Febbraio 26th, 2023 Riccardo Fucile
RIGUARDA I FONDI IMPEGNATI PRIMA PER L’EMERGENZA E POI PER LA RICOSTRUZIONE DEL VIADOTTO
Non uno, ma due. O forse più filoni aperti dalla Procura della Corte dei Conti sui soldi spesi dal commissario straordinario per la gestione dell’emergenza dopo il crollo del Ponte Morandi e dal commissario straordinario per la ricostruzione del Viadotto San Giorgio.
Tutto ciò trapela nel giorno della inaugurazione dell’anno giudiziario. E’ probabile che i magistrati, guidati dal procuratore regionale Antonio Giuseppone (dal primo marzo sarà trasferito alla Procura regionale della Corte dei Conti della Campania), abbiano già notificato l’invito a dedurre ai diretti interessati: da una parte il presidente della Regione Giovanni Toti, dall’altra il sindaco di Genova Marco Bucci.
La Procura regionale della Corte dei conti indaga sulle spese di ricostruzione del nuovo Ponte Morandi e sull’attività dei commissari. Nel mirino della magistratura contabile è finito il lavoro dei due commissari, quello della ricostruzione, il sindaco Marco Bucci, e dell’emergenza Giovanni Toti. I pm della corte dei conti infatti stanno svolgendo approfondimenti per capire quanti fondi pubblici siano stati utilizzati e se questi siano direttamente collegati o meno alla costruzione del ponte.
S’indaga anche su chi abbia effettivamente sostenuto i 280 milioni di euro della ricostruzione del nuovo ponte e sul ruolo della società concessionaria che si è fatta carico di sostenerli. E ancora. La magistratura contabile ha avviato accertamenti anche sul patteggiamento da 30 milioni di euro che ha permesso ad Aspi di uscire dal processo.
I pm vogliono capire se la cifra sia stata versata dalla vecchia Autostrade riconducibile alla famiglia Benetton oppure da quella nuova e statale affidata a Cassa Depositi e Prestiti.
(da agenzie)
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Febbraio 26th, 2023 Riccardo Fucile
ECCO PERCHE’ IL FUTURO DEL PAESE AFRICANO RIGUARDA ANCHE L’ITALIA
Ieri, 25 febbraio, gli oltre 90 milioni di elettori registrati della Nigeria, il
Paese più popoloso dell’Africa e sua prima economia per dimensione del Pil, hanno votato per scegliere il prossimo presidente e rinnovare il parlamento.
Nonostante – scrive Bloomberg – le votazioni siano state ritardate di diverse ore in molti seggi elettorali della Nigeria, la Commissione elettorale nazionale indipendente prevede «di proclamare il vincitore delle urne entro il 27 febbraio».
Chi riuscirà a ottenere il maggior numero di voti erediterà un paese chiamato ad affrontare «importanti sfide di carattere economico e sociale con la crisi finanziaria in corso, l’inflazione elevata, un mercato del lavoro problematico», dice a Open Lucia Ragazzi, ricercatrice per il Programma Africa dell’ISPI. Ma non solo: il paese dovrà fare i conti anche un’impennata di violenza e conflitti interni esacerbati da una società anche etnicamente frammentata. «Le questioni principali riguardano la corruzione, l’insicurezza ormai endemica, dovuta agli estremisti e a questioni etniche che riguardano il controllo e lo sfruttamento delle risorse del territorio, ma anche la disattenzione verso i giovani», spiega invece Antonella Sinopoli, direttrice di Voci Globali con base in Ghana e corrispondente per Nigrizia.
Chi sono i candidati del post-Buhari?
