Dicembre 20th, 2022 Riccardo Fucile
DAI PAGAMENTI ALLA FLAT TAX LE PROMESSE ANNULLATE
Sotto l’albero, Matteo Salvini troverà qualche milione di «rompipalle» (cit.) arruolati nell’esercito del Pos. Sono quelli che pagano il caffè con la carta, nemici giurati del ministro leghista sedicente «liberale» che sognava liberi contanti in libero Stato e si rallegrava delle passeggiate alla ricerca di un bancomat: «Mi piace andarci».
Perde malamente la destra di governo, piegata dal buonsenso e trafitta da Bruxelles. Ed è di certo questa, per Giorgia Meloni, la sconfitta più cocente di una manovra piccola piccola. Dove la moneta elettronica era l’alfa e l’omega degli “appunti di Giorgia”, sbianchettati in due settimane dalla lobby degli euroburocrati amici delle commissioni bancarie.
Una finanziaria striminzita, si diceva. Strizzata da tempi impossibili, lasciando senza soddisfazione e senza dibattito i parlamentari. Una legge di bilancio figlia di promesse radiose e ritirate strategiche. Flat tax, ma poco e piano. Pensioni minime, qualcosa e soltanto per i più anziani. Mega condono fiscale, ridotto a un sospiro. Opzione donna, che ancora non si capisce bene come finirà. Ma proprio per questo c’era il Pos, madre di tutte le battaglie, parafulmine per ogni recriminazione.
Meloni ci aveva messo la faccia. «Il sostegno all’economia reale – scandiva solo sette giorni fa – passa anche dalla possibilità che l’obbligo di accettare i pagamenti elettronici sia previsto solo per quelli che superano una certa soglia», una scelta che «il governo rivendica». L’effetto era stato quello di illudere commercianti e operatori, fedeli alla linea di Salvini che intanto insisteva: «Il cittadino deve essere libero di pagare come ritiene. Un Paese libero non ti impone costrizioni». Ma alla fine la terra promessa del contante è finita per essere barattata con il via libera della Commissione, che ha ovviamente sentenziato: dovete rinunciare alla misura, perché nel Pnrr – che assicura all’Italia oltre duecento miliardi – c’è scritto il contrario di quello che intendete fare. E quindi addio alla «pacchia è finita» (sempre Meloni), ritirata strategica lungo una nuova linea del fronte: interverremo comunque sulle commissioni bancarie, «in qualche modo faremo».
Fa male il Pos, perché era forse l’unica promessa su cui Meloni aveva investito davvero in questa manovra. Sulle altre, ci avevano pensato Salvini e Silvio Berlusconi ad accendere sogni. Il leghista aveva in animo una rivoluzionaria flat tax: incrementale, poi al 15% per tutti. «Nel primo consiglio dei ministri la faremo per gli autonomi fino a 100 mila euro», giurava due mesi fa. E invece l’Italia si dovrà accontentare di un ritocchino per le partite Iva nella fascia tra i 65 e gli 85 mila euro.
Ma se Meloni davvero voleva dare un dispiacere – e negare un’altra delle promesse elettorali nate a destra – ha scelto di concentrarsi sul Cavaliere. Ancora pochi giorni fa, il leader azzurro chiedeva a Palazzo Chigi di osare: «È necessario fare il massimo sforzo possibile per aumentare le pensioni minime a mille euro». Saranno limate fino a seicento euro, e soltanto per gli over 75. Altra promessa infranta.
È tutta così, questa manovra. Perché Meloni – questo in effetti lo sostiene da mesi, e già in campagna elettorale – non ha alcuna intenzione di tradire il rigore promesso prima di apprestarsi a sostituire Mario Draghi. Se non fosse che con quei punti programmatici i partiti di governo hanno vinto le Politiche. Ovunque ci si volti, la scarsità di risorse genera confusione e produce caos: il superbonus sarà prorogato a fine dicembre, anzi no, e infine sembra di sì (ma chi ha da investire, attenda la versione finale, non si sa mai). E peggio va per opzione Donna, su cui gli uffici dell’esecutivo cambiano idea ogni 24 ore, senza chiarire se varrà anche per chi non ha figli. E anche qui, vale il consiglio di prima: studiare la versione che sarà pubblicata in Gazzetta ufficiale.
