. Chi avrà queste deleghe, infatti, dovrà gestire il braccio di ferro con Fratelli d’Italia sull’autonomia, questione che nel Nord Est rimane fondamentale e urgente. Mentre FdI la associa alla riforma sul presidenzialismo, decisamente più lenta e complessa.
Da Venezia avevano chiesto che del faldone se ne occupasse in prima persona Salvini, ma da giorni il candidato in pectore per quello che dovrebbe chiamarsi Ministero degli Affari regionali e delle Autonomie è Roberto Calderoli.
Nome che, se venisse confermato (gira anche quello dell’ex presidente del Senato Elisabetta Casellati, esponente di Forza Italia), dimostrerebbe comunque che via Bellerio ha deciso di metterci la testa – e la faccia – ai massimi livelli.
Non è sfuggito a nessuno, però, che in questi giorni sul tema dell’autonomia proprio in Veneto è andato in scena un nuovo round fra «salviniani» e «zaiani».
I primi con Massimo Bitonci hanno tirato il freno a mano dicendo che il percorso verso l’autonomia dovrà essere graduale e che 23 materie di competenza regionale sono troppe. Meglio procedere con la legge quadro e poi materia per materia.
Roberto Marcato, assessore allo Sviluppo economico della giunta Zaia, ha replicato con una battuta: «Sono tornati i comunisti padani». Duplice il riferimento: al Pd Veneto, che aveva proposto sull’autonomia 7 materie anziché 23, e alla sigla con la quale Salvini corse un’era politica fa alle elezioni del Parlamento padano.
Ma quello del futuro governo è solo uno dei tanti nodi irrisolti nel rapporto fra Milano e Venezia. I contraccolpi alla linea dura di Salvini si stanno facendo sentire anche a livello locale. Le prime scosse si sono registrate in provincia di Treviso. A Mogliano Veneto, Nervesa della Battaglia e Castelfranco veneto, ad esempio, dopo il 25 settembre alcuni consiglieri comunali hanno lasciato il partito.
«Screzi personali» taglia corto Gianangelo Bof, commissario provinciale e neo-deputato. «No, una questione politica» gli risponde l’ex senatore Gianpaolo Vallardi.
Tensioni ancora più forti stanno emergendo in vista dei congressi provinciali del partito a Padova, Treviso e Verona. Volano accuse reciproche su regole e tessere finte. «C’è un brutto clima, si respirano rabbia e rassegnazione – conferma un amministratore locale della Marca -. Andando avanti così il partito più che esplodere rischia di afflosciarsi. Alcuni miei colleghi stanno pensando di passare con Fratelli d’Italia». Il prosecco, in molti, l’anno messo in fresco per il trevigiano Carlo Nordio (FdI) ministro della Giustizia.
(da La Stampa)
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Ottobre 18th, 2022 Riccardo Fucile
UNO CHE NEANCHE PARLA INGLESE DOVREBBE RASSICURARE I MERCATI INTERNAZIONALI SULLA SOSTENIBILITA’ DEL DEBITO PUBBLICO? … E’ LUI, CON IL CORAGGIO DI UN SEMOLINO, CHE DOVREBBE CONTROLLARE LA SPESA DEGLI ALTRI MINISTERI, A PARTIRE DA QUELLO DELLE INFRASTRUTTURE (CHE HA IN PANCIA IL GROSSO DEI FONDI DEL PNRR) DOVE TRASLOCHERA’ MATTEO SALVINI?
La cazzata di Giorgia, quella che non ti aspetti perché sconsideratamente grossolana: spedire Giancarlo Giorgetti al ministero dell’Economia. L’uomo sbagliato al posto sbagliato.
La Meloni lo considera, sbagliando, un draghiano a cui Mariopio darà una mano a gestire le rogne colossali dei prossimi giorni al Mef. Cosa che non succederà perché, al momento in cui la Lega fece naufragare il suo governo, Giorgetti cuor di coniglio non alzò il sopracciglio. E Draghi non dimentica.
Il dicastero chiave, quello che dovrà gestire la crisi incombente e “governare” con oculatezza le spese degli altri ministeri (a partire di quello delle Infrastrutture, che ha in pancia il grosso dei fondi del Pnrr, in cui potrebbe accasarsi il suo capo, Matteo Salvini), puo’ mai essere guidato dal più pavido e incolore degli esponenti leghisti, che tra l’altro neanche parla inglese?
