Agosto 5th, 2023 Riccardo Fucile
MA CHE PIANO MARSHALL,VOGLIONO SOLO MASCHERARE LO SCIPPO CON GLI AIUTI
Nel suo recente viaggio negli Usa, Giorgia Meloni ha parlato con Biden di quello che è stato spudoratamente chiamato “piano Mattei per l’Africa”. Una sorta di piano Marshall, insomma, solo che il piano Marshall fu effettivamente di grande aiuto per l’Italia per risollevarsi dalla sconfitta nella Seconda guerra mondiale.
Il cosiddetto “piano Mattei” ha tutt’altri obiettivi: lo ha svelato involontariamente la stessa premier italiana in un’intervista a Fox News e in quella al direttore di Sky-Tg24, Giuseppe de Bellis. L’intervista a Fox non l’ho vista, quella a Sky sì. Le luccicavano gli occhi, alla Giorgia nazionale, nell’elencare le grandi ricchezze africane, rame, oro, platino, diamanti, cobalto e il silicio che è diventato più importante dell’oro, dei diamanti e persino del petrolio perché una componente essenziale dell’apparato digitale.
Il retropensiero, non poi tanto retro, di Meloni è di rapinare l’Africa subsahariana delle sue ricchezze mascherando lo scippo come aiuto. Rafforzeranno quindi le proprie posizioni in Africa nera l’Eni, l’Enel e partecipate varie, oltre ad altre multinazionali non italiane.
Di questo colossale affare agli africani arriveranno sì e no le briciole, così come avvenne al tempo nell’Afghanistan post-talebano, dove dell’enorme mercato degli stupefacenti ai contadini rimaneva l’1%. I new talibans, come vengono adesso chiamati, hanno rimesso le cose a posto proibendo nel modo più assoluto la coltivazione del papavero da cui si ottengono gli stupefacenti, così come aveva fatto il mullah Omar nel 2001.
Ma il piano Mattei, insieme agli altri Paesi che vorranno partecipare alla rapina sotto questa bandiera, avrà ripercussioni ancora più profonde. Smantellerà quel che resta dell’economia e della socialità africane, quell’“economia di sussistenza” (autoproduzione e autoconsumo) su cui questi popoli hanno vissuto, e a volte prosperato, per secoli. Anche quando si abbiano le migliori intenzioni – e non è certamente il caso del piano Mattei – la sola contaminazione con gli occidentali è devastante per gli abitanti dell’Africa nera (quella subsahariana). Di qui le spaventose e tragiche migrazioni verso l’Europa.
Come abbiamo già scritto altre volte, l’Africa nera era alimentarmente autosufficiente fino agli anni 70, quando i Paesi occidentali ex coloniali si accorsero che poteva essere un mercato allettante in virtù del suo numero di abitanti (circa 700 milioni). Il colonialismo economico è stato molto più devastante di quello classico.
Quest’ultimo, senza volerlo con ciò giustificare, si limitava a rapinare materie prime di cui in genere gli autoctoni non sapevano che farsene, ma non pretendeva di cambiare l’economia, la socialità, le istituzioni, le tradizioni di quella gente.
Nel Vizio oscuro dell’occidente (2002) scrivevo che l’Africa nera era pericolosa per noi come un “cimitero in putrefazione”, cioè per il contraccolpo che avrebbe provocato sulle nostre terre, come le migrazioni dimostrano.
In Niger si gioca la stessa partita, anche se con forme e colorazioni diverse. Tutta la “comunità internazionale”, cioè i soliti noti più alcuni Paesi africani assoggettati ai nostri voleri, si è schierata contro il recente colpo di Stato a Niamey. Si dice che il nuovo regime è antidemocratico e anticostituzionale. Ma in quale Costituzione c’è scritto che tutti i Paesi debbano essere democratici? Nella sola Nato, c’è la Turchia che è difficile definire “democratica”. Nostri stretti alleati sono l’Egitto del golpista Al Sisi, la Tunisia del dittatore Saied, l’Arabia Saudita dell’ottimo Bin Salman. Si afferma che la Russia sia alle spalle del colpo di Stato del neo-presidente nigerino Tchiani. Per la verità, in passato, la Russia post-sovietica si era perlopiù disinteressata all’Africa, terreno privilegiato del colonialismo inglese, francese, belga (in Africa, almeno quando l’ho frequentata io, diciamo negli anni 80, Hitler era un mito perché aveva combattuto inglesi e francesi). Poi aveva inviato in alcuni Paesi il battaglione mercenario Wagner, per recuperare posizioni nella lotta fra il mondo di Putin e quello occidentale. Ma al momento anche la Russia ha condannato il colpo di Stato nigerino. E non basta a spiegare tutto ciò che accade nel mondo o le manifestazioni pro Putin in Niger, l’ossessivo tirare in ballo i miliziani della Wagner, che sembrano essere diventati un prezzemolo buono per tutte le occasioni. Insomma è la favola di Esopo: se non sei stato tu, sono stati i tuoi figli.