Alla fine, queste settimane saranno ricordate soprattutto per due slogan. Uno sbriciolato dalle abitudini, quello sul pos. L’altro invece difeso strenuamente e portato a casa (e in cassa) per esplicito volere di Meloni: il reddito di cittadinanza varrà al massimo altri sette mesi. Qualcos’altro verrà, forse. O, per dirla come nella disfida sul bancomat, «qualcosa ci inventeremo».
(da La Repubblica)
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Dicembre 20th, 2022 Riccardo Fucile
IL CAVALIERE SI LAMENTA CON LA RUSSA
L’ultimo segnale è arrivato domenica, poche ore dopo il rumoroso moto di disapprovazione della platea di Giorgia Meloni davanti al video di Silvio Berlusconi.
“I fischi al Cavaliere dai militanti di Fratelli d’Italia – ha scritto su Twitter Francesco Bonifazi, che di Matteo Renzi è amico, ombra, estensione – dimostrano che la maggioranza è profondamente divisa. E che il partito della presidente del Consiglio non conosce la parola gratitudine”.
È come se il senatore di Italia Viva avesse gettato una manciata di sale sulla ferita aperta del leader di Forza Italia. Il quale, poco prima, aveva scoperto con raccapriccio il trattamento che gli era stato riservato.
Dopo aver letto le agenzie, Berlusconi aveva chiamato subito Ignazio La Russa per sapere cosa stesse accadendo in piazza del Popolo. E il presidente del Senato aveva steso un pietoso velo: “Ma no, Silvio, ha fischiato solo qualche spettatore insofferente per i ritardi”.
Ciò non toglie che Berlusconi, da settimane, manifesta insoddisfazione per l’atteggiamento della premier. E aspetta soltanto il momento giusto per reagire (anche se molto dipenderà dal grado di logoramento politico dopo decenni di impegno). È comunque qui, nella carne viva di questo disagio politico e umano, che prova a incunearsi proprio Renzi, tessitore di trame alla ricerca del consenso perduto.
I due si sentono al telefono, da tempo. Quando a ottobre i genitori del fondatore di Iv sono stati assolti nel processo per false fatture, Berlusconi ha alzato il telefono per rallegrarsi della novità con Renzi. Si parlano spesso, anche attraverso ambasciatori che sono amici di entrambi. Hanno pure tentato di organizzare un colloquio diretto, che prima o poi probabilmente si farà. E soprattutto, hanno un interesse comune: tornare centrali, ridimensionando chi siede a Chigi. E perché no, sostituendola magari.
E dire che Berlusconi è in profonda difficoltà. La delegazione di governo risponde soltanto fino a un certo punto alle sue indicazioni. Soprassiede per rispetto sulle uscite smodate dell’anziano leader, dalle bottiglie di lambrusco inviate a Putin alla promessa di offrire donne a pagamento ai giocatori del Monza.
È anche per lanciare un messaggio interno che l’altro ieri il Cavaliere ha voluto ricordare con il videomessaggio per il decennale di FdI che la fondazione del centrodestra è suo esclusivo merito. Ma è soprattutto alla premier che si è rivolto quando ha spiegato che lui avrebbe meritato di entrare nell’esecutivo.
È il peccato originale. Quello che anche Giorgia Meloni conosce, perché ne è stata protagonista tenendo fuori alcuni dei fedelissimi del Cavaliere, come la capogruppo al Senato Licia Ronzulli o il calabrese Giuseppe Mangialavori. Berlusconi non glielo ha mai perdonato, così come in privato lamenta spessissimo di essere quasi ignorato dalla leader di FdI: “Non mi telefona mai prima dei vertici internazionali, non tiene conto della mia esperienza”, ripete spesso.
Chi chiama di frequente è invece Renzi, come detto. La promessa dell’ex segretario del Pd a inizio legislatura è stata ambiziosa: “Entro due anni farò cadere Meloni”. L’idea è sfruttare proprio la sintonia con Berlusconi e il rapporto sempre più stretto tra i gruppi parlamentari azzurri e del Terzo Polo. La dinamica, in realtà, è un po’ più ingarbugliata. E passa anche dal rapporto tra Renzi, azionista di minoranza del blocco centrista, e Carlo Calenda. Il quale, forse non per caso, continua invece a messaggiarsi e parlarsi con Meloni.
