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ELLY SCHLEIN: “E’ UNA MOBILITAZIONE, NON CI VEDRANNO ARRIVARE, E’ IL MOMENTO DI CAMBIARE TUTTO”

Febbraio 25th, 2023 Riccardo Fucile

“NON SI VA AVANTI CON L’USATO SICURO, OGGI SI SCOMMETTE O SI MUORE”

Elly Schlein è data in netta rimonta su Stefano Bonaccini, che ha vinto nelle votazioni dei circoli. «Tutte le persone che hanno deciso di sostenermi lo fanno per la linea politica, non per i posti: una linea di cesura netta rispetto al passato. Non si costruisce un nuovo Pd senza dire che sono stati fatti errori colossali su temi come il lavoro e i contratti a termine. Ma per farlo bisogna essere credibili: io quando il Pd di Renzi faceva quelle scelte ero in piazza con la Cgil. E me ne sono andata dal partito per scelte come la Buona scuola, la riforma della Costituzione, lo Sblocca-Italia, tre voti di fiducia sulla legge elettorale. Anche sul clima il Pd è mancato: non è più il tempo delle mezze parole, le battaglie vanno fatte fino in fondo: dunque, no al consumo di suolo».
«Oggi o si scommette o si muore. Non è più il tempo di ordinaria amministrazione, di un Pd già visto che non riesce a vincere. L’unica opportunità per un rilancio è cambiare davvero e tutto. Non si va avanti con l’usato sicuro», aggiunge Schlein.
«La sensazione è quella che questa bella partecipazione di tradurrà in mobilitazione. E come al solito non ci vedranno arrivare. C’è questo passaparola che ognuna delle persone che viene alle serate della mia campagna elettorale porta con sé come un pezzo di responsabilità».
E se Silvio Berlusconi è critico verso l’escalation militare, Schlein risponde: «Le sue parole sono condizionate al fatto di essere amico di un dittatore che ha invaso in modo criminale uno stato sovrano”
(da agenzie)

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SONDAGGIO DEMOS, GLI ITALIANI PREFERISCO DRAGHI ALLA MELONI: GRADIMENTO DEL 61% CONTRO IL 56% DELLA PREMIER

Febbraio 25th, 2023 Riccardo Fucile

TRA I PARTITI IL PD SUPERA IL M5S

I Fratelli d’Italia confermano il primato, nelle preferenze “politiche” degli italiani. Trainati dal “capo”. Giorgia Meloni. Mentre il Centro-Destra si conferma maggioranza nel Paese. Rafforzato dal successo alle recenti elezioni Regionali, in Lazio e Lombardia. Sono le principali indicazioni che emergono dal sondaggio appena svolto da Demos per l’Atlante Politico di Repubblica.
FdI è oltre il 30%, mentre il Pd, dopo alcuni mesi, torna, comunque, ad essere il principale partito di un’opposizione “divisa”. Infatti, con il 17,5%, supera il M5S. Anche se di poco. Sospinto, sicuramente, dal buon esito alle amministrative.
Gli altri partiti mantengono le posizioni e le “misure” del recente passato. Tutti sotto il 10%. La Lega all’8,5%, mentre FI e il Terzo Polo scivolano ancora. Appena sopra al 7%. Le altre formazioni politiche si attestano intorno al 3%. Poco sopra Europa Verde-Sinistra Italiana (3,3%). Appena sotto (2,9), invece, +Europa.
Sulla spinta del “partito del Capo”, la maggioranza assoluta degli elettori (51%) scommette sulla lunga durata del governo. “Fino alla fine” della legislatura. Questi orientamenti spiegano il giudizio positivo nei confronti della coalizione che sostiene Giorgia Meloni. Il 53% degli intervistati, infatti, dà una valutazione favorevole nei confronti del governo. Una misura, comunque, lontana rispetto a quella ottenuta dalla compagine guidata da Mario Draghi.
Giorgia Meloni è anche il (la) leader di partito più apprezzato(a). Nei suoi confronti esprime fiducia il 58% degli intervistati. Quasi 20 punti sopra ad Antonio Tajani. E ancora di più rispetto agli altri. Per primo, Stefano Bonaccini e, quindi, Giuseppe Conte. Conte, in particolare, è il leader che perde consensi in misura maggiore: 10 punti percentuali. Insieme ad Emma Bonino, alla guida di +Europa. Un soggetto politico con un peso elettorale ben più ridotto rispetto al M5S. Giuseppe Conte è affiancato da Matteo Salvini. E supera, di poco, Silvio Berlusconi. Più indietro, incontriamo Carlo Calenda, Elly Schlein ed Enrico Letta. In fondo: Matteo Renzi, davanti ai leader delle formazioni di Sinistra: Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli. E a Beppe Grillo.
Vi sono due aspetti che vale la pena di segnalare.
Il primo riguarda il calo generalizzato della fiducia verso “tutti” i leader. Compreso Mario Draghi. Che, tuttavia, si conferma il più apprezzato di tutti. Come se l’assenza dalla scena politica si traducesse in un vantaggio. In tempi nei quali i problemi, per i cittadini, si riproducono. E crescono. Sul piano interno e internazionale. Sotto il profilo economico e sociale. In altri termini, oggi la “partita politica” si gioca fra leader e partiti che riflettono la “divisione” fra politica e antipolitica.
Da un lato, Giorgia Meloni, leaderdei FdI. Unico “partito escluso” dal precedente governo. Dall’altro, il Pd, oggi in ripresa. “Unico partito” ancora presente sul territorio. Tanto più nel tempo delle primarie. Anche per questo, come ha osservato Romano Prodi, dovrebbe promuovere “vere e credibili offerte di riforma”.
Così, si assiste a un confronto precario e squilibrato. Fra una maggioranza “personalizzata” e una minoranza “divisa”. Senza progetti “con-divisi”. Anche per questo motivo incombe ancora la figura di Mario Draghi. Un leader “non-politico”. E, dunque, apprezzato. In attesa della “politica”.
(da La Repubblica)