In lizza per il dopo Muhammadu Buhari, che non può più presentarsi alle elezioni, avendo concluso i due mandati consentiti dalla Costituzione, ci sono ben 18 candidati. Solo tre, secondo i sondaggi, hanno davvero una possibilità di vincere. Si tratta del 70enne Bola Ahmed Tinubu, ex governatore dello stato nigeriano di Lagos, esponente del partito di governo All Progressives Congress (APC); il 76enne Atiku Abubakar, importante uomo d’affari ed ex funzionario statale, candidato per il principale partito di opposizione People’s Democratic Party (PDP). E, infine, l’outsider di queste elezioni: Peter Obi, esponente del Labour Party, che punta a scardinare l’equilibrio bi-partitico che esiste dalla nascita della (giovane) democrazia nigeriana nel 1999. Per diventare il presidente di uno dei Paesi economicamente e geopoliticamente più importanti dell’Africa, uno dei tre dovrà ottenere il maggior numero di voti a livello nazionale e più del 25% di quelli espressi in almeno due terzi dei 36 stati della Nigeria. Se nessuno ce la farà, l’11 marzo si andrà al secondo turno. «Ci sono diverse particolarità in queste elezioni – spiega Lucia Ragazzi di Ispi – in generale le elezioni in Nigeria sono state contese tra due candidati: questa volta la particolarità è l’ingresso di un terzo partito nella competizione, quello di Obi che è un candidato di rottura rispetto agli altri e che secondo alcuni sondaggi potrebbe anche vincere».
È anche una questione europea
Gli effetti di una futura stabilità economica, sociale e democratica della prima economia dell’Africa «si ripercuoteranno inevitabilmente al di fuori del continente», dice Ragazzi. «Il colosso demografico ed economico è un polo di riferimento per i mercati internazionali» e gli osservatori mondiali hanno gli occhi puntati sulla Nigeria per via dell’influenza geopolitica del Paese ma anche, e soprattuto, per le sue grandi risorse energetiche che sono ambìte in un contesto di enorme incertezza. «L’Europa, compresa l’Italia, hanno bisogno più che mai delle risorse nigeriane: l’abbiamo visto con la guerra in Ucraina», spiega Sinopoli. «Ma hanno bisogno anche – continua – che questo che questo Paese esca dalla morsa della violenza e dell’insicurezza. Perché alla fine la destabilizzazione non fa bene a nessuno».
Le relazioni tra Unione europea e Nigeria – nonostante «siano cominciate nel 1975, quando era CEE, con l’accordo di Lomé», spiega Antonella Sinopoli -, «si sono fatte più strette a partire dal 1999, con la democratizzazione del Paese» che ha messo fine a 16 anni consecutivi di governo militare. «Oggi, per fare un esempio, – continua – la Commissione europea ha in corso un programma iniziato nel 2021 e che terminerà nel 2024 con un investimento in Nigeria da 508 milioni di euro nel campo dell’economia sostenibile, della governance e dello sviluppo umano mirato a combattere le ineguaglianze». Tuttavia, la Nigeria non è un Paese che non ha dato nulla in cambio. «Pensiamo alle tante risorse naturali», dice Sinopoli, in particolare il petrolio. «L’Ue – spiega – è diventato il maggiore importatore di greggio, ma soprattutto di gas: in questo caso parliamo dell’80% dal Paese africano».
L’incognita petrolio
La Nigeria è il principale produttore di petrolio in Africa e ha un potenziale di estrazione di circa 2 milioni di barili al giorno. Cifra, questa, che ha visto una sostanziale diminuzione negli anni fino a raggiungere numeri che vanno da 1,2 milioni a 1,3. Nell’ultimo anno, però, il gigante africano non è riuscito a sfruttare economicamente l’aumento dei prezzi del greggio, né a rispettare le quote di produzione che le erano state assegnate dell’associazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec). Le conseguenze di tale situazione sono da ricercare sia nel mancato ammodernamento delle infrastrutture, ma anche in seguito ai cosiddetti furti di carburante, rivenduto su mercati semi-clandestini, che costituiscono un problema in termini di approvvigionamento mondiale messo ulteriormente in crisi dall’invasione russa dell’Ucraina.
Ma non solo: la Nigeria non è in grado di raffinare il proprio petrolio per produrre carburante e, dunque, di sfruttare a pieno l’immensa ricchezza del suo territorio. Tutto questo, non incoraggia affatto gli investimenti delle multinazionali nel Paese, utili – se non indispensabili – per garantire una crescita degli introiti nazionali. Infine, il futuro del governo di Abuja è sotto gli occhi degli osservatori europei anche dopo l’approvazione del memorandum d’intesa – firmato il 15 settembre scorso – relativo al «progetto di gasdotto Nigeria-Marocco» che rifornirà l’Africa occidentale e l’Europa e che indirizzerà – inevitabilmente – l’agenda della nuova presidenza.
