Novembre 28th, 2022 Riccardo Fucile
CHI VUOLE ALZARE LE PENSIONI MINIME SENZA INDICARE LA COPERTURA, CHI FARE UN FAVORE AGLI EVASORI… LA MELONI SULLA DIFENSIVA
La prima manovra del governo Meloni atterra in Parlamento, tra oggi e domani. Si parte dalla Camera, con un iter compresso: appena un mese per approvarla e il Senato di fatto solo ratificatore di quanto accadrà a Montecitorio.
Ma il clima in maggioranza non è così disteso come sembra.
La Lega vuole piazzare altre bandierine. A preoccupare è soprattutto Forza Italia. Il leader Silvio Berlusconi si è impuntato. Vuole alzare ancora le pensioni minime, a costo di minacciare l’esercizio provvisorio e mandare lunga la manovra, oltre la scadenza del 31 dicembre.
L’allarme è risuonato alto dalle parti di Fratelli d’Italia, al punto tale da contingentare il numero di emendamenti “segnalati”, quelli che contano e su cui votare: non più di uno a testa, massimo 400 in totale.
E con una dote da spartirsi, ben sotto il miliardo atteso, attorno a 500 milioni. Una sorta di Mose, di diga contro l’ostruzionismo “amico” di alleati malpancisti e a difesa della “manovra sociale, modificabile solo a saldi invariati”.
In questo senso, il colloquio annunciato per domani tra il leader di Azione Carlo Calenda e la premier viene guardato con sospetto dalle parti di Forza Italia. Una stampella farebbe comodo a Giorgia Meloni, in caso di frizioni spinte al limite.
Una partita complicata, perché Berlusconi è ancora irritato per non essere stato consultato prima del vertice politico sulla manovra, privato oltretutto della bozza.
Il vicepresidente forzista della Camera Giorgio Mulè si è spinto addirittura a definire la legge di bilancio “una tisana”, per non dire una minestra riscaldata. Ecco allora il bisogno del Cavaliere di marcare il territorio della manovra, cavalcando un classico del suo repertorio elettorale: le pensioni minime. Quelle sotto i 525 euro vanno a 2 milioni di pensionati.
Il governo le alza a 570 al mese quest’anno e 580 il prossimo. Troppo poco. Berlusconi vuole subito, dal 2023, 600 euro. E l’impegno ad aumentarle di 100 euro all’anno, così da arrivare a fine legislatura ai mitici 1.000 euro.
Il problema sono le risorse: se portarle a 570 euro costa circa 200 milioni, mettere quei 30 euro in più ne costerebbe altri 780. Il tentativo però sarà fatto.
Come pure Forza Italia proverà a rafforzare la decontribuzione per l’assunzione degli under 36, il cui tetto (6 mila euro) è considerato troppo basso. E a sbloccare i crediti ceduti del Superbonus.
Per contro, la Lega di Salvini non starà a guardare. Rivendica già Quota 103, la flat tax allargata per le partite Iva, il ponte sullo Stretto, l’esenzione Imu ai proprietari di immobili occupati, l’esclusione dalle sanzioni per gli esercenti che rifiutano il Pos per strisciate fino a 60 euro. Ma punterà ad alzare la soglia delle cartelle stralciate oltre i 1.000 euro, a portare la rateizzazione da 5 a 7 anni, a ripristinare lo sconto sulla benzina. E soprattutto a includere in manovra la stretta sul Reddito di cittadinanza proposta dal ministro dell’Istruzione Valditara: niente assegno ai giovani che hanno lasciato la scuola.
(da agenzie)
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Novembre 28th, 2022 Riccardo Fucile
DATI, FATTI, RESPONSABILITA’
Gli sbarchi sono ripresi e la chiamiamo ancora emergenza immigrazione. Ma
come siamo arrivati fin qui? Vediamo come sono andate davvero le cose negli ultimi dieci anni tra sottovalutazioni, ipocrisie, errori e propaganda.
Il regolamento di Dublino
Il regolamento di Dublino sancisce un principio: «Se il richiedente asilo ha varcato illegalmente la frontiera di uno Stato membro, è quello Stato membro che deve farsene carico». Viene ratificato nel 2003 e l’Italia (governo Berlusconi II, qui), che avrebbe potuto esercitare il diritto di veto e bloccarlo, lo firma. E così il nostro Paese accetta (forse inconsapevolmente) tutti gli oneri degli anni a venire, poiché anche la successiva riverniciatura del 2013 non porterà cambiamenti risolutivi.
Le porte girevoli verso l’Europa
La pressione migranti inizia a farsi sentire sulle coste italiane nel 2011, anno in cui gli sbarchi saranno complessivamente 64.261 contro i 4.450 del 2010. Il grosso delle partenze è dalla Libia travolta dall’instabilità del dopo Gheddafi e da dove a migliaia tentano la traversata verso l’Europa via Italia.
Insieme ai numeri salgono anche i morti in mare. Il 3 ottobre 2013 c’è il tragico naufragio all’isola dei Conigli: 366 annegati. Sotto la spinta dell’indignazione mondiale, il 18 ottobre 2013, il governo di Enrico Letta dà il via all’operazione Mare Nostrum, costo 9,5 milioni al mese e tutti a carico nostro (c’è solo l’appoggio della Slovenia).
