Febbraio 25th, 2023 Riccardo Fucile
LUNEDI, DOPO IL TG1, LA PRIMA PUNTATA: SI INIZIA CON LA MELONI, TANTO PER CAMBIARE
Vuole partire bene. Per tutta la settimana. Perché quella è una fascia
oraria prestigiosa assai, ma anche pericolosa. La gloria o il burrone sono divisi da pochi punti di share.
Così nella prima puntata, lunedì 27 febbraio, l’obiettivo è avere un ospite di primissimo piano, forse addirittura un’intervista esclusiva a Giorgia Meloni. Ma ancora non vi è nulla di certo. Però i primi giorni dovranno avere standard altissimi.
“Lui è molto carico, non vede l’ora di iniziare”, raccontano da Viale Mazzini. E chissà che prima o poi, ma non subito, riesca ad avere in diretta anche Volodymyr Zelensky, che ha già intervistato di recente (è stato lui il regista dell’operazione Sanremo, che poi è finita maluccio).
Parliamo di Bruno Vespa e del suo nuovo programma che parte lunedì 27 febbraio, dal titolo “5 Minuti”: una striscia quotidiana da lunedì a venerdì, dalle 20.32 alle 20.38, subito dopo il Tg1 delle 20, studiata per non andar sopra al “Cavallo e la Torre”, di Marco Damilano, che inizia alle 20.40 su Raitre. Quest’ultimo non farà di certo i salti di gioia, anche se qualcuno sussurra che “il nuovo programma di Vespa blinda politicamente Damilano, perché se a qualche meloniano fosse venuto in mente di chiudere ‘Il Cavallo e la Torre’ perché troppo a sinistra, ora il bilanciamento è raggiunto, e per giunta su Raiuno”.
La nuova striscia nasce infatti con la benedizione di Palazzo Chigi e l’obiettivo di bilanciare a destra, o comunque in senso filo governativo, l’approfondimento di giornata.
Vespa si occuperà del fatto del giorno, l’evento principale della giornata, che potrà essere politica, ma anche cronaca o qualsiasi evento di grande rilevanza. Ma si parlerà anche di guerra e non è un mistero come la pensi il conduttore in materia. Ci dovremo attendere un Vespa con l’elmetto? Chissà…
A volte ci sarà un ospite in studio, altre il conduttore sarà solo. La notizia verrà raccontata con la sua chiave di lettura: un editoriale-notizia. Ancora non si sa se verranno utilizzati servizi o inviati sul campo: il programma sarà registrato un’ora prima in un angolo dello studio di “Porta a porta” riadattato alla bisogna, ma a volte si potrà andare anche in diretta. Ancora in corso, invece, la trattativa sui soldi. Il conduttore è sotto contratto Rai per un milione di euro l’anno per la stagione di “Porta a porta”, ma per il nuovo impegno si sta studiando un integrativo.
La cifra su cui si ragiona, però, è top secret. Ma il rischio maggiore sono i numeri. L’access prime time, la fascia che precede la prima serata, è la più pregiata della tv per numero di telespettatori e introiti pubblicitari, soprattutto sulla rete ammiraglia. Un solo punto di share a quell’ora vale moltissimo.
E Vespa andrà a collocarsi tra il Tg1, che questa settimana ha raggiunto il 26% di share (tranne e il giovedì al 24,2%), programma di turno (L’Eredità, I soliti ignoti, Affari tuoi), che sta tra il 22 e il 28%. “Cinque minuti” dovrebbe stare su quegli standard, magari perdere qualcosa (2-3 punti) ma rimanendo sopra il 20%: sotto sarebbe un flop.
Ma c’è anche chi protesta. E si chiede: ma era proprio necessario? E perché proprio Vespa?
Il consigliere dei dipendenti Riccardo Laganà, in una lettera a Fuortes e Soldi, chiede di conoscere “le cifre dei costi relativi al programma a partire dai compensi aggiuntivi riconosciuti al collaboratore Bruno Vespa”, ma pure “gli obiettivi editoriali, i risultati attesi in termini di ascolti e la valutazione dell’impatto su altri programmi”.
Come il Tg2, che inizia alle 20.30 e a cui Vespa pesterà i piedi. Nei giorni scorsi ai vertici di Viale Mazzini è arrivata una missiva del cdr. “Rimaniamo stupiti per l’orario scelto, in concomitanza con l’inizio del nostro tg, che rischia di restare schiacciato tra Vespa e Damilano. Cos’altro dobbiamo fare per chiedere all’azienda di rispettare e sostenere il nostro lavoro?”, si chiede la redazione del Tg2, che come ascolti nell’edizione serale già fa parecchia fatica.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 25th, 2023 Riccardo Fucile
LA MELONI DICE CHE SCEGLIERA’ DA SOLA GLI AD DI ENI, POSTE ED ENEL (TRADOTTO: NON VUOLE DIVIDERE LE POLTRONE CON SALVINI E IL CAVALIERE)
Intende farne una “questione nazionale”, non accetterà nessun tipo di “baratto”, Giorgia Meloni sceglierà da sola gli ad di Eni, Enel e Poste. La premier potrebbe minacciare l’impensabile: “Sulle nomine mi gioco la reputazione. Nessuno deve condizionarmi o mettere veti”. Se dovesse accadere è pronta a rimettere il mandato.