E L’Italia?
«L’Italia dal canto suo ha la stessa convenienza e le stesse necessità nei confronti di questo Paese», dice Sinopoli. «Qui opera l’Italian trade Agency (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, ndr)». I rapporti commerciali sono «molto forti ed estesi». La Nigeria è infatti il principale partner commerciale dell’Italia nell’Africa sub-sahariana dopo il Sud Africa: «Esportiamo mobili, materiali da costruzione, tecnologia. Pensiamo solo che secondo il database comtrade della Nazioni Unite sul commercio internazionale le esportazioni dall’Italia sono state valutate a 1,89 miliardi di dollari. È un dato che risale al 2018 ma rende molto l’idea». E poi: «pensiamo all’Eni: la sua presenza nel Paese risale al 1962. Ultimamente la grande azienda petrolifera ha firmato nuovi contratti di esplorazione e produzione di GNL (gas naturale liquefatto, ndr), mentre non si sono mai fermate le estrazioni di petrolio». Basta pensare all’accordo di 8 miliardi siglato tra Italia e Libia, con l’obiettivo di aumentare la produzione di gas sia per soddisfare la domanda interna, sia per garantire l’esportazione verso l’Europa. Tuttavia, chiunque vincerà le elezioni presidenziali, però, «non modificherà – è convinta Sinopoli – gli accordi economici e di partnership, gli interesse sono strettamente legati e sono reciproci» e, dunque, non converrebbe a nessuna delle due parti in gioco.
«Non è un paese per vecchi»
Ma oltre che per le motivazioni economiche, l’Italia e in generale l’Europa intera, «dovrebbero stare attenti a quanto accade in Nigeria, per la sua popolazione giovanile», costretta molto spesso alla migrazione forzata a causa del contesto economico-sociale destabilizzante. Nel 2050, la Nigeria sarà il terzo Paese più popoloso al mondo: l’età media è di 18 anni e il 70% della popolazione è under 30. «Il Paese ha dunque – spiega Sinopoli – una delle popolazioni giovanili a livello globale, e questo deve rappresentare un’opportunità» per l’Europa intera. «Pensiamo ad esempio alle tante start up avviate in questi anni, al panorama artistico, cinematografico e letterario». Tuttavia, la realtà di questo Paese, così “sconosciuto” ai più, è abbastanza sconfortante e l’elettorato più giovane è quello per certi versi più colpito dai fallimenti del presidente uscente Muhammadu Buhari. «Secondo gli ultimi dati la Nigeria ha circa 90 milioni di giovani disoccupati».
Quindi, cosa faranno questi giovani? Dove andranno a finire tutte queste energie? «Se non saranno incanalate verso la costruzione del futuro del Paese, le alternative – dice a Open Sinopoli – non sono molte: oltre ad aumentare il numero della popolazione povera e disperata (oltre 40% vive ancora sotto la soglia di povertà), potrebbero aderire a uno dei gruppi jihadisti che in questi anni hanno preso possesso di alcune aree del Paese; ma soprattutto potrebbero essere costretti ad emigrare». La Nigeria è il paese da cui ha origine la maggiore diaspora africana: i nigeriani sono i più numerosi tra i gruppi africani che vivono nell’Unione europea, compresa l’Italia. Ma non solo: «La Nigeria – spiega Lucia Ragazzi di Ispi – è anche il primo Strato dell’Africa subsahariana da cui arrivano i migranti irregolari verso l’Ue».
(da agenzie)
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Febbraio 26th, 2023 Riccardo Fucile
IL GOVERNATORE DELLA REGIONE DI SVERDLOVSK LO SBEFFEGGIA: “TORNA A CUCINARE POLPETTE E SPAGHETTI”
All’arredamento della propaganda manca ormai un pezzo importante. Fino a poco tempo fa, Evgenij Prigozhin era l’uomo forte che diceva le cose giuste. Era la figura da contrapporre ai «burocrati ministeriali» che con i loro tentennamenti impedivano una rapida avanzata in Ucraina.