Ce lo vedete Giorgetti “cuor di melone”, che non ha mosso neanche il mignolo per evitare la caduta del governo Draghi, andare a rassicurare i mercati e gli investitori, magari in varesotto stretto?
Come ha scritto Rampini, in un articolo del 3 marzo 2019 ai tempi del governo Conte-1, Giorgetti “non giova nei summit dove è utile rivolgersi direttamente ai leader stranieri. Ma c’è un handicap ancora peggiore: credere o fingere di sapere l’inglese”.
“Giorgetti – ha infierito Rampini – nella prestigiosa Harold Pratt House sulla 68esima Strada, circondato dai ritratti della élite di geopolitica e dalle boiserie ottocentesche, ha pronunciato un testo incomprensibile sia agli americani che agli italiani. Leggeva in una lingua a lui quasi sconosciuta, con una pronuncia inventata. Il peggio è venuto quando si è ostinato a rispondere a braccio, sempre nel suo inglese maccheronico”.
Chissà cosa capiranno le agenzie di rating, che hanno il ditino sul grilletto del declassamento dei titoli italiani a “spazzatura”, dei rassicuranti discorsi del varesotto…
Giorgia Meloni è sicura di affidare il ministero determinante anche per il suo futuro a palazzo Chigi al ritroso vicesegretario della Lega, che non dispone di rapporti tentacolari a via XX settembre e di consolidate relazioni nel Deep State (che è il vero potere invisibile che fa girare la macchina dello Stato)?
E’ vero che i pezzi da novanta come Fabio Panetta non sono disponibili (le sue deleghe alla Bce sono pesantissime e l’Italia non puo’ rinunciarvi), ma la Meloni non ha nessun jolly nella manica? Qualcuno che abbia standing internazionale e credito spendibile per accollarsi ‘sta croce del ministero dell’Economia?
I mercati ci guardano, le agenzie di rating ascoltano e Bruxelles sta affilando le lame. Qualcuno dica a Giorgia Meloni che è meglio accomodarsi a palazzo Chigi avendo nella tolda di comando del Mef qualcuno che non faccia girare le palle oltre i confini. O, almeno, che le palle sappia usarle.
(da Dagoreport)
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Ottobre 18th, 2022 Riccardo Fucile
IN CASO DI MANCATO PAGAMENTO, GLI OPERATORI NON INVIERANNO PIU’ UN SOLLECITO: PASSERANNO DIRETTAMENTE ALLA MESSA IN MORA CON DISTACCO DELLA FORNITURA DAL 41ESIMO GIORNO DALLA SCADENZA DELLA BOLLETTA NON PAGATA E SENZA CHE ARRIVI IL TECNICO A CASA
Il caro-bollette rischia di lasciare molte famiglie senza luce e gas. Le richieste di aiuto arrivano ogni giorno da tutta Italia ai consumatori: gli operatori dell’energia hanno stretto le maglie e adesso passano subito alle maniere forti.
Se prima delle crisi adottavano accorgimenti come l’invio di un sollecito e il «depotenziamento» della rete, adesso – denunciano le associazioni – passano subito alla messa in mora, con il successivo, possibile, distacco della fornitura.
Il tutto in tempi rapidi: dal quarantunesimo giorno dalla scadenza della bolletta non pagata e senza che arrivi il tecnico a casa, il taglio delle forniture si fa scattare direttamente dalla sede del distributore.
Le forniture centralizzate
Il problema è particolarmente sentito tra i condomini, perché gli importi rispetto agli scorsi anni sono più che raddoppiati. E nei palazzi con riscaldamento centralizzato le difficoltà si moltiplicano. Il picco verrà toccato tra dicembre e gennaio, cioè cento giorni dopo la scadenza delle fatture.
IL CASO DI PADOVA
A Padova la società dell’energia Af Energia interromperà le forniture di gas a circa 300 condomini della provincia, a causa degli alti costi della materia prima ma soprattutto per le «insostenibili garanzie» chieste dai grossisti. Lo ha annunciato lo stesso l’amministratore delegato dell’azienda, Federico Agostini. L’ultima istanza Cosa succede in questi casi?
