Ottobre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
HA CHIARITO CHE NON GRADISCE UN TECNICO COME LA BELLONI AGLI ESTERI, MA VORREBBE TAJANI… L’ALTERNATIVA “POLITICA” ALLA FARNESINA POTREBBE ESSERE URSO
Come solo lui sa fare, miscelando l’avvertimento con il massimo del garbo, Silvio Berlusconi ha ricordato a Giorgia Meloni che Forza Italia è «decisiva» per la maggioranza «sia alla Camera che al Senato». Per una regola della politica che in Italia è sempre valida, i partiti minori di una coalizione sono quelli che possono avere potere di vita e di morte su un governo.
Vale per gli azzurri del patriarca di Arcore, come per Matteo Salvini. Ed è chiaro che in un’alleanza a tre, il primo passo di chi guida non deve essere imprudente verso nessuno degli altri due soci.
Meloni ha capito il messaggio ben prima di mettere piedi nella villa brianzola. Si era preparata all’incontro leggendo l’intervista de La Stampa in cui Berlusconi ieri ha precisato quali siano gli elementi utili per una buona convivenza. Due paletti, su tutti. Il fondatore di Fi è furioso per come sono stati spartiti i collegi uninominali prima del voto. L’effetto indubbiamente distorsivo ha premiato la Lega, che con quasi gli stessi voti dei forzisti ha incassato più parlamentari.
Un’ingiustizia agli occhi dell’ex premier che va sanata concedendo a Fi lo stesso numero di ministri del Carroccio, e almeno uno di prima fascia. Come Salvini, poi, Berlusconi non vuole un governo sbilanciato sulla parte tecnica.
Va bene avere un tecnico all’Economia, perché l’ombra di un disastro sociale sconsiglia di azzardare profili che non siano rassicuranti per Bruxelles; va bene, al limite, farlo per l’Interno, perché il caso Salvini, dopo un anno e mezzo al Viminale al tempo del governo gialloverde, non tranquillizza nessuno, dal Quirinale in giù. Ma sul resto, sostiene il leader, «servono figure politiche».
Lo schema dei due vicepremier politici – in teoria: Salvini e Antonio Tajani per Fi – regge, ma non basta. Per esempio, Berlusconi pensa che agli Esteri non debba andare un esperto esterno ai partiti, un ambasciatore, o Elisabetta Belloni, ex segretario generale della Farnesina, e attuale capo del Dis, il Dipartimento che coordina i servizi segreti. Non è questione di stima, perché Belloni è stimatissima tra gli azzurri. Ma di forma.
I berlusconiani credono che se in un governo come quello di Draghi ci sia stato spazio per un leader politico come Luigi Di Maio, a maggior ragione con Meloni premier quella poltrona potrà andare ai rappresentanti di vertice di uno dei tre principali partiti della maggioranza. Per Berlusconi il più adatto sarebbe Tajani.
L’argomento è stato toccato durante il confronto di ieri. L’ex presidente dell’Europarlamento, è la tesi del Cavaliere, «darebbe una garanzia in Europa» alla futura presidente del Consiglio, perché la coprirebbe con i popolari, ma anche grazie alle sue ottime relazioni trasversali.
In generale, leghisti e forzisti pensano che, dopo aver raccolto consensi contro Draghi, rivendicando il primato della politica, Meloni cadrebbe in contraddizione se dovesse forzare sui tecnici, anche di altissimo livello.
L’alternativa – di partito – per la Farnesina potrebbe essere Adolfo Urso, presidente uscente del Copasir, tornato da due viaggi, negli Usa e in Ucraina, che sono serviti per dimostrare la fede atlantica del nuovo corso in Italia. Tra lui e Tajani è sfida a due per chi andrà alla Difesa e chi agli Esteri. Il prescelto potrebbe accompagnare la futura premier a Kiev.
Ieri Meloni ha ricevuto l’invito del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, e dentro FdI non escludono che potrebbe essere uno dei primi viaggi che farà dopo l’ingresso a Palazzo Chigi.
Sarà interessante, anche per il rapporto non semplice dei sovranisti italiani con l’asse franco-tedesco, quali tappe iniziali sceglierà per il suo tour nelle cancellerie europee e tra i Paesi alleati.