Le sue critiche rivolte soprattutto al titolare della Difesa Sergey Shoigu e ai capi delle forze armate, risuonavano forti negli studi televisivi ed erano commentate con favore anche sulla carta stampata filogovernativa. Dopo la ritirata dell’Armata russa da Kherson, l’oligarca fondatore della Brigata Wagner era diventato quasi un contropotere all’interno del potere stesso, un amico personale di Vladimir Putin che criticava il modo «timido» con il quale veniva condotta l’Operazione militare speciale. Poteva permetterselo, dato il massiccio impiego dei suoi uomini al fronte.
Adesso, le dichiarazioni più polemiche dell’ex cuoco del presidente, in realtà ex titolare di una società di catering che riforniva il Cremlino durante i ricevimenti ufficiali, sono sparite dai media ufficiali.
Eppure, lui parla. Con cadenza quotidiana, continua a mandare messaggi attraverso i suoi social.
Prigozhin ha trascorso gli ultimi dieci giorni ad attaccare il ministero della Difesa, reo di far mancare al suo gruppo mercenario le munizioni necessarie per combattere. I media internazionali hanno dato ampio spazio alle sue lamentele. In Russia, niente.
Il sito di informazione indipendente Verstka racconta come molti organi di informazione statali siano stati istruiti a non citare più le frasi di Prigozhin quando trattano «argomenti non neutri». A sua volta, il ministero della Difesa avrebbe pronta una campagna mediatica contro di lui, nel caso ce ne fosse bisogno. L’unica certezza è la scomparsa di ogni parola al veleno pronunciata dal signore della guerra russo.
«Pensa agli affari tuoi, e torna a cucinare polpette e spaghetti». Qualcosa è davvero cambiato, se il governatore della regione di Sverdlovsk può permettersi di rispondere così alle critiche di uno dei personaggi più temuti di Russia che lo accusava di non dare degna sepoltura ai soldati della Wagner.
Un anno di Operazione militare speciale lascia il segno anche in Russia, anche negli equilibri sui quali si regge la verticale del potere putiniana. La crescente popolarità di Prigozhin, che si è sempre presentato come uomo d’azione contrapposto ai «topi d’ufficio», così ebbe a definirli, che siedono nei ministeri moscoviti, può diventare un problema.
In una intervista online di pochi giorni fa, il deputato di Russia Unita Oleg Matveychev ha descritto gli ultranazionalisti, il partito della guerra, come «la più grande minaccia interna nei confronti di Putin».
I liberali sono tutti fuggiti, spiegava. L’opposizione semi-ufficiale dei Comunisti non esercita una gran presa sull’elettorato. «I turbo-patrioti sono invece l’unico vero pericolo per il nostro Stato». Le loro critiche all’establishment rischiano di compromettere l’unità della Russia contro il nemico esterno, è il succo del ragionamento.
(da Il Corriere della Sera)
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Febbraio 26th, 2023 Riccardo Fucile
IN CALO LA FIDUCIA NELLA PREMIER (AL 41,3%, -0,3%), PER LA METÀ DI CHI VOTA LEGA E FORZA ITALIA, IL VIAGGIO A KIEV DELLA MELONI È STATO UN ERRORE
Il rapporto tra Giorgia Meloni e il suo elettorato è in leggero calo. A
certificarlo è l’ultima rilevazione di Euromedia Research per Porta a Porta, che segna la fiducia nel presidente del Consiglio al 41.3% e quella del suo governo al 39%.
Interrogando gli italiani sulla coesione della maggioranza ci si accorge che se il 38.7% la reputa unita anche con un dialogo aperto, il 46.4% la legge invece divisa, con tensioni e malumori al suo interno.
È interessante osservare come la percezione un po’ meno fluida e con diversi nervosismi all’interno della coalizione la interpretino, insieme ai partiti delle opposizioni, il 40.7% degli elettori di Forza Italia e il 31.7% di quelli della Lega, nonostante siano coabitanti a pieno titolo in tutte – o quasi – le maggioranze dove governano, comprese le ultime elezioni regionali vinte in Lombardia e in Lazio.