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IL CAPO DI WAGNER CENSURATO DA TUTTI I MEDIA DI STATO RUSSO, DOPO LE CRITICHE AL MINISTRO DELLA DIFESA

Febbraio 25th, 2023 Riccardo Fucile

AL CAPO DEI MERCENARI PRIGOZHIN CONVIENE STARE LONTANO DALLE FINESTRE: IL PROSSIMO “SUICIDIO” SARA’ IL SUO?

Yevgeny Prigozhin, il capo di Wagner, sembra essere sparito da tutti i media ufficiali russi: la guida dei mercenari avrebbe pagato con una totale censura da parte di Mosca il suo continuo dissenso nei confronti dei vertici militari del Cremlino, soprattutto riguardo alla conduzione della guerra in Ucraina.
A riferirlo è il media indipendente russo Verstka, secondo cui diversi organi di stampa avrebbero ricevuto l’ordine di oscurare l’uomo di Putin. Da diversi mesi Prigozhin denuncia le difficoltà dell’invasione russa in Ucraina, non risparmiandosi nel duro scontro con il ministro della Difesa Sergei Shoigu, accusato dal capo del gruppo mercenario di «andarsene in vacanza senza pensare a fornire munizioni ai miliziani impegnati in Donbass».
La notizia ora è che tutti i media di Stato sarebbero stati istruiti a non citare le dichiarazioni di Prigozhin «su argomenti non neutrali».
Verskta ha poi confermato attraverso un’analisi approfondita degli strumenti di comunicazione locali che le agenzie di stampa controllate dal Cremlino hanno effettivamente smesso di citare le dichiarazioni di Prigozhin nelle ultime settimane, fatta eccezione per quelle collegate all’attività sul campo della battagli del gruppo Wagner.
Secondo fonti vicine al ministero della Difesa russo, sembrerebbe poi che le autorità russe avrebbero pronta una vera e propria campagna contro Prigozhin da mettere in atto all’occorrenza.
(da agenzie)

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MATTARELLA SVENTOLA DUE CARTELLINI GIALLI IN FACCIA ALLA MELONI: PRIMA DA’ UNA LEZIONE AL MINISTRO VALDITARA SULLE VIOLENZE DAVANTI AL LICEO DI FIRENZE, POI STOPPA IL MILLEPROROGHE SUI BALNEARI