Nella nota congiunta rilasciata al termine dell’incontro Berlusconi-Meloni, i due fanno riferimento alle prossime tappe.
L’impressione, dentro FI, è che la leader non riesca a far quadrare le caselle, perché non è facile trovare un posto adatto per Salvini: «Ma su Economia, Interno e Difesa, come sai, non possiamo decidere da soli, senza il Quirinale» è il ragionamento condiviso con Berlusconi.
Bisogna comunque fare in fretta – concordano – a partire dai presidenti di Camera e Senato, e far partire il governo. La piaga energetica non permette di perdere tempo. La leader di Fdi assicura di essere già al lavoro per definire la cornice di un nuovo decreto contro il caro bollette. Resta contraria allo scostamento. Gli alleati sono un po’ più possibilisti.
(da La Stampa)
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Ottobre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
L’EX GHOSTWRITER DI PUTIN: “NON HA ALCUNA STRATEGIA, E’ IN BALIA DEGLI EVENTI E DELLE PERSONE”
“L’utilizzo della bomba atomica per Putin è l’extrema ratio. Se mai decidesse di sferrare un attacco nucleare potrebbe perdere ogni legittimazione agli occhi dell’esercito, che potrebbe fare un golpe”. Abbas Galljamov è il ghostwriter di Putin. Per anni ha scritto i discorsi del presidente russo. In un’intervista a Repubblica parla dell’orazione tenuta dal premier russo sull’annessione di quattro regioni ucraine e della probabilità – secondo lui remota – che Putin utilizzi la bomba atomica. Si legge sul giornale:
“Finora, ogni volta che si è sentito minacciato politicamente, Putin ha scelto l’escalation. Se perdesse l’offensiva in Ucraina, perderebbe anche il potere. E per lui vorrebbe dire il carcere. Se non gli restasse altra via d’uscita, non è escluso perciò che Putin possa decidere di sferrare un attacco nucleare contro l’Ucraina. Certo, non lo vuole. Si tratterebbe dell’extrema ratio. Ma la domanda è se l’esercito gli obbedirà. Perché, se mai Putin decidesse di sferrare un attacco nucleare, vorrebbe dire che è stato totalmente sconfitto sul piano delle armi convenzionali e che ha perso ogni legittimazione agli occhi degli ufficiali dell’esercito. Che a questo punto potrebbero rifiutarsi di eseguire i suoi comandi. E il rifiuto sarebbe un golpe”.
Secondo Galljamov anche l’orazione sull’annessione delle quattro regioni ucraine con le invettive contro l’occidente sono state solo propaganda. “Il 99 per cento di quello che ha detto era solo propaganda. Emozione. Quasi nulla che avesse conseguenze reali. L’unica cosa degna di nota è stata la sua dichiarazione di essere pronto ad andare al tavolo delle trattative, ma allo stesso tempo di non voler discutere del futuro dei territori annessi” afferma. E secondo lui il discorso non ha fatto che creare delusione nella popolazione russa.
“Sia l’élite che la popolazione hanno capito che Putin non ha più nulla di nuovo da dire. Il che significa anche che le cose continueranno ad andare allo stesso modo. Putin non ha mostrato di avere nessun asso nella manica per invertire la tendenza. E la tendenza è negativa. Gli ucraini stanno vincendo sul campo, l’economia russa sta morendo e il malcontento popolare sta crescendo. Avrebbe dovuto presentare un nuovo approccio. E invece niente”.
Galljamov è convinto che il referendum sull’annessione dei nuovi territori significi solo che Putin non ha nessuna strategia. La scelta di annettere nuove terre secondo il ghostwriter, non è sua. “Non è lui il leader. Non è lui a guidare, viene guidato. È in balia degli eventi e delle persone. Non ha più il controllo. Ognuno agisce autonomamente perseguendo i propri obiettivi. È quello che succede quando sei debole e stai perdendo. Putin non voleva annettere nuovi territori in questo momento. Due settimane fa il Cremlino aveva detto che la questione dei referendum e dell’annessione era sospesa, che prima bisognava vincere sul piano militare e poi si poteva passare alla fase politica”. Allo stesso modo anche il sistema politico su cui si è retto il premier russo per 20 anni è in crisi.
