Marzo 16th, 2023 Riccardo Fucile
I MOVIMENTI DI CAPITALI IGNOTI ARRIVATI AL CAVALIERE PER LANCIARE LE SUE AZIENDE TRA GLI ANNI ’70 E ’80, LE DONAZIONI A DELL’UTRI
Un nuovo documento giudiziario riapre lo scenario sull’origine dell’impero di Silvio Berlusconi. Una consulenza tecnica adesso al vaglio dei magistrati antimafia di Firenze che vogliono capire se c’è un nesso tra le somme ancora oscure arrivate nelle casse di Fininvest e i boss di Cosa nostra.
Un documento che si inserisce nell’inchiesta sulle stragi del 1993 ancora aperta sui mandanti e che fa emergere “innesti finanziari” ancora opachi “nelle società che hanno dato vita al gruppo Fininvest”. Soldi che hanno alimentato le casse delle società di Biscione tra febbraio 1977 e dicembre 1980.
La consulenza tecnica, che ha portato alla luce qualcosa in più rispetto a quanto era emerso nelle indagini svolte a Palermo durante il processo a Marcello Dell’Utri, è stata depositata nei mesi scorsi. Gli esperti dei pm fiorentini hanno accertato, analizzando milioni di carte e documenti, che ci sono settanta miliardi e mezzo di lire che ingrossano l’impero societario di Berlusconi e di origini non decifrabile.
Una cifra enorme versata in gran parte in contanti e stimata dagli investigatori che cercano la risposta a una domanda in fondo semplice e inevasa da trent’anni: dove ha preso questi soldi l’allora rampante imprenditore Silvio Berlusconi per costruire un impero che regge ancora oggi e che ha segnato la storia economica, politica e sociale del Paese?
I magistrati di Firenze stanno indagando Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri nell’ambito dell’inchiesta sui mandanti delle stragi del 1993, coordinata dai procuratori aggiunti Luca Tescaroli e Luca Turco. In questo contesto stanno seguendo la traccia dei soldi e la nuova consulenza accende i riflettori soprattutto su Dell’Utri, un uomo chiave in quegli anni dorati: il pupillo dell’ex cavaliere, che ha scontato la pena di sette anni perché ha svolto un’attività di “mediazione” e si sarebbe posto come “specifico canale di collegamento” tra Cosa nostra e il futuro premier. Per i giudici Dell’Utri ha consentito ai boss di “agganciare” per molti anni Berlusconi, “una delle più promettenti realtà imprenditoriali di quel periodo che di lì a qualche anno sarebbe diventata un vero e proprio impero finanziario ed economico”
I consulenti si soffermano a lungo sulle donazioni che Berlusconi ha fatto dal 2012 al 2021 a Dell’Utri, che ha incassato circa 28 milioni di euro. Versamenti che il fondatore di Forza Italia ha fatto per pura “amicizia e riconoscenza”. Cifre che si aggiungono a quelle già note e pari a più di 4 miliardi di lire dal 1989 al 1994. Insomma, le “donazioni” a Dell’Utri sono andate avanti fino ai giorni nostri.
I soldi senza paternità
Fino ad oggi tutti gli inquirenti si erano concentrati su alcuni finanziamenti arrivati tra il 1977 e il 1978 alle holding della Fininvest per 16,9 miliardi di lire.
Flussi di denaro che sono stati ricostruiti attraverso la cosiddetta “lista Dal Santo”: un elenco trovato nell’agenda di un commercialista di origine siciliana e sindaco revisore legato al Biscione. Versamenti “in relazioni ai quali non sembrano disponibili informazioni circa l’origine ‘a monte’”.
Fin qui nulla di nuovo sotto il sole dell’impero di Berlusconi, indagato in passato a Palermo anche per riciclaggio e poi archiviato. L’analisi, grazie alla “nuova produzione documentale”, alza il velo su altre operazioni anomale: e cioè una serie di acquisizioni di società da parte della Fininvest che pochi mesi prima del passaggio di mano sono state ricapitalizzate per miliardi di lire e anche qui senza nessuna traccia dell’origine dei soldi.
Ad esempio il 26 giugno del 1979 in «assenza di un apporto esterno di provvista finanziaria”, vengono acquisite da Fiduciaria Padana all’interno del gruppo Fininvest delle partecipazioni in Parking Milano 2, Società milanese costruzioni e Società generale costruzioni immobiliari.