L’offensiva lanciata da Lega e Forza Italia su Eni ed Enel l’ha irritata. Da giorni il partito di Matteo Salvini, di sponda con Berlusconi, chiede una valutazione sul management delle due società. Meloni ritiene l’ad di Eni, Claudio Descalzi, una “pietra angolare”. Avrebbe aggiunto: “Chi indebolisce lui, vuole indebolire me. Io non apro un suk”.§
Giovedì 23 febbraio, durante la presentazione del piano industriale di Eni, chi era presente è rimasto “turbato” dalle parole di Descalzi. I giornalisti hanno chiesto all’attuale ad di Eni un commento sul suo futuro e questo è quanto si sono sentiti rispondere: “Quello che voglio io non conta nulla. Questo piano (industriale) lo ha fatto l’Eni e nessuno è indispensabile. L’Eni è forte e può fare questo piano anche senza di me”. Ministri, operatori finanziari parlano di “messaggio”. Un’azienda come Eni può essere governata solo se l’ad gode della fiducia del governo. Con questa frase l’ad ha come interrogato la premier.
Lega e FI hanno un profilo alternativo. E’ quello di Paolo Scaroni e per FdI è una provocazione: “Ha operato per anni in Russia. In questo momento non sarebbe opportuno”.
Descalzi ha una squadra e se resta lui ad è fisiologico che il suo staff venga riconfermato. Non esiste fiducia a metà. L’uscita della Lega farebbe parte di una strategia: si chiede l’Eni per puntare a Enel e per poi incassare la guida di Poste.
L’idea della Lega, condivisa da FI, è che va “posto con forza il tema dei troppi manager di sinistra o comunque scelti da sensibilità politiche lontane da questo governo”. Meloni la guarda con il cannocchiale rovesciato: “Non mi importa se siano di sinistra, mi importa che siano bravi”. Descalzi è per lei “bravissimo”.
Il rapporto si è rafforzato dopo i viaggi, comuni, in Algeria e Libia. Meloni è dunque disposta a cedere sulle presidenze delle tre società, ma non sugli ad. I tre nomi li ha in testa. Descalzi resta all’ Eni, Del Fante alle Poste e Donnarumma si dovrebbe spostare da Terna all’Enel.
Ma Lega e FI rispondono: “E che ci vuole lasciare? La guida dei poligrafici di stato?”. E’ un giro di boa per Meloni. E’ certa che se dovesse cedere “si tornerà a parlare di marcia indietro”.
E’ una questione di affidabilità. Per arrivare alla conferma di manager nominati da precedenti governi è tuttavia necessario raggiungere l’intesa con Salvini e Belusconi. Per Meloni è una “questione nazionale” mentre per un ministro a cui non manca la schiettezza, al momento, “più che stare a un tavolo di nomine sembra di stare sdraiati in una fumeria d’oppio”.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 25th, 2023 Riccardo Fucile
L’ANTIRICICLAGGIO DI BANKITALIA: UN MILIONE DI EURO SOTTO LA LENTE… A CHI ERANO STATI DESTINATI I SOLDI IN CONTANTE?
L’ambasciata russa in Italia finisce nel mirino dell’Antiriciclaggio.
L’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia nel 2022 si è messa in allerta per le movimentazioni su tre conti correnti dell’ufficio diplomatico romano della Federazione Russa.
Le segnalazioni sono iniziate nel primo semestre del 2022. Nel secondo sono aumentate. E un report riepilogativo che oggi racconta il Corriere della Sera ne dettaglia i contorni.
Nel dossier datato 5 gennaio 2023 l’Uif descrive nei minimi particolari le operazioni sospette. Tra cui ci sono anche curiose richieste per spese in contanti. Che in totale ammontano a un milione di euro. Ma anche prelievi monstre. L’ambasciatore russo in Italia si chiama Sergey Razov. Di recente ha scritto al ministro della Difesa Guido Crosetto accusando Roma di discriminare i cittadini russi.
L’ambasciatore Razov
Prima ancora aveva accusato l’Italia di aver mandato uomini al fronte della guerra in Ucraina. E sostenuto che tanti concittadini lo chiamano per manifestare solidarietà a Mosca. Mentre la presa dei territori ucraini, secondo la feluca, non è stata un’annessione ma un’adesione. §
Il dossier racconta di un versamento di 400 mila dollari americani versati sul conto in valuta della sede diplomatica russa. Derivavano da giacenze per attività regolari e giornaliere. Qualche giorno dopo 403 mila euro vengono trasferiti da quel conto. E nel giro di un mese sull’altro conto vengono effettuati prelievi in contante per complessivi 410 mila euro. Secondo l’Uif «alla luce delle misure restrittive disposte dell’Ue nei confronti di enti russi o comunque riconducibili alla Federazione russa, a seguito della crisi in Ucraina appare sospetta la movimentazione in contanti per importi elevati».
I prelievi in contanti
Il 12 dicembre invece una società di security si presenta davanti ai cancelli dell’ambasciata in via Gaeta 5 per consegnare 600 mila euro in contanti. La provvista è composta da seimila banconote da 100 euro. E, sempre secondo l’Uif, «appare anomala per il valore totale richiesto, se analizzata nel contesto della guerra in corso tra Russia e Ucraina».
Da queste due segnalazioni deriva che nell’ultimo trimestre del 2022 l’ufficio diplomatico di Mosca a Roma ha movimentato un totale di un milione di euro in contanti. Non si conosce il motivo della movimentazione né gli eventuali destinatari. Di certo è difficile pensare ad «attività regolari e giornaliere».