“Ci sono profonde crepe. I leader separatisti, ad esempio, hanno forzato i referendum di concerto con Andrej Turchak, segretario del Consiglio generale del partito Russia Unita, agendo contro Sergej Kirienko incaricato di controllare i territori annessi. Dipenderà tutto da che cosa succederà sul campo di battaglia”.
Ecco perché, secondo Galljamov, è così improbabile che Putin utilizzi la bomba atomica.
(da la Repubblica)
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Ottobre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
“STA INVENTANDO UN QUADRO IDEOLOGICO PER GIUSTIFICARE L’INVASIONE”
A Fanpage.it l’ammiraglio Gianpaolo Di Paola ha spiegato le conseguenze di questi sviluppi della Guerra in Ucraina e dei rischi connessi.
La decisione di Vladimir Putin di annettere i quattro territori ucraini è l’ultima mossa del presidente russo nella sua battaglia con l’Ucraina ma anche con l’Occidente. Cosa significa e cosa c’è da attendersi?
L’annessione dei territori ucraini alla Russia è una mossa di disperazione di Putin. Lui dichiarando questi territori parte della Madre Russia, in un momento di difficoltà come quello che sta affrontando, un domani potrà dichiarare la mobilitazione generale giustificandola con la necessità di difendere la patria, facendo leva sul sentimento patriottico del popolo russo. È chiaro che questo è il senso della sua mossa. Questo però non sarà così agevole per lui visto quello che sta succedendo, con proteste e persone in fuga dalla Russia dopo essersi rese conto di ciò che sta succedendo.
L’annessione potrebbe essere vista anche come una mossa per giustificare l’eventuale uso di armi nucleari tattiche da parte di Mosca?
Ovviamente lui spera di poter tenere questi territori conquistati perché il tentativo di capovolgere il governo ucraino è fallito, ma la campagna militare non sta andando come voleva lui. Siccome sta perdendo sul piano della campagna militare, dunque quella di Putin è una mossa preparatoria. Dice questo non è più territorio ucraino ma russo e quindi, nella misura in cui ne avrà bisogno, ha la giustificazione per dichiarare la mobilitazione generale ma, se fosse così pazzo da farlo, potrebbe anche usare misure estreme sulla base della dottrina militare difensiva russa, dicendo che stanno attaccando il territorio russo. In questo modo Putin si pone nella posizione di poter eventualmente ulteriormente scalare nel conflitto, giustificandolo con l’attacco alla madre Russia. Questa però è una mossa di un uomo che chiaramente si trova in grossa grossa difficoltà.
La reazione di Kiev all’annessione di suoi territori annunciata da Putin è stata quella di chiedere immediatamente l’adesione rapida alla Nato. L’Alleanza rischia di essere coinvolta sempre di più?
Una reazione naturale da parte dell’Ucraina. Anche io se fossi stato Zelensky avrei detto a questo punto vengo usurpato in maniera violenta e illegale di pezzi rilevanti del mio territorio e quindi chiedo di poter avere una difesa entrando nella Nato. È chiaro che una volta entrato potrebbe dire sono sotto attacco e la Nato entrerebbe in guerra contro la Russia. È questo è il problema di fondo geopolitico.
Putin nel suo discorso ha fatto riferimento di nuovo all’Occidente e i Paesi Nato, ricordando che non possono essere i padroni del mondo. È sintomo che il presidente russo vede già l’Europa e gli Usa come i veri avversari di questa guerra e non più l’Ucraina?
Putin si sta inventando tutto un quadro ideologico per giustificare quello che sta facendo. Anche con queste affermazioni spera di poter fare leva su patriottismo russo. A me fa venire in mente quello che avvenne in Italia e i discorsi che si facevano da noi prima della guerra mondiale con la creazione di un quadro distaccato dalla realtà ma per far leva sulla popolazione.
L’annessione delle zone del Donbass poterebbero essere anche una mossa preparatoria per dire che “l’operazione speciale” è conclusa e che si possa tornare al tavolo della pace?