Qualche mese prima le due società avevano aumentato il proprio capitale per un totale di sei miliardi di lire. Ma attraverso quali fondi non è dato sapere. Stesso discorso con l’acquisizione da parte di Fininvest della partecipazione in Cantieri riuniti milanesi e della Finanziaria commerciale: nessuna traccia dell’origine dei soldi “che hanno consentito di rappresentare un valore economico di 27,6 miliardi per la prima società e 20 miliardi per la seconda». I consulenti indicano queste operazioni come «non meglio precisabili sotto il profilo quantitativo e della relativa provenienza”. In totale sono 70 i miliardi di lire tra bonifici e capitali che Fininvest ha ricevuto nell’arco di pochi mesi e sui quali non si è riusciti a ricostruirne l’origine.
I soldi di Cosa nostra
La prima inchiesta sui soldi era partita a Palermo quando ex mafiosi e testimoni avevano rivelato ai magistrati che i boss palermitani con a capo “il principe” Stefano Bontate, poi ucciso su ordine di Riina, avevano raccolto valigie piene di denaro frutto del traffico della droga e li avevano portati a Milano.
Collaboratori di giustizia hanno sostenuto che quelle somme, di cui solo Bontate sapeva la destinazione, fossero finite nelle società di Berlusconi. Ma di questo passaggio di denaro fresco da ambiente mafioso alla Fininvest non vi è stata prova.
Giovanni Brusca ha raccontato nel 2010 ai pm di Palermo che un solo boss amico di Bontate, sopravvissuto alla carneficina di Riina e che aveva investito somme di denaro nella raccolta fatta dal “principe”, sarebbe ritornato nel 1982 a Palermo ed avrebbe minacciato di morte la famiglia di Gaetano Cinà, amico di Dell’Utri, per recuperare la sua quota dell’investimento.
Questo boss è Giovannello Greco e secondo Brusca avrebbe ottenuto ciò che chiedeva, perché era uno di quelli che sapeva dove erano finiti i suoi soldi
Le donazioni all’amico Dell’Utri
Di certo c’è che un manager chiave del successo della Fininvest in quegli anni ha un nome: Marcello Dell’Utri. Il braccio destro di Berlusconi, che farà anche da garante del patto tra il rampante imprenditore milanese e la mafia che lo minacciava e gli chiedeva il pizzo.
Dell’Utri non ha mai messo in mezzo l’ex Cavaliere sia nel processo sulla mafia sia nei processi sui fondi sconosciuti arrivati a Fininvest. Da Berlusconi ha però ricevuto dal 1989 al 2021 grosse somme di denaro. Tra il 1989 e il 1994 Berlusconi ha versato a Dell’Utri 4 miliardi di lire in varie forme: soldi ai quali si aggiungono 9 miliardi di lire di stipendi regolarmente erogati da Fininvest e 2 miliardi di lire come transazione per una causa di lavoro. Fin qui la parte nota. La nuova perizia però trova altre donazioni dal 2012 al 2021 per 28 milioni di euro. L’8 marzo 2012 Berlusconi ad esempio versa sui conti intestati a Dell’Utri e alla moglie Ratti 20,9 milioni di euro per comprare Villa Camarcione, di proprietà dell’ex senatore: con quei soldi la moglie acquista un’altra villa a Santo Domingo. Gli investigatori sospettano che la Villa dei Dell’Utri sia stata sopravvalutata: Berlusconi non ci metterà mai piede ma la intitola a sé stesso. Villa Berlusconi.
Il flusso di denaro Berlusconi-famiglia Dell’Utri si interrompe per qualche anno e riprende il 23 marzo 2015 con un bonifico di un milione di euro al figlio dell’ex manager, Marco Dell’Utri: soldi che saranno utilizzati ufficialmente per pagare gli avvocati del padre e per noleggiare uno yacht di lusso. Il 2 agosto del 2016 arrivano altri due milioni di euro sul conto della signora Ratti. Il 27 luglio 2017 500 mila euro, nel febbraio 2018 1,2 milioni, nel marzo dello stesso anno 800 mila euro, nel marzo del 2019 altri 500 mila euro. E, ancora, nel gennaio 2020 1,2 milioni e nel giugno 2021 180 mila euro. Perché Berlusconi continua a donare milioni di euro alla famiglia Dell’Utri anche in anni recenti?