Le diverse esternazioni di Silvio Berlusconi non vengono giudicate lesive o con l’intento di disturbare il lavoro e l’immagine di Giorgia Meloni dal 72.9% degli elettori di Forza Italia; tuttavia un elettore su tre di Fratelli d’Italia ne è convinto. È pur vero che la maggioranza degli elettori azzurri (47.5%) e di quelli di Matteo Salvini (41.7%) non ha gradito la scelta di Giorgia Meloni di recarsi a Kiev per incontrare il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Fratelli d’Italia è riuscita a crescere nell’ombra delle opposizioni e ora deve vedersela con alleati che, essendo stati ai vertici, oggi faticano a trovare un posto sotto l’ala.
(da La Stampa)
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Febbraio 26th, 2023 Riccardo Fucile
NELL’ULTIMA LEGGE DI BILANCIO SONO STATE ABROGATE DAL 1° GENNAIO 2024 TUTTE LE NORME CHE REGOLANO IL SUSSIDIO VOLUTO DAL M5S. COMPRESO L’ARTICOLO 7 CHE DEFINISCE IL REATO DI INDEBITA APPROPRIAZIONE DEL REDDITO, E LE RELATIVE PENE
Il governo Meloni, il governo dell’ordine e della legalità come la premier si premura spesso di ricordare, sarebbe artefice di una specie di colpo di spugna.
La sanatoria della Meloni può salvare chi ha incassato il Reddito di cittadinanza senza averne diritto e chi è stato condannato per questo reato finanche con una sentenza ormai definitiva. Ogni colpa, ogni condanna e sentenza: tutto sarebbe cancellato, in nome di un’insperata impunità.
L’atto di accusa è scritto in un’interpellanza che il Pd presenta al ministro della Giustizia, Carlo Nordio.
L’interpellanza ricorda che la legge di Bilancio per il 2023, la prima del governo Meloni, abroga le norme che regolano il Reddito di cittadinanza. A partire dal primo gennaio 2024, spariranno i primi 13 articoli del decreto legge numero 4 del 2019 che configurano il sussidio riservandolo alle sole persone davvero bisognose.
Piccolo dettaglio: tra i 13 articoli in via di abrogazione, c’è anche il settimo. L’articolo 7 definisce il reato di indebita appropriazione del Reddito, e le relative pene. Chi incassa l’aiuto pubblico sulla base di dichiarazioni o documenti falsi – ad esempio – può essere punito con il carcere da due a sei anni; chi “dimentica” di comunicare che il suo reddito e il patrimonio sono migliorati intanto che riceve il reddito, con il carcere da uno a tre anni. Lo stesso articolo impone la restituzione delle somme incamerate senza averne titolo.
La cancellazione del Reddito di cittadinanza – articolo 7 del decreto incluso – porta con sé una precisa conseguenza giuridica.
In parole più semplici, se cade l’articolo 7 del decreto sul Reddito perché abrogato, spariscono anche i reati di indebita appropriazione che le persone hanno fatto a norma ancora in vigore.
Parliamo di persone non del tutto rispettabili. In campagna elettorale, proprio Giorgia Meloni ha denunciato le «migliaia e migliaia di truffe che il Reddito di cittadinanza ha generato favorendo anche criminali, mafiosi, spacciatori». Gentaglia che ora sarebbe pronta a brindare al colpo di spugna che l’abrogazione dilettantistica delle norme sul reddito avrebbe determinato.
Il Reddito di cittadinanza, anche se limitato a sole sette mensilità nel 2023, resta in piedi. Nuovi truffatori, certi dell’impunità che deriva loro dalla prossima abrogazione dell’articolo 7 del decreto del 2019, sono incoraggiati a presentare domanda negli ultimi mesi di vita del sussidio statale, pur non avendone diritto.
(da La Repubblica)
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Febbraio 26th, 2023 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DEL SEGRETARIO UIL POLIZIA PENITENZIARIA: “MANCANO 50 AGENTI, A NATALE CE NE AVEVANO PROMESSI 8″… MA CHE BEL GOVERNO “DELLA LEGALITA’ E DELLA SICUREZZA”: E NESSUNO SI DIMETTE PER LA VERGOGNA
Nel momento dell’evasione del boss della Sacra Corona Unita Marco
Raduano la sala operativa del carcere di Badu ‘e Carros non era presidiata. Lo dichiara in un comunicato Gennarino De Fazio, segretario della Uilpa Polizia Penitenziaria.