Stante la situazione attuale, a questo punto a Putin piacerebbe questa soluzione ma il problema è che, giustamente, non sta bene agli ucraini e credo non possa star bene neanche al mondo occidentale e al mondo in generale. Il fatto che anche Paesi più vicini come Cina e l’India stiano prendendo le distanze, via via che la follia di Putin diventa sempre maggiore, è significativo. Siamo a una follia geopolitica.
(da Fanpage)
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Ottobre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
“DISTINGUEREI I TIMORI LEGATI AI COSTI DAI TIMORI SULLA QUANTITA'”
In questo momento, sul tema del gas, “distinguerei i timori legati ai costi dai timori sulla quantità”, in quanto in questo periodo “in Italia stiamo trasportando” gas all’estero, per cui “la situazione, a livello di quantità, non e’ complessa”, lo è però “a livello di costi”.
Lo ha affermato il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, intervenendo alla trasmissione ‘1/2hInPiu” condotta da Lucia Annunziata.
Nello specifico, ha sottolineato il ministro, verso Austria e Germania in questo momento “stiamo esportanto tra i 18 e i 20 milioni di metri cubi e poi ci sono 40 milioni di metri cubi per gli stoccaggi”.
A livello di stoccaggi “abbiamo preso un impegno europeo di arrivare a fine ottobre al 90% e noi ci siamo arrivati a fine stettembre, e ora puntiamo ad aumentarli”. Per il ministro questo livello “ci permetterà di avere più flessibilità per questo inverno”.
Pertanto in questo momento, ha sottolineato il ministro, la situazione attuale “ci porta a simulazioni in cui noi abbiamo un inverno ‘coperto’”, al netto di “eventi catastrofici” come ad esempio “un clima molto rigido”, senza tralasciare il fatto che attualmente “i flussi di gas continuano ad arrivare”.
(da agenzie)
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Ottobre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
RISULTATO? L’86% DELLE IMPRESE HA VALUTATO POSITIVAMENTE L’ESPERIMENTO E IN MOLTE MANTERRANNO IL REGIME DI 4 GIORNI VISTO CHE IN ALCUNI CASI LA PRODUTTIVITÀ È AUMENTATA
Il Regno Unito ha tanti problemi e un “outlook” fosco per il futuro: inflazione galoppante, costi della vita sempre più alti, disoccupazione bassa (3,8%) ma anche circa 1,5 milioni di posti di lavoro vacanti, sterlina a picco (1,09 sul dollaro) e ora un radicale e controverso taglio delle tasse ai ricchi deciso dalla nuova prima ministra Liz Truss, in nome del suo credo ultra-liberista già rinominato “Trussnomics”. Tuttavia, almeno nel mercato del lavoro, sembra esserci qualche fresca novità per il futuro.
Nei giorni scorsi, infatti, si è conclusa la prima parte dell’esperimento di “settimana corta” per oltre 70 aziende britanniche dei settori più disparati: dalla ristorazione alla finanza, dal marketing alla sanità. I lavoratori hanno preso servizio solo quattro giorni alla settimana, l’80% del tempo usuale, senza però avere decurtazioni in busta paga. In tutto, 3.300 assunti stanno partecipando al progetto. Ora, al giro di boa del test che durerà complessivamente sei mesi, i dati sono confortanti, secondo la Bbc .
Sinora, delle 73 imprese coinvolte, 41 hanno deciso di condividere il proprio responso: l’86% di queste valuta positivamente l’esperimento della settimana corta e hanno già confermato che manterranno il regime di 4 giorni di lavoro per i propri impiegati, una volta che si concluderà il periodo pilota, come per l’esempio Amplitude Media, un’agenzia di marketing di Northampton, mentre l’associazione di Bristol “City to Sea”, per esempio, ha già adottato il nuovo corso permanentemente. Per loro, l’esperimento sta funzionando bene e per il 95% delle aziende che hanno risposto positivamente, la produttività interna è rimasta la stessa. O, in alcuni casi, è addirittura aumentata.