Due gli obiettivi: pattugliare con le navi della marina militare fino a ridosso delle coste libiche, soccorrere e contrastare i trafficanti. In un anno 366 scafisti arrestati e 166.682 sbarchi . Ma non pesano troppo: i centri di accoglienza si svuotano in fretta perché la maggior parte dei migranti se ne va verso il Nord Europa.
Il fotosegnalamento complica le cose
Nel 2014 la storia cambia: l’Europa accusa l’Italia di violazione del Regolamento di Dublino e di lasciar transitare verso i Paesi europei i migranti non identificati. Il ministero dell’Interno, il 25 settembre, è costretto a emanare una circolare: «Lo straniero deve essere sempre sottoposto a rilievi segnaletici». I rilevamenti devono essere trasmessi entro 72 ore al sistema centrale Eurodac, il database europeo delle impronte digitali per coloro che varcano illegalmente una frontiera europea.
Da quel momento le porte girevoli si complicano. Mare Nostrum finisce e, nel maggio 2015, parte l’operazione Sophia che fa le stesse cose di Mare Nostrum, ma con forze militari e di polizia europee sotto il comando italiano.
In due anni (2015-2016) gli sbarchi sono 335.278 e, a fine 2016, la situazione va fuori controllo. Rivolta dei sindaci, anche di centrosinistra: «Non sappiamo più dove mettere i migranti». A dicembre dello stesso anno. il governo Gentiloni nomina Marco Minniti ministro dell’Interno. Lui la Libia la conosce bene e il mandato è quello di togliere le castagne dal fuoco. E in Libia Minniti va.
I 15 mesi di Minniti al Viminale
Il 2 febbraio 2017 viene firmato il Memorandum Italia-Libia: una convenzione del governo italiano con la guardia costiera libica per fermare le partenze via mare. A luglio, sempre del 2017, vengono stipulati accordi con i sindaci del Fezzan per bloccare la rotta migratoria che entra in Libia (qui il documento) da Algeria, Niger, Chad, offrendo in cambio un sostegno economico allo sviluppo delle comunità locali. Il progetto è finanziato anche dalla Ue, come pure il rimpatrio volontario (gestito dall’agenzia Onu Iom) dai centri di detenzione libici verso i Paesi d’origine con un budget in tasca per rifarsi una vita.
Dal 2017 a oggi i rimpatri sono circa 48 mila. Segue l’intesa con l’Alto commissariato per i rifugiati Unhcr per evacuazioni emergenziali a carico dello Stato italiano con destinazione Roma.
Da fine 2017 al 2019 dai centri di detenzione, quelli accessibili, sono trasferiti a Roma con voli umanitari in 913, fra aventi diritto alla protezione e fragili. Un numero piccolo, ma in Libia governano le bande di taglieggiatori e con loro occorre fare i conti. I trasferimenti riprendono nel 2021 con il coinvolgimento del ministero dell’Interno, la Comunità di Sant’Egidio e Chiese evangeliche.
Dall’orrore delle prigioni salvate 500 persone. Sta di fatto che tra maggio 2017 e maggio 2018 gli sbarchi calano a 72.571 e continuano a scendere fino ad agosto 2019, a quota 28.505. Intanto il governo è cambiato e al posto di Minniti arriva Matteo Salvini.
Le ipocrisie istituzionali
La convenzione con la guardia costiera libica è stata universalmente condannata: impedisce le partenze, ma molti migranti vengono portati nei centri non ufficiali dove sono costretti ai lavori forzati, seviziati, le donne stuprate. Succedeva con Gheddafi, succede dopo. Quella convenzione è scaduta nel 2020, ma il governo italiano (Pd, M5S), dopo averla pesantemente criticata, la rinnova. Così come fa di nuovo il 3 novembre il governo Meloni, mentre la situazione in Libia è ancora peggiore di prima. Tutti lo considerano un accordo scandaloso, ma poi nessuno lo cancella.
La Libia è uno dei pochi Paesi al mondo che non ha mai firmato la convenzione di Ginevra del 1951 che impone il rispetto dei diritti umani. Bombardata nel 2011 sotto la bandiera Nato, giustiziato il dittatore Gheddafi nel 2015 il solo governo legittimo riconosciuto dalle Nazioni Unite è quello di Al-Sarraj. A quel punto l’Onu potrebbe chiedere al premier libico di firmare la convenzione di Ginevra, ma non lo fa, non lo chiede la Ue e nessun singolo Stato membro.
Tant’è che l’Unhcr tutela i rifugiati in Libia dal suo ufficio di Tunisi. Una base a Tripoli viene aperta nel 2017, quando Minniti ottiene da Al-Serraj le garanzie di sicurezza per il personale umanitario che deve entrare nei centri di detenzione e selezionare i più fragili per evacuarli attraverso il corridoio umanitario.