Febbraio 25th, 2023 Riccardo Fucile

IN ITALIA ESISTE ANCORA UNA COSTITUZIONE; E SUL COLLE C’È CHI HA IL PRECISO COMPITO DI FARLA RISPETTARE

Può essere una semplice coincidenza oppure il segnale di grandi tempeste in arrivo. Sta di fatto che ieri, nell’arco della stessa giornata, Sergio Mattarella ha dovuto sventolare non una ma due volte il cartellino giallo per mettere un freno ai vincitori delle elezioni e per arginare il loro senso di onnipotenza come se fossero (ma non sono) i padroni d’Italia.
La prima volta ieri mattina, quando il presidente ha rammentato che delle violenze davanti alle scuole dovrebbero allarmarsi tutti, compreso il ministro dell’Istruzione e del Merito: altro che prendersela con la preside antifascista minacciandola di misure disciplinari, salvo ritirare la mano dopo averla lapidata.
Poi di nuovo il capo dello Stato ha alzato la voce nel pomeriggio, denunciando il mostro giuridico creato da questa maggioranza di governo per correre dietro ai balneari e, in generale, gli eccessi della decretazione d’urgenza cui nemmeno Giorgia Meloni sa fare a meno.
Filo rosso di entrambi i richiami presidenziali: in Italia esiste ancora una Costituzione; e sul Colle c’è chi, piaccia o meno ai signori della politica, ha il preciso compito di farla rispettare.
Mattarella, sia chiaro, non dichiara guerra al governo, né si è trasformato nel capo dell’opposizione in attesa che il Pd, celebrate le primarie, ritrovi l’anima.
Se l’obiettivo fosse stato quello di mettere i bastoni tra le ruote, come sospetta la pubblicistica di destra, il capo dello Stato avrebbe avuto eccellenti giustificazioni per bocciare il Milleproroghe. La nota diffusa ieri dal Quirinale ne elenca una quantità spaventosa, tanto che nel leggerla ci si domanda come sia stato possibile un tale scempio legislativo e in che mani siamo.
Il rinvio di un anno delle gare per le spiagge calpesta le direttive europee da cui dipendono i miliardi del Pnrr; travolge le pronunce del Consiglio di Stato (sebbene a presiederlo ci fosse il compianto Franco Frattini, non certo un pericoloso bolscevico); crea le premesse di ricorsi e controricorsi seminando caos. E fosse solo il cedimento alle pressioni dei balneari.
Nel Milleproroghe si trova di tutto, compreso quello che non dovrebbe esserci: dalle normative sui dipendenti pubblici alle misure organizzative della Pubblica amministrazione con oneri allegramente posti a carico dello Stato, con rifinanziamenti di leggi scadute e, al posto di legittimi rinvii, discipline introdotte di sana pianta, «ex novo», con lo strumento sbagliato.
Il decreto sottoposto al suo esame, denuncia con toni severi Mattarella, finge di ignorare le sentenze della Consulta che più volte hanno vietato di infilare misure eterogenee nello stesso decreto come se fossero allo stesso modo indifferibili e urgenti. Incombono seri rischi di incostituzionalità.
Eppure, nonostante il decreto gridi vendetta, Mattarella ci ha messo sotto la firma. L’ha fatto per carità di patria, al fine di scongiurare guai ulteriori, per evitare che alcune vere urgenze restassero insoddisfatte: cosa che sarebbe accaduta qualora avesse rimandato il testo alle Camere.
La premier, che è più svelta di certi suoi seguaci, ha promesso che in futuro non accadrà mai più; Mattarella le da dato volentieri atto dell’impegno, pur senza farsi troppe illusioni; ma la tirata d’orecchi a una maggioranza che calpesta le regole, o le riscrive a proprio piacimento, quella proprio non si poteva evitare.
Ieri mattina, col solito garbo ma in modo inequivocabile, Mattarella ha rimproverato a Giuseppe Valditara l’incredibile scambio di ruoli per cui chi picchia si trasforma in vittima; e chi denuncia la matrice degli aggressori finisce sul banco degli imputati. C’è un limite a tutto, e quel limite è stato abbondantemente superato
Il bello è che il ministro, seduto in prima fila e tutto sorridente, alla fine ha perfino applaudito il discorso di Mattarella che, usando parole diverse e meglio consone al proprio stile, ha espresso in fondo gli stessi concetti censurati alla preside fiorentina. Forse perché Valditara, stavolta, aveva davanti il preside d’Italia.
(da La Stampa)

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ELLY SCHLEIN: “SE VINCO LE PRIMARIE, STOP AI PADRONI DELLE TESSERE E AI CAPIBASTONE DEL PARTITO”

Febbraio 25th, 2023 Riccardo Fucile

“NON SARA’ PIU’ TOLLERATO CHE NEL PD QUALCUNO SI SENTA PADRONE DELLE PERSONE”

Elly Schlein, in vista dell’appuntamento finale delle primarie del Pd di domenica 26 febbraio, è tornata a puntare il dito contro quelli che lei chiama i “capibastone” del partito. In un’intervista a La Stampa, Schlein ha sottolineato il bisogno di un rinnovamento totale
«Se vincerò le primarie non sarà più tollerato che in questo partito qualcuno si senta padrone delle tessere e delle persone. Porremo fine alla logica della cooptazione, nella quale le donne vanno bene solo nel ruolo di vice. Porremo fine al partito dei capi-bastone e dei cacicchi».
«Quando mi sono candidata ho chiarito subito le condizioni: venite liberi, o non venite affatto. Non sono nata ieri, sono nove anni che faccio politica: chi dovesse avvicinarsi per condizionare, incontrerebbe un muro di persone liberi. Non riesco ad immaginare una critica più forte di chi, come me, ha lasciato il Pd 7 anni fa perché non si riconosceva nelle sue politiche scellerate. Sul Memorandum per la Libia. O sul Jobs Act: io ero in piazza con la Cgil. Parole altrettanto nette non le ho sentite dal mio competitor. Anzi. D’altra parte Bonaccini è diverso da me, è il vecchio modello. Un Pd già visto».
(da agenzie)

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UN’EVASIONE DA FILM CHE RIDICOLIZZA LO STATO: IL BOSS DEGLI SCISSIONISTI DEL GARGANO È SCAPPATO DAL CARCERE DI NUORO CALANDOSI DALLA SUA CELLA CON LE LENZUOLA