Di certo c’è che collegate a primi versamenti i tecnici riportano nella consulenza alcune note degli investigatori in cui sostengono che «l’arco temporale in cui sono avvenute, è storicamente individuabile in quello delle stragi continentali, ma anche della nascita del partito di Forza Italia, dell’impegno politico di Berlusconi, del concorso di Dell’Utri nella nascita dello stesso partito».
E, non ultimo, “tra il 18 gennaio e il 21 gennaio 1994” c’è anche “il famoso incontro al bar Doney di Roma con Dell’Utri” poco prima dell’arresto dei fratelli Graviano. Nella nuova consulenza si legge come non sia possibile confutare “le affermazioni di Berlusconi in relazione alle ragioni sottese a tali erogazioni, quali sostanziali atti di ‘amicizia’”
(da La Repubblica)
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Marzo 16th, 2023 Riccardo Fucile
GUERRA AI POVERI E FAVORI AI SOLITI… LA SEDICENTE DESTRA ASOCIALE AL SERVIZIO DI POTERI FORTI E LOBBY
I sindacati l’hanno bocciata e ne chiedono il ritiro; imprese e
professionisti ne sono invece entusiasti e si capisce il perché.
La legge delega per la riforma fiscale che oggi approda in Consiglio dei ministri è tarata su alcuni settori della società.
La tecnica è politica e le scelte non sono mai neutre: fanno vincitori e vinti, e tra i primi sicuramente ci sono i redditi medio-alti e le imprese, soprattutto quelle di grandi dimensioni che ottengono una curiosa forma di salvacondotto penale-tributario.
Cose che capitano se la riforma del fisco viene affidata a un tributarista con grandi clienti: il viceministro all’Economia, Maurizio Leo (FdI).
Andiamo con ordine. La riforma è, appunto, una delega al governo, le vere scelte si faranno nei decreti delegati entro 24 mesi.
L’obiettivo è “stimolare la crescita economica mediante la riduzione del carico fiscale”. Manca invece qualsiasi idea di rimodulare quel carico per ridurre le disuguaglianze.
D’altronde l’obiettivo di fondo, spiega la delega, è arrivare alla “flat tax” per tutti. Nel frattempo, si procede a ridurre le aliquote Irpef da quattro a tre. Due le ipotesi: 23%, 27% e 43% o 23%, 33% e 43%.
Dall’aliquota centrale dipenderà il costo (da 6 a 10 miliardi).
Le risorse? Torna un classico: la “revisione delle tax expenditures”, gli sconti fiscali che oggi contano più di 600 voci per 165 miliardi di spesa. Il taglio sarà forfettizzato per scaglione di reddito, senza toccare le detrazioni più delicate (casa, scuola, sanità).
Come si intuisce, sul livello di progressività molto dipenderà dalle detrazioni, ma è evidente che la riduzione delle aliquote non potrà che avvantaggiare i redditi medio-alti.
Nulla si legge che arresti lo svuotamento dell’Irpef: vi restano i redditi da lavoro dipendente (e da pensione) ma la riforma salva tutti i regimi cedolari sui redditi da capitale e affini, dalle plusvalenze alla cedolare secca sugli affitti (da estendere a quelli commerciali).
Sopravvive pure la flat tax per le partite Iva e si punta ad allargarla ai “redditi incrementali” dei dipendenti (ovviamente se verranno trovati i soldi…).
A ogni modo, la riforma contiene diverse innovazioni, come l’ipotesi di rimodulare l’Iva (e azzerarla su alcuni beni) o di ridurre l’Ires a chi investe e assume, superando gradualmente l’Irap, che sparirà subito solo per le società di persone, gli studi associati e le società tra professionisti, cioè il mondo da cui viene Maurizio Leo.
Sul fronte della lotta all’evasione, si punta tutto sul “migliorare il rapporto tra fisco e contribuente”, riducendo adempimenti e obblighi dichiarativi.
Torna l’istituto del “concordato preventivo biennale”, grazie al quale le imprese potranno pagare un forfait calcolato dalle Entrate esentando dalle imposte gli eventuali maggiori ricavi. Un’idea di Tremonti nel 2003 che si concluse con un clamoroso flop.
Di buono c’è che il governo non rinuncia all’uso delle banche dati per scovare gli evasori, ma la questione cambia sul fronte delle sanzioni penali e tributarie.