L’Uif ha trasmesso le segnalazioni agli organismi competenti. L’Antiriciclaggio a fine 2022 ha anche siglato un «nuovo protocollo d’intesa» con la Direzione Nazionale Antimafia, «per affinare i meccanismi di condivisione dei dati sulle operazioni sospette» e «ottimizzare l’uso delle informazioni provenienti dalle Financial Intelligence Unit estere».
(da Open)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 24th, 2023 Riccardo Fucile
E’ LUI CHE SI OCCUPA DI GUIDARE IL FRONTE DIGITALE, COMPRESI DIFESA DAGLI HACKER E USO DEI DRONI
La storia della guerra in Ucraina è anche la storia di chi si è ritrovato. Studenti che si sono ritrovati soldati, pensionate che si sono ritrovate cuoche per le truppe e giornalisti locali che si sono ritrovati cronisti di guerra. Mykhailo Fedorov è un ministro che si è ritrovato generale. Classe 1991, Fedorov ha la stessa età dell’Ucraina, è nato pochi mesi prima che il Parlamento di Kiev proclamasse l’indipendenza da un’URSS che si stava dissolvendo.
Fedorov è arrivato al governo nel 2019 insieme a Volodymyr Zelensky. Due gli incarichi: quello di vicepremier e quello di Ministro dell’Innovazione. Era l’uomo che doveva guidare l’Ucraina verso la transizione digitale. È diventato l’uomo che guida il fronte cyber di Kiev, fatto di armate di droni e legioni di sviluppatori che hanno permesso alle truppe ucraine di resistere e ai civili di continuare a usare tutti i servizi statali passando solo dai loro smartphone.
Un anno fa, quando i primi tank russi hanno superato il confine eri in Ucraina. Sei sempre rimasto nel Paese dall’inizio della guerra?
Sì, sono rimasto in Ucraina per tutto il tempo dall’inizio dell’invasione su vasta scala. Ho lasciato il Paese solo per pochi viaggi di lavoro.
Com’è cambiata l’Ucraina dall’inizio della guerra?
Dal 24 febbraio l’Ucraina è cambiata drasticamente. Questa è la più grande guerra dalla seconda guerra mondiale con grandi perdite di persone e infrastrutture. Sono abbastanza sicuro che tutti voi abbiate visto filmati devastanti dalle città ucraine: Kiev, Kharkiv, Bakhmut, Dnipro, Kherson, Chernihiv, Borodyanka e Bucha. Oltre 5.000 missili russi hanno colpito principalmente case e obiettivi civili.
Accanto a tutta la distruzione che la Russia porta nelle nostre vite, l’Ucraina è riuscita non solo a sopravvivere ma anche a svilupparsi. Il mondo intero sostiene l’Ucraina e grazie a questo supporto siamo in grado di combattere e riconquistare i nostri territori. Abbiamo capito che la soluzione migliore è la tecnologia. È diventata il nostro vantaggio. Le Big Tech ci aiutano fornendo servizi gratuiti, supporto finanziario e persino aprendo uffici in Ucraina. Invece di arrenderci, stiamo diventando un Paese europeo forte e coraggioso.
Cosa significa Ucraina?
L’Ucraina significa tutto per me, come per ogni ucraino di oggi. È la mia casa e la difenderemo fino alla vittoria.
Come è cambiato il tuo lavoro?
Io e la mia squadra abbiamo avuto pochissime ore per dormire nei primi giorni di invasione e lavoriamo molto anche oggi. Durante l’anno abbiamo aperto un gran numero di nuovi progetti: la piattaforma di raccolta fondi UNITED24, Army of Drones e almeno 40 nuovi servizi legati all’app Diia. Abbiamo risposto alle sfide dei blackout e ripristino delle telecomunicazioni.
Questa è la prima cyberwar. All’inizio della guerra avete lanciato l’IT Army, un esercito di hacker fatto da volontari che arrivavano da tutto il mondo.
Sì, il progetto IT Army esiste ancora e difende la nostra prima linea digitale. All’inizio, il Ministero della Trasformazione Digitale ha lavorato al coordinamento di questa community. Tutti i partecipanti sono volontari: chiunque può unirsi al canale Telegram ed entrare a far parte del nostro IT Army. Finché la guerra è in corso non posso scendere nel dettaglio dei suoi meccanismi. Ma probabilmente il più grande contributo di IT Army è che ha distrutto il mito dei potenti hacker russi.
Dal 24 febbraio, la Russia ha lanciato più di 2.000 attacchi di hacker contro l’Ucraina. Quali sono i bersagli più colpiti?
L’Ucraina sta contrastando quotidianamente gli attacchi informatici russi. Possiamo dire che nessuno dei migliaia di attacchi informatici partiti dal 24 febbraio ha causato perdite reali per la nostra economia o ha fermato il sistema bancario, né danneggiato le infrastrutture critiche. Il nostro sistema di sicurezza informatica è efficiente.
I droni sono diventati sempre più importanti nelle strategie di guerra. A cosa servono?
I droni sono diventati una soluzione rivoluzionaria in questa guerra. Grazie ai droni da ricognizione aerea, l’esercito ucraino può controllare la linea del fronte e, grazie ai droni d’attacco, può colpire le posizioni nemiche. Il più grande vantaggio dell’utilizzo dei droni è che possiamo raccogliere informazioni accurate sul campo di battaglia, così salviamo più soldati. Negli ultimi sei mesi, il numero di aziende che producono droni in Ucraina è aumentato di 5-7 volte. Ma ne abbiamo bisogno per espandersi ancora di più. Questa guerra si sta trasformando in una guerra di robot. E per vincere, l’Ucraina ha bisogno di molti droni di tutte le categorie possibili.