Due anni, dice Renzi. Di fatto, il confine ideale è quello delle Europee. È lo stesso orizzonte che teme Meloni, consapevole di dover sfruttare proprio il 2023 per cercare di segnare la legislatura, dare un’impronta al suo esecutivo dopo una manovra in sordina e senza risorse, combattere l’ultima battaglia per stabilire i rapporti di forza nel centrodestra di domani.
Con un’altra idea in testa: quella di cannibalizzare Forza Italia (o quel che resterà di essa) portarla nei Conservatori assieme alla Lega. Per un partito unico di governo. Ma è proprio il 2023, libero dagli assilli di questa finanziaria, che Berlusconi immagina come l’anno del riscatto sull’alleata. Se possibile, con la sponda di Renzi. La partita è appena cominciata.
(da La Repubblica)
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Dicembre 20th, 2022 Riccardo Fucile
IL CUNEO FISCALE RESTA SOPRA IL 45%… IL MERCATO DEL LAVORO HA FRENATO NEL TERZO TRIMESTRE DI QUEST’ANNO
Retribuzione netta a disposizione dei lavoratori in calo del 10% tra il 2007 e il 2020, con i provvedimenti per il Covid che hanno almeno consentito di frenare il crollo nell’anno della pandemia.
Cuneo fiscale, ovvero incidenza di imposte e contributi sul costo del lavoro, in discesa ma ancora superiore al 45%.
Ecco alcuni dei dati principali usciti dalla ricognizione dell’Istat. Confrontando le variazioni a prezzi costanti nelle componenti del costo del lavoro tra il 2007 (anno che precede la crisi economica) e il 2020, secondo l’Istat “i contributi sociali dei datori di lavoro sono diminuiti del 4%, anche per l’introduzione di misure di decontribuzioni mentre i contributi dei lavoratori sono rimasti sostanzialmente invariati, le imposte sul lavoro dipendente sono aumentate in media del 2%, la retribuzione netta a disposizione dei lavoratori si è ridotta del 10%”.
Dall’indagine “Reddito e condizioni di vita” 2021 emerge che l’anno precedente, il 2020, il valore medio del costo del lavoro, al lordo delle imposte e dei contributi sociali, è risultato pari a 31.797 euro, il 4,3% in meno dell’anno precedente.
La retribuzione netta a disposizione del lavoratore – si legge nel rapporto – è indicata a 17.335 euro e costituisce poco più della metà del totale del costo del lavoro (54,5%). Il cuneo fiscale e contributivo, ossia la differenza tra il costo sostenuto dal datore di lavoro e la retribuzione netta del lavoratore, è in media pari a 14.600 euro e sebbene si riduca del 5,1% rispetto al 2019 continua a superare il 45% del costo del lavoro (45,5%), dice l’Istat.
I contributi sociali dei datori di lavoro costituiscono la componente più elevata (24,9%), il restante 20,6% risulta a carico dei lavoratori: il 13,9%, sotto forma di imposte dirette e il 6,7% di contributi sociali.
Nel 2020, circa il 76% dei redditi lordi individuali (al netto dei contributi sociali) non supera i 30.000 euro annui: la metà dei redditi lordi individuali si colloca tra 10.001 e 30.000 euro annui, oltre un quarto è sotto i 10.001 euro e soltanto il 3,7% supera i 70.000 euro. Il reddito medio da lavoro autonomo, al lordo delle imposte e dei contributi sociali, è pari a 24.885 euro annui, con una riduzione del 5,9% rispetto al 2019. Il reddito netto a disposizione del lavoratore autonomo raggiunge il 68,5% del totale (17.046 euro): le imposte rappresentano il 14,1% del reddito lordo e i contributi sociali il 17,4%.
Rallenta il mercato del lavoro, occupazione nel terzo trimestre -2,6%
Sul mercato del lavoro si è invece concentrata l’altra analisi pubblicata in giornata, sempre ad opera dell’Istat ma questa volta con Ministero del Lavoro, Inps, Inail e Anpal. Nella Nota trimestrale sulle tendenze dell’occupazione nel terzo trimestre 2022 si stima che l’input di lavoro misurato in Ula (Unità di lavoro equivalenti a tempo pieno) sia in lieve diminuzione rispetto ai tre mesi precedenti (-0,1% rispetto al secondo trimestre 2022), mentre rallenta la crescita su base annua (+2,7% rispetto al terzo trimestre 2021). Anche l’occupazione cala leggermente rispetto al trimestre precedente (-52.000, -2,6%) e riduce l’aumento su base annua (+1,1% o +247.000), a fronte di un calo dei disoccupati (-52 mila, -2,6%) e una leggera crescita degli inattivi di 15-64 anni (+30 mila, +0,2%).