Cosa succede in Europa: gli accordi per la relocation
Intanto in Ue con due decisioni del Consiglio, la 1523 del luglio 2015 e la 1601 del settembre dello stesso anno, viene previsto un sistema di relocation a favore dell’Italia per 39.600 migranti. È quella che comunemente viene definita ricollocazione obbligatoria: vuol dire che l’Europa accetta di prendersi una parte dei nostri aventi diritto all’asilo, che tra il 26 settembre 2015 e il 26 settembre 2017 sono 36.345. Alla fine ne saranno presi 12.740 (la Germania per esempio ne accoglie 5.453, la Francia 641).
Nel settembre 2017 arriva anche la sentenza della Corte di giustizia europea che, rigettando il ricorso di Ungheria e Slovacchia contro i ricollocamenti dall’Italia, riafferma con forza il principio di redistribuzione solidale dei profughi. Principio non accettato, però, dalle cancellerie di Budapest, Varsavia e Praga (Paesi Visegrad) che si oppongono. Scaduta la convenzione, alla prima seduta del Consiglio, Conte e Salvini non insistono e si va verso la redistribuzione facoltativa che, alla fine, si concretizza nell’accordo di Lussemburgo nel giugno 2022, fortemente voluto dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. L’accordo prevede il ricollocamento annuo di circa 10 mila aventi diritto all’asilo. A metà novembre 2022 ne sono stati ricollocati solo 117.
Le nuove partenze dalla Libia: l’influenza della Russia
Nel 2018 Salvini ritira la missione Sophia dalle acque libiche per occuparsi solo dei confini nazionali e, da lì in avanti, l’operazione va verso lo smantellamento (marzo 2020).
Intanto in Libia esplode il caos, l’influenza politica italiana sparisce e arrivano quella turca in Tripolitania e quella russa in Cirenaica. Dal 2021 sono riprese le partenze e quest’anno, su 94.341 sbarchi (al 24 novembre), oltre la metà dei migranti arriva proprio dalla Libia di cui oltre 30 mila dalla Tripolitania e, per la prima volta, oltre 17 mila dalla Cirenaica. E i barconi grossi partono proprio da lì.
Nello stesso periodo dell’anno scorso le partenze dalle due regioni libiche erano rispettivamente 24.697 e 2.276. Non si può escludere che in Cirenaica sia in atto una pressione da parte della Russia.
Ma da quali Paesi provengono i migranti che partono dalla Libia? Principalmente dall’Egitto (17.678), dal Bangladesh (13.794), dalla Siria (5.863), seguono Eritrea e Pakistan. Se includiamo anche gli arrivi da Turchia e Tunisia e altri Paesi, sulle coste italiane negli ultimi 12 mesi si sono superati i 100 mila sbarchi. Il sistema di accoglienza non ne regge più di 70.000. Siamo tornati al punto di partenza.
Cosa chiedere all’Europa: i flussi regolari
Tutta la propaganda sui porti chiusi, impossibili da attuare, ci è di nuovo esplosa in mano. Dopo dieci anni dovremmo aver capito che le migrazioni non sono un’emergenza, ma un fatto strutturale che va governato perché ci saranno sempre. A causa delle guerre, dei mutamenti climatici, della ricerca di migliori condizioni di vita. Bisogna insegnare a convivere con i migranti, di cui peraltro abbiamo bisogno.
Inutile insistere su una ripartizione contando sulla solidarietà europea che non ci sarà. In base agli ultimi dati disponibili, la Spagna deve fare i conti con oltre 100 mila irregolari, quasi 500 mila la Francia, 1,2 milioni la Germania, mentre Ungheria e Polonia stanno gestendo qualche milione di profughi ucraini.
Mentre continuare a litigare su dove devono sbarcare i migranti che arrivano con le Ong allunga solo la lista delle ipocrisie: nel 2022 oscillano intorno al 10% del totale.
Quello che realisticamente possiamo e dobbiamo pretendere dall’Europa è, invece, un sostegno economico per fare due cose: 1) la costruzione di un sistema civile di accoglienza e integrazione; 2) accordi con i Paesi sull’orlo del baratro per avviare flussi regolari. La Tunisia e l’Egitto stanno negoziando un prestito con il Fondo Monetario Internazionale perché hanno la necessità di una stabilizzazione politico-sociale. Un prestito che sarà accordato a condizione che vengano ridotti i sussidi per i beni primari. È inevitabile che, di fronte alla mancanza di speranze, i giovani tentino una miglior sorte rischiando la traversata. Ricordiamo che la quasi totalità degli sbarchi riguarda maschi fra i 14 e i 30 anni. Per questo con Tunisia, Egitto, Niger e Bangladesh è necessario costruire un accordo: concedere 20.000 ingressi legali attraverso il consolato, ma con il rimpatrio immediato di quelli in più.
Così si stronca il traffico di esseri umani e quel che ne consegue: i morti in mare, e migliaia di irregolari dati in pasto alla criminalità o, nella migliore delle ipotesi, al lavoro nero.