L’associazione che ha lanciato il pilot, “4 Day Week”, ha dichiarato che la settimana corta, in base ai dati dei primi tre mesi dell’esperimento, ha permesso ai lavoratori con figli di risparmiare sensibilmente sulle proprie spese: la stima è di circa 300 euro al mese, pari a oltre 3500 all’anno. Inoltre, ci sono altri vantaggi come i risparmi sulle bollette energetiche delle aziende, soprattutto in questo periodo di costo della vita e inflazione galoppanti. Al programma “4 Day Week”, partecipano imprese anche di altri Paesi: Stati Uniti, Irlanda, Nuova Zelanda e Australia.
Ieri, alla luce di queste premesse promettenti, il parlamentare laburista Peter Dowd ha presentato ufficialmente un disegno di legge per ridurre a livello nazionale la settimana lavorativa a un massimo di 32 ore, dalle 48 previste oggi. Il Parlamento di Westminster ne inizierà a discutere dal 18 ottobre, anche se la sua approvazione al momento pare improbabile. Il ddl prevede anche che coloro che lavorano più di 32 ore a settimana, devono essere retribuiti con il 50% in più in busta paga per ogni straordinario.
(da la Repubblica)
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Ottobre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
E’ EVIDENTE LO SCOPO CONGRESSUALE DELL’OPERAZIONE: UN COLPO AL CUORE DEL VECCHIO PROGETTO SALVINIANO DI UNA LEGA NAZIONALE
Era difficile immaginare che tutto rimanesse intatto, immobile, dopo un disastro elettorale di tale portata, e che il profumo di governo riuscisse a sedare ogni malumore in casa Lega.
La prima incrinatura nell’immagine del “partito di ferro”, caserma del salvinismo duro e puro, si apre dove la delusione è stata più forte: nelle regioni del Nord. Umberto Bossi, fresco di rielezione in Parlamento, annuncia la nascita di una corrente. Si chiamerà «Comitato Nord», fa sapere “il Senatùr”, e lotterà per rinverdire la battaglia autonomista.
«È un passaggio vitale – ha spiegato Bossi -, finalizzato esclusivamente a riconquistare gli elettori del Nord, visto il risultato elettorale del 25 settembre, e per rilanciare la spinta autonomista».
Nel Comitato Nord sono invitati ad aderire – sottolinea Bossi – tutti gli iscritti «che vogliono impegnarsi con rinnovato entusiasmo alla conquista degli obiettivi che sono stati alla base della fondazione della Lega nel marzo 1984». Un progetto dal sapore un po’ amarcord e già in fase avanzata, dato che «sono state poste le basi per la struttura organizzativa del Comitato».
È un colpo che mira al cuore del vecchio progetto salviniano di una Lega nazionale. Fuoco amico a cui Salvini, senza mai citare l’iniziativa di Bossi, risponde lasciando che a parlare sia una nota uscita da via Bellerio: «Dopo trent’anni di battaglie – si legge -, questa sarà la legislatura che finalmente attuerà quell’Autonomia delle regioni che la Costituzione prevede. È nel programma del centrodestra».
La risposta, uscita poco dopo l’annuncio della nascita della corrente di Bossi, è il segno che la grana venga considerata tutt’altro che simbolica dal leader, impegnato a tenere insieme con lo spago la sua rete di potere nelle regioni del Nord. Prima tra tutte, la Lombardia.
Perché qui, dove prosegue lo scontro per la corsa alla presidenza tra il governatore Attilio Fontana e la vice, Letizia Moratti, si annidano i sospetti di un possibile inserimento di Giorgia Meloni.
Se il contrasto tra i due proseguirà ancora a lungo, la leader di Fratelli d’Italia – ragionano i vertici leghisti del Pirellone – potrebbe liberare il tavolo dai «nomi divisivi», né Fontana né Moratti, e proporre un suo candidato. Forte, oggi, del risultato ottenuto alle elezioni, dove ha sbaragliato la Lega.
Non a caso, il fedelissimo di Salvini e vicesegretario Lorenzo Fontana, lancia un primo avvertimento agli alleati: « Per la Lega, Attilio Fontana è una figura fondamentale così come lo è la Regione Lombardia – dice a Radio 24 -. E ne approfitto per dire a tutto il centrodestra di evitare le divisioni, non è il momento di fare sciocchezze».