Febbraio 25th, 2023 Riccardo Fucile

IL 40ENNE, DETTO “PALLONE”, È STATO CONDANNATO PER TRAFFICO DI STUPEFACENTI CON AGGRAVANTE MAFIOSA E OMICIDIO

Si è calato con le lenzuola dal braccio di massima sicurezza del carcere di Badu’ e Carros a Nuoro e si è dato alla fuga. Marco Raduano, detto “Pallone”, originario di San Giovanni Rotondo (Foggia) di 40 anni, boss del clan dei Montanari della mafia garganica, è ora ricercato in tutta la Sardegna con posti di blocco nelle strade principali e secondarie, nei porti e aeroporti.
Raduano vanta una lunga carriera criminale e ha condanne che deve finire di scontare nel 2046 per traffico stupefacenti con aggravante di mafia, omicidio, reati contro la persona, contro il patrimonio e in materia di armi e stupefacenti. Era in regime di alta sicurezza 3.
Il 3 febbraio scorso gli era stata notificata una condanna diventata definitiva a 19 anni di reclusione, più tre anni di libertà vigilata, perché il ricorso in Cassazione era stato dichiarato inammissibile.
Si tratta di una condanna legata alla maxi operazione antimafia ‘Neve di Marzo’, coordinata dalla Dda di Bari e svolta dai militari di Vieste a ottobre del 2019 quando fu sgominata un’associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico, aggravato dal metodo mafioso, che utilizzava anche armi da guerra.
Il carcere di Badu ‘e Carros è una prigione di massima sicurezza dove sono rinchiusi diversi terroristi e mafiosi e da cui nessuno è mai evaso.
Ci si interroga su come sia potuto succedere che un detenuto del braccio di sicurezza abbia trovato le porte aperte tanto da riuscire a scappare. E ci sono dubbi sull’orario della fuga: la Polizia penitenziaria ha dato l’allarme intorno alle 19 ma l’evasione potrebbe risalire a qualche ora prima. A darne la notizia alcune organizzazioni sindacali che rilanciano l’ennesimo allarme per le scarse condizioni di sicurezza in cui lavorano gli agenti di poliza penitenziaria.
(da agenzie)

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GLI SCHIAFFI DI MATTARELLA FANNO FELICE LA MELONI PERCHÉ COLPISCONO IN FACCIA LEGA E FORZA ITALIA, PALADINI DELLA PROROGA AI BALNEARI, POI ACCETTATA DA FDI

Febbraio 25th, 2023 Riccardo Fucile

PALAZZO CHIGI FINORA È STATO ATTENTO A NON ENTRARE IN ROTTA DI COLLISIONE CON L’UNIONE E LA COMMISSIONE

La sensazione è che il duro monito di Sergio Mattarella sulla proroga delle concessioni balneari contenuto nella lettera mandata ieri al Parlamento, nasca da due preoccupazioni: una interna e una europea, intrecciate in modo strettissimo.
La prima è che firmare un decreto governativo nel quale le modifiche sono passate da 149 a 205, senza chiedere correzioni urgenti e con dubbi finanziari corposi, sarebbe un pessimo segnale.
La seconda è che il capo dello Stato sa che la misura di FI e Lega, accettata da FdI, verrebbe bocciata dalla Commissione Ue.
Si tratta dunque di una sorta di mossa preventiva per evitare un inasprimento delle tensioni tra l’Italia e le istituzioni di Bruxelles; e insieme di un avvertimento alla maggioranza a non pensare di potere approvare misure incompatibili con il diritto europeo, o magari prive di copertura: e non solo sulle concessioni agli stabilimenti.
Va detto che nell’iniziativa presidenziale si indovina una severità non solo necessaria, ma potenzialmente utile anche a Giorgia Meloni. Palazzo Chigi è stato attento a non entrare in rotta di collisione con l’Unione e la Commissione. Ha rivendicato l’assenza di rilievi da Bruxelles dopo l’approvazione della Legge di stabilità; e la fiducia mostrata dai mercati nel passaggio non scontato dall’esecutivo di Mario Draghi a quello di destra. La questione dei balneari, invece, potrebbe creare difficoltà alla premier
Invece, dopo la lettera di Mattarella, Meloni avrà maggiore potere di persuasione nei confronti degli alleati, berlusconiani in testa ma anche leghisti. FI e Carroccio hanno premuto per la proroga, lasciando capire che altrimenti poteva andare addirittura in crisi la coalizione; e costringendo il partito della premier a assecondarli. La severità con la quale il capo dello Stato spiega la promulgazione di norme solo come un modo per evitarne la decadenza, lascia capire che il capitolo per il Quirinale non è affatto chiuso.
§Il dettaglio che ai rilievi puntuti abbia affiancato un giudizio positivo per le critiche di Meloni all’abuso dei decreti governativi è la conferma della volontà di vigilare e insieme sostenere l’esecutivo.
(da Corriere della Sera)

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IL MINISTRO CHE AMA SOLO IL BASTONE

Febbraio 25th, 2023 Riccardo Fucile

MATTARELLA HA RICORDATO A VALDITARA COME DOVREBBERO ESPRIMERSI LE ISTITUZIONI, ALTRO CHE “UMILIAZIONE DEI GIOVANI” E CENSURA

