Ottobre 18th, 2022 Riccardo Fucile
C’E’ TENSIONE SULLE VICEPRESIDENZE TRA BOSCHI, CARFAGNA E GELMINI
Alle consultazioni al Quirinale Matteo Renzi non andrà: ci sarà il partner Carlo Calenda. Ma è tutto pacifico: “Io parlerò in aula”, fa sapere il leader di Italia Viva. E Calenda spiega: “Con Renzi ci sentiamo tutti i giorni e lui ha fatto un passo indietro: andrò con i due capigruppo e Teresa Bellanova che è la presidente di Italia Viva. Renzi non verrà, ha molti impegni all’estero”.
Quanto sia solido il matrimonio tra Renzi e Calenda è a questo punto tutto da verificare. Le crepe si stanno mostrando, benché nessuno dei due leader ammetta che la convivenza già presenta il conto al primo banco di prova: l’assegnazione degli incarichi istituzionali.
Il rapporto sembra sia gelido, non solo sulla spartizione dei posti e dei ruoli che spettano all’opposizione, ma sulla strategia politica in generale. Rivelatrice è stata una affermazione di Calenda dopo i 17-19 “franchi soccorritori” dell’opposizione per l’elezione di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato.
“Se fossero stati i senatori di Renzi sarebbero stati quattro”, ha chiarito a “Che tempo che fa” domenica sera. E ha poi aggiunto che Azione non intende affatto entrare in maggioranza: “Per Renzi dovete chiedere a Renzi. Azione e Italia Viva sono due partiti separati”.
Intanto al voto per i vice presidenti la strategia del Terzo Polo è stata appena decisa: non parteciperanno alla votazione.
Almeno è quanto annuncia Calenda, che al contrario di Renzi, pensa siano incarichi piuttosto ininfluenti: “Chi se ne importa delle vice presidenze, non è che incidi più di tanto”.
I capigruppo comunque sono stati scelti. Vanno ai renziani al Senato con Raffaella Paita e ai calendiani alla Camera con Matteo Richetti.
Nella lotteria dei presidenti delle commissioni di garanzia e soprattutto del vice presidente di Camera e Senato e dei questori, la partita è doppia. Il Terzo Polo ha denunciato di essere stato fatto fuori dagli amici/coltelli di Pd e M5Stelle. Renzi ha minacciato di rivolgersi al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella se saranno cancellati. “Visto che Pd e 5Stelle vogliono fare 4 su 4 non si tocca palla”, ribadisce l’ex premier. E sostiene che non era uno dei suoi che voleva piazzare alla presidenza del Senato ad esempio, bensì l’ex ministra Mariastella Gelmini eletta nelle file di Calenda.
In realtà il garbuglio è difficile da sciogliere. Maria Elena Boschi ambiva alla commissione di Vigilanza Rai oppure alla vice presidenza alla Camera così come ad un bis a Montecitorio come vice presidente puntava Ettore Rosato. Ma sia Gelmini che Mara Carfagna, passate da Forza Italia ad Azione, erano in pole per una vice presidenza.
Se il Terzo polo resterà a bocca asciutta, le crepe tra Renzi e Calenda sono destinate per ora ad essere camuffate. Rosato torna alla carica: “Il Parlamento è un luogo istituzionale, dove è giusto che le principali opposizioni siano rappresentate. Noi abbiamo chiesto unn vice presidenza, sembra che non ce la vogliano dare, vedremo”.
(da agenzie)
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Ottobre 18th, 2022 Riccardo Fucile
IL 33,5% DEGLI ITALIANI NON SI SENTE RAPPRESENTATO DA NESSUNA FORZA PARLAMENTARE… IL 73,8% DEI CITTADINI SI SENTIREBBE RASSICURATO DALLA PRESENZA DI TECNICI NEL FUTURO GOVERNO
Alla luce delle nuove sfide imposte dal momento, a breve si formerà un nuovo governo, frutto di un’elezione che ha avuto un esito chiarissimo sul vincitore. Anzi la vincitrice: il rating del suo partito cresce nelle intenzioni di voto arrivando al 27% (+1% rispetto al risultato delle elezioni), unica formazione a crescere nella coalizione di centrodestra dove la Lega di Salvini con l’8,5% perde lo 0,3% e Forza Italia lo 0,8%, arrivando al 7,3%.
A oggi quindi Fratelli d’Italia rappresenta con i suoi voti quasi il doppio della somma dei suoi alleati, ma non in seggi dove l’accordo pre-elettorale ha prevalso.