Il braccio destro di Salvini è l’unico autorizzato a parlare, in una giornata in cui il leader ordina il silenzio a tutto il resto delle truppe, per non disturbare le trattative per la formazione del governo.
La casella più complicata resta la sua. Le voci degli ultimi giorni lo indirizzerebbero verso il ministero dell’Agricoltura e lo stesso Salvini, in mattinata, twitta: «La difesa di agricoltori, allevatori e pescatori italiani sarà una priorità del nostro governo». Fontana però scansa l’ipotesi: «Non penso sia nelle sue corde».
(da agenzie)
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Ottobre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
PER IL DOPO LETTA BONACCINI ED ELLY SCHLEIN RISULTANO I NOMI PIU’ COMPETITIVI
A una settimana dalle elezioni i test delle intenzioni di voto confermano le indicazioni dei risultati di domenica scorsa, evidenziando solo piccole variazioni decimali in cui si distingue il Movimento 5 Stelle, che registra un +0,8% di effetto band-wagon.
Un aspetto davvero interessante, invece, emerge dall’approfondimento delle motivazioni espresse dai cittadini circa la loro scelta e le possibili spinte.
L’84,3% degli elettori del 25 settembre ha dichiarato di aver dato una preferenza consapevole e convinta, anche a prescindere dalla possibile vittoria. Viceversa il 15,7% ha espresso un voto “contro” piuttosto che a favore, semplicemente per non far vincere la controparte.
Il dato che sorprende in questo contesto è che un terzo degli elettori del Partito Democratico ha votato “turandosi il naso” (29,4%). Facendo un passo in avanti e osservando la demografia di chi non ha votato (36,1%) si scopre anche un buon 9,0% di elettorato che alle elezioni europee del 2019 aveva scelto il Pd di Zingaretti e che quest’anno invece ha deciso di stare a casa.
È vero che per l’alleanza di centrosinistra si è passati dagli 8,3 milioni del 2018 ai 7,3 milioni di oggi con un saldo negativo di poco più di 800.000 voti.
Se si va a ritroso nel tempo e più precisamente al Pd di Matteo Renzi del 2014 – il famoso 40,0% – le perdite stimate sono intorno ai 5 milioni.
È una lenta ma inesorabile perdita senza nuovi acquisti. Il Pd sta sacrificando la sua massa elettorale – da anni – a beneficio di altri partiti, che possiamo definire “spin off”, che da lui si sono generati e che in questa partita si sono presentati anche come i suoi principali competitor oltre al centrodestra.
Nel meccanismo del confronto sociale la fiducia, come forza propulsiva per ogni valutazione, è sempre al primo posto, tuttavia, se per Giorgia Meloni e Giuseppe Conte la loro leadership ha pagato la differenza, per Enrico Letta l’efficacia dei suoi messaggi non è stata rivoluzionaria.
Il Pd, come Forza Italia, trova principalmente il suo asse di sostegno nelle fasce più adulte della popolazione. Da solo ha perso il suo importante appeal tra i dipendenti, gli operai e i disoccupati che, già da tempo, si sono rivolti verso altre offerte politiche.
Dall’analisi degli ultimi dieci post su Twitter dei diversi leader, studiando le percentuali di engagement sui commenti, sulle condivisioni e sui like è emerso tra i principali topics dell’#GiuseppeConte: «Conte come salvezza contro la Destra». Il nuovo leader dei 5 Stelle si presenta – da sempre – nelle sue apparizioni pubbliche e soprattutto sui social più nei panni di una figura mediatica, piuttosto che nelle vesti di politico navigato.
Enrico Letta, invece, si mostra al pubblico con il peso di una vera cultura politica che si scontra più spesso con la velocità e il divenire che scandisce la società di oggi. Il 35,7% dell’elettorato del Pd individua nel suo Segretario il vero sconfitto di queste elezioni, tuttavia il tema si ripropone ad ogni mandato elettorale facendo emergere le difficoltà strutturali di un Partito, piuttosto che del Segretario di turno.