Abbiamo lanciato Army of Drones. In 7 mesi dal suo lancio, sono stati firmati contratti per oltre 1.700 droni per oltre 87 milioni di euro. Questi sono i fondi che abbiamo raccolto da persone e aziende di 76 Paesi. Anche le persone possono donare i loro droni civili. Stiamo sviluppando nuove tipologie di droni per rispondere a tutte le sfide belliche. Fino ad ora la Russia ha lanciato oltre 5.000 missili contro l’Ucraina. Un missile ogni cinque è stato lanciato dal mare. In precedenza, il nostro Paese non aveva modo di resistere a questo tipo di attacchi. Ora abbiamo trovato una soluzione: i droni navali. Uno di questi droni può attaccare una nave del valore di milioni, al contrario il costo di un drone è dieci volte inferiore: circa 250.000 dollari.
Che ruolo ha l’intelligenza artificiale sul campo da battaglia?
Usare l’intelligenza artificiale sul campo di battaglia non significa che la guerra possa essere autonoma. Richiede ancora una decisione umana. L’intelligenza artificiale nei droni aiuta a trovare oggetti. La decisione finale per colpire è presa ancora da una persona. È come gli scacchi. Il futuro degli scacchi è che i computer giocheranno, ma quando ci sono diverse opzioni, ci sarà sempre una persona che prenderà la decisione finale su quale mossa fare.
La connessione Internet in Ucraina è supportata dai satelliti Starlink. Qual è il rapporto con Elon Musk?
Tutto è iniziato nei primi giorni dell’invasione. Ho scritto un tweet chiedendo a Elon Musk di aiutarci con Starlinks. Apprezzo la sua rapida reazione e tutto il supporto che abbiamo ricevuto da SpaceX quest’anno. In pochi giorni, abbiamo ricevuto il primo lotto di terminali. Elon Musk è uno dei maggiori donatori privati dell’Ucraina, secondo le nostre stime il contributo è di oltre 100 milioni di dollari. E internet via satellite salva milioni di vite ogni giorno.
Perché Starlink non vuole concedere la connessione a Internet per guidare i droni?
In questo momento non ci sono problemi con il funzionamento dei terminali Starlink in Ucraina. La scorsa settimana, abbiamo ricevuto migliaia di Starlink come parte di un nuovo lotto di 10.000 terminali dal governo tedesco. Gli Starlink aiutano a salvare migliaia di vite. L’infrastruttura energetica continua a funzionare grazie a loro. I medici stanno eseguendo interventi complessi grazie alla comunicazione fornita dai terminali Starlink.
Un elemento chiave per garantire i servizi ai cittadini ucraini è stata l’app Diia. Cosa puoi fare con questa app? Quanti ucraini l’hanno scaricata?
Diia è uno sportello unico per servizi pubblici e per i documenti elettronici. L’abbiamo lanciata esattamente tre anni fa. All’inizio era solo un’app per conservare la patente di guida digitale. Ad oggi abbiamo oltre 18,7 milioni di utenti dell’app Diia e oltre 22 milioni di persone accedono al portale web. Il 70% degli smartphone in Ucraina ha installato l’app Diia.
Con questo dispositivo ogni cittadino può aprire un’attività in pochi minuti, registrare un neonato, fare rapporto sul movimento di carri armati e truppe russe e richiedere le prestazioni sociali dell’assistenza alla disoccupazione. Ma può anche firmare documenti con una firma digitale e persino guardare i notiziari TV o la radio. Ma ci sono dozzine di altri servizi. Solo nel 2022 durante l’invasione su vasta scala abbiamo lanciato quasi 40 nuovi servizi e prodotti per i cittadini.
Si dice che ci siano Paesi interessati ad acquistarlo.
Abbiamo già il nostro primo caso di esportazione Diia. L’Estonia, il paese più digitalizzato, insieme al nostro team, ha sviluppato l’app governativa mRiik basata su Diia. Abbiamo condiviso il codice, architettura e approccio progettuale. E attualmente stiamo comunicando con più di cinque Paesi.
Avete sviluppato anche Delta, un Google Maps per i campi di battaglia. Come funziona?
Delta era un sistema che è stato sviluppato dal 2014, quando è iniziata l’invasione russa. Fondamentalmente, Delta è il Google Maps per i militari poiché la piattaforma mostra il campo di battaglia in tempo reale. Per fare ciò, integra dati di ricognizione aerea, immagini satellitari, dati di droni e rapporti di chatbot, inviati da persone civili che hanno visto l’hardware o le posizioni del nemico. Questo sistema salva munizioni e vite e ha già mostrato la sua efficacia durante la difesa di Kiev e nella liberazione delle regioni di Kharkiv e Kherson.
Un anno fa eri sicuro che l’Ucraina avrebbe vinto questo conflitto. Ora?
Oggi sono ancora più sicuro che l’Ucraina vincerà. Non c’è altro modo che vincere questa guerra. Durante l’ultimo anno, abbiamo mostrato al mondo intero di cosa sono capaci gli ucraini e il mondo intero ci ha mostrato un enorme sostegno. Grazie ai partner occidentali, abbiamo l’opportunità di lottare per la libertà e riconquistare i nostri territori. L’accesso alle armi più moderne, l’aiuto delle Big Tech americane ed europee, il coraggio e l’istruzione del nostro popolo sono la ricetta per la vittoria dell’Ucraina.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 24th, 2023 Riccardo Fucile
STIME PARZIALI, NON SI TIENE CONTO DEL RITORNO ECONOMICO
Conviene o costa troppo? Va reso strutturale o cancellato contenendo i
danni? Il recente intervento del governo Meloni ha riacceso il dibattito sul Superbonus edilizio.