Sul fronte delle opposizioni il Movimento 5 Stelle cresce quasi di due punti rispetto al giorno delle elezioni marcando un 17,2% e tallonando da molto vicino il Partito democratico sceso al 17,5% (-1,6%).
A parere degli elettori la difesa dei valori e delle tematiche care alla sinistra sembrerebbe appartenere maggiormente al Movimento guidato da Giuseppe Conte (15,4%) più che al Pd (14%). Ma il dato che spicca è il 33,5% che non riscontra in nessuna forza parlamentare la sua rappresentanza.
Anche Azione di Calenda con Italia Viva di Renzi è in trend di crescita arrivando all’8,7% (+0,9%).
Ancora una volta il primo partito rimane quello dell’astensione al 36%, l’ennesima dimostrazione di quanto la gente sia distante dalla politica.
Attualmente il 73,8% dei cittadini si sentirebbe rassicurato dalla presenza di tecnici nel futuro governo, mentre l’hard skill deluderebbe circa un elettore su quattro (26,2%). Anche per il ministero dell’Economia si preferirebbe un tecnico (52,3%) a un politico (27,4%).
(da La Stampa)
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Ottobre 18th, 2022 Riccardo Fucile
PUTIN HA CAPITO CHE NON PUO’ MANDARE A MORIRE GLI ABITANTI DELLE GRANDI CITTÀ: PIÙ FACILE SPEDIRE IN TRINCEA QUALCHE MINORANZA ETNICA SFIGATA
«Stimati moscoviti». La mobilitazione parziale è finita, almeno e per ora soltanto nella capitale. Non nei prossimi giorni, ma da subito. Il messaggio del sindaco Sergey Sobjanin è stato pubblicato a mezzogiorno. La chiusura di tutti i centri di reclutamento era prevista per le 14, appena due ore dopo. Una tempistica che colpisce. «Gli obiettivi sono stati raggiunti».
Le cartoline di precetto inviate a domicilio nel corso della mobilitazione «cessano con effetto immediato la loro validità». La notizia ha una sua importanza, che va ben oltre i numeri striminziti. La sconfinata area metropolitana di Mosca era stata trattata bene dal decreto attuativo del ministero della Difesa che regolava la questione.
Sono partiti per il fronte solo 32.000 persone, l’un per cento scarso dei residenti idonei. E molte delle esenzioni sembravano concepite per tenere a bada gli umori degli abitanti delle grandi città.
Mosca decide, la Russia segue. Spesso non è solo un proverbio. Appena tre giorni fa, al termine del vertice di Astana, Vladimir Putin l’aveva anticipato. Questo lavoro sta per finire, tra due settimane tutto sarà concluso, aveva detto.
Il presidente non aveva negato i problemi. «C’è stata grande confusione, legata ai vecchi registri di immatricolazione, che non sono stati aggiornati per decenni». La capitale è anche la zona più colpita dalla fuga delle persone che hanno lasciato il Paese per evitare l’arruolamento.
Emigrazione esterna, ma anche interna. Migliaia di moscoviti sono scappati nelle dacie dei contadini, cercando di far perdere le loro tracce nello sconfinato territorio russo. Con l’annullamento di ogni cartolina di precetto, l’amministrazione di Mosca, e il Cremlino, stanno in qualche modo dicendo di tornare indietro, che tutto è perdonato.
A patto di fidarsi, dettaglio non scontato. Pavel Chikov, noto avvocato e presidente dell’associazione Agorà, mette in guardia. «La cessazione della mobilitazione non viene regolata da atti normativi. Le autorità delle regioni della Russia assecondano il suo svolgimento senza detenere alcun potere per dichiararla conclusa. Quindi le lettere di convocazione non perdono validità in relazione alla dichiarazione del sindaco di Mosca».
Sergey Sobjanin, segnarsi questo nome. Forse non è casuale il fatto che è stato lui a comunicare una novità gradita alla maggioranza del Paese.
Sessantaquattro anni, due lauree in ingegneria e giurisprudenza, ha fatto carriera amministrativa nella nativa regione petrolifera di Tjumen. Poi è stato chiamato a Mosca a dirigere l’amministrazione presidenziale del secondo mandato di Putin, che lo volle con sé al governo durante la staffetta con Dmitry Medvedev.
Dall’ottobre 2010 è sindaco di Mosca, rieletto l’ultima volta nel 2018 con il settanta per cento dei voti. Il vero fedelissimo del presidente. Per molti analisti è tra i favoriti a una eventuale successione.
