Novembre 24th, 2022 Riccardo Fucile
NEL CENTRODESTRA SONO IN PREPARAZIONE SGAMBETTI E AGGUATI SULLA LEGGE DI BILANCIO E LA STAMPELLA DEL TERZO POLO PUO’ ESSERE UTILE
Non può sfidare tutti. Né può respingere la mano tesa del Terzo polo,
che offre al governo collaborazione per portare a casa la manovra, proponendo alcuni importanti ritocchi e una profonda revisione dei saldi. Giorgia Meloni accetta dunque di incontrare Carlo Calenda la prossima settimana a Palazzo Chigi.
E lo fa anche perché le sentinelle parlamentari l’hanno avvertita di alcuni strani movimenti d’Aula sulla finanziaria. Scricchiolii che non mettono in discussione la tenuta della maggioranza – che anche a Palazzo Madama gode di numeri non risicati – ma lasciano credere che nel centrodestra siano in preparazione sgambetti e agguati proprio sulla legge di bilancio.
Non si tratta di immaginare una “stampella” del governo, nella testa del premier. O comunque: non ancora.
Ma certo, il timore è che da Forza Italia e Lega non manchi il fuoco amico. Il Carroccio vive ore delicate, perché il crollo nei sondaggi mette a rischio la leadership di Matteo Salvini e avvicina un congresso che potrebbe sancire il passaggio di consegne con Luca Zaia. Ma c’è di più. Il fastidio con cui Silvio Berlusconi ha atteso invano notizie sul testo della finanziaria è soltanto la cima di un risentimento più profondo diffuso tra gli azzurri. Durante l’iter parlamentare arriveranno proposte emendative potenzialmente deflagranti.
Il partito del Cavaliere punta ad esempio a un incremento più sostanzioso delle pensioni minime. Si pensa anche di rafforzare in qualche modo il superbonus, ridimensionato nel decreto aiuti quater. E ancora, sono allo studio dei forzisti aggiustamenti sul reddito di cittadinanza, la cui abolizione richiederebbe maggiore progressività. Senza dimenticare la volontà di rimettere mano anche all’ergastolo ostativo e alla contestata norma sui rave
In questo clima si inserisce la contromanovra del partito di Calenda e Matteo Renzi. Il leader di Azione va dritto al punto: «Questa finanziaria è pericolosa, non ha una visione. Ma la premier è nuova, pensiamo vada aiutata e non solo contestata. Chiediamo un incontro a Meloni per rivedere i numeri». Così non va, dunque, ma a saldi invariati la legge di bilancio può essere riscritta. L’obiettivo è distinguere con nettezza i destini della premier da quelli del suo vice leghista: «Dalla flat tax alle Ong, non c’è una proposta della Meloni.
La trasformazione del governo in un esecutivo Salvini sarà un Armageddon per il Paese. E non è quello che vuole la presidente del Consiglio».
«Questa manovra – aggiunge Renzi – non è né carne né pesce. Proveremo a migliorarla in Parlamento».
La prima reazione di Palazzo Chigi è gelida. «Calenda – dice Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario alla Presidenza – è un chiacchierone. Aspettiamo le sue idee geniali». Dopo poche ore, però, la marcia indietro. E Palazzo Chigi che lascia trapelare l’intenzione di ricevere Calenda per valutare la sua contro-manovra, a cui ha lavorato Luigi Marattin.
(da agenzie)
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Novembre 24th, 2022 Riccardo Fucile
MAURIZIO LEO CON LA DELEGA AL FISCO È UN MINISTRO DELLE FINANZE DE FACTO: GIORGETTI È DI FATTO COMMISSARIATO
Il governo Meloni non lavora ancora al completo: la maggior parte dei viceministri e sottosegretari non ha ancora le deleghe assegnate.
Solo a Maurizio Leo, viceministro all’Economia e di fatto il principale consigliere della premier sui temi economici, è stata già affidata (con decreto del presidente della Repubblica) la delega al Fisco rendendolo un ministro delle Finanze de facto.
È stato lui a scrivere la parte fiscale della legge di Bilancio ed è stato lui che – in maniera inusuale – si è presentato in conferenza stampa con Meloni e Giancarlo Giorgetti per presentarla.
Fratelli d’Italia sembra voler fare il pieno e prendersi i dossier più importanti. La partita più scottante politicamente si sta giocando al ministero della Giustizia dove Carlo Nordio è stato affiancato dal meloniano Andrea Delmastro Delle Vedove e dal leghista Andrea Ostellari che devono mitigare le sue posizioni “ipergarantiste”, oltre al viceministro forzista Francesco Paolo Sisto.