Sparita l’idea di eliminare il reato di infedele dichiarazione, quella nuova è eliminarlo per le grandi imprese che aderiscono al regime di cooperative compliance (in sostanza, un regime di trasparenza e comunicazione delle attività con possibile rischio di contestazione fiscale). Finora hanno aderito una cinquantina di grandi aziende oltre il miliardo di fatturato, ma l’idea è di coinvolgere tutte quelle oltre i 100 milioni di ricavi: se aderiscono, saranno esenti da sanzioni tributarie e penali in caso di futuri accertamenti.
Una specie di salvacondotto che indurrà le imprese a una maggior propensione a tenere condotte fiscalmente aggressive: in caso di contestazioni, al massimo saranno costrette a pagare le imposte prima risparmiate.
“Un salvacondotto che ricorda quello penale ai manager dell’Ilva – spiega un esperto fiscale –. Qualsiasi esperto coglie un fatto evidente: la delega è piena di scelte dettate da imprese (e loro consulenti) per azzerare numerose sentenze della Cassazione”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Marzo 16th, 2023 Riccardo Fucile
IN CALO M5S. IL PD SALE DI 2 PUNTI
Elly Schlein, nominata segretaria nell’assemblea dem di domenica 12 marzo, continua a trainare il del Pd. Mentre dopo le polemiche sulla gestione dell’emergenza migranti, il partito di Giorgia Meloni scende sotto la quota simbolica del 30 per cento.
La Supermedia Youtrend continua a registrare il momento di netta ripresa per il Pd, principalmente a spese del M5S (-1,1%) ma anche di Verdi/Sinistra (-0,3%) e +Europa.
La notizia di questa settimana è anche il calo di FdI (-1,2%) e del centrodestra in generale (-1,1%), probabilmente anche a causa del clima venutosi a creare dopo la tragedia di Cutro.
Ecco i dettagli: FDI 29,2 (-1,2), PD 19,2 (+2,0), M5S 15,9 (-1,1), Lega 9,2 (+0,4), Terzo Polo 7,6 (+0,4), Forza Italia 6,9 (-0,1). Verdi/Sinistra 3,0 (-0,3). +Europa 2,3 (-0,1). Italexit 2,2 (+0,3), Unione Popolare 1,5 (-0,2), Noi Moderati 1,1 (+0,1)
(da agenzie)
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Marzo 16th, 2023 Riccardo Fucile
TAJANI ORA AMMETTE CHE LA WAGNER “NON E’ CERTAMENTE LA PRIMA CAUSA” CHE SPINGE I MIGRANTI VERSO L’ITALIA
La Wagner è sparita. Quello che doveva essere il braccio
armato di Putin per rovesciare il governo Meloni facendo imbarcare africani verso l’Italia è un allarme che si è già sgonfiato.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, mesto mesto, ha dovuto ammettere che la Wagner “non è certamente la prima causa”, “probabilmente una delle concause che spinge i migranti verso nord”. Hanno scherzato. Chissà come ci rimarrà male chi ha passato le ultime 24 ore a fingersi esperto di geopolitica convinto di avere trovato la causa di tutti i mali.
Il nervosismo nei confronti del ministro Guido Crosetto, accusato di avere trascinato la maggioranza in un dibattito surreale è palpabile.
Ieri la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha tentato di caricarsi sulle spalle la questione migranti confidando sull’effetto della sua lunga luna di miele con gli italiani. Non è andata benissimo.
Dopo il solito piagnisteo della “calunnia all’Italia intera” perché l’opposizione fa l’opposizione, ponendo domande a cui i ministri Piantedosi e Salvini continuano a non rispondere, Meloni ha spiegato di sentirsi “con la coscienza a posto”
“È ora di finirla con la farsa della Sar libica: i libici non sono in grado di consentire un coordinamento di operazioni di salvataggio in linea con gli standard delle Convezioni internazionali”, le ha ricordato il deputato di Più Europa, Riccardo Magi.
Meloni rilancia: “Mi pare evidente che siamo assistendo da diversi mesi ad una pressione migratoria che ha pochi precedenti attraverso il Mediterraneo centrale verso l’Europa e dunque l’Italia”, ha detto in risposta a un’interrogazione di Maurizio Lupi.
Sembra essersi dimenticata dei tempi in cui lei e Salvini accusavano i governi precedenti di non voler risolvere un problema che ha bisogno di molto di più della becera propaganda.
Anche perché la presidente del Consiglio si ritrova tra incudine e martello sulle iniziative da prendere, a partire dal cosiddetto “Decreto Cutro” licenziato dopo il propagandistico Consiglio dei ministri sul luogo della strage che da ieri è in discussione in commissione Affari costituzionali al Senato.