Milena Gabanelli e Simona Ravizza
(da il Corriere della Sera)
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Novembre 28th, 2022 Riccardo Fucile
IL MESSAGGIO DELLA CONSORTE: “QUANDO HAI FINITO DI FARE SERATA, MAGARI SE HAI UN ATTIMO PUOI PROVARE A RICHIAMARMI CONSIDERANDO CHE SONO DA SOLA A CASA CON UN BAMBINO DI UN ANNO”
Una discussione in famiglia, tra moglie e marito, è finita per diventare virale. Il caso è esploso a Rieti e ha come protagonisti il sindaco Daniele Sinibaldi, di Fratelli d’Italia, e la moglie.
La notte scorsa, a quanto pare, il primo cittadino è uscito, ha fatto tardi e la consorte non l’ha presa bene.
Lei ha quindi pensato di sfogarsi sui social, inviando un messaggio sulla pagina Facebook del sindaco. “Quando hai finito di fare serata, magari se hai un attimo puoi provare a richiamarmi considerando che sono da sola a casa con un bambino di un anno!”, ha scritto.
Erano circa le 3 e tre ore dopo il messaggio è stato cancellato.
C’era però ormai chi aveva fatto lo screenshot e quel messaggio è passato di chat in chat, facendo il giro del web. E ha monopolizzato il dibattito domenicale.
(da agenzie)
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Novembre 28th, 2022 Riccardo Fucile
L’INTERVENTO DI FABRIZIO CURCIO: “SONO 7.400 I COMUNI A RISCHIO”
Quasi tutta l’Italia è a rischio frane, crolli e alluvioni. Mentre la burocrazia
frena la messa in sicurezza del territorio.
Il capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio lo dice oggi in un’intervista rilasciata a La Stampa, in cui lancia l’allarme dopo la tragedia di Casamicciola. «Il 94% dei Comuni, ovvero 7.400 centri, è a rischio di alluvioni, frane, erosioni costiere: sono state recentemente censite 625 mila frane di cui un terzo a cinetismo rapido. L’Italia è tutta a rischio. Fatichiamo a fare una classifica perché il pericolo è molto esteso. Dobbiamo quindi potenziare la prevenzione strutturale migliorando opere come la costruzione di argini dei fiumi, vasche di espansione, briglie per far defluire l’acqua. Ma è altrettanto necessario un comportamento umano che tenga conto delle allerte meteo e delle criticità che vengono segnalate», avverte l’ingegnere.
La prevenzione e il cambiamento climatico
Curcio punta il dito sulla prevenzione: «Sono fondamentali attività come la cura degli alvei, l’analisi dei confluvi per evitare i cosiddetti “fiumi tombati” dove l’acqua trasborda fuori dal regolare corso. Occorre poi approfondire il reticolo idrogeologico. Dove scorre un fiume e con quale portata? Come si rapporta con le abitazioni? Bisogna conoscere bene il territorio e procedere con la realizzazione di vasche di estensione e la ridefinizione dei corsi d’acqua».
Per l’allarme del cambiamento climatico invece «ci sono due piani di azione. Uno a breve termine, l’altro a medio e lungo termine. Il primo prevede un comportamento improntato alla resilienza e che tenga conto delle allerte ricevute oltre a opere urgenti sul territorio.
Più a lungo termine, invece, servono adeguate politiche sull’emissione dei gas, sulla produzione energetica a impatto ambientale. È importante che il Paese affronti la questione della riduzione dei gas in base a un piano internazionale ma anche con strategie da mettere in atto sul piano personale. Se noi tutti ci impegnassimo ad usare meno l’automobile sarebbe già un primo passo». Infine, per Curcio l’impegno deve partire dai cittadini: «Dovremmo lavorare di più sulla consapevolezza di migliorare il rapporto tra i cittadini e le istituzioni per la gestione del rischio. Pensiamo al Covid: la popolazione si è affidata alle istituzioni per affrontare l’emergenza. Ma sul rischio c’è diffidenza: uno, ad esempio, non vuole rinunciare a usare l’automobile dimenticando che la natura reclama attenzione. Bisogna rispettare di più il rischio e non cedere ad atteggiamenti irresponsabili».
(da agenzie)
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Novembre 28th, 2022 Riccardo Fucile
“IL GOVERNO CONTE UNO CORRESPONSABILE DEL DISASTRO DI ISCHIA”
Mentre si scava ancora alla ricerca dei dispersi e i magistrati indagano sul filone del disastro colposo, la frana di Casamicciola continua a essere al centro del dibattito politico.
L’imputato è il governo Conte I e il M5s. Ad accusarli, Gregorio De Falco. Il militare, diventato celebre per il suo alterco con Francesco Schettino durante il disastro della Costa Concordia, fu candidato ed eletto senatore nelle file grilline, nel 2018. Ma dopo i primi mesi del governo Conte uno, De Falco fu espulso dal Movimento.
Tra le motivazioni, il suo dissenso per i voti di fiducia su decreto Sicurezza, decreto Genova e la legge di Bilancio.
Nel decreto Genova, compariva l’ennesimo condono edilizio della storia italiana, in questo caso dedicato interamente all’isola di Ischia.