L’impegno civico come antidoto alla violenza, la generosità verso gli altri come stile alternativo alle lezioni di violenza che si impartiscono in certe case, in certe famiglie, in certe strade, e «addirittura nei giorni scorsi davanti a una scuola contro i ragazzi».
Il presidente Mattarella ha pronunciato ieri le parole giuste per raddrizzare il carro del dibattito sulla scuola, mandato fuoripista dalle reazioni del ministro leghista Giuseppe Valditara alla lettera della preside Annalisa Savino agli studenti del Liceo Michelangiolo, dopo l’aggressione davanti ai cancelli dell’istituto.
Il Presidente della Repubblica parlava alla annuale cerimonia per gli Alfieri della Repubblica, l’onorificenza riservata agli under-18 che si sono distinti per modelli positivi di cittadinanza.
Era un discorso scritto per i ragazzi ma forse un po’ anche per Valditara, che sedeva in prima fila insieme ai colleghi della Sanità e dello Sport. Ci ha ricordato come dovrebbero parlare le istituzioni quando maneggiano materiali incendiari come l’adolescenza e la sua idea di politica, di conflitto, di passione ideale, e tutto ciò che ruota intorno alla stagione in cui, come diceva Guccini, «si è stupidi davvero».
I ministri della scuola italiani non hanno mai brillato di acume in questo tipo di rapporto, dividendosi tra i fanatici della carota e quelli del bastone.
Valditara appartiene senza dubbio alla seconda categoria fin dall’esordio, segnato dalle dichiarazioni sull’importanza dell’umiliazione «come fattore fondamentale della crescita e della costruzione della personalità». In soli quattro mesi è arrivato alla censura tramite intervista tv di una preside che ha scritto cose che non gli piacciono, con un avvertimento piuttosto minaccioso a chi pensa di seguire la stessa strada.
Il silenzio agghiacciato dei colleghi di governo, di partito e di maggioranza ci racconta che popolarissimo non è neanche tra i suoi, e non potrebbe essere altrimenti: il valditarismo, per come lo abbiamo visto fino ad ora, porta alla luce una contraddizione profonda della destra, che esiste fin da quando – ai tempi miei – il «professore fascista» della classe era detestato pure dagli studenti che votavano come lui perché spietato nelle interrogazioni, spesso trombone e grandissimo bocciatore.
Oggi l’anatema di Valditara contro la «politicizzazione che auspico non abbia più nessun ruolo all’interno delle scuole italiane» risulta stridente nel confronto con una classe dirigente (specialmente quella di FdI) che ha vissuto l’impegno politico a scuola come essenziale passaggio formativo, che a scuola ha fatto politica, eccome, rivendicando diritto di parola e di assemblea anche quando rappresentava una minoranza invisa a tutti, portatrice di idee giudicate assolutamente scombinate.
La narrazione degli underdog si è formata esattamente lì, nei licei, difendendo il diritto di parola e di impegno nel contrasto con i professori, i genitori e ogni adulto che diceva: pensa agli affari tuoi, non ti impicciare, studia, divertiti, non metterti a rischio di finire rimandato a settembre per un tema sghembo o una discussione troppo accesa.
E capirete che è difficile tenere insieme storie così con un ministro che invece di criticare la violenza (come sarebbe stato ovvio) o scegliere la via del silenzio (come pure era possibile), decide di parlare in tv per prendersela con la preside «che fa politica», rovesciando l’algoritmo che a tutti pare naturale: nella scuola si può dire, pensare, scrivere quello che si vuole, ma le mani non si alzano, i calci non si danno, i pugni non si usano.
È questa l’equazione che il presidente Mattarella ha rimesso a posto, indicando «prepotenza, sopraffazione e violenza» come i primi nemici della società italiana e facendo riferimento all’aggressione di Firenze come esempio da respingere senza se e senza ma.
È un’equazione che pure il ministero dell’Istruzione e del Merito dovrebbe riaggiustare con intelligenza, anche in considerazione del fatto che l’ultima cosa che serve non solo al Paese ma anche all’esecutivo è il riaccendersi di una protesta studentesca che scenda in strada gridando «governo fascista».
È vero che l’espressione è stata usata quasi per ogni ministro della Scuola, da Franco Maria Malfatti a Fabio Mussi, e riciclata contro ogni governo ostile alle piazze studentesche compresi quelli di Giuliano Amato e Massimo D’Alema, ma la destra di oggi, la destra che lavora per affermarsi come forza pienamente democratica, può permetterselo assai meno dei suoi predecessori.
Flavia Perina
(da La Stampa)

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COSI’ IL CENTRODESTRA FA RICCHI I SIGNORI DELLA SANITA’

Febbraio 25th, 2023 Riccardo Fucile

LA VITTORIA DI FONTANA E ROCCA SPIANA LA STRADA A GUADAGNI MILIONARI PER LE CLINICHE PRIVATE, DALL’IMPERO ANGELUCCI EL GRUPPO SAN DONATO