Da una parte ci sono le osservazioni del Quirinale, con Mattarella che ha messo sotto la lente l’articolo 7 che vorrebbe stringere le maglie della protezione speciale (che il governo sognava di cancellare del tutto, prima dell’alt del Presidente della Repubblica): i richiami del Colle (e del Vaticano) hanno trovato terreno fertile nel sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Dall’altra parte ci sono i leghisti di Salvini che non hanno smesso di sognare il ripristino dei Decreti Salvini del 2018.
“Per ora sono congelati”, sussurrano i leghisti. “Buona parte dei contenuti dei miei decreti sono già stati ripresi nel decreto presentato a Cutro e altre parti potranno essere aggiunti nel dibattito parlamentare”, ha detto Salvini.
Come dire: se l’iter parlamentare non sarà di nostro gradimento abbiamo già pronto l’affondo. Un passaggio delicato sarà anche l’articolo 6 del decreto con cui Meloni vorrebbe stanare gli scafisti “per l’orbe terracqueo”.
Nel comma 6 si legge che “il reato si considera commesso nel territorio dello Stato quando la morte o le lesioni si verificano in acque internazionali”, immaginando di estendere la competenza territoriale a piacimento.
Lo slogan funziona in conferenza stampa ma dal punto di vista giuridico è più che velleitario. Pensare di andare ad arrestare chi sta in Turchia e in Libia (e sono quelli i trafficanti di cui occuparsi) è un’ingenuità o, peggio, una panzana in malafede.
Ma la notizia politica è la convinzione del sottosegretario Mantovano che sia “il tempo di riscrivere la Bossi-Fini”. Praticamente un’ammissione. A qualcuno toccherà inventarsi di corsa una nuova narrazione.
(da La Notizia)
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Marzo 16th, 2023 Riccardo Fucile
LA DECISIONE RISCRIVE LA STORIA DELLA MORTE DEL CARABINIERE E FORNISCE UNA RICOSTRUZIONE COMPLETAMENTE DIVERSA RISPETTO A QUELLA DELL’ACCUSA
La Corte di Cassazione ha annullato ieri le condanne nei confronti di Lee Elder Finnegan e Gabriel Natale Hjorth per l’omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega.
Secondo i giudici del Palazzaccio sarà necessario rifare il processo d’appello. Che aveva condannato Finnegan a 24 anni di reclusione e Hjorth a 22.
Le motivazioni puntano su due circostanze ben precise. Che possono avere un effetto deflagrante sull’imputazione e sulle relative pene.
Per Finnegan, che ha accoltellato il carabiniere, la Cassazione contesta le circostanze aggravanti e la sussistenza del reato di resistenza a pubblico ufficiale.
Per Hjorth si contesta l’accusa di concorso in omicidio. Questo significa che la Corte ritiene credibile la tesi difensiva. Secondo la quale i due americani non sapevano di trovarsi di fronte due carabinieri.
La vicenda
L’omicidio del vicebrigadiere Cerciello Rega risale al 26 luglio 2019. Con lui c’era il collega Andrea Varriale, rimasto ferito. Lee Elder Finnegan e Gabriel Natale Hjorth erano a Roma per una vacanza e volevano comprare droga a Trastevere. Incontrano Sergio Brugiatelli che in piazza Mastai indica loro un pusher da cui rifornirsi.
Quando scoprono che non c’è droga rubano lo zaino di Brugiatelli e pretendono 100 euro e cocaina per restituirlo. Brugiatelli chiama il 112. Arrivano i due carabinieri. Si presentano all’appuntamento al posto dello spacciatore. Non sono in divisa. Quando tentano di bloccare i due giovani Finnegan colpisce Cerciello con 11 coltellate, ferisce Varriale e scappa con l’amico.
Tornando nella camera 109 dell’albergo Le Meridien che li ospitava. I due vengono presi il giorno dopo grazie alle immagini delle telecamere di sorveglianza e alle testimonianze. Erano pronti a scappare e avevano nascosto in un controsoffitto il coltello con lama da 18 centimetri che Elder aveva portato con sé dall’America.
L’alleggerimento delle condanne
La decisione della Corte di Cassazione porterà quindi a un alleggerimento delle condanne. I due erano stati condannati all’ergastolo in primo grado. L’appello aveva portato la pena a 24 e 22 anni di reclusione. Il procuratore generale Francesca Loy aveva chiesto la conferma delle condanne.