Il suo punto debole è l’assenza di legami con i Siloviki, gli uomini della forza che lavorano negli apparati di sicurezza. Ma è anche considerato la figura ideale per normalizzare le relazioni della Russia con il mondo esterno. Come sempre, dipende da chi vincerà tra le due fazioni. E da cosa deciderà Putin, naturalmente.
(da il Corriere della Sera)
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Ottobre 18th, 2022 Riccardo Fucile
LA LETTERA AI PARLAMENTARI AZZURRI
Silvio Berlusconi decide di indicare Licia Ronzulli e Alessandro Cattaneo come capigruppo di Forza Italia rispettivamente al Senato e alla Camera.
«Per dare ancora più forza ai nostri gruppi, valorizzando le capacità e le risorse che abbiamo, la mia indicazione come nuovi capigruppo è per l’onorevole Alessandro Cattaneo alla Camera e per la senatrice Licia Ronzulli al Senato», scrive il Cavaliere in una lettera ai parlamentari azzurri.
«Sono sicuro – prosegue Berlusconi nella lettera – che ancora una volta saprete dare il massimo nel lavoro parlamentare e che i nostri gruppi si distingueranno per la capacità di lavoro e di proposte concrete per risolvere i tanti problemi della nostra Italia. Sono anche lieto che i nostri gruppi siano, come è capitato più volte, connotati da una forte presenza di giovani e di signore». Il nome di Cattaneo si trova anche nel totoministri: secondo le indiscrezioni dovrebbe essere responsabile della Pubblica Amministrazione. Questa nomina dovrebbe in teoria escluderlo dalla corsa.
(da agenzie)
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Ottobre 18th, 2022 Riccardo Fucile
I NOMI DEI MINISTRI E LE TAPPE PER L’INCARICO
Cinque ministeri valgono bene un viaggio fino a via della Scrofa. Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi fanno pace in pubblico per varare il nuovo governo. E mentre per la nuova premier si attende l’incarico per il 21 ottobre e lo scioglimento della riserva per il week end, sui nomi dei ministri il centrodestra trova la quadra.
E celebra un accordo politico fragile che parte dalle consultazioni: i leader andranno insieme al Quirinale, nessuno strappo (per ora). Poi si vedrà. Mentre le tappe istituzionali sono già segnate.
Una volta arrivato l’incarico, le consultazioni potrebbero cominciare tra giovedì o venerdì (in quest’ultimo caso il presidente Sergio Mattarella aspetterebbe la fine del Consiglio europeo che si chiuderebbe venerdì pomeriggio) per arrivare al giuramento domenica o lunedì.
Il timing e le scelte
Dopo l’elezione dei presidenti della Camera e del Senato l’iter istituzionale prevede quindi un calendario di tappe fittissimo e senza pause. Secondo questa prospettiva:
domani, mercoledì 19 ottobre, Camera e Senato eleggeranno i quattro vicepresidenti, i tre questori e gli otto segretari;
giovedì 20 ottobre il Quirinale aprirà le consultazioni con i senatori a vita e i presidenti delle camere;
il 21 ottobre arriverà la convocazione dei partiti, che nel frattempo avranno costituito i gruppi; già quella sera potrebbe arrivare l’incarico “con riserva” a Meloni;
22-23-24 ottobre: saranno i giorni necessari per sciogliere la riserva, concordare la lista dei ministri con Mattarella, varare il nuovo esecutivo;
la deadline è il 25 ottobre: per quel giorno (ma anche prima) potrebbe arrivare il giuramento al Quirinale, il passaggio della campanella con Draghi e il primo consiglio dei ministri del nuovo governo.
L’accordo per siglare la pace (o la tregua) tra Meloni e Berlusconi prevede cinque ministeri, tanti quanti la Lega. Che però alla fine ne conta uno in più per Giancarlo Giorgetti all’Economia, da qualcuno considerato come tecnico. E i nomi indicati da Berlusconi. Ma con i ruoli da assegnare in capo a Meloni. Alla fine quindi la leader di Fdi concede a modo suo quella «pari dignità» evocata dal capo di Forza Italia. E toglie dalla trattativa il ministero della Giustizia, che alla fin non andrà a Casellati.
Il totoministri
Secondo questa prospettiva quindi i ministri di Forza Italia saranno: Elisabetta Casellati (ministero delle Riforme), Alessandro Cattaneo (Pubblica Amministrazione), Anna Maria Bernini (Università e ricerca), Gilberto Pichetto Fratin (Transizione Ecologica) e Antonio Tajani (Esteri e vicepremier).