(da agenzie)
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Dicembre 20th, 2022 Riccardo Fucile
I MILITARI DI LUKASHENKO SONO POCO ADDESTRATI E DI CERTO NON SVOLTEREBBERO IL CONFLITTO A FAVORE DI MOSCA
Tra sorrisi e strette di mano, Vladimir Putin e Aleksandr Lukashenko sono tornati a incontrarsi ieri a Minsk. Un vertice che a Kiev ha riacceso la paura che la Russia possa esercitare sulla Bielorussia pressioni tali da coinvolgerla direttamente nella tragica aggressione contro l’Ucraina. Oppure che le truppe russe possano preparare una nuova offensiva da Nord facendo irruzione ancora una volta dal territorio bielorusso come accaduto all’inizio della guerra.
Il Cremlino nega di voler trascinare nel conflitto il regime di Lukashenko: sono «invenzioni assolutamente stupide» e «senza fondamento», dichiara secco il portavoce di Putin, Dmitry Peskov.
Ma prima che il presidente russo mettesse di nuovo piede a Minsk, dove mancava da ben tre anni, il capo di Stato maggiore ucraino Serhiy Nayev dichiarava che – secondo il governo di Kiev – durante i colloqui tra Putin e Lukashenko sarebbero state «risolte questioni per un’ulteriore aggressione contro l’Ucraina e un più ampio coinvolgimento delle forze armate bielorusse».
Dopo due ore e mezza di colloqui, Lukashenko ha affermato che la Bielorussia dispiegherà i sistemi missilistici S-400 e Iskander consegnati dalla Russia. Mentre Putin ha dichiarato che Mosca continuerà ad addestrare gli equipaggi bielorussi a pilotare aerei potenzialmente armabili con testate nucleari e che Russia e Bielorussia continueranno a svolgere esercitazioni militari congiunte.
Queste sono le dichiarazioni pubbliche. Difficile dire cosa si siano detti a quattr’ occhi Putin e Lukashenko, ma la Bielorussia potrebbe avere armi di epoca sovietica «che potrebbero essere utili a Mosca», mentre Minsk ha bisogno del sostegno economico russo. Il despota di Minsk nega però di voler inviare soldati in Ucraina e secondo diversi esperti un attacco congiunto russo-bielorusso sarebbe difficile, se non altro perché politicamente molto pericoloso per il regime di Lukashenko. Tuttavia, gli stessi esperti non escludono completamente questa possibilità, visto che Minsk è ormai sempre più dipendente da Mosca.
In ogni caso, in un contesto così incerto, Kiev è costretta a schierare truppe anche a Nord, nei pressi della frontiera con la Bielorussia, e a distogliere quindi soldati dal fronte
Del resto, oltre ad aver permesso a Putin di lanciare l’offensiva dal suo territorio a febbraio, la Bielorussia in questi dieci mesi di violenze è stata accusata più volte di aver consentito all’esercito russo di bombardare l’Ucraina.
(da La Stampa)
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Dicembre 20th, 2022 Riccardo Fucile
SU DI LUI PESANO ANCHE I RAPPORTI CON IL BROKER GIANLUIGI TORZI, LA GESTIONE DEGLI IMMOBILI DELLA STESSA CROCE ROSSA, I RAPPORTI CON UNA DELEGAZIONE CINESE NEL PERIODO PIÙ DURO DEL COVID, PASSANDO PER LA SUA TESTIMONIANZA NEL PROCESSO MAFIA CAPITALE… NOMINO’ SUO PORTAVOCE MARCELLO DE ANGELIS, EX ESPONENTE DI TERZA POSIZIONE, COGNATO DELLO STRAGISTA LUIGI CIAVARDINI
Una carriera con tante luci, tutta a destra, quella di Francesco Rocca, 57 anni, romano, «orgogliosamente padre di Matteo e Giorgio – come lui stesso ama ripetere – e nonno di Marie», che ieri ha dato le dimissioni dalla Cri per accettare la candidatura a presidente della Regione Lazio per il centrodestra.