Il comandante della Guardia costiera, all’Adnkronos, ripercorre le fasi del procedimento di espulsione dai 5 stelle: «Mi fu contestato il no al decreto Salvini, ma certamente il decreto Genova fu la goccia che fece traboccare il vaso a metà novembre 2018. Contestai i 12 articoli che riguardavano il condono a Ischia. Mi fu risposto che non si potevano presentare emendamenti e che il condono si sarebbe fatto. Il senatore Santangelo, allora sottosegretario ai Rapporti con il parlamento, disse che era stato deciso così».
De Falco ricorda che i grillini difesero la norma, ad eccezione sua e delle senatrici Nugnes e Fattori: «Tutto il Movimento si muoveva come una testuggine».
Il militare spiega che il voto su Ischia contribuì certamente alla sua espulsione e a certificarlo sono le stesse motivazioni fornite dai 5 stelle nel provvedimento disciplinare.
«Su quel condono, Conte non ebbe nulla ebbe da eccepire, così come Salvini. Oggi entrambi balbettano. Il leader del M5s sconta la sua eccessiva attitudine al cambiamento – si toglie qualche sassolino dalla scarpa -. Il disastro di Ischia grava sulle spalle di tanti soggetti e il governo Conte uno è sicuramente corresponsabile. Le case abusive non hanno generato la frana, ma le case costruite laddove non devono stare hanno certamente incrementato la tragedia e probabilmente concorso a rendere ancor più fragile quel territorio».
Riguardo alle spiegazioni che ha fornito Conte nelle scorse ore sul decreto del suo primo governo, De Falco rincara: «Conte sa benissimo che è un vero e proprio condono ex novo che richiama il condono del 1985. In diritto esiste un principio, tempus regit actum, il professor Conte non può non saperlo. Il condono del 2018 doveva essere disciplinato dalle norme del 2018. Se fosse vero quello che dice Conte, sarebbe bastato un atto amministrativo e un modellino unificato».
Il militare, tornato in servizio a Napoli nella Capitaneria di porto, ricorda anche di aver provato a bloccare la norma in commissione, «predisponendo un emendamento che prevedeva di tagliare le ultime parole dell’articolo 25 laddove si faceva riferimento alla legge 47 del 1985, il cosiddetto condono Craxi».
Ma in commissione si decise di mettere ai voti «l’emendamento presentato dalla senatrice forzista Urania Papatheu, identico al mio. Il governo – conclude De Falco – fu battuto e quell’emendamento passò. Immediatamente si autosospesero quattro senatori campani di Forza Italia, tra cui De Siano e Cesaro. Il giorno seguente in Aula, dopo un travaglio interno, Forza Italia tornò a “militare” a favore dei condoni e quindi votò contro il “proprio” emendamento a firma Papatheu. Insieme a Fi votarono la Lega e Movimento 5 Stelle».
(da agenzie)
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Novembre 28th, 2022 Riccardo Fucile
LA POLITICA NE HA APPROFITTATO PER RACIMOLARE VOTI… LE STALLE TRASFORMATE IN MANSARDE DI LUSSO CON NOMI FANTASIOSI
«Comm’ è doce, comm’ è bella,’a cittá ‘e Pullecenella…». L’altoparlante
gracchiava a singhiozzo, ma una generosa tramontana diffondeva la voce di Mario Merola su piazza Plebiscito, la mattina dell’11 febbraio 2010.
Dietro un cordone di telecamere, una folla variopinta di migliaia di persone: capifamiglia, donne appena uscite dal parrucchiere, ragazzi sottratti alla scuola, sindacalisti fai-da-te, addetti al volantinaggio, responsabili degli striscioni, suonatori di tamburi, distributori di panini al prosciutto.
I turisti incuriositi scattavano foto, credendo di trovarsi in mezzo a una manifestazione folkloristica. Ma cominciarono a dubitarne quando i partecipanti, dopo averle sventolate platealmente, scaraventarono a terra e poi bruciarono le bandiere tricolori listate a lutto.
Era la prima manifestazione unitaria delle associazioni contrarie al piano della Procura di Napoli per abbattere gli immobili abusivi, nate in pochi mesi in tutta la Campania con i nomi più fantasiosi: da comitato Casa Sicura di Cava de Tirreni a Casa Aurea di Casoria, da Amici del Territorio di Santa Maria la Carità a Diritto alla Casa di Ischia e Procida. Gli abusivi sciamavano nel centro di Napoli ritmando «La casa è nostra/e non si tocca».
Una settimana prima, le ruspe erano arrivate di notte a Ischia, nel comune di Casamicciola Terme, scortate da poliziotti in tenuta anti sommossa per sfondare i cordoni dei comitati degli abusivi a protezione di una villetta su una collina con vista dominante. Per ore furono botte, cariche, urla e lacrime, con il proprietario che si disperava: «Stanotte dormiremo per strada, non è giusto!».
La tecnica degli abusivi è guadagnare tempo, considerando che ai ritmi attuali si stima che occorrerebbe mezzo secolo per smaltire tutte le domande di condono a Ischia. Dopo la sentenza definitiva e l’ordine di demolizione, inventano mille scuse per rinviare l’appuntamento con le ruspe, sperando in un condono edilizio (la sola istanza ha efficacia sospensiva).