Al Ministero delle Imprese e del Made in Italy – il vecchio Mise – il meloniano Adolfo Urso ha deciso di tenersi le deleghe più pesanti senza cederle ai sottosegretari: Urso avrà quella allo Spazio (già ufficializzata nell’ultimo Consiglio dei ministri) che vale 2,3 miliardi del Pnrr, ma anche quella alle Politiche industriali e soprattutto quella alle Telecomunicazioni. Un modo per tenere lontano il viceministro di Forza Italia Valentino Valentini dalle televisioni che interessavano a Silvio Berlusconi.
Valentini, che ha da sempre ottimi rapporti con la Russia, dovrà accontentarsi delle deleghe internazionali rimaste in capo al Mimit: si occuperà delle Camere di commercio e di lotta alla contraffazione. Il leghista Massimo Bitonci invece avrà le deleghe agli incentivi fiscali, alla Concorrenza e alla Transizione 4.0.
Con le Telecomunicazioni, Urso si occuperà di uno dei dossier chiave delle prossime settimane: quello di Tim e della rete unica. Al ministero degli Esteri, invece, nelle prossime ore Antonio Tajani dovrebbe affidare le deleghe ai sottosegretari. Il viceministro Edmondo Cirielli avrà quelle alla Cooperazione e ai Rapporti bilaterali con l’Africa (fondamentale per il dossier immigrazione), Giorgio Silli agli italiani nel mondo e Maria Tripodi alla promozione della lingua italiana.
(da Dagoreport)
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Novembre 24th, 2022 Riccardo Fucile
LA MAGGIORANZA ITALIANA SPACCATA, FORZA ITALIA VOTA SI’, INSIEME A DUE LEGHISTI CHE SI SMARCANO DAL PARTITO
Sul rispetto dello Stato di diritto non sta facendo abbastanza, e anche
se venissero attuate completamente tutte le misure concordate e promesse, le stesse «non sono sufficienti ad affrontare il rischio sistemico per gli interessi finanziari dell’Ue».
Per questo motivo l’Aula del Parlamento europeo chiede di escludere l’Ungheria dall’erogazione dei fondi comunitari.
Ci sono in ballo 7,5 miliardi di euro, già oggetto di rischio congelamento per problemi legati alla corruzione e agli appalti pubblici. Il Parlamento europeo chiede di procedere in tal senso, approvando una risoluzione che non non è legislativa ma dal messaggio politico molto chiaro, respinto della forze di maggioranza in Italia.
Il testo è stato approvato con 416 ‘sì’, 124 ‘no’ e 33 astensioni. Tra i voti contrari quelli degli europarlamentari di Lega e Fratelli d’Italia, che confermano simpatie e sostegno all’Ungheria di Viktor Orban, e che innescano un dibattito tutto tricolore nell’Aula a dodici stelle.
«La risoluzione del Parlamento europeo sullo stato di diritto in Ungheria va nella giusta direzione», sottolinea Laura Ferrara, europarlamentare del Movimento 5 Stelle, che aspettava le forze di maggioranza in Italia al varco. «Il governo Meloni dovrà decidere se schierarsi dalla parte di Orban o da quella di tutta l’Unione europea che pretende il rispetto dei più elementari diritti fondamentali». I deputati europei di Fratelli d’Italia e Lega si sono espressi.
Tra le fila del gruppo dei conservatori (Ecr) Berlato, Fidanza, Fiocchi, Milazzo, Nesci, Procaccini e Sofo votano uniti e compatti in difesa dell’amico di Budapest, e lo stesso fanno i deputati del Carroccio, da cui si sfila la sola Anna Bonfrisco, che invece vota per il congelamento delle risorse europee per «proteggere il bilancio UE dalle violazioni dei principi dello Stato di diritto in Ungheria», come recita il testo della risoluzione. Non solo. Anche nel caso in cui l’Ungheria dovesse smettere nei suoi sforzi di correzione, si chiede a Commissione e soprattutto agli Stati riuniti in Consiglio di procedere ad una «correzione finanziaria», vale a dire chiudere i rubinetti del credito comunitario.
E’ questo l’ultimo, nuovo, atto di uno scontro sempre più frontale tra Parlamento europeo e il governo di Viktor Orban. In occasione della sessione plenaria di settembre, non più tardi di due mesi fa, l’Aula ha approvato una risoluzione in cui si accusa l’Ungheria di non essere più una democrazia quanto una «autocrazia elettorale».