Ma non mancano le ombre, dalla vecchia condanna per spaccio di eroina ai rapporti con il broker Gianluigi Torzi, dalla gestione del personale e degli immobili della stessa Croce Rossa ai rapporti con una delegazione cinese nel periodo più duro del Covid, passando per la sua testimonianza nel processo Mafia Capitale.
Vicende su cui scorrono veleni proprio tra quelli che dovrebbero essere gli alleati, che ieri hanno intasato le chat dei sovranisti e che, rigorosamente a microfoni spenti, hanno portato più di qualche esponente del centrodestra a sostenere: «Ci faranno a pezzi e colpire lui significa ora colpire Giorgia Meloni».
Era il 1985 quando l’allora 19enne Francesco Rocca venne fermato e arrestato dai carabinieri, impegnati a monitorare lo spaccio di droga a Casal Palocco, alle porte della capitale.
Il futuro presidente della Cri e, secondo i sondaggisti, prossimo governatore del Lazio confessò. Non aveva in tasca un pezzetto di hashish o una dose di cocaina: era il tramite tra un gruppo criminale nigeriano che importava eroina, mentre i giovani a Roma morivano come mosche sui marciapiedi con una siringa infilata nel braccio, e un 23enne impegnato a distribuire in maniera capillare quella droga a Roma.
«Veniva fermato il giovane Francesco Rocca e questi, sottoposto a interrogatorio, ammetteva di aver conosciuto nel giugno 1985 alcuni giovani nigeriani e di essersi interessato su loro richiesta per reperire un acquirente per quantitativi consistenti di eroina», scrissero il 10 giugno dell’anno successivo i giudici del Tribunale di Roma nella sentenza con cui quello che diventerà avvocato e manager venne condannato a 3 anni e 2 mesi di carcere, confermata, con un piccolo sconto, nel 1987 dalla Corte d’Appello. Un uomo che, secondo i magistrati, aveva una «elevata pericolosità sociale» e una «proclività a delinquere».
«Bisogna imparare dagli errori e migliorarsi ogni giorno che passa», ha sostenuto anni dopo Rocca, assicurando che per lui quella vicenda è stata occasione di riscatto. Nella sua nuova vita sono arrivati così il volontariato, la laurea in Giurisprudenza, la lotta alle mafie come avvocato, e la carriera nella sanità, decollata quando Francesco Storace era governatore del Lazio.
Prima la direzione dell’azienda ospedaliera Sant’ Andrea di Roma, poi un posto nel consiglio d’indirizzo dello Spallanzani, uno nel nucleo di valutazione dell’Istituto nazionale tumori-Fondazione Pascale di Napoli, e infine quello da commissario straordinario all’Asl Napoli 2, scelto da un altro governatore di centrodestra, Stefano Caldoro, e quello da direttore generale all’Idi.
Ma a far diventare Rocca uno degli uomini più potenti è stata soprattutto la presidenza della Croce Rossa Italiana 2013, a cui ha poi aggiunto quella della Federazione Internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa.
Incarichi che ora i detrattori sostengono siano stati caratterizzati, nell’arco di oltre dieci anni, anche da una gestione in cui non mancano zone d’ombra e rapporti particolari, come quello con Trozzi, indagato dalla magistratura vaticana per manovre sulla compravendita del palazzo di Sloane Avenue a Londra e proprio ieri rinviato a giudizio per autoriciclaggio.
Rocca respinge da tempo tutte le accuse. Non ha avuto difficoltà neppure a nominare come suo portavoce Marcello De Angelis, vicino sia a Storace che a Gianni Alemanno, ex esponente di Terza Posizione, cognato dello stragista Luigi Ciavardini e condannato per banda armata. Rocca tira dritto e per completare il riscatto vuole essere il numero uno anche nella sua regione, riuscendo nell’impresa di mettere alla porta la sinistra dopo due legislature di Zingaretti.