Il pg ha sostenuto che ai due americani era stato chiesto soltanto di esibire i documenti e fermarsi. Loy ha ammesso che da parte dei due carabinieri forse c’è stata sottovalutazione. Perché pensavano di compiere una normale azione di recupero di uno zaino rubato da due ragazzini. Ma anche se non hanno mostrato il tesserino di riconoscimento i due avevano già visto i carabinieri a Trastevere e Rega era comunque disarmato.
Mentre Hjorth aveva realizzato il concorso perché conosceva l’italiano e sapeva che il suo amico aveva un coltello.
Le difese
Le difese festeggiano. «Dal primo minuto in cui abbiamo esaminato le carte processuali abbiamo capito che Elder non aveva assolutamente capito di trovarsi davanti a due carabinieri. Quell’intervento è stato anomalo. All’atto pratico ci sarà un nuovo processo. E non è possibile, senza motivazioni, stabilire quale può essere la pena», ha detto l’avvocato Renato Borzone, difensore di Elder insieme al collega Roberto Capra.
«Esprimiamo grande soddisfazione per l’esito, abbiamo finalmente qualcuno che ha sentito le nostre ragioni. Adesso si apre una nuova pagina nel processo», afferma invece l’avvocato Fabio Alonzi, difensore, insieme al collega Francesco Petrelli, di Natale Hjorth.
(da agenzie)
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Marzo 16th, 2023 Riccardo Fucile
“LA SOLUZIONE NON E’ VIETARE LE TRASFERTE ED ESACERBARE GLI ANIMI, OCCORRE COME SI FA IN EUROPA: CONTROLLARE E SEGUIRE PASSO PASSO”
“I dirigenti dell’Eintracht Francoforte avevano avvisato le
Autorità italiane che c’era il rischio fondato che qualche tifoso tedesco sarebbe andato a Napoli lo stesso, anche senza biglietto. Il risultato è il caos che ora è sotto gli occhi di tutti”.
L’avvocato romano Lorenzo Contucci (insieme con i colleghi Adami, Reineri, Tuffali e Labbate) ha difeso il club tedesco. Prima causa vinta, seconda persa.
Prima causa: il Tar della Campania ha accolto il ricorso che sospendeva la vendita dei biglietti voluta dal prefetto. Seconda causa: stop solo ai residenti a Francoforte (ma seicento ultrà, gemellati con gli atalantini, sono partiti slo stesso).
“L’Italia è l’unica Nazione in Europa che vieta le trasferte, è assurdo e la Uefa lo sa. L’Eintracht aveva fatte cose nel migliore dei modi: 2.700 tifosi supercontrollati anche dai loro steward, Fan zone, bagni chimici, 5.000 litri di coca cola. Sarebbero stati seguiti passo passo, non come quei seicento che hanno invaso tranquillamente la città. Eppure avevamo avvisato, insieme con il club tedesco, le Autorità italiane che il rischio che arrivassero tifosi per conto loro, e senza biglietto, era alto, altissimo. Visto come è finita? Lasciamo perdere poi come è stato gestito l’ordine pubblico a Napoli, nei giorni della partita” spiega ancora Lorenzo Contucci, legale da anni di molti ultrà non solo della Roma e della Lazio.
Insomma, questa partita è stata gestita molto male, sin dall’inizio. Sono state create solo tensioni eccessive (anche se all’andata c’erano stati incidenti). Ma vietare le trasferte non ha senso. Vanno organizzate bene (e anche la Uefa su questo ha le sue colpe).
“Ora il 23 marzo a Napoli c’è Italia-Inghilterra, che facciamo? Vietiamo la trasferta anche ai tifosi inglesi? Per favore…”, sostiene in maniera provocatoria l’avvocato Contucci. “In Italia è così, se c’è un incidente sull’autostrada, chiudiamo le autostrade? Bisogna organizzarsi meglio e i tedeschi ci avevamo spiegato come fare”.
In realtà, in Italia c’è una lunga tradizione di gestione di grandi eventi anche sportivi e di gestione dell’ordine pubblico. Sappiamo come fare. Solo che stavolta qualcuno ha sbagliato
(da La Repubblica)
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Marzo 16th, 2023 Riccardo Fucile
IN UN PAESE NORMALE SAREBBE GIA’ PARTITA LA LETTERA DI DIMISSIONI, SUE E DI CHI LO PROTEGGE
Le immagini di Napoli messa a ferro e fuoco dai vandali tedeschi stanno facendo il giro del mondo. Così come la fama del nostro ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, che in pochi giorni è riuscito a prevedere gli incidenti, fare imbufalire ancora di più gli hooligans dell’Eintracht e poi non riuscire a organizzare un servizio di sicurezza efficace.