Ognuno dice la sua, tirando puntualmente fuori dal cilindro il dato parziale di cui c’è bisogno per confermare una tesi.
Ad esempio, che l’incentivo sia costato duemila euro a testa per ogni italiano – come detto dal ministro Giorgetti nella conferenza stampa post decreto – non è vero.
Il Tesoro stima la spesa complessiva dello Stato per tutti i bonus edilizi degli ultimi anni (e non solo quello al 110 percento) intorno ai 120 miliardi. Da qui i duemila euro a persona citati dal ministro dell’Economia: basta dividere per i 59 milioni di italiani. Un’operazione fin troppo semplice.
Peccato non funzioni così: senza calcolare il ritorno economico qualsiasi misura è a perdere. Proviamo a fare i conti con degli studi di settore.
I calcoli di Nomisma e Ance
L’ultimo studio uscito, in ordine di tempo, è quello di Nomisma, che – su tutti – dà due numeri molto precisi: il costo sostenuto dallo Stato per finanziare il Superbonus fin qui è di 71,8 miliardi euro, l’impatto economico complessivo sull’economia nazionale è di 195,2 miliardi di euro. Quasi tre volte tanto. Inoltre gli economisti citano studi precedenti, secondo cui il disavanzo per lo Stato sarebbe stato colmato dall’aumento del Pil – che effettivamente in questi anni è stato da crescita record, soprattutto se rapportato al resto del mondo – e poi riassorbito a livello strutturale in quattro o cinque anni.
Non si tratta dell’unico dato da considerare: c’è l’incremento del valore degli immobili, che resta un valore assoluto.
Ma soprattutto il passo verso una politica green – direzione intrapresa con forza anche dall’Unione europea – e la diminuzione delle emissioni, che tradotto significa anche risparmio energetico.
Non sono parole vuote, per Nomisma si tratta di 29 miliardi di euro all’anno che restano in tasca alle famiglie. Mediamente 964 euro per chi ha usufruito del Superbonus.
Uno studio dell’Associazione nazionale costruttori edili conferma gli stessi dati e sottolinea: l’ultima stima della crescita del Pil italiano nel 2022 è del più 3,9 percento, quello cinese – per capirci – del 3,0 percento.
Un terzo della crescita italiana, secondo l’Ance, è dovuta ai bonus edilizi. E non solo: lo Stato ha incassato 45 miliardi di extragettito tra gennaio e novembre dello scorso anno, con cui ha potuto sostenere la spesa energetica delle famiglie.
Gli edili registrano anche la creazione di 250mila posti di lavoro nelle costruzioni negli ultimi due anni, di cui 170mila grazie ai bonus.
Infine l’aspetto energetico: secondo Ance il risparmio garantito con gli interventi eseguiti in tutta Italia finora corrisponde a circa due miliardi di metri cubi di gas, ovvero i due terzi di ciò che – nel piano Cingolani dell’agosto scorso – si prevedeva avrebbe dovuto risparmiare l’Italia per rispondere all’emergenza energetica.
I dubbi di Bankitalia
Più prudente l’analisi sull’impatto del Superbonus da parte di Banca d’Italia. Nell’audizione del 21 febbraio 2023, davanti alla commissione Finanze del Senato, i tecnici di via Nazionale hanno sì parlato di “un impatto assai significativo sul settore delle costruzioni”, con un aumento degli investimenti in abitazioni, nei primi tre trimestri del 2022, pari al 40 percento rispetto al 2019 e un incremento in termini di valore aggiunto e occupazione, rispettivamente del 27 e del 18 percento.
Gli esperti di Banca d’Italia però hanno sottolineato come solo il 50 percento degli interventi non sarebbe stato effettuato in assenza di incentivi fiscali. Un elemento che di conseguenza ridimensiona le stime sull’incidenza del Superbonus. E in ogni caso – prosegue l’analisi – “anche tenendo conto delle imposte e dei contributi sociali versati a fronte dell’aumento dell’attività del settore, gli oneri della misura per il bilancio pubblico restano comunque ingenti”.
Nelle stime degli autori della ricerca, per raggiungere un equilibrio tra costi e benefici, la percentuale di sconto andrebbe ridotta al 40 percento.
Favorevoli e contrari
Tornando al lato economico, particolarmente favorevole al Superbonus è invece la ricerca condotta dal Censis. Non a caso, i numeri prodotti dall’istituto di ricerca sono quelli citati più volte negli ultimi giorni dal leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte, padre della misura.
Nello studio, pubblicato a novembre 2022, si valutava che i 55 miliardi investiti dallo Stato fino a quel momento avessero attivato un valore della produzione totale pari ad almeno 115 miliardi di euro, coinvolgendo 900mila unità di lavoro.
Di conseguenza, il gettito fiscale prodotto ripagherebbe circa il 70 percento dei costi sostenuti dalle casse pubbliche.
Sullo stesso punto, è più cauto lo studio della Fondazione nazionale dei commercialisti, svolto sui dati del 2021. Qui si calcola un ritorno di 43,3 centesimi per ogni euro investito. Dalle tabelle conclusive della fondazione emerge che il costo netto indotto è stato di quasi 16 miliardi di euro.