Intanto sulla fuga sono state aperte due inchieste. Una dalla Procura di Nuoro e l’altra interna dal ministero della Giustizia. Già ieri il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – attraverso la direzione generale detenuti e trattamento – ha dato mandato al Provveditore regionale della Sardegna di svolgere con urgenza accertamenti e verifiche, «al fine di appurare cause, circostanze e modalità dell’accaduto». «Non basta la videosorveglianza se non supportata da intelligenza artificiale e, soprattutto, se nessuno può badare ai monitor o deve controllarne decine mentre si occupa di innumerevoli altre incombenze», ha detto De Fazio.
«Lo denunciamo da tempo ed è uno dei principali temi che abbiamo posto al neo Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Russo, nell’unica occasione di confronto il 26 gennaio scorso. Socraticamente, se sapere di non sapere è sintomo di conoscenza, fingere di non sapere è patologico». Il sindacato Osapp invece chiede di evitare l’individuazione di capri espiatori e sottolinea, ancora una volta, la carenza di agenti della polizia penitenziaria.
«A Nuoro mancano circa 50 agenti penitenziari. In servizio ce ne sono circa 145. Di cui 17 donne senza che ci sia da anni il braccio femminile. A Natale è venuto il capo del Dap e ci ha promesso che sarebbero arrivati 8 colleghi. Ne sono arrivati 2 e sono stati distaccati a Mamone (Lodè-Nuoro, ndr) e a Sassari», fa sapere Giovanni Conteddu dell’Osapp Nuoro.
«Nell’Alta sicurezza c’è solo un collega che magari pagherà per le negligenze dell’amministrazione penitenziaria che non ha mai potenziato l’organico nonostante le richieste e questo non è giusto. Il collega in servizio quel giorno è già stato sentito così come tutti gli altri in servizio quel giorno. Di certo Raduano ha avuto tutto il tempo di organizzare la fuga: ha nascosto le lenzuola che gli hanno fatto da scala, ha studiato gli orari interni al reparto e avrà costruito un ponte esterno che gli ha coperto la fuga».
(da agenzie)
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Febbraio 26th, 2023 Riccardo Fucile
MONS. PEREGO: “DAL GOVERNO SOLO OPERAZIONI IDEOLOGICHE, LA VITA DEGLI ESSERI UMANI VA TUTELATA”
Monsignor Gian Carlo Perego, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio e presidente di Cemi e Fondazione Migrantes, si esprime sulla strage di Cutro: «Mentre i rami del Parlamento approvano un urgente e straordinario decreto per regolare i flussi migratori, che di urgente e straordinario ha solo l’ennesima operazione ideologica, indebolendo in realtà le azioni di salvataggio in mare delle navi ONG, un barcone spezzato dalla burrasca della notte, che portava almeno 150 migranti, si è inabissato nel Mediterraneo, al largo delle coste calabre crotonesi. Sono 45 i morti accertati, tra cui un neonato, almeno 100 i dispersi, che vanno ad aumentare le migliaia di morti e di tombe anonime nel cimitero del Mediterraneo».
Perego continua: «Un nuovo drammatico segnale sulla disperazione di chi si mette in fuga da situazioni disumane di sfruttamento, violenza, miseria e di chi è indifferente politicamente a questo dramma. Un nuovo drammatico segnale che indebolisce la Democrazia, perché indebolisce la tutela dei diritti umani: dal diritto alla vita al diritto di migrare, al diritto di protezione internazionale. Mentre queste morti non possono che generare vergogna, chiedono un impegno europeo per un’operazione Mare nostrum, che metta strettamente in collaborazione le istituzioni europee, i Paesi europei, la società civile europea rappresentata dalle ONG. La collaborazione con i Paesi del Nord Africa non può limitarsi a interessi energetici o a sostegni per impedire i viaggi della speranza, ma deve portare a un canale umanitario permanente e controllato nel Mediterraneo verso l’Europa».