In Niger erano presenti, al momento del golpe, 1.500 soldati francesi, 1.000 americani e 350 italiani. Macron si è detto deciso a intervenire nel Paese perché l’ambasciata francese è stata attaccata, assediata da migliaia di manifestanti. Sorprende che ci si sorprenda dello spirito antifrancese che soffia non solo in Niger, ma anche in Mali, in Ciad e in tanti altri Paesi africani. Cioè: tu tieni sotto il tuo piede ferrato vari Paesi e poi ti sorprendi perché quelli non ti amano? Anche la faccia tosta dovrebbe avere un limite ed essere considerata un “reato universale”.
Massimo Fini
(da il Fatto Quotidiano)
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Agosto 5th, 2023 Riccardo Fucile
IL PARTITO ERA STATO SFRATTATO NEL 2017 DALLA RAGGI. ORA GUALTIERI CONCEDERÀ DI NUOVO L’IMMOBILE A FDI PER UNA MOSTRA PERMANENTE “SUGLI ESULI DI ISTRIA E DALMAZIA”
Colle Oppio riaprirà. La prima sezione italiana del Msi, poi garage politico del melonismo tornerà a nuova vita.
Il nucleo romano di Fratelli d’Italia, anche se commissariato dalla leader lo scorso gennaio, sta stringendo un accordo con il Campidoglio, proprietario di questi settanta metri interrati dalle parti del quartiere Esquilino (un salone, un ufficio, un altro salone e un piccolo bagnetto).
La settimana scorsa si sono incontrati Fabio Rampelli e il sindaco Roberto Gualtieri per chiudere l’intesa. Da qualche settimana, il Comune ha dato ordine alla società in house Zètema di liberare il magazzino-icona della destra romana, sopravvissuta a un attentato esplosivo negli anni ‘90, ma non all’antipolitica dei grillini. Fu la sindaca del M5s Virginia Raggi a decidere lo sfratto nel 2017. Il Comune concederà l’immobile a Fratelli d’Italia per una mostra permanente sugli esuli di Istria e Dalmazia (nome originario della sede del Msi) che usarono questa piccola grotta come rifugio notturno e punto di ritrovo.
A Colle Oppio è nato tutto: la destra diversa dell’architetto-gabbiano Rampelli, gli scontri per l’elezione del segretario del Fronte della gioventù, l’ossessione per Tolkien, le presentazioni dei libri (come l’immortale biografia di Putin scritta da Gennaro Sangiuliano), le discussioni sulla cultura e la tv (ecco Giampaolo Rossi). E’ stato il laboratorio di Meloni da cui poi si è emancipata. Chissà se la premier andrà alla mostra di riapertura. Intanto, la notizia c’è tutta.
(da IL Foglio)
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Agosto 5th, 2023 Riccardo Fucile
TRA CHI SI ARRABATTA PER NEGARE IL CAMBIAMENTO CLIMATICO C’E’ LA FONDAZIONE CLINTEL
Tra i capisaldi della stampa e della politica che si arrabattano per negare il cambiamento climatico c’è la fondazione Clintel (Climate intelligence foundation), fondata nel 2019 da un’ingegnera olandese, Guus Berkhout (nella foto), che ha passato tutta la vita nell’industria petrolifera e da tale Marcel Crok che si definisce un “giornalista scientifico”.
Qualche giorno fa hanno lanciato la “World climate declaration” che è stata subito adottata dai peggiori negazionisti anche nel nostro Paese. Il motto del documento dice tutto: “There is no climate emergency”. Va tutto bene, insomma.
Secondo gli “esperti” della fondazione Clintel il riscaldamento globale è molto più lento del previsto” e “non ha aumentato i disastri naturali“, pertanto “non vi è alcun motivo per creare panico e allarme“.
Benissimo, verrebbe da pensare. Quindi alcuno che ha studiato e ne sa più di noi ci offrirà le prove che servono per avere fiducia.
Tra i 26 “ambassadors” della World climate declaration c’è un avvocato, un filosofo, un professore di scienze dell’agricoltura, un politico e industriale tedesco e il terzo visconte Monckton di Brenchley.
Tra i firmatari italiani ci sono un “fotografo e