Guardando al futuro Stefano Bonaccini ed Elly Schlein risultano essere i nomi più competitivi per il dopo Letta, tuttavia tra gli elettori del Pd emerge, forse complice la vittoria di Giorgia Meloni alle ultime elezioni, una preferenza maggiore per la Vice Presidente della Regione Emilia Romagna (26,5% vs 22,4%).
Il dato più preoccupante, che ritorna ancora una volta, è che un sostenitore su tre del Pd (29,8%), anche in questo caso, non vuole o non sa esprimersi.
Questa titubanza dell’elettore, che cela una mancanza di chiarezza, di coinvolgimento e di prospettiva, rischia di alimentare – ancora di più – quel processo di erosione del consenso che sta interessando il Pd da almeno 8 anni. Ci si confronta più sulle necessità piuttosto che sulle possibilità!
Alessandra Ghisleri
(da La Stampa)
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Ottobre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
IL CREMLINO HA DOVUTO AMMETTERE LA RITIRATA DELL’ARMATA DELLA FEDERAZIONE
La prima crepa sul muro offensivo russo in Donbass è emersa in tutta evidenza venerdì, mentre il presidente Putin annunciava l’annessione alla Federazione di quattro regioni ucraine.
Tra queste il Donetsk, l’oblast dove si trova Lyman, la città in cui le truppe ucraine hanno messo a segno con successo una manovra a tenaglia circondando migliaia di soldati russi senza via di scampo. Con la chiusura del cerchio da parte delle forze di Kiev a nord e a sud-est di Lyman le truppe di Mosca non hanno più vie di fuga.
Il posizionamento è stato raggiunto nel giro di alcuni giorni sull’onda lunga della controffensiva iniziata più a nord nella regione di Kharkiv dove solo pochi e marginali territori rimangono nelle mani delle forze di Putin e dove proprio ieri i soldati di Mosca si sono macchiati dell’ennesima strage di civili che ha coinvolto anche diversi bambini.
La crepa nel muro offensivo del Cremlino è ancora più profonda se si considera che Lyman è stata per mesi un centro logistico delle operazioni dell’Armata russa, hub ferroviario strategico del Donetsk.
Perderla equivale a infliggere un duro colpo allo sforzo bellico di Putin nell’Ucraina orientale, tanto che dopo l’annuncio russo del ritiro il leader ceceno Ramzan Kadyrov è arrivato a consigliare allo Zar di utilizzare armi nucleari a bassa intensità.
I russi hanno usato la città come base per le operazioni nell’est da quando ne hanno preso il controllo a maggio, sulla falsariga di quanto avevano fatto in scala più ampia a Izyum a partire da marzo.
Perdere Lyman equivale anche a una significativa perdita simbolica per Putin proprio mentre il leader del Cremlino si sforza di metter in atto manovre pindariche, come i referendum, per rivendicare il controllo su tutta l’area del Donbass, composta dalle regioni di Donetsk e Luhansk, oltre che dagli oblast di Kherson e Zaporizhzhia.
«L’Ucraina ha circondato le forze russe a Lyman nell’ambito di un’operazione ancora in corso», conferma Serhii Cherevatyi, portavoce delle forze armate ucraine. «I russi sono isolati e non possono più ricevere rifornimenti», aggiunge Mykhailo Podolyak, consigliere presidenziale ucraino, secondo cui le forze di Mosca «dovranno arrendersi», se vogliono uscire vive da Lyman.
Secondo quanto riferito da Kiev le truppe di Putin a Lyman ammontavano a circa 5.000-5.500 soldati, ma il numero ora potrebbe essere inferiore a causa dei caduti durante la battaglia di questi giorni e dei soldati in fuga.
«Le truppe della Federazione Russa hanno fatto appello alla loro leadership supplicando di ritirarsi ma la richiesta è stata respinta dai comandanti della Federazione», racconta su Telegram il capo dell’amministrazione militare di Lugansk, Sergiy Gaidai. Le forze ucraine hanno così interrotto le comunicazioni di terra su cui si articolavano le catene di rifornimento nell’area di Drobysheve-Lyman e preso il controllo delle strade.