«Chi arrivando in Europa avrà diritto a una protezione vedrà salvaguardato tale diritto; chi non ne avrà diritto sarà rimpatriato. È chiaro che questo esame, solo nella terra europea, dovrà essere agile, organizzato, alla presenza di diverse figure – dai mediatori, dalle forze di polizia forze internazionali, da osservatori dell’UNHCR, da operatori sociali … – perché il minore non accompagnato sia tutelato come la vittima di tratta, o chi viene da una drammatica situazione sanitaria o da una guerra o disastro ambientale. Le risorse vanno investite nella tutela della vita, nell’accompagnamento delle persone non in muri o campi disumani. La vita e il futuro dell’Europa dipende da come si accoglie, tutela, promuove e integra le persone in cammino».
(da Globalist)
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Febbraio 26th, 2023 Riccardo Fucile
SIA OPEN ARMS CHE SAVE THE CHILDER PUNTANO IL DITO CONTRO IL GOVERNO SOVRANISTA
Filippo Ungaro, direttore della Comunicazione di Save the Children
Italia, commenta con un tweet il naufragio accaduto sulle coste di Cutro. «Ancora una volta, l’ennesima, ci troviamo a piangere la morte ingiusta di chi cerca un futuro migliore in fuga da guerre e povertà. Mentre la politica, in Italia e in Europa, pensa di risolvere con muri e restrizioni per le Ong».
Le accuse di Open Arms: “Fermare, bloccare e ostacolare il lavoro delle Ong avrà un solo effetto: la morte di persone vulnerabili lasciate senza soccorsi». Così su Twitter l’ong spagnola Open Arms dopo il naufragio sulle coste calabresi.
L’Ong tedesca Sea-Watch ha pubblicato un tweet a seguito del naufragio sulle coste calabresi di Cutro. Questo il testo: «Ancora una catastrofe nel Mediterraneo. Dolore e sgomento per le vittime che si contano a decine. Uomini, donne e bambini. Intollerabile che l’unica via d’accesso all’Europa sia il mare. L’assenza di missione di ricerca e soccorso europea è un crimine che si ripete ogni giorno».
Il dolore della Croce Rossa – «È un brutto risveglio che deve destare la comunità affinché simili tragedie non accadano». Lo scrive su Twitter il presidente della Croce Rossa Rosario Valastro dopo il naufragio di un barcone con decine di migranti a Cutro, in Calabria. «I nostri volontari – aggiunge Valastro – sono impegnati per soccorrere i superstiti e per recuperare le vittime».
(da agenzie)
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Febbraio 26th, 2023 Riccardo Fucile
“UNA STRAGE DI INNOCENTI EVITABILE SE SI FOSSE INTERVENUTI IN TEMPO”
«Nel Mediterraneo si continua a morire in modo incessante in un desolante vuoto di capacità di soccorso. A poche decine di chilometri dalle coste italiane, quando la meta era davanti agli occhi, è annegato il futuro di decine di persone che cercavano una vita più sicura in Europa. È umanamente inaccettabile e incomprensibile perché siamo sempre qui ad assistere a tragedie evitabili. È un pugno sullo stomaco, non ci sono altre parole. Medici Senza Frontiere ha dato la disponibilità alle autorità per attivare un primo soccorso psicologico per i sopravvissuti».
È il triste commento di Sergio Di Dato, capo progetto «People on the Move», Medici Senza Frontiere. Secondo una prima ricostruzione la barca si sarebbe aperta in due a pochi metri dalla spiaggia, ma i profughi con ogni probabilità non avevano mai visto il mare e quindi molti di loro sono subito affogati.
Di Dato parla mentre il numero dei morti accertati sta drammaticamente crescendo. Fra loro moltissime donne e diversi bambini, fra cui un neonato. Alle 11,30 del mattino della domenica il bilancio (provvisorio) è già gravissimo: 45 morti e 80 sopravvissuti e un numero imprecisato di dispersi. A quanto pare sul barcone di fortuna, un precarissimo guscio di legno, erano saliti in 250, stipati all’inverosimile. Ventuno di loro sono stati ricoverati in ospedale.
Il sindaco di Cutro, tra i primi ad accorrere, ha spiegato: «Erano già arrivati dei migranti, ma non c’era mai stata una tragedia di queste dimensioni».
(da agenzie)
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