Roba che in un Paese normale era già partita la lettera di dimissioni, ma qui nemmeno gli 86 morti di Cutro sono un buon motivo per mollare la poltrona.
Visti i precedenti tra le due squadre, in ogni caso ieri sarebbe successo un pandemonio, e dunque un responsabile dell’ordine pubblico che si rispetti avrebbe messo due poliziotti alle calcagna di ogni farabutto diretto allo stadio San Paolo per violentare una città che di stupratori del patrimonio pubblico ne ha già a bizzeffe in casa propria.
Per questo il maldestro tentativo di impedire la trasferta agli ultrà di Francoforte si aggiunge alla manifesta incapacità del ministro di schierare le forze sufficienti per impedire lo scempio di ieri.
Un disastro incontrovertibile, e che fa sorgere una domanda: ha senso sperare di battere l’imponente esercito russo, anche con le nostre armi, se poi nelle nostre città non sappiamo tenere a bada appena un migliaio di delinquenti trasvestiti da tifosi?
(da La Notizia)
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Marzo 16th, 2023 Riccardo Fucile
SOTTOVALUTATA LA CAPACITA’ DI PROVOCAZIONE DEI TEDESCHI E LA ANNUNCIATA REAZIONE DEI NAPOLETANI
Se un gruppo, nutrito ma non enorme, di tifosi stranieri, riesce
a portarsi polizia e carabinieri a passeggio per mezza giornata; se i tifosi locali riescono a sbucare dal nulla e come una falange accerchiare quelli avversari; se la piazza in cui da ore si teme possano iniziare scontri è un’armeria dalla quale recuperare oggetti da lanciare e se dopo la partita il caos ricomincia e c’è di nuovo guerriglia allora possiamo dare per assunto un elemento: a Napoli, ieri, per la partita di Champions League contro l’Eintracht Francoforte, l’ordine pubblico non è stato gestito bene.
Per la giornata di giovedì il prefetto Claudio Palomba ha convocato una riunione urgente del Comitato di ordine e sicurezza pubblica. Ma l’urgenza qual è? È quella di scrollarsi di dosso le polemiche che partono dall’Ufficio territoriale di governo e arrivano fino al Viminale, col ministro Matteo Piantedosi accusato per l’ennesima volta di non aver saputo gestire l’ordine pubblico.
Facciamo un passetto indietro. In Europa non c’è usanza di vietare la trasferta ai tifosi per motivo d’ordine pubblico, metodo che invece in Italia si usa soprattutto nelle serie minori. Cosa succede? Basandosi su una informativa delle forze dell’ordine il prefetto di Napoli ferma la trasferta dei tedeschi di Francoforte. Che ricorrono alla giustizia, ovvero al Tribunale amministrativo italiano. Il Tar gli da ragione, ma fra sospensive e giudizio nel merito si arriva alla partita.
I tifosi dell’Eintracht vengono a Napoli a prescindere. Vengono senza biglietto, vengono con l’obiettivo di presidiare ed esserci e non è un buon segno. Nel frattempo il dispositivo di sicurezza viene preso pericolosamente sotto gamba.
Si arriva a mercoledì 15 marzo. I tedeschi sono già qui a Napoli, sono un migliaio, arrivati la sera prima. E già non depone bene: nella notte tra martedì e mercoledì in piazza Bellini, dove un gruppo di tifosi ha lanciato bottiglie di vetro contro un bar, chiuso. Sempre nella nottata, tra la stazione e il lungomare, uno dei bus dei tifosi tedeschi è stato fatto oggetto del lancio di petardi.
È la mattina del giorno della partita. I tedeschi scendono per lo più da un unico albergo, sul Lungomare. Fanno un gruppone e iniziano a camminare compatti in strada, anche velocemente, seguiti a vista da un nutrito contingente di polizia e carabinieri. Gli viene dunque concesso di ‘farsi vedere’ in strada e di fare cori contro i napoletani. Nel gergo ultras significa: «Noi siamo qui, dove siete? Vi siete nascosti?». Prima domanda: il gruppo poteva essere ‘contenuto’ e non mandato a spasso per Napoli a mo’ di provocazione?