I ministri di Fratelli d’Italia saranno: Guido Crosetto allo Sviluppo Economico, Adolfo Urso alla Difesa, Carlo Nordio alla Giustizia, Marina Elvira Calderone al Lavoro, Francesco Rocca alla Salute, Raffaele Fitto agli Affari Europei, Chiara Colosimo alla Gioventù e allo Sport. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio sarà Giovanbattista Fazzolari.
In quota Lega ci saranno i ministri: Matteo Salvini (Infrastrutture e vicepremier), Gian Marco Centinaio all’Agricoltura, Roberto Calderoli agli Affari Regionali, Simona Baldassarre alla Disabilità, Giuseppe Valditara alla Pubblica Istruzione.
In più un esponente della Lega sarà al ministero dell’Economia e delle Finanze ma scelto come “tecnico” (Giancarlo Giorgetti) e Matteo Piantedosi, ex capo di gabinetto di Salvini, andrà al ministero dell’Interno.
Chiudono la lista Giordano Bruno Guerri, di area Fdi e dato come ministro della Cultura, e Maurizio Lupi del Centro che andrà ai Rapporti con il Parlamento. Per la Salute si fa il nome anche di Guido Bertolaso. Che in caso andrebbe tra i tecnici. Non sembra una decisione definitiva nemmeno quella sulla Cultura.
Lo staff di Meloni a Palazzo Chigi
Vediamo anche come si comporrà lo staff che seguirà la nuova premier a Palazzo Chigi. Come sottosegretario alla presidenza, Meloni dovrebbe portare con sé Giovanbattista Fazzolari, Anche se con un cambio dell’ultim’ora potrebbe tornare in auge la figura di Giuseppe Chiné, attuale capo di gabinetto di Daniele Franco. Anche se a quanto pare Giorgetti ha chiesto di tenerlo al Mef.
Un altro nome che circola, scrive oggi Il Messaggero, è quello di Carlo Deodato. È l’attuale responsabile dell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi. E potrebbe diventare il segretario generale alla presidenza del Consiglio. Venendo a sua volta rimpiazzato dal costituzionalista Alfonso Celotto.
Tra le new entry si parla anche di Gino Scaccia, attuale capo di gabinetto al ministero del Turismo. Nello stesso ruolo ma a Palazzo Chigi potrebbe arrivare Riccardo Pugnalin, ex vicepresidente di Sky Italia. Un altro nome che circola è quello di Luigi Fiorentini.
(da Open)
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Ottobre 18th, 2022 Riccardo Fucile
MATTEO RENZI NON PARTECIPERA’ ALLE CONSULTAZIONI AL QUIRINALE”
La data era scritta sul calendario da tempo: dopo la nomina dei capigruppo e la votazione dei vicepresidenti di Camera e Senato, le prossime tappe istituzionali per la formazione del nuovo esecutivo entreranno nel vivo nelle giornate di giovedì e venerdì. Quelli sono i due giorni indicati per le consultazioni al Colle da Sergio Mattarella.
Quelli sono i due giorni (si parte con i senatori a vita e con i rappresentanti di Montecitorio e Palazzo Madama) che serviranno a trovare la quadra con le valutazioni dei vari partiti (di maggioranza e opposizione) riferite al Presidente della Repubblica.
E oggi è stata annunciata la prima rumorosa defezione, quella di Matteo Renzi.
Il leader di Italia Viva, che alle ultime elezioni si è presentato in ticket con Azione sotto il nome di “Terzo Polo”, non salirà al Colle. Non parlerà e non si confronterà con il capo dello Stato nella giornata di venerdì (quella dedicata a tutti i partiti). Ad annunciare questa “decisione”, durante il suo intervento al Tg1 Mattina, è stato proprio Carlo Calenda.
“Renzi ha fatto un passo indietro, non verrà alle consultazioni, ha anche molti impegno all’estero. Alle consultazioni andrò con i capigruppo e con Teresa Bellanova, che è presidente di Italia Viva”.
L’ex Presidente del Consiglio ed ex segretario del Partito Democratico, dunque, sarà il grande assente di queste consultazioni. Non salirà al Colle nella giornata di venerdì per via di alcuni impegni all’estero.