Aldo De Chiara, mitico procuratore napoletano e massimo esperto di reati edilizi, all’epoca minacciato di morte, raccontava di espedienti da teatro eduardiano. Nella casa abusiva confluivano bambini da tutto il parentado, perché la presenza di minori giustifica il rinvio dell’abbattimento.
Oppure all’arrivo dei vigili urbani, nelle camere abusive fossero pure verande e tinelli, spuntavano lungodegenti attaccati a flebo come in una clinica svizzera.
La strategia era tutt’ altro che velleitaria, perché contava su tre fattori: l’onerosità economica e l’esiguità di forze disponibili per gli abbattimenti, che infatti dopo dieci anni sono fermi al 2%; la generale indifferenza, se non avversione, di sindaci e autorità varie alla questione («punizioni inique!», tuonava il vescovo Filippo Strofaldi alla vista delle ruspe); la disponibilità di un vasto e trasversale fronte politico a infilare nuovi condoni nei più insospettabili canali parlamentari
«Abusivismo di necessità, non c’era alcun elemento speculativo», spiegava nel 2006 Peppe Brandi, berlusconiano sindaco di Ischia. Poco prima una frana (se ne contano tre solo negli ultimi 15 anni) aveva travolto e ucciso tre bambine in una casa costruita, come altre centinaia, sotto la collina definita nelle mappe del suo stesso Comune «R4-alto rischio per la popolazione». Il proprietario, morto anch’ egli, aveva presentato una delle 28mila domande di condono dei circa 120mila vani abusivi, su una popolazione di 63mila abitanti.
Il «problema» di Ischia è che l’ultimo condono edilizio berlusconiano, del 2003, non è applicabile per lo speciale vincolo ambientale che preserva l’isola (ex) verde. Servirebbe un condono del condono. I parlamentari locali ci provarono almeno cinque volte solo in quel 2010 in cui si votava, tra l’altro, per la Regione. Quando un deputato del Pd fu scoperto a firmare l’emendamento salva-abusivi del Pdl, balbettò un’imbarazzata retromarcia.
Il Quirinale stoppò un decreto ad hoc, ma Berlusconi non si arrese. L’anno dopo, scendendo per il ballottaggio delle elezioni comunali, calò l’asso, esibendo in pubblico «il provvedimento che sospenderà gli abbattimenti delle case». Gli strateghi calcolavano che potesse spostare 60mila voti.
Nel 2012 a Ischia il centrosinistra andò a pezzi «nel più trasformista e peggiore dei modi», denunciarono i Verdi, quando il sindaco pd Giosi Ferrandino (oggi Italia Viva) affidò le deleghe sul condono edilizio a un fedelissimo di Nicola Cosentino, ras berlusconiano imputato di collusioni con la camorra.
Dopo le elezioni del 2013, il Pdl – con gli ex ministri Nitto Palma e Carfagna, oltre al pasdaran Falanga – provò a togliere alle Procura il potere di abbattimento. Ma anche i parlamentari campani del Pd depositarono un testo per fermare le ruspe e riaprire i termini del condono, «aperti al confronto con Pdl e M5S» in nome «dell’emergenza abitativa». Gli ambientalisti contavano 19 proposte di condono formalizzate in Parlamento in due anni e mezzo. Nel 2018 Berlusconi rilanciò in campagna elettorale promettendo «una sanatoria per l’abusivismo di necessità».
E pochi mesi dopo, quando il governo gialloverde inserì un «ravvedimento operoso» ad hoc per Ischia nel decreto Genova sul ponte Morandi, Pd e Forza Italia esultarono. Sergio Costa, ministro dell’Ambiente, si oppose, ma fu zittito dal vicepremier e allora suo leader pentastellato Luigi Di Maio. E siamo ai giorni nostri. Elezioni 2022.
Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione comunista, ricorda che «il 9 settembre all’hotel Ramada di Napoli si tenne una riunione fra alcuni sindaci campani, i rappresentanti dei movimenti anti-demolizioni e i candidati leghisti Rixi, Cantalamessa, Castiello e Nappi. Tema: un decreto per bloccare gli abbattimenti». Un volantino leghista proclamava «Condono edilizio subito». Del resto, come spiegò un sindaco ischitano, «sono piccoli abusi, non mostri di cemento». E pazienza se le stalle trasformate in prime case si sono arricchite di mansarde, tavernette e terrazze, con prezzi al metro quadro che nemmeno sui Navigli.
(da la Stampa)
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Novembre 28th, 2022 Riccardo Fucile
LA NORMA VOLUTA DA M5S E LEGA E APPROVATA ANCHE DALLA MELONI… PD VOTA CONTRO, FORZA ITALIA SI ASTIENE
È il 15 novembre 2018. Il Decreto Genova, tre mesi dopo la tragedia del ponte Morandi, passa in via definitiva al Senato. 167 voti favorevoli, 49 contrari e 53 astensioni.
La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale reca con sé il famigerato articolo 25. Ovvero quello intitolato “Definizione delle procedure di condono” per le abitazioni colpite dal terremoto di Ischia.