Lo scorso 14 febbraio, all’indomani delle elezioni regionali in Lazio e Lombardia, il quotidiano Libero ha titolato: “Altro che Sanremo. Canta la destra”. Anche Il Giornale ha giocato sulle polemiche politiche costruite sul festival: “Effetto Fedez & C: Sinistra asfaltata”. Il Tempo è andato invece dritto per dritto: “C’è solo il centrodestra”.
Cos’hanno in comune queste tre testate, a parte il fatto di essere dichiaratamente schierate dalla parte di Giorgia Meloni e dei suoi alleati? Appartengono tutte alla stessa persona: l’imprenditore Antonio Angelucci, 79 anni, deputato prima di Forza Italia e adesso della Lega, ma soprattutto vero e proprio imperatore della Sanità privata nel Centro-Sud.
Fra ospedali, centri di riabilitazione, Rsa, poliambulatori, il suo Gruppo San Raffaele gestisce ventiquattro strutture tra Lazio e Puglia.
La holding si avvale del supporto finanziario di un ente no-profit, la Fondazione San Raffaele. Fino allo scorso novembre, presidente di questa fondazione è stato Francesco Rocca: proprio lui, il governatore del Lazio neo-eletto grazie ai voti raccolti dalla coalizione di centrodestra.
Cosicché, da un lato, abbiamo un parlamentare che fa l’editore e l’imprenditore in campo sanitario e, dall’altro, un presidente di Regione che fino a ieri dirigeva una onlus a cui fanno indirettamente capo decine di cliniche e laboratori privati: un conflitto d’interessi gigantesco, considerando che la Regione Lazio destina alla Sanità la bellezza di oltre 11,5 miliardi di euro all’anno, pari a circa l’80% del suo budget. Senza dimenticare che Rocca fino allo scorso dicembre ha guidato pure la Croce Rossa Italiana.
Nel momento in cui scriviamo, il neo-governatore non esclude di tenere per sé la delega alla Sanità. In ogni caso, ha garantito, «la seguirò molto da vicino»: «Il connubio tra sanità pubblica e privata nel Lazio oggi non è governato e questa cosa va corretta», ha osservato. «Ho intenzione di mettere sotto governo tutte le strutture pubbliche e private in maniera molto laica».
Intanto Angelucci, tra i suoi più accaniti sponsor, si frega le mani: il trionfo della destra alle regionali spiana il terreno a guadagni milionari assicurati per lui e per agli altri industriali della Salute.
Se il discorso vale per il Lazio, è ancor più vero nel caso della Lombardia, dove negli ultimi trent’anni a trazione prima ciellina e poi leghista si è imposto un sistema privatocentrico che nemmeno le falle scoperchiate dalla pandemia sono riuscite a scalfire: la riforma varata nel 2021 dal presidente Attilio Fontana – appena rieletto con il 54,7% dei voti – e dalla sua vice Letizia Moratti -che lo ha sfidato, sostenuta dal Terzo Polo – sancisce la «equivalenza e integrazione all’interno del Sistema Sanitario Lombardo dell’offerta sanitaria e sociosanitaria delle strutture pubbliche e private accreditate».
Com’è ormai almeno dalla metà degli anni Novanta, insomma, Milano, Bergamo, Brescia e le altre province della regione continueranno a essere l’Eldorado di chi si approccia all’assistenza sanitaria come a un business.
Potenza di fuoco
Due settimane fa, alle urne, tra Lombardia e Lazio c’era in palio un tesoretto da 33 miliardi di euro: tanta è la spesa pubblica in Sanità sommata dalle due Regioni.
Quella del Pirellone vale da sola quasi 22 miliardi. Di questi, circa 5,5 finiscono in rimborsi alle strutture private per le attività svolte in regime convenzionato: parliamo cioè di esami, visite specialistiche, terapie o ricoveri ospedalieri effettuati da operatori privati accreditati, ma i cui costi sono sostenuti dal Servizio pubblico.
Dunque in Lombardia, su 4 euro spesi dal Servizio sanitario della Regione, uno va nelle casse delle cliniche convenzionate: il 24,5%, per la precisione. In Lazio – secondo l’Osservatorio sulla Sanità della Bocconi – la quota è leggermente più alta: 25,7%, ovvero oltre 3 miliardi su 11,5. Basti dire che la media italiana è del 17,4% per comprendere la potenza di fuoco della Sanità privata in questi due territori.
Se la spesa pro-capite per l’assistenza nei centri accreditati ammonta in media a livello nazionale a 400 euro, in Lombardia si arriva a 550 euro e in Lazio a 566. E ancora: i posti letto nelle strutture convenzionate in Italia sono il 31% del totale, ma in Lombardia balzano al 38% e in Lazio addirittura al 51%.
Si dirà: la Sanità privata esiste, e prospera, perché il Servizio pubblico da solo non regge il passo. Vero, forse, ma ad essere onesti allora va anche sottolineato che gli operatori privati non si fanno carico dei medesimi “rischi d’impresa” delle aziende sanitarie pubbliche, potendo scegliere quali prestazioni offrire sulla base della prevista remuneratività.
In altre parole, è azzardato mettere sullo stesso piano le attività svolte da enti pubblici cui è richiesto di tendere al pareggio di bilancio con quelle di imprese che puntano meramente al profitto. Eppure è proprio questo ciò che avviene in regioni come Lombardia e Lazio.