Al suo posto, al fianco di Carlo Calenda e dei capigruppo che saranno definiti e nominati nella giornata di oggi, ci sarà l’ex Ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova che, lo scorso 25 settembre, non è stata premiata dalle urne – era stata candidata da Italia Viva, nel ticket con Azione, al collegio plurinominale in Puglia e a quello Sicilia 1 – ed era rimasta fuori dal Parlamento.
(da agenzie)
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Ottobre 18th, 2022 Riccardo Fucile
L’INTESA SULLA SQUADRA DI GOVERNO NON ESAURIRÀ I PROBLEMI DELLA COALIZIONE
Da ieri Arcore non è più la capitale del centrodestra, per la prima volta guidato da una personalità politica. La visita di Berlusconi nella sede di FdI ha simbolicamente segnato questa doppia novità storica. E l’accettazione del cambio epocale da parte del Cavaliere chiude un inizio molto travagliato, durante il quale il presidente di Forza Italia è parso non accettare il risultato delle urne.
La reazione ruvida è servita a Meloni per esercitare il suo primato nella coalizione: chiariti i ruoli, la premier in pectore si giocherà la leadership nella difficile prova di Palazzo Chigi, dove non sarà solo chiamata a destreggiarsi tra i delicati dossier di governo ma dovrà mostrare anche la capacità di rapportarsi con i partner dell’alleanza.
E su questo punto Meloni è già a un bivio: nella gestione quotidiana dovrà scegliere se adottare il metodo della collegialità o preferirgli la logica dell’accentramento.
Perché è vero che gli elettori le hanno affidato un mandato pieno, e che questo mandato sarà l’alfa e l’omega della legislatura. Ma il mare tempestoso che dovrà affrontare, imporrà in Consiglio dei ministri una coesione non formale.
E un eccesso di leadership potrebbe innescare meccanismi di auto-difesa negli alleati. Il tema è presente nelle analisi dello stato maggiore di FdI, dove sono consapevoli che la «staffetta» tra Meloni e Berlusconi non ha definitivamente chiuso la partita con Forza Italia e nemmeno con la Lega.
Semmai il cambio della guardia nel centrodestra presuppone «un cambio di approccio» con i partner da parte di chi ora li guida: la capacità cioè di coinvolgere nelle dinamiche parlamentari e di governo l’area più riottosa dell’alleanza. Tra gli azzurri, l’accordo sui ministeri ieri era vissuto in alcuni settori come un anticipo di «Anschluss», di un’annessione da parte di Meloni.
Quanto alla Lega, la generosità sugli incarichi dimostrata dalla premier in pectore verso Salvini, si combina con le difficoltà di un partito dove Bossi ha rotto il clima di tregua interno, riproponendo a modo suo la «questione settentrionale».
Un evento mediaticamente passato in secondo piano, ma che politicamente è stato colto da FdI. Dove hanno notato un passaggio del discorso d’insediamento pronunciato dal neo presidente della Camera: quando in Aula Fontana ha citato il leader storico del Carroccio, Giorgetti si è subito levato in piedi chiamando la standing ovation.
È chiaro quindi che l’intesa sulla squadra di governo non esaurirebbe (e non esaurirà) i problemi della coalizione, messa in tensione dai problemi interni delle forze che la compongono. Una situazione per certi versi fisiologica, visto che le urne si sono chiuse meno di un mese fa.
Ma all’esecutivo non sarà concesso tempo per una fase di assestamento, perché le due crisi – quella interna e quella internazionale – lo costringeranno immediatamente ad affrontare una situazione senza precedenti dal secondo dopoguerra: per il Paese, l’Europa e l’Occidente.
Meloni non avrà a disposizione una fase di rodaggio. Perché una parte consistente dell’opposizione fa già mostra di un processo di radicalizzazione, in Parlamento come nelle piazze.
E perché i partner internazionali hanno già fatto capire di tenere sotto osservazione il primo gabinetto italiano guidato dalla destra. Così la leader di FdI dovrà superare un doppio e difficile crash-test, per costruire un nuovo centrodestra e al contempo portare l’Italia fuori dai marosi della recessione.
La durezza con la quale ha avvisato per tempo gli alleati che non si lascerà quotidianamente logorare, dà l’idea dell’obiettivo politico di Meloni. Ma è nella stanza dei bottoni che dovrà dar prova delle sue capacità di governo, cercando – come dice – di «unire l’Italia»: l’esame che non la fa dormire e le fa «tremare le vene ai polsi» si avvicina.