Parliamo di quanto ha effettivamente gravato il Superbonus sulle casse dello Stato nel 2021. Ma questo valore è semplicemente il saldo tra la spesa di oltre 28 miliardi di euro e l’effetto fiscale superiore ai 12 miliardi di euro (Iva e Irpef). Insomma: quanto è costato il bonus meno quanto ci ha guadagnato lo Stato con l’extragettito. Senza tenere conto di tutti gli altri fattori, però.
Un’altra tabella della Fnc ci viene in soccorso: c’è un valore della produzione aggiuntivo – ovvero il totale della produzione economica generata da un’impresa – da 90 miliardi di euro, oltre a un valore aggiunto di 32 miliardi di euro.
Tra i maggiori critici del Superbonus, troviamo invece l’ex presidente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, Giuseppe Pisauro. A suo giudizio, gli effetti distorsivi di un incentivo troppo generoso hanno superato i benefici e si sono rivelati insostenibili per le casse pubbliche.
Inoltre, ha spiegato Pisauro, un mercato edilizio “dopato” dal Superbonus, ha favorito l’ingresso di aziende di ristrutturazione improvvisate e inefficienti. L’economista ha messo nel mirino anche il carattere anti-distributivo della misura, accessibile, alle stesse condizioni, da tutte le fasce della popolazione. C’è da dire però che quest’ultimo aspetto sembra accentuato dalla scelta del governo Meloni che – bloccando lo sconto in fattura e la cessione del credito – ha reso il Superbonus uno strumento utilizzabile quasi solo dai ricchi.
Su questo punto è intervenuta anche la Cgia di Mestre. Per il centro studi, il Superbonus ha interessato solo il 3,1 percento del totale degli immobili a uso abitativo, rispetto a quasi 12,2 milioni di edifici residenziali, presenti in Italia.
In conclusione, possiamo dire che, per certo, il calcolo per il Superbonus di duemila euro a persona – sventolato in questi giorni dal governo – non sta in piedi, perché non considera in nessun modo i ritorni per le casse dello Stato. Più difficile valutare da che parte penda il piatto della bilancia, tra costi e benefici, poiché le analisi divergono. Rimangono alcuni punti fermi.
Da un lato il Superbonus era stato pensato come misura di emergenza, per risollevare l’economia dopo la pandemia.
Dall’altro, l’efficientamento energetico degli immobili è parte fondamentale degli obiettivi della transizione ecologica, che l’Italia si è data.
Anche per questo, un governo che considera gli incentivi all’edilizia green solo come un costo lascia più di un dubbio sulla visione a lungo termine per il futuro del Paese.
(da Fanpage)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 24th, 2023 Riccardo Fucile
DA UN LATO C’ È ORBAN CHE DICE CHE LA GUERRA È “COLPA” DEI “BUROCRATI DI BRUXELLES”, DALL’ALTRO, LA POLONIA CHE HA POSTO IL VETO SULLA PROPOSTA ITALIANA SULLO STRALCIO DELL’IMPORT DI GOMMA SINTETICA DALLE SANZIONI ALLA RUSSIA
Il decimo pacchetto di sanzioni Ue contro la Russia è andato a sbattere contro un muro di gomma. Sintetica. E su quel muro, nonostante gli abbracci e le belle parole che hanno accompagnato la visita della premier Giorgia Meloni a Varsavia, si sono scontrati anche gli interessi di Italia e Polonia.
La prima che ha espresso le preoccupazioni delle proprie imprese per lo stop all’import di gomma sintetica da Mosca. La seconda che invece si è opposta ai correttivi introdotti per andare incontro alle richieste italiane. Per ripicca, Varsavia ha tenuto in ostaggio l’intero pacchetto di sanzioni.
Per una volta, quindi, non è stato Viktor Orban a vestire i panni del guastafeste, anche perché l’Ungheria ha ottenuto tutto ciò che voleva: esclusione del settore del nucleare dalle sanzioni e rinnovo delle misure limitato a sei mesi e non a dodici, come richiesto da Varsavia.
Ma il premier di Budapest non ha comunque perso l’occasione per criticare l’Unione europea, accusandola di pagare un prezzo economico eccessivo con le sanzioni perché “succube” degli Stati Uniti.
Durante un evento di Fidesz, secondo quanto riportato dai media ungheresi, Orban avrebbe accusato «i burocrati di Bruxelles» e gli Usa di voler prolungare la guerra. Ma subito è arrivata una secca replica di Josep Borrell: «L’Ungheria – ha detto l’Alto Rappresentante – partecipa alla spesa per il sostegno militare all’Ucraina e ha sempre sostenuto le sanzioni, che vengono adottate all’unanimità».
Il braccio di ferro sulla gomma sintetica russa va avanti da circa una settimana. La Russia esporta questo materiale per un valore di circa due miliardi di euro l’anno, di cui 700 milioni all’interno dell’Ue. L’Italia, che è un importatore, aveva subito espresso preoccupazioni sulle restrizioni. Secondo Roma, non ci sono certezze che questo bando possa effettivamente colpire l’economia russa. Al contrario c’è il timore di un impatto negativo sui prezzi del prodotto sul mercato Ue, con conseguenze per la competitività delle imprese, anche in relazione alla concorrenza extra-Ue.
Per questo il governo – attraverso la diplomazia a Bruxelles – ha proposto una serie di “correttivi”: oltre a una rimodulazione delle restrizioni, l’Italia (sostenuta dalla Germania) ha anche chiesto di fare una valutazione dell’impatto di questa misura.