(da La Repubblica)
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Dicembre 20th, 2022 Riccardo Fucile
ECCO CHI E’ L’UOMO SCELTO DALLA MELONI
“Veniva fermato il giovane Francesco Rocca e questi, sottoposto a interrogatorio, ammetteva di aver conosciuto nel giugno 1985 alcuni giovani nigeriani e di essersi interessato su loro richiesta per reperire un acquirente per quantitativi consistenti di eroina”.
Era il 10 giugno 1986 quando il Tribunale di Roma, al termine di un processo per spaccio con imputato l’attuale candidato del centrodestra alla presidenza della Regione Lazio, emetteva quattro condanne.
Tre anni e due mesi di reclusione e 7 milioni di lire di multa per l’ormai ex presidente della Croce Rossa Italiana.
L’anno dopo venivano concessi due mesi di sconto dalla Corte d’appello e da quel momento l’aspirante governatore ha cercato il suo riscatto, vicino alla destra ma soprattutto accreditandosi come un Mister Wolf nelle maxi emergenze.
Quando venne arrestato dai carabinieri, Rocca aveva 19 anni. I militari stavano indagando su un giro di spaccio a Casal Palocco, tra Roma e il litorale. Dopo una serie di appostamenti fermarono l’attuale candidato, che vuotò subito il sacco. Disse che su richiesta del gruppo nigeriano aveva trovato una acquirente per l’eroina, un 23enne romano, e che “più volte aveva consegnato” droga a quest’ultimo, per “un totale di circa 140 grammi”, precisando di averlo fatto “per contro di tre cittadini nigeriani”.
Un tramite tra gli importatori di quella sostanza stupefacente che ha seminato lutti nella Capitale e un uomo che si occupava di distribuirla, come precisato dai giudici nella sentenza, in modo capillare a Roma. I due vennero considerati giovani dalla “elevata pericolosità sociale” e con una “proclività a delinquere”.
Ombre nel curriculum di Rocca, da cui è partito cercando luci, prima con il volontariato, poi come avvocato e successivamente con una carriera da manager sanitario, iniziata quando presidente della Regione Lazio era Francesco Storace e proseguita nella Croce Rossa.
“Bisogna imparare dagli errori e migliorarsi ogni giorno che passa. L’umanità è fragile e ogni individuo può sbagliare”, ha sostenuto lo stesso aspirante governatore quando, arrivato alla guida della Cri internazionale ha parlato di quella condanna per spaccio.
Prima di essere scelto dal centrodestra come candidato civico, cercando così di ridurre all’interno di FdI lo scontro con il gruppo di Fabio Rampelli, costretto ancora una volta a farsi da parte e che difficilmente avrebbe accettato una candidatura politica che non fosse la sua, l’aspirante governatore si è laureato in Giurisprudenza, è diventato avvocato, nella seconda metà degli anni ’90 è finito per cinque anni sotto scorta lavorando nel settore antimafia, e poi è cresciuto nel settore della sanità, collezionando la presidenza dell’Ipab “Asilo della patria”, la direzione dell’azienda ospedaliera Sant’Andrea di Roma, un posto nel consiglio d’indirizzo dello Spallanzani, uno nel nucleo di valutazione dell’Istituto nazionale tumori-Fondazione Pascale di Napoli, quello da commissario straordinario all’Asl Napoli 2 e quello da direttore generale all’Idi.
Ma soprattutto è diventato uno degli uomini più potenti d’Italia raggiunta nel 2013 la presidenza della Croce Rossa Italiana e poi della Federazione Internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, primo italiano a ricoprire il prestigioso ruolo. Oggi, 19 dicembre, le dimissioni: “Ho scelto di mettermi a disposizione del territorio. Come esperto di sanità pubblica, penso di poter portare un valore aggiunto”. E poco importa se anche in Croce Rossa non sono mancati scontri e contenziosi.
Una carriera dunque con tante luci e qualche ombra. Ombre che non hanno rappresentato un problema per FdI. Come non è stato un problema per Rocca scegliere Marcello De Angelis come suo portavoce in Croce Rossa, un ex parlamentare di An ed ex esponente di Terza Posizione, cognato dello stragista Luigi Ciavardini e condannato a 5 anni e mezzo di reclusione per associazione sovversiva e banda armata.