Berlusconi, Craxi, D’Alema
Antonio Angelucci ha iniziato la sua scalata imprenditoriale dal gradino più basso: dipendente di una farmacia. Ma nella sua auto-celebrazione personale rimarca anche di aver lavorato come portantino all’ospedale San Camillo di Roma (in realtà solo per nove mesi).
Messosi in luce come sindacalista della Uil, negli anni Ottanta diventa socio di una casa di cura di Velletri, sui Colli Albani. Di lì in poi è un continuo crescendo, grazie anche a conoscenze di peso nel mondo della finanza e della politica: dal banchiere Cesare Geronzi al leader di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini, fino all’ex comunista Massimo D’Alema, incontrato nel 1997, quando il ras delle cliniche rileva una quota de L’Unità e l’intero palazzo di via delle Botteghe Oscure a Roma, leggendaria sede del Pci.
Ma il suo capolavoro risale agli inizi del 2000: Angelucci compra dal prete impresario Don Luigi Verzè la filiale capitolina dell’ospedale San Raffaele per 270 miliardi di lire e pochi mesi dopo la vende al ministero della Salute per 320 miliardi.
Ancora oggi, peraltro, la holding che controlla il suo impero sanitario si chiama Gruppo San Raffaele: fa capo a una società con sede in Lussemburgo e fattura circa 150 milioni di euro all’anno.
Quanto all’ospedale San Raffaele di Milano, il suo fondatore Don Verzè – berlusconiano di ferro, nonché pluricondannato per tentata corruzione e abuso edilizio – lo lasciò, nel 2011, alla sua morte, che era sull’orlo del fallimento, schiacciato da debiti per oltre mezzo miliardo di euro.
A salvarlo fu il Gruppo San Donato, della famiglia Rotelli, originaria di Pavia, che lo controlla tutt’ora insieme ad altre cinquantacinque strutture sparse fra Lombardia ed Emilia-Romagna, tra cui spiccano anche il policlinico San Donato, il nuovissimo ospedale Galeazzi nell’ex area Expo di Milano e la casa di cura la Madonnina, sempre a Milano.
Con 1,6 miliardi di euro di fatturato, il Gruppo San Donato è il colosso numero uno della Sanità privata italiana. E gode di ottime entrature negli ambienti della politica. Presidente è l’avvocato Angelino Alfano, ex ministro della Giustizia, dell’Interno, degli Esteri, ex vicepremier, nonché ex erede designato di Silvio Berlusconi.
Proprio il leader di Forza Italia ha scelto da tempo il San Raffaele come suo ospedale di fiducia, dove a curarlo è solitamente il professor Alberto Zangrillo, primario di Anestesia e della Terapia intensiva. Il fratello di quest’ultimo, Paolo, dal 2018 siede in parlamento nei banchi forzisti e, soprattutto, dallo scorso ottobre è ministro della Pubblica Amministrazione.
Alle recenti regionali si è candidato invece con il centrosinistra (senza essere eletto) il direttore sanitario del Galeazzi, Fabrizio Pregliasco, che peraltro è unito sentimentalmente a Carolina Pellegrini, già assessora regionale alla Famiglia ai tempi della presidenza di Roberto Formigoni.
Il vicepresidente del Gruppo San Donato è Paolo Rotelli, nipote del fondatore della holding, Luigi. Anche se il vero artefice delle fortune della dinastia è stato Giuseppe Rotelli, padre di Paolo e figlio di Luigi, che negli anni Settanta e Ottanta fu consulente della Regione Lombardia per le politiche sanitarie e che affiancò poi anche il ministro della Salute Girolamo Sirchia sotto il secondo governo Berlusconi.
Craxiano doc, Rotelli – morto nel 2013 – è stato anche azionista di Rcs e nel 2000, dodici anni prima di mettere le mani sul San Raffaele, aveva concluso un’altra importante operazione assicurandosi le cliniche private di Antonino Ligresti, fratello del finanziere Salvatore.
Nel 2021 l’ospedale San Raffaele ha fruttato da solo al Gruppo San Donato 696 milioni di euro: di questi, 285 milioni derivano da prestazioni in regime convenzionato e quindi pagate dal Servizio sanitario pubblico.
L’era Formigoni
Nella classifica dei colossi della Sanità privata, al secondo posto dietro al Gruppo San Donato c’è il Gruppo Humanitas: fatturato di poco inferiore al miliardo di euro, macinato da ventisette strutture tra Lombardia, Torino e Catania. Il quartier generale è a Rozzano, nell’hinterland milanese.
Il gruppo fa capo a Gianfelice Rocca, già presidente di Assolombarda e proprietario insieme al fratello Paolo della multinazionale dei tubi Techint, che ha sede in Argentina. Il magazine Forbes ha piazzato l’anno scorso i fratelli Rocca al 16esimo posto nella graduatoria delle persone più ricche d’Italia con un patrimonio stimato in 3,2 miliardi di euro.
Gianfelice è anche vicepresidente dell’Aspen Institute Italia, think tank che vede alla presidenza l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, oggi deputato di Fratelli d’Italia. Ennesima conferma che gli imprenditori della Sanità privata hanno una naturale inclinazione a destra. E viceversa.