Il compromesso raggiunto era stato approvato dagli altri governi, che dunque erano pronti a dare il via libera al decimo pacchetto di sanzioni, giusto in tempo per l’anniversario dell’invasione. Tutti meno uno: quello di Varsavia. Secondo la Polonia (Paese esportatore di gomma sintetica), i paletti introdotti renderebbero inefficace la misura, per questo l’ambasciatore ha posto il veto sull’intero pacchetto.
(da la Stampa)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 24th, 2023 Riccardo Fucile
MA LA CREAZIONE DI UNA CLASSE INTELLETTUALE RICHIEDE TEMPO, NON ASSALTI
«Vittorini se n’è ghiuto e soli ci ha lasciato!». Così, in un celebre
corsivo, Palmiro Togliatti attaccò, sarcastico, lo scrittore quando nel 1951 dichiarò pubblicamente che non era più comunista. Era il punto di arrivo di uno scontro drammatico che si era consumato tra il romanziere siciliano e il segretario del più grande partito comunista d’Europa sulle pagine de Il Politecnico, una delle più belle riviste del Dopoguerra, diretta da Elio Vittorini, legata al Pci e finanziata dall’Einaudi.
Alle mazzate dei dirigenti comunisti Vittorini rispose che la letteratura non poteva «suonare il piffero della rivoluzione»: la rivista uscì dalla polemica a capo chino, rifilata e censurata, prona al diktat della politica, e poco dopo morì. Non aveva più ragione di esistere: testimoniava così che la cultura non si può occupare a colpi di dirigismo politico e di ordini su cosa la letteratura, l’arte, il cinema e i giornali debbano fare.
La storia stranamente si ripete. Di recente allo scrittore Paolo Giordano è stato chiesto dalla politica, questa volta di destra-centro, di “suonare il piffero” alle richieste dei suoi partiti.
Il narratore, in procinto di tagliare il traguardo della direzione del Salone del libro di Torino, ha denunciato: «Sono state fatte richieste specifiche per dei nomi da includere nel comitato editoriale, aspetto su cui non avrei potuto negoziare. La cultura, e il Salone del libro, non meritano di essere lottizzati dal partitismo».
La pressione esercitata dal partitismo è arrivata sotto forma di richiesta di “affiancare” alla direzione di Giordano quattro intellettuali di area di centro-destra.
Il tentativo di assaltare la cittadella del Salone torinese non è un fenomeno isolato: si manifesta come un ulteriore, per il momento non riuscito, escamotage degli “uomini nuovi” di scalare il mondo della cultura.
Emerge ancora una volta il desiderio degli underdog intellettuali della nostra destra di uscire dalla marginalità e di sostituirsi a quella che considerano l’egemonia culturale della sinistra. L’ambizione si è manifestata fin dalle prime sortite del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. Neoeletto, ha subito annunciato di voler programmare «il recupero dell’identità della nazione, soprattutto come identità culturale, oltre che linguistica e geografica». In questo contesto è arrivata la sua rivelazione della scoperta di Dante «fascio», come scherzosamente ha detto il vignettista Osho, o in camicia nera o comunque come esponente di una cultura di destra.
A Sangiuliano si è accodato il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara che ha esortato a «ripartire da noi stessi, ad amare di più la nostra gente, il vicino di casa, la nostra cultura» e ha progettato per gli scolari lo studio del folclore e delle realtà locali. Poi è arrivata la battaglia per la cancellazione del bonus cultura per i giovani: un modo, anche questo, per far la voce grossa e rimettere in riga ragazzi orientati verso consumi assai poco legati alla “nazione” e molto esterofili o “cosmopoliti” che dir si voglia.
Come dimostra il caso del Politecnico – o come appare dalle tormentate vicende della cultura novecentesca schiacciata dai regimi dittatoriali – la produzione intellettuale non si può completamente irregimentare, si può soffocare e noi possiamo in emergenza ricorrere ai samizdat e affini
(da la Stampa)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 24th, 2023 Riccardo Fucile
L’INTERESSE DI CAIRO E L’IRRITAZIONE PER MEDIASET TROPPO MELONIANA
Non lo ha venduto e la notizia è che non ha più intenzione di venderlo. Silvio Berlusconi ha fermato la cessione del Giornale alla famiglia Angelucci. La svolta viene confermata da Forza Italia, il partito del Cavaliere. Annunciata a fine dicembre, la vendita del quotidiano era in uno stato avanzatissimo.
A spingere per la conclusione della trattativa sono i manager del gruppo Mondadori e la famiglia Berlusconi. A chiedere un’ulteriore riflessione al Cav. è il partito convinto che l’acquisto degli Angelucci non sia altro che “un regalo, una dote da consegnare alla premier, un segno dell’uscita di scena di Berlusconi dalla politica”.
L’operazione è stata chiamata “Fox Meloni News” e prevede la costruzione, da parte degli Angelucci, di un polo editoriale composto da Giornale, Libero e non si esclude anche la Verità. La vendita del Giornale si dava per finalizzata dopo le elezioni regionali in Lombardia. Oggi un ripensamento che contrappone i fratelli Berlusconi.
Il Cav. avrebbe alzato il telefono e chiesto al management del quotidiano di interrompere la cessione: “Il Giornale è mio”. E’ anche del fratello Paolo Berlusconi. L’altro Berlusconi vuole la vendita. Pure Pier Silvio e Marina Berlusconi sono favorevoli alla cessione.