Lo stesso De Angelis, uscito dal carcere, ha fondato un gruppo musicale, chiamandolo 270bis, dall’articolo del codice penale relativo alle associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico, facendo poi carriera nel giornalismo e in politica. Un’altra storia di riscatto. E da oggi Rocca ha un nuovo obiettivo: la presidenza della Regione Lazio.
(da La Repubblica)
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Dicembre 20th, 2022 Riccardo Fucile
MALCONTENTO E MILITANTI DIMEZZATI IN LOMBARDIA: DA 9.000 A 5.000
La crisi della Lega vista da Burghét – assemblea tardo-serale del Comitato Nord nel palazzo comunale che è un gioiello medievale, una quarantina di persone, c’è la sindaca a fare gli onori di casa – si riassume così: dei 30 iscritti della vecchia sezione, nel 2022 non hanno rinnovato la tessera in nove, gli altri lo hanno fatto ma ‘con riserva’.
Numeri in linea con il resto della Lombardia: dei 9 mila iscritti del 2021, a fine giugno ne mancavano 4 mila all’appello. “Si è spezzato il legame con il territorio: quando c’era Roberto Maroni alle amministrazioni arrivava sempre una risposta, ora non ti ascolta più nessuno”, si sfoga Giovanna Gargioni, prima cittadina di questo paese di 4 mila anime.
Al congresso provinciale di pochi giorni fa di Lodi è stato confermato il segretario uscente, Claudio Bariselli, tutt’altro che estraneo alle sirene bossiane. Il salvinismo visto da qui, da questo pezzo di militanza che si era innamorata del ‘sindacato del nord’, del ‘padroni a casa nostra’ e di tutto il noto e rimosso armamentario indipendentista, è una storia ormai finita.
L’eurodeputato Angelo Ciocca, 90 mila preferenze nel 2019, fazzoletto verde al petto e montatura degli occhiali dello stesso colore, dice che “di questo passo alle prossime Europee la Lega non prende neanche il 4 per cento, non supera lo sbarramento”.
Catastrofismo? “Fdi ci invidia la territorialità, ma se un militante non viene ascoltato dai vertici del partito è chiaro che poi ti sfancula…”.
In poche settimane la minoranza benedetta da Umberto Bossi ha raccolto 1.300 adesioni dentro il partito in Lombardia. Ha vinto congressi provinciali di peso (da Bergamo a Brescia), ha costituito un nuovo gruppo in Regione con quattro consiglieri regionali che sono stati subito espulsi da Matteo Salvini, macina iniziative nei posti sperduti, inghiottiti dalla nebbia padana, “lo si fa quando ti guida un sogno”, assicura sempre Ciocca.
L’altro organizzatore del Comitato è Paolo Grimoldi, uno di fatto estromesso dal Parlamento perché non abbastanza esecutore dei voleri del capo (se l’era vista brutta anche Bossi, rientrato alla Camera solo dopo il riconteggio dei voti, “al suo posto stava entrando un siciliano, capite bene…”, scuote la testa Ciocca), parla al telefono perché influenzato, ricorda che lui in passato si è preso degli avvisi di garanzia, “non perché rubavo o altro ma perché attaccavo i manifesti per l’indipendenza del Nord”.
L’incontro è pubblico, certo, ma c’è tutta l’aria carbonara di chi deve decidere cosa fare: restare dentro la Lega o strappare una volta per tutte? “Avete presente i violinisti del Titanic? Dicono che va tutto bene, la barca affonda, nel prossimo Consiglio regionale la Lega passerà da 31 eletti a 8-9”, avverte Ciocca. La strategia è semplice, perlomeno come prima opzione: creare una lista nordista a sostegno di Attilio Fontana, portare in Regione qualche eletto padano senza sbandamenti nazionalisti. Tutti sanno che difficilmente Salvini permetterà qualcosa del genere, e allora?
“Abbiamo gli stessi voti di dieci anni fa, solo che prima erano radicati qui e ora sono diluiti: 3 milioni di elettori ma con idee diverse a seconda della latitudine”, si lamenta un partecipante, prendendo la parola. Per lui il colpevole è uno: Salvini. “Ha cambiato i connotati al partito senza passare da un congresso”. Altra mano alzata, altro militante: “Ma noi siamo già fuori?”, si domanda. Difficile capirlo, Bossi e co. si muovono sul filo del rasoio, minoranza e allo stesso tempo neonata associazione aperta a tutti, espulsi compresi.