Altro nome storico della galassia delle cliniche convenzionate è l’Ics Maugeri di Pavia, che controlla ventuno strutture fra Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto, Puglia e Sicilia, per un totale di oltre 2mila posti letto accreditati con il Servizio sanitario nazionale.
Malgrado i 285 milioni di euro di ricavi e un bilancio in sostanziale pareggio, il gruppo – fondato nel 1965 dal medico catanese Salvatore Maugeri – patisce ancora le scorie dello scandalo giudiziario che tra 2012 e 2013 ha travolto la giunta regionale lombarda presieduta da Roberto Formigoni e i vertici dell’istituto sanitario per un giro di tangenti in cambio di favori. Giusto un mese fa la Cassazione ha confermato la sentenza della Corte dei Conti che condanna in solido Formigoni e gli ex vertici della Fondazione Maugeri a risarcire 47 milioni di euro alla Regione Lombardia.
La governance del gruppo nel frattempo è totalmente cambiata, in particolare dal 2016, quando è entrato come socio al 34% il fondo di private equity Trilantic Europe, ma recentemente i sindacalisti dell’Usb hanno proclamato lo stato di agitazione denunciando «gravi carenze d’organico».
Nella storia della Sanità privata, almeno in quella della Lombardia, c’è un prima e un dopo Formigoni. La riforma varata nel 1997 dall’allora governatore di Forza Italia – vicinissimo al movimento Comunione e Liberazione – sancì il rivoluzionario principio della cosiddetta «sussidiarietà solidale»: mise cioè sullo stesso piano, nell’erogazione dell’assistenza sanitaria, gli operatori pubblici e quelli privati.
Un principio rimasto valido anche dopo la caduta del presidente azzurro e l’arrivo alla guida del Pirellone dei leghisti Roberto Maroni e Attilio Fontana. Grazie a quella legge regionale, di fatto, l’industria della Salute privata è stata bagnata in questi trent’anni da una pioggia di denaro pubblico.
Quelli a sinistr
Ma le cliniche convenzionate non sono un’esclusiva assoluta della destra. Ad esempio, l’Istituto europeo di oncologia – meglio noto come Ieo – fu fondato nel 1994 a Milano dal professor Umberto Veronesi, futuro senatore del Pd, nonché ministro della Sanità del secondo Governo Amato.
Tra i promotori dell’iniziativa – nata per «applicare i principi della gestione privata alla sanità pubblica» – c’era peraltro anche Enrico Cuccia, patron di Mediobanca: non esattamente un bolscevico.
Nel 2016, poco dopo la morte di Veronesi, la famiglia dell’oncologo era sul punto di cedere lo Ieo a una cordata formata dai gruppi San Donato e Humanits, ma l’operazione sfumò per la contrarietà del vertici dell’istituto. Oggi il socio di maggioranza è Mediobanca, affiancata da altri giganti del capitalismo finanziario italiano, come Unipolsai, Intesa Sanpaolo e gli eredi di Leonardo Del Vecchio.
A proposito di capitalismo tricolore, ha investito nel settore della Sanità privata anche l’ingegner Carlo De Benedetti, ex editore di Repubblica e L’Espresso, oggi al comando del quotidiano Domani.
La sua holding Cir – presieduta oggi dal figlio Rodolfo, con il quale tuttavia i rapporti sono tutt’altro che buoni – controlla il Gruppo Kos: novantatre strutture sparse tra Nord Italia, Lazio e Campania, per un fatturato che nel 2021 ha superato i 350 milioni di euro.
Negli scorsi mesi De Benedetti è stato tra coloro che hanno auspicato che alle regionali della Lombardia il Partito democratico appoggiasse la candidatura di Letizia Moratti, assessore alla Sanità nell’ultima giunta Fontana. Come noto, i dem hanno invece optato per sostenere Pierfrancesco Majorino, più incline a valorizzare la governance pubblica della salute e deciso a cancellare la recente riforma varata dal centrodestra.
In Lazio, d’altro canto, il candidato di Pd e Terzo Polo, Alessio D’Amato, reduce a sua volta da nove anni alla guida dell’assessorato regionale alla Sanità, durante la campagna elettorale ha annunciato una proposta di legge per impedire a imprenditori come Angelucci di gestire cliniche sanitarie private e contemporaneamente possedere dei giornali.
Lo stesso Angelucci rischia di finire a processo per tentata corruzione perché, secondo la Procura di Roma, nel 2017 offrì proprio a D’Amato 250mila euro per sbloccare una serie di rimborsi pretesi da una delle sue cliniche convenzionate.
Dunque, se alle recenti regionali l’imprenditore ha fatto campagna elettorale per Rocca, non è solo per disciplina di partito, ma anche per tutelare i propri interessi economici.
Peraltro, anche la giunta Zingaretti, lo scorso novembre, gli ha fatto un “regalino”: con una legge ad hoc – ribattezzata “salva-Angelucci” – il San Raffaele di Velletri ha riottenuto l’accreditamento al Servizio sanitario pubblico che aveva perso durante la pandemia. Perché alla fine, anche se c’è la sinistra al potere, il ras delle cliniche cade sempre in piedi.
(da il Fatto Quotidiano)

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