Determinante per il completamento della manovra a tenaglia è stata la conquista della cittadina di Yampil, a sud-est di Lyman, che complica enormemente la situazione complessiva delle forze russe nell’area
Le forze di Mosca, inoltre, continuano a ritirarsi anche dalle posizioni intorno a Lyman, sottolinea Isw, secondo cui «molti blogger militari sostengono che il ritiro russo da qui assomigli alla caotica ritirata dalla regione di Kharkiv, in termini di scarso coordinamento e mancanza di sostegno dell’artiglieria».
(da La Stampa)
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Ottobre 2nd, 2022 Riccardo Fucile
LA GARA CON LA LEGA PER SPARTIRSI LE POLTRONE
Prima della partecipazione della nuova premier in pectore all’assemblea di Coldiretti ieri si è svolto un incontro tra Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi. E al di là delle parole di circostanza, l’incontro con il leader azzurro «per un caffè» insieme a Marta Fascina e Licia Ronzulli è servito per mettere a punto nomi e ruoli del nuovo governo.
Per il quale c’è un problema. La nuova premier vorrebbe tecnici agli Esteri, agli Interni e all’Economia. Il Cavaliere, insieme a Matteo Salvini, dice di no. E lo scontro infiamma il totoministri.
Nel quale ancora manca il ruolo per il Capitano. E così, mentre alcuni in Forza Italia accusano Meloni di voler fare un governo Draghi senza Draghi, l’istruttoria rimane al punto di partenza. Mentre sembra sfumare la possibilità di dare la presidenza di una delle camere all’opposizione.
Interni, Esteri, Economia
La Repubblica spiega oggi in un retroscena che se dipendesse soltanto da lei la partita dei ministeri chiave sarebbe già chiusa.
Al Viminale andrebbe un tecnico come Matteo Piantedosi, già capo di gabinetto di Salvini e promosso a Roma da Lamorgese. Oppure Giuseppe Pecoraro, eletto nelle liste di Fdi.
Per la Farnesina ci sarebbe un altro eletto, ovvero Giulio Terzi di Sant’Agata. Mentre a via XX Settembre la nuova premier preferisce Fabio Panetta. Che però potrebbe succedere a Ignazio Visco in Bankitalia. E allora torna in campo l’ipotesi di spacchettare di nuovo il ministero. Con il Tesoro affidato a un tecnico e l’Economia a un politico. La Lega però non si rassegna a mollare il ministero dell’Interno. Ma su questo c’è anche la concorrenza di Forza Italia. Che potrebbe spendere il nome di Antonio Tajani. Un nome buono anche per la Farnesina.
Il Corriere della Sera fa il punto sulle richieste di Fi alla Meloni. Berlusconi vuole “pari dignità” con la Lega, visti i risultati delle urne.
E questo, nella traduzione dal politichese, significa almeno quattro ministeri. Di cui almeno uno di primo piano. I nomi del Cav sono Anna Maria Bernini, Licia Ronzulli, Simone Barelli, Alessandro Cattaneo, Andrea Mandelli. Per adesso Meloni nicchia. «Vedremo», risponde.
Ma ha perplessità, e molte, sul “cerchio magico” del Cav. Mentre sulla presidenza delle camere la proposta di Berlusconi è semplice: una alla Lega e una a Forza Italia. Nei primi giorni della prossima settimana la lista finirà nero su bianco. E lì comincerà il conto alla rovescia per il nuovo governo Meloni
«La lista dei ministri te la do io»
Il Fatto Quotidiano disegna invece uno scenario più complicato. Nel quale Berlusconi si impunta sulla lista dei ministri («te la do io»). E soprattutto dice che è il suo unico interlocutore nel partito. Questo significa esautorare i ruoli degli altri. In primis quello di Tajani. Mentre Salvini, sfumato il sogno Viminale, sta alzando la posta. E chiede il posto da vicepremier e una delega importante. Che potrebbero essere le Infrastrutture. Ma anche l’Agricoltura e gli Affari Regionali sono tra le richieste. Un altro nome spendibile per un ministero di peso è quello di Adolfo Urso. Che è appena tornato da un viaggio negli Stati Uniti e ieri ha incontrato il capo dell’ufficio di Zelensky Andriy Yermak. In programma, scrive oggi La Stampa, potrebbe esserci un viaggio a Kiev.
(da agenzie)
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