Dal Lungomare a via Medina fino a piazza del Gesù: i tifosi dell’Eintracht entrano in una piazza che è piccola ma con tre vie di fuga. È una piazza monumentale e ci sono tante suppellettili che si possono trasformare in armi improprie. La zona non è stata bonificata preventivamente, nei cestini ci sono bottiglie di vetro, ci sono tavolini e sedie, gli esercizi commerciali sono aperti, non sono stati avvertiti della pericolosità. È normale? No che non lo è.
Gli agenti cercano di evitare la caccia all’uomo da parte dei napoletani. Inizia a piovere e la tensione pare allentarsi. Macché. È la quiete che precede la tempesta.
I tifosi napoletani, almeno 200, hanno avuto il tempo di coprirsi il volto, caricarsi di mazze, fumogeni, bottiglie e sampietrini, parte scende lungo via San Sebastiano, altri dalla zona adiacente a Cisterna dell’Olio. Davanti alla chiesa del Gesù nuovo, la cui facciata è fresca di restauro, e della basilica di Santa Chiara, succede l’irreparabile. La polizia formato un cordone, un cuscinetto di separazione ma inizia un lancio di petardi e pietre. Cassonetti e sedie dei bar volano veloci come granate.
Vengono sparati lacrimogeni ma non ci sono gli idranti; a Calata Trinità Maggiore, la strada che da piazza del Gesù conduce verso via Monteoliveto, appiccato il fuoco fiamme ad una volante della polizia e ad altre auto. A terra addirittura una pistola: è di un poliziotto, finita a terra nel corso degli scontri e poi recuperata per fortuna da un suo collega.
La polizia allontana gli ultras i napoletani e fa salire i tedeschi a salire su cinque bus diretti all’albergo. Quando è iniziato il trasbordo c’è stato il secondo round. Questa volta hanno agito alcuni gruppi che erano a volto scoperto. Hanno lanciato pietre e bottiglie contro i mezzi, sfondando i finestrini. Ferito anche un autista.
È finita? Macché. Una paranza di tifosi in scooter tenta l’assalto al Lungomare, ma non ci riesce. Restano in zona per il dopo-partita. Che infatti si trasforma in nuovo terreno di scontro con tafferugli, lacrimogeni. E dopo ore e ore c’è qualche fermo di violenti. Il disastro è compiuto.
(da Fanpage)
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Marzo 16th, 2023 Riccardo Fucile
“RIFERISCA SUBITO IN PARLAMENTO”…. TAJANI: “NON SONO TIFOSI MA DELINQUENTI TEDESCHI, SOSTENUTI DA ITALIANI CHE GLI HANNO COMPRATO I TAGLIANDI”: PERCHE’ NON CHIEDE A PIANTEDOSI COME E’ STATO POSSIBILE CHE GLI ULTRAS DELL’ATALANTA SIANO ARRIVATI A NAPOLI
«Altro che legge e ordine». Dopo gli scontri fra ultrà del Napoli e dell’Eintracht Francoforte nel centro di Napoli, ad accendere la miccia della bagarre politica è il leader di Azione Carlo Calenda che parla così del responsabile del Viminale Matteo Piantedosi: «Quando ti serve un ministro degli Interni equilibrato trovi un “questurino”, quando ti serve un ministro “questurino” trovi il nulla».
Parole dure, che aprono la strada all’attacco delle opposizioni per l’operato di Piantedosi e del prefetto di Napoli Claudio Palomba sulla guerriglia fra piazza Bellini e piazza del Gesù, con l’assalto di circa 600 ultrà dell’Eintracht senza biglietto per lo stadio Maradona dopo il divieto della Prefettura, responsabili con i rivali napoletani di devastazioni, incendi e scontri con la polizia. Già martedì era stato impedito a un centinaio di teppisti incappucciati di attaccare l’hotel dei tedeschi.
Il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani corre in aiuto del collega di governo: «Il divieto di vendita dei biglietti non era un atto discriminatorio. Spero che questi criminali vengano consegnati alla giustizia: non sono tifosi ma delinquenti tedeschi, sostenuti da italiani che gli hanno comprato i tagliandi».
Il sospetto dei media tedeschi è che ad aggirare quel divieto possono essere stati tifosi dell’Atalanta, gemellati con quelli dell’Eintracht e rivali dei napoletani. Tanto che ieri sera fuori dallo stadio di Bergamo è comparso lo striscione «Trasferte vietate, così non lavorate… Basta Prefetto con le stron…!».
(da Il Corriere della Sera)
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