Francesco Verderami
(da il “Corriere della Sera”)
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Ottobre 18th, 2022 Riccardo Fucile
SI E’ SPENTO NELLA SUA AMATA GENOVA ALL’ETA’ DI 80 ANNI… NOVE ANNI FA LA TRAGICA MORTE DEL FIGLIO
La sua voce, le sue melodie suonate tra la tastiera e la chitarra hanno fatto epoca e hanno scritto delle pagine indelebili nel lungo romanzo della musica leggera italiana. Questa notte, purtroppo, è morto Franco Gatti, uno dei fondatori e pilastri storici dei “Ricchi e Poveri”. Era nato a Genova il 4 ottobre del 1942, aveva compiuto 80 anni da pochissimi giorni. E si è spento proprio nel capoluogo ligure nella notte tra lunedì 17 e martedì 18 ottobre.
La notizia della sua morte è stata confermata, ad AdnKronos, dal manager Danilo Caruso. Franco Gatti aveva abbandonato la band – con cui aveva trionfato al Festival di Sanremo del 1985 con il brano “Se m’innamoro” – nel 2016, dopo un periodo molto complicato per lui a livello personale e familiare. In un’intervista, infatti, spiegò il perché di quella sua decisione: “L’età avanza e non me la sento più di girare il mondo… Poi, da quando è mancato mio figlio è cambiato tutto”.
Una vicenda drammatica avvenuta nel febbraio del 2013, quando i “Ricchi e Poveri” stavano per esibirsi sul palco dell’Ariston come ospiti speciali di una delle serata del Festival. La notte precedente all’evento, infatti, il figlio del cantante e musicista venne trovato morto a soli 23 anni a causa di una overdose da sostanze stupefacenti.
Un dolore incolmabile che lo portò alla decisione di smettere con la musica (fatta eccezione per una breve reunion nel 2020 dopo che la band era passata dal quartetto iniziale al trio, per poi rimanere con il solo due composto da Angela Brambati e Angelo Sotgiu).
Oltre al dolore per la perdita del figlio, Franco Gatti ha lottato per anni contro una malattia: era affetto dal Morbo di Crohn diagnosticato in giovane età. Ma l’infezione da Sars-CoV-2 aveva fatto ricomparire tutti quei sintomi che sembravano essere placati senza effetti nefasti sulla sua salute.
(da agenzie)
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Ottobre 18th, 2022 Riccardo Fucile
L’EX ALLIEVA DELL’AERONAUTICA: “TANTI SOLDATI E TANTI CIVILI STANNO MORENDO PER DIFENDERE NOI, PER DIFENDERE L’EUROPA. BASTA FARE FILOSOFIA SULLA PELLE DEGLI ALTRI”
La 23enne Giulia Schiff, tornata in Italia da qualche giorno, è pronta a ripartire per l’Ucraina. Schiff, espulsa dall’Aeronautica italiana dopo aver denunciato episodi di nonnismo, è tornata per partecipare alla manifestazione dell’Associazione Cristiana degli Ucraini in Italia, annuncia oggi in un’intervista a La Stampa che tornerà in Ucraina «domani. Voglio continuare a combattere. Adesso la situazione sul terreno è estremamente delicata. Io mi occupo di ricognizioni. Mi unirò alla controffensiva a Kupjansk».
Dice di essersi abituata all’idea che rischia di morire: «Potrei morire sempre. Anche adesso strozzata da uno spaghetto».
Durante la guerra, come aveva già raccontato, ha trovato l’amore: «Un soldato partito da Israele per le mie stesse ragioni. Stiamo insieme, combattiamo insieme, ci guardiamo le spalle. Ma dopo l’ultima missione lui è in convalescenza, non posso dire di più».
Giulia Jasmin Schiff, che ha il nome in codice di Kida, dice che il comandante del suo team la chiama “piccolo mostro”.
E che in sette mesi al fronte non ha mai incrociato un’arma italiana: «All’inizio mi hanno detto che erano arrivate delle mitragliatrici così vecchie da sembrare reperti archeologici».
E sulla situazione attuale pronostica: «Secondo me, adesso Putin sta iniziando a chiedere l’intervento della diplomazia perché noi siamo sulla base d’attacco. Siamo alla controffensiva. Stiamo liberando territori. Ma purtroppo la realtà della guerra è molto diversa da come viene raccontata. La situazione è molto più grave».
E chiede all’Italia di essere più vicina all’Ucraina: «Serve più empatia. In questo momento tanti soldati e tanti civili stanno morendo per difendere noi, per difendere l’Europa. Non si può fare troppa filosofia sulla pelle degli altri».
(da agenzie)
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