E l’ultimo ok in Senato arriva con il voto favorevole della maggioranza che teneva in piedi il primo governo Conte. Ovvero Lega e Movimento 5 Stelle. Con l’aggiunta di Fratelli d’Italia. Pd e Leu votano contro, Forza Italia si astiene. Due giorni prima in commissione Ambiente e Lavori Pubblici il M5s si spaccava. due senatori, ovvero Gregorio De Falco e Paola Nugnes, votavano contro le indicazioni del loro partito. Alla fine della seduta a Palazzo Madama il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Danilo Toninelli esulta con il pugno chiuso.
Storia di un “non condono”
Ieri il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte ha sostenuto che quello del 2018 non fosse un condono, ma invece una norma nata per mettere velocità alle pratiche impantanate. «Avevamo definito la proceduta in modo tale che si potesse chiudere più velocemente». Conte ha precisato che questo non dava «nessuna deroga ai vincoli idrogeologici. Era una procedura di semplificazione, per dare una risposta». La stessa versione dei fatti è arrivata da una nota del M5s: «I condoni a Ischia sono stati approvati dai governi Craxi e Berlusconi. Il governo Conte nel 2018 si trovò di fronte l’emergenza dei terremotati e delle loro richieste di aiuto per la ricostruzione delle abitazioni.
Di fronte a questa situazione emergenziale il Governo Conte I stabilì una cosa molto semplice, ossia che sulle procedure di condono risalenti ad anni e decenni precedenti lo Stato doveva velocizzare le risposte: un sì o un no ai cittadini in 6 mesi, nel rispetto dei vincoli (paesaggistici, idrogeologici etc.) esistenti».
La norma
Secondo la tesi del M5s «l’abusivismo dilaga con l’inerzia dello Stato e quello che è stato fatto nel 2018 è stato dire a Comuni e amministrazioni competenti di velocizzare le procedure e le risposte, anche negando – in caso di violazione dei vincoli – pratiche di condono avviate con le decisioni di altri governi».
La norma recita: «Al fine di dare attuazione alle disposizioni di cui al presente decreto, i Comuni di cui all’articolo 17, comma 1, definiscono le istanze di condono relative agli immobili distrutti o danneggiati dal sisma del 21 agosto 2017…».
I municipi interessati sono Casamicciola Terme, Forio, Lacco Ameno dell’Isola di Ischia. Si precisa che si parla delle richieste «presentate ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2003, n. 326, pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto».
Il comma 2 obbliga i municipi «ad assicurare la conclusione dei procedimenti volti all’esame delle predette istanze di condono, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».
Il comma 3 dice che l’erogazione dei contributi è subordinata all’accoglimento delle istanze.
Ieri Legambiente ha precisato che è arrivato a 27 mila «il numero delle pratiche di condono presentate in occasione delle tre leggi nazionali: di queste risultano negli uffici tecnici di Forio 8.530 istanze, 3.506 a Casamicciola e 1.910 a Lacco Ameno».
L’esultanza di Toninelli
All’epoca anche Luigi Di Maio difese il decreto con il condono per Ischia. Mentre l’allora ministro dell’Ambiente Sergio Costa si disse perplesso in più occasioni. Il pugno chiuso di Toninelli dopo l’ok al decreto scatenò polemiche a destra.
Ma alla fine si trattava o no di un condono? La legge disponeva che entro 6 mesi i comuni colpiti dal sisma dovessero chiudere le pendenze ancora aperte rispetto alle richieste di sanatoria presentate in base al condono edilizio del 1985. L’architetta ambientalista e territorialista Anna Savarese di Legambiente Campania spiegò all’epoca che «il problema è la sicurezza: la legge 47 del 1985 è precedente a molte normative di tutela del territorio, del paesaggio, di contrasto del rischio sismico, vulcanico e idrogeologico. Le leggi successive sono state adeguate a quegli standard. Ad esempio, il condono del 2003 escludeva i luoghi vincolati, per motivi paesaggistici o di sicurezza, quello del 1985 no. Non solo. La legge del 1985 consente di condonare anche edifici costruiti in aree demaniali o protette».
Ma allora perché il governo ha scelto di fare riferimento alla legge del 1985 e non a quella del 2003? «Perché altrimenti a Ischia non avrebbe potuto condonare praticamente nulla».
(da La Repubblica)
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Novembre 28th, 2022 Riccardo Fucile
L’APPELLO INASCOLTATO AL PREFETTO… NEI MESI SCORSI AVEVA SEGNALATO I MANCATI INTERVENTI DI BONIFICA
“Bisogna intervenire immediatamente su tutti gli alvei di Casamicciola onde
evitare di correre il rischio che ci si possa trovare nuovamente di fronte a una situazione simile a quella dell’alluvione del 1910, quando morirono 15 persone a causa di un’alluvione”. Era lo scorso 8 ottobre e aveva previsto tutto, o quasi, l’ingegnere Peppino Conte, già sindaco di Casamicciola nei primi anni ’90 e poi funzionario della Regione Campania, oggi in pensione.