(da agenzie)
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Novembre 24th, 2022 Riccardo Fucile
RESPINTO IL RICORSO CHE MIRAVA AD ANNULLARE L’ESITO DELLE ELEZIONI
Il Tribunale superiore elettorale (Tse) del Brasile ha respinto un ricorso presentato dal Partito liberale (Pl) del presidente uscente Jair Bolsonaro che mirava ad annullare i voti espressi attraverso 279.000 urne elettroniche durante il ballottaggio del 30 ottobre scorso. Bolsonaro ha perso il confronto con Lula.
Ma il presidente del tribunale Alexandre de Moraes ha anche inflitto al partito una multa pari a 22,9 milioni di reais, ovvero 4,1 milioni di euro. Congelando i conti di tutte le formazioni politiche della coalizione dell’ex presidente.
Il Pl ha fatto sapere in una nota di aver già attivato il suo ufficio giuridico per presentare appello. Il partito aveva contestato davanti al Tse la vittoria di Lula, sostenendo che fosse impossibile qualsiasi forma di controllo delle 279 mila urne elettroniche usate per il ballottaggio.
Nel ricorso si sosteneva che contando solo i voti espressi nelle urne verificabili Bolsonaro avrebbe ottenuto il 51% dei compensi.
(da agenzie)
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Novembre 24th, 2022 Riccardo Fucile
TENSIONE AL VERTICE OTSC A YEREVAN
Attimi di tensione a Yerevan, dove si è svolto nelle scorse ore il summit
dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Otsc), tra l’Armenia, la Bielorussia, il Kazakistan, il Kirghizistan, il Tagikistan e la Russia. Proprio dal leader del Paese ospitante, l’Armenia, è arrivato un doppio smacco nei confronti del presidente Putin, apparso molto seccato da quanto successo.
Non solo il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha fatto di tutto per non fermarsi accanto al leader del Cremlino nella foto di rito dell’incontro, prendendo platealmente e fisicamente le distanze da lui, ma, a conclusione del vertice, non ha neppure firmato la dichiarazione finale congiunta.
E tutto è stato ripreso in un video che ha immediatamente fatto il giro dei social network. Nelle immagini in questione, si vede Pashinyan chiudere il vertice affermando: “Chiudo la riunione, grazie mille. Grazie mille!”, senza però apporre la propria firma sul documento.
A quel punto, si vede anche Putin lasciare cadere la penna sul tavolo con uno scatto d’ira e il bielorusso Lukashenko spalancare le braccia choccato
L’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva è un’alleanza militare creata nel maggio del 1992 da sei nazioni appartenenti alla Comunità degli Stati Indipendenti
È “deprimente che gli alleati del Otsc non siano stati in grado di contenere l’aggressione azera”, ha commentato il primo ministro armeno riferendosi ad alcuni scontri verificatisi a settembre al confine. In quella occasione l’Armenia aveva accusato l’Azerbaijan di aver occupato una porzione del suo territorio, e aveva chiesto l’intervento militare di Mosca.
La Russia era intervenuta diplomaticamente, ma per Pashinyan non era evidentemente abbastanza, così durante l’incontro con Putin e gli altri leader del Otsc ha manifestato pubblicamente il suo disappunto.
(da agenzie)
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Novembre 24th, 2022 Riccardo Fucile
BERTELLI: “GLI OPERAI SONO 8-10 MILIONI DI PERSONE, NON SANNO COME FAR FRONTE AGLI AUMENTI
Patrizio Bertelli, fondatore insieme alla moglie Miuccia del gruppo Prada, dice che i salari bassi sono un problema per l’Italia. E che il governo deve varare un forte taglio del cuneo, anche in deficit, altrimenti lo scontento sociale esploderà.
Bertelli parla in un’intervista a la Repubblica: «Il problema di fondo dell’industria italiana è lo stipendio base, non è più sufficiente. Bisogna investire sulle risorse umane, di qualsiasi tipo, partendo dalle fabbriche e dagli operai, per innalzare lo stipendio base. E i casi sono due: o l’azienda si fa carico di un aggravio di costi oppure ci deve pensare lo Stato. Se non lo si fa, lo scontento sociale prenderà il sopravvento».
Nel colloquio con Giovanni Pons, Bertelli spiega che «lo stipendio base degli operai riguarda 8-10 milioni di persone, che in questo momento non sanno come far fronte all’aumento della benzina, della bolletta elettrica, dei beni alimentari. Bisogna mettere in campo una strategia ben precisa, indipendentemente dal colore del governo, per mettere più soldi in tasca ai lavoratori. Solo così può tornare l’entusiasmo e l’economia può riprendersi».
Per il fondatore di Prada «il ministro Giorgetti dovrebbe prendere una decisione strategica, molto forte, in questa direzione. Abbiamo molte aziende che vanno bene e siamo il secondo paese manifatturiero d’Europa. La forza lavoro è il motore dell’Italia».
Mentre «molte aziende, inclusa la nostra, attribuiscono premi a fine anno ai propri dipendenti, ma è un intervento a macchia di leopardo. Occorre renderlo più strutturale e non lasciarlo all’iniziativa dei singoli imprenditori».
(da agenzie)
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Novembre 24th, 2022 Riccardo Fucile
ENNESIMO SEGNALE DI UN ESECUTIVO AL SERVIZIO DEGLI EVASORI
Nella bozza della Legge di Bilancio 2023 c’è una norma che riguarda i
pagamenti con il Pos.
Prevede l’esenzione dall’obbligo di accettare carte di credito e bancomat per scontrini al di sotto dei 30 euro.
Secondo quanto previsto dalla manovra approvata in Cdm il ministero delle Imprese e del Made in Italy stabilirà entro giugno (180 giorni) i «criteri di esclusione al fine di garantire la proporzionalità della sanzione e di assicurare l’economicità delle transazioni in rapporto ai costi delle stesse». Nel frattempo «sono sospesi i procedimenti ed i termini per l’adozione delle sanzioni».
Ovvero quelle che prevedevano un fisso di 30 euro più il 4% della transazione negata. Dopo l’esenzione per i tabaccai sulle marche da bollo, arriva quindi una nuova norma che piacerà ai commercianti.
Le sanzioni erano state introdotte con il decreto legge n.36 perché erano previste dal Recovery Plan come uno degli obiettivi da centrare a giugno 2022.
Nel frattempo era nato lo strano fronte dei commercianti No Pos: ovvero di quelli che dicevano no ai pagamenti elettronici «per non ingrassare le banche». E insieme erano arrivati i primi racconti su categorie che si rifiutavano di utilizzarlo, come i tassisti.
Una polemica si era anche sviluppata sul costo per l’affitto del Pos. La commissione media pagata, secondo i calcoli di uno studio di cui ha parlato La Stampa, è dello 0,9%. Lo 0,54% finisce ai circuiti internazionali come Visa o Mastercard. Il resto è appannaggio delle banche italiane. Per i piccoli esercenti il conto ammonta all’1,32%. Lo 0,78%, in questo caso, finisce agli istituti di credito.
(da agenzie)
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Novembre 24th, 2022 Riccardo Fucile
UNA CORRELAZIONE CAMPATA IN ARIA
Si può essere contrari al reddito di cittadinanza, ma da un Ministro di un governo in carica ci si aspetta chiarezza quando vengono esposti e narrati alcuni dati fondamentali per comprendere il tessuto sociale all’interno del quale è stato inserito un sussidio di Stato.
Tutto ciò non è avvenuto oggi nel corso dell’assemblea dell’Anci, quando è intervenuto il numero uno del dicastero dell’Istruzione Giuseppe Valditara per spiegare una strana “correlazione” tra i giovani che hanno avuto accesso al rdc e il loro livello di studio.
Nel corso dell’assemblea, il Ministro Valditara ha sciorinato alcuni dati che fanno riferimento a una platea anagrafica di percettori del reddito di cittadinanza ben definita. Parliamo di una fascia di età che va dai 18 ai 29 anni. E lì, come spiegato dal “capo” dell’Istruzione, si paleserebbe un vulnus: “In Italia ci sono 364.101 percettori di reddito di cittadinanza nella fascia compresa tra i 18 e i 29 anni. Di essi, abbiamo scoperto che ben 11.290 possiede soltanto la licenza elementare o addirittura nessun titolo, e altri 128.710 soltanto il titolo di licenza media. Ebbene, noi riteniamo si debba prevedere l’obbligo di completare il percorso scolastico per chi lo abbia illegalmente interrotto o un percorso di formazione professionale nel caso di persone con titolo di studio superiore ma non occupate né impegnate in aggiornamenti formativi, pena in entrambi i casi la perdita del reddito, o dell’eventuale misura assistenziale che dal 2024 lo sostituirà”.
Un’analisi basata sui numeri e, come spesso accade, i dati raccontano una verità inoppugnabile. Il problema, però, è l’interpretazione che si fa di tutto ciò. E per capire di cosa stiamo parlando, riportiamo la frase con cui Valditara ha chiuso il proprio discorso sui giovani, il loro percorso scolastico e il reddito di cittadinanza: “Questi ragazzi preferiscono percepire il reddito anziché studiare e formarsi per costruire un proprio dignitoso progetto di vita”.
Riannodiamo il nastro partendo dall’inizio: il reddito di cittadinanza è stato approvato dal governo Conte-1 all’inizio del 2019. Da quel momento sono moltissimi gli italiani che hanno fatto richiesta di accesso al sussidio. Allo stato attuale – come certificato dai dati citati dal Ministro – 11.290 percettori hanno solo la licenza elementare (o neanche quella), mentre 128.710 hanno ottenuto al massimo la licenza media. Quindi, sui 364.101 percettori del reddito di cittadinanza nella fascia 18-29 anni, ben 140mila persone non hanno completato il loro percorso nella scuola dell’obbligo (che in Italia è indicata fino al compimento dei 16 anni).
Dov’è il problema?
Secondo Valditara, come certificato dalla sua ultima frase pronunciata all’assemblea dell’Anci, i ragazzi che hanno rinunciato a completare il percorso scolastico lo hanno fatto perché “preferiscono percepire il reddito”.
Ma se il 40% di questo campione non ha completato le scuole dell’obbligo ed è inserito nella fascia d’età tra i 18 e i 19 anni (ricordando che il sussidio è entrato in vigore nel 2019), come è possibile che la loro decisione di abbandonare le scuole sia legata al reddito di cittadinanza.
Seguendo un mero criterio anagrafico (e matematico), possono essere – per fattori temporali – pochissimi (e solo i più giovani) ad aver compiuto questa scelta con il solo obiettivo di inseguire il sussidio di Stato. Insomma, i dati saranno sicuramente corretti, ma la correlazione indicata dal Ministro fa acqua da tutte le parti.
(da NextQuotidiano)
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Novembre 24th, 2022 Riccardo Fucile
L’AFFONDO DI BERSANI SULLA MANOVRA TARGATA MELONI
Misure che non vanno incontro alle esigenze strutturale di base. Che
non aiutano quello stato della popolazione che vive ai margini della povertà assoluta, con la prospettiva dell’abolizione di sussidi che – come confermato dagli ultimi dati Istat – rappresentano ossigeno puro per buona parte dei cittadini e delle famiglie italiane. §
Pier Luigi Bersani ci va giù durissimo contro la Manovra 2023 approvata dal Consiglio dei Ministri guidato da Giorgia Meloni.
In attesa che il testo ufficiale finisca in Parlamento per la discussione e l’approvazione (entro la fine dell’anno), il futuro sembra essere sempre meno roseo per chi è in difficoltà economiche.
Ospite di Lilli Gruber a “Otto e Mezzo”, su La7, l’ex segretario del PD ed ex deputato di Articolo 1 ha messo in evidenza tutto ciò che c’è di sbagliato – secondo lui – nel testo della manovra e invita Giorgia Meloni a parlare con chi quotidianamente affronta e raccoglie le storie di quella fascia di popolazione che ora potrebbe perdere dei sussidi fondamentali per la propria sussistenza in Italia.
“Questa manovra è sostanzialmente, nella parte principale, una continuazione con qualche lievissimo aggiustamento delle misure Draghi sulle bollette. Il resto sono elementi “segnaletici” che segnalano cioè una prospettiva di Destra. Ma sono segnali contromano, secondo me. Uno è il lassismo fiscale – e attenzione che dal prossimo anno non ci sarà più la BCE che ci darà una mano – e l’altro è la guerra ai poveri. Lo sguardo del governo sul Paese non è sincero, è ideologico. L’inflazione al 10% è una patrimoniale sulla fascia più debole e su un pezzo del mondo del lavoro. Siamo in una situazione pre-recessiva, non sarà facile trovare lavoro, cosa significa “occupabile”? Parliamo di gente o che non trova lavoro o che lo trova pagato sotto il limite di povertà. Qui c’è un odio verso la povertà e quando un presidente del Consiglio, in campagna elettorale, definisce il reddito un “metadone di Stato”, dice che i poveri sono dei drogati sul divano. Meloni si faccia spiegare dalla Caritas e dalle mense sociali cosa sta succedendo in questo Paese”.
Il contatto con la realtà che, secondo Bersani, manca al governo Meloni che ha preso delle decisioni figlie degli annunci fatti in campagna elettorale, senza avere contezza con lo stato dell’arte.
(da NextQuotidiano)
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