Il padre ha un legame affettivo con il quotidiano ed è rimasto ferito dagli attacchi ricevuti in queste settimane. Le frasi del presidente Zelensky hanno dato forza a quanti nel partito gli ricordano: “Le reti Mediaset non fanno opinione, i quotidiani sì”.
A corroborare questa linea di pensiero è la presenza oramai quasi fissa della premier a Rete 4, rete che ha scelto per le sue interviste e che in FI definiscono “Meloni 4”.
Per non far saltare la trattativa sia i manager del gruppo Angelucci sia quelli del Giornale ragionano su una soluzione che nel mondo dell’editoria viene definita “una farsa e pure a perdere”. Si lavora a una cessione 70/30. Il 70 per cento agli Angelucci e il 30 per cento alla famiglia Berlusconi. Presidente della nuova società potrebbe essere il fratello Paolo che conserverebbe un ruolo. Serve a dimostrare che Berlusconi non si è sfilato dal Giornale. E’ una soluzione che fa a pugni con la necessità della vendita.
Se è vero che il Giornale viene ceduto per i debiti accumulati, è un non senso restare dentro una società con gli stessi debiti, perdendo inoltre la possibilità di stabilire la linea editoriale.
Chi è vicino a Berlusconi propone il contrario (30 per cento agli Angelucci e 70 per cento a Berlusconi) e ricorda che c’è un altro acquirente possibile. E’ Urbano Cairo, già disponibile all’acquisto.
(da Foglio)
argomento: Politica | Commenta »
Febbraio 24th, 2023 Riccardo Fucile
PER FAVORIRE I BALNEARI SI DANNEGGIA L’ITALIA: IL RINVIO AL DICEMBRE 2024 DELLE ASTE PER LE CONCESSIONI DEGLI STABILIMENTI BALNEARI NON RISPETTA LE REGOLE DI BRUXELLES E LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO
La notizia era trapelata ieri. E oggi il presidente della Repubblica,
Sergio Mattarella, ha firmato il decreto Milleproroghe approvato alla Camera accompagnandolo però da osservazioni sulle norme sulle concessioni balneari inserite nel provvedimento. Il capo dello Stato esprimendo riserve sul merito e sul metodo del decreto, ha deciso comunque di promulgarlo.
“Sono consapevole – ha scritto nella lettera – della delicatezza, sotto il profilo costituzionale, del rinvio alle Camere esercitato nei confronti di una legge di conversione di un decreto-legge, a pochi giorni dalla sua scadenza: farebbe, inevitabilmente, venir meno, con effetti retroattivi, in molti casi in maniera irreversibile, tutte le numerose altre disposizioni che il decreto-legge contiene, determinando incertezza e disorientamento nelle pubbliche amministrazioni e nei destinatari delle norme. Ho ritenuto, quindi, di promulgare la legge di conversione in questione”.
Le concessioni balneari
Le riserve del Capo dello Stato sul Milleproroghe si riferiscono, però, alla necessità di non rinviare ulteriormente le gare per le concessioni balneari. Sulle concessioni demaniali, scrive il Presidente, “è evidente che i profili di incompatibilità con il diritto europeo e con decisioni giurisdizionali accrescono l’incertezza del quadro normativo e rendono indispensabili, a breve, ulteriori iniziative di governo e Parlamento”. E’ necessario, dunque, che vengano corrette le norme sui balneari che in ogni caso si presterebbero a contenziosi e probabili impugnazioni con l’Unione europea, il Consiglio di Stato, enti locali e non solo.
I tecnici del Quirinale avrebbero infatti ravvisato nel provvedimento due criticità: in primo luogo il rinvio striderebbe con l’indicazione europea – la direttiva Bolkenstein – di mettere a gara gli spazi demaniali, pena il rischio d’una procedura d’infrazione; e con una sentenza del Consiglio di Stato del novembre 2021 che fissava la scadenza delle proroghe delle concessioni esistenti al 31 dicembre 2023. Il differimento di un anno – fortemente voluto da Forza Italia e Lega con un emendamento approvato al Senato a ridosso del voto nel Lazio – si scontrerebbe con queste indicazioni.
Inoltre, spiega Mattarella, nel Milleproroghe c’è “una copertura finanziaria insufficiente in proiezione temporale che, al fine di assicurare il pieno rispetto dell’art. 81 della Costituzione, dovrà essere integrata con il primo provvedimento legislativo utile”.
L’abuso di decreti da parte del governo
Per quanto riguarda invece l’abuso di decretazione da parte del governo e di norme disomogenee, il presidente della Repubblica attende una inversione di tendenza, come assicurato recentemente dalla premier Meloni. “Ho apprezzato – conclude nella lettera – l’iniziativa che la presidente del Consiglio dei ministri ha di recente assunto, in dialogo con i presidenti delle Camere, sottolineando l’abuso della decretazione d’urgenza e la circostanza che i decreti legge siano da tempo divenuti lo strumento di gran lunga prevalente attraverso il quale i governi esercitano l’iniziativa legislativa”.
E ha aggiunto: “Come ha osservato” la presidente del Consiglio, “un’inversione di tendenza potrà aversi con il recupero di un’adeguata capacità di programmazione legislativa da parte del governo e di una corrispondente attitudine del Parlamento a consentire l’approvazione in tempi ragionevoli dei disegni di legge ordinaria. Rispetto a questa iniziativa del governo auspico piena collaborazione istituzionale e invito tutte le forze politiche a valutarla con senso di responsabilità”.
(da La Repubblica)
argomento: Politica | Commenta »