Solo che per tracciare le prossime mosse serve un po’ di riservatezza, in sala c’è un solo giornalista e Ciocca sorride: “Non mandiamo via nessuno, però per correttezza sappiate che la stampa è qui”.
Le carte comunque si scopriranno presto: oggi in tarda mattinata al Pirellone si preannunciano altre novità in casa Comitato Nord. Chissà se Salvini l’ha capito, ma questa pianura a lui così congeniale (“ah la nebbia, che meraviglia quando torno”, spiegava sabato a Milano) rischia di trasformarsi in una via crucis.
(da La Repubblica)
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Dicembre 20th, 2022 Riccardo Fucile
“IL COMITATO NORD VENGA RICONOSCIUTO COME LISTA DELLA COALIZIONE DI CENTRODESTRA”
“Salvini non mi parla? È un bambino, non si comporta come un uomo e io sono abituato a parlare con gli uomini”, dice Umberto Bossi. Il senatur si sfoga con i suoi, incontrati al Pirellone. Il vicepremier non si fa trovare al telefono, evita il confronto con il fondatore, la situazione è sul punto si sfuggirgli di mano.
Ora c’è una settimana per decidere, per sancire la rottura nella Lega tra Bossi e Salvini oppure per risanarla in qualche modo. A mediare c’è Attilio Fontana. Il vecchio capo e fondatore arriva alle 11, si chiude in una saletta laterale del Consiglio regionale e con lui ci sono i quattro consiglieri espulsi la scorsa settimana, creando il gruppo Comitato Nord in aula, oltre ad Angelo Ciocca e Paolo Grimoldi.
Poi arriva il presidente, la cui preoccupazione è nota, ovvero perdere per strada un pezzo di Lega e rendere la sua rielezione alle Regionali meno facile, comunque allontanando la soglia del 40 per cento necessaria per prendere il premio di maggioranza
“Mi farò promotore con la coalizione di centrodestra della necessità di accogliere anche loro”, dice il governatore una volta uscito dal faccia a faccia con Bossi. Il senatur non parla uscendo dall’incontro, viene portato via subito dai suoi, esce fuori solo uno scarno comunicato: “Oggi il Presidente a vita della Lega Nord Umberto Bossi ha incontrato in consiglio regionale il Presidente Attilio Fontana. Una richiesta chiara ed inequivocabile: farsi parte attiva con gli alleati di coalizione al fine di riconoscere il Comitato Nord come lista all’interno della coalizione di centrodestra in appoggio al presidente Fontana”.
Piccolo particolare: il riferimento alla presidenza a vita della Lega Nord, cioè non il partito Lega per Salvini premier, il nuovo guscio formale creato dal “Capitano”. E adesso? Se entro domenica non ci sarà il via libera all’ingresso del Comitato Nord in coalizione a quel punto il gruppo potrebbe virare su Letizia Moratti. Portandosi via un pezzo di Lega lombarda, il cuore del Carroccio.
(da La Repubblica)
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Dicembre 20th, 2022 Riccardo Fucile
LA MADRE E’ PARTITA PER LONDRA DOVE L’EX CALCIATORE E’ RICOVERATO… NEL 2017 LA SCOPERTA DEL TUMORE AL PANCREAS
Il mondo del calcio è in ansia per Gianluca Vialli. Il capo delegazione della Nazionale campione d’Europa e braccio destro del ct Roberto Mancini è ricoverato a Londra per il peggioramento delle sue condizioni di salute. La madre Maria Teresa è partita da Cremona per l’Inghilterra. L’ex calciatore sta lottando da cinque anni contro un tumore al pancreas e ora si trova nella clinica dove aveva già sostenuto due cicli di chemioterapia per il cancro scoperto nel 2017.
Pochi giorni fa l’ex attaccante di Sampdoria, Juventus e Chelsea aveva preso una pausa dalla Nazionale (“spero in modo temporaneo”) per dedicarsi completamente alle cure.
Un segnale che confermerebbe ciò che nessuno si augurava, cioè che la malattia è tornata a bussare in maniera crudele.
Ecco perché meno di una settimana fa Vialli aveva espresso la volontà di “utilizzare tutte le energie psico-fisiche per aiutare il mio corpo a superare questa fase della malattia”.
(da agenzie)
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