Esiste la fornitura di ultima istanza (Fui) da parte delle aziende territorialmente competenti. Per tre mesi il condominio è coperto, se nel frattempo non trova un altro fornitore, resta con queste aziende ma con una maggiorazione di 14,39 centesimi per metro cubo (circa il 20-30% in più).
Per evitare guai, alcuni condomini hanno deciso di mettere i sigilli agli impianti di riscaldamento. È quanto deciso dall’amministratore di uno stabile in provincia di Roma. In questa maniera nessuno consuma e non si finisce con il restare senza altre forniture essenziali come quella dell’acqua calda.
LA BOLLETTA COMUNE
Ma che cosa succede se in un condominio due pagano e tutti gli altri invece no? Va subito detto che il riscaldamento viene staccato a tutti solo se non viene saldata la fattura condominiale, vale a dire la bolletta comune.
Saranno quindi i condomini virtuosi che dovranno pagare anche le quote di quelli morosi per continuare a onorare questa bolletta comune. Successivamente, l’amministratore dovrà richiedere il pagamento delle quote ai condomini non in regola, mediante sollecito o diffida tramite legale oppure giudizialmente (ad esempio con ricorso per decreto ingiuntivo). Un altro maxi-problema che si sta materializzando all’orizzonte.
LA VALANGA ALL’ORIZZONTE
«Se prima gli operatori dell’energia con i propri clienti utilizzavano la piuma adesso sono passati alla frusta – racconta Furio Truzzi, presidente di Assoutenti -. In pratica, nella, gran parte dei casi, hanno abbandonato tutti quegli accorgimenti con cui trattavano i clienti che non pagavano con puntualità». I casi che potrebbero finire nel mirino già nelle prossime settimane sono davvero tanti.
Secondo Facile.it, negli ultimi nove mesi l’aumento del prezzo dell’energia ha portato 4,7 milioni di italiani a saltare il pagamento di una o più bollette. Vuol dire che è concreto il rischio una valanga pronta a partire.
LE CONTROMISURE
Per cercare di creare uno scudo, domani ci sarà un’assemblea delle associazioni di consumatori. Obiettivo? Mettere a punto una serie di proposte da presentare al governo.
Tra queste la richiesta di moratoria sui distacchi, interventi di garanzia creditizia da parte dello Stato per le imprese che non ce la fanno a pagare, rateizzazioni più lunghe (oltre i dieci mesi) e un Osservatorio Arera sulle modifiche unilaterali dei contratti (in crescita esponenziale nonostante il blocco deciso dal governo).
Nei giorni scorsi all’Anaci Day 2022 (Associazione nazionale amministratori condominiali e immobiliari) è stato lanciato l’allarme: costi condominiali in aumento del 300% e soluzioni immediate oppure sarà grave crisi sociale perché i costi dell’energia creeranno come effetto domino morosità ulteriori ed entro fine ottobre la situazione sarà più chiara.
È da mesi che caro-bollette e impennata dei prezzi risultano in cima alle preoccupazioni degli italiani superando nel ranking anche la voce “lavoro e disoccupazione”. Da un recente sondaggio per la trasmissione Porta a Porta è emerso che un italiano su due indica come priorità l’aumento dei prezzi in generale (48,8%) e la crisi energetica (45%), con la denuncia dell’aumento del costo delle forniture di luce e gas (35,4%).
Negli anni il popolo italiano, pur manifestando il suo disagio, si è adattato a malincuore alle molteplici difficoltà che la realtà nazionale ha presentato come la cassa integrazione, la crisi del lavoro, il precariato, i sussidi, le chiusure aziendali ecc Ha conosciuto le domeniche a piedi e le code chilometriche davanti ai distributori di benzina, tuttavia oggi si sente impreparato ad affrontare quanto potrà accadere in questa nuova stagione invernale e si domanda quanti tristi spaccati reali si trasformeranno in possibili drammi.
Per poter aiutare efficacemente le famiglie sarebbe necessario offrire loro la possibilità di poter pianificare il futuro. Si sentirebbero sicuramente meno spaventati e sarebbero in grado, pur nella difficoltà, di programmare le spese. In questa direzione gli italiani non desiderano trovarsi paralizzati dalla pressione dei costi, attendono con attenzione la nuova compagine governativa per poter esprimere il loro giudizio nel merito. All’orizzonte appare l’ombra inquietante di un serio problema di sopravvivenza per molte famiglie.
(da agenzie)
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