Ancora un mese fa segnalava con forza l’assenza di un piano per il dissesto idrogeologico nel progetto di ricostruzione post-sisma e, soprattutto, “i mancati interventi di mitigazione per il pericolo di ostruzioni degli imbocchi dei tratti tombati mediante opere trasversali di trattenuta del materiale di trasporto solido sugli alvei Senigallia, Negroponte, Fasaniello, Pozzillo, La Rita, Cava del Monaco”.
“Interventi – spiega – già finanziati nel 2010, dopo la morte della piccola Anna De Felice, con un totale di quasi 5 milioni di euro, ma mai realizzati”. Segnalazioni inviate a mezzo Pec. Grida inascoltate. Come l’ultimo campanello d’allarme, appena martedì scorso, quando aveva scritto a Regione Campania, Città metropolitana di Napoli e commissario prefettizio, subito dopo l’annuncio di allerta meteo arancione, chiedendo lo “stato di grave crisi per la calamità naturale imminente”, in particolare per quello che si considerava un pericolo incombente nella zona del vallone della Rita.
Auspicando, per esempio, lo sgombero delle case a rischio. Era stato cattivo profeta. “Ma questo è il momento del dolore e della rabbia, preferisco non cavalcarlo”, dice a “Repubblica”. Basta però leggere le sue denunce, tutte protocollate. Le mostra non con l’orgoglio di chi sapeva, ma con la rabbia di chi nulla ha potuto: “Gli alvei naturali di Casamicciola Terme, nonostante i fondi stanziati, per l’inerzia della pubblica amministrazione, in un perverso gioco di scaricabarile, non sono stati oggetto di alcun intervento dopo l’alluvione del novembre del 2009, c’è, quindi, l’eventualità concreta di una nuova alluvione nelle stesse zone, per cui si chiede di porre in essere determinate azione di protezione della popolazione, che non può essere il semplice avviso di un’allerta meteo”.
E dunque il day after della tragedia di Ischia è, ancora una volta, affollato di dubbi e rimpianti. Senza l’incuria e la superficialità, senza l’irresponsabilità degli ultimi anni, le morti potevano essere evitate. “Ma ora, almeno, bisognerà capire che non si può tornare in quelle case, né in quella zona”, dice con tono dimesso Vincenzo D’Ambrosio, già sindaco di Casamicciola, prosciolto dall’accusa di disastro colposo per la morte di Anna De Felice, vittima di un’altra alluvione, quella del 2009.
“Sa che i bambini che stanno estraendo morti erano miei pazienti? Nelle case travolte dal fango andavo spesso per visitarli, oggi credo che sia il momento di dire basta, sennò ci troveremo a rivivere nuove tragedie. Uno Stato serio ha il dovere di abbattere e delocalizzare, studiando un’alternativa abitativa per le famiglie sfollate. Per i superstiti, intendo”.
Rilanciamo: e la manutenzione ordinaria e straordinaria degli alvei? “Durante il mio periodo da sindaco, abbiamo fatto dei lavori a Cava Pozzillo, uno degli alvei più a rischio, ma la cura di queste infrastrutture compete a Regione e Città metropolitana di Napoli. E mica è facile mettere una montagna in sicurezza. La soluzione è non abitarla, non fino a lassù almeno. Perché il rischio sarà sempre maggiore, con i fenomeni climatici estremi. Case abusive? In realtà si tratta per lo più di adeguamenti di vecchi ruderi, non ci sono vere e proprie speculazioni (ma a Casamicciola ci sono state 3506 istante di condono, ndr). Ma, certo, ora occorre voltare pagina”.
Nel silenzio spettrale di Casamicciola, la voce dell’ex primo cittadino rotta dall’emozione è quasi una prima ammissione di responsabilità. Come a dire: ci siamo illusi che lì si potesse vivere, con un po’ di fortuna.
“Ma alcune tragedie sono prevedibili”, sbotta Giovannangelo De Angelis, presidente della sottosezione ischitana del CAI, il Club Alpino Italiano, che da anni si occupa della messa in sicurezza della sentieristica dell’isola e conosce bene il Rarone e via Celario, il versante settentrionale dell’Epomeo dove ieri – come il segno dell’artiglio di un felino la frana divideva in due il bosco.
“Sono avvilito. – dice – Gli alvei sono abbandonati a sé stessi da anni, opere di ingegneria naturalistica indispensabili per far defluire l’acqua piovana e invece puntualmente ostruiti da alberi e detriti. E’ venuto meno l’equilibrio della montagna, alla cui manutenzione per secoli hanno provveduto i suoi abitanti, ricevendone un tornaconto, dalla legna da ardere ai frutti”.
“Il fianco dell’Epomeo interessato dalla frana è una porta d’accesso a uno scrigno di tesori, nascosti nei castagneti, ma l’abbandono di piccole economie, dal taglio del legname alla lavorazione di minerali come l’allume, ha inciso sullo stato del bosco, e sulla sicurezza dei costoni, indeboliti anche dai continui incendi boschivi estivi”, conferma la guida ambientale Marianna Polverino, coordinatrice campana di Aigae, Associazione Italiana Guide Ambientali Escursionistiche.
(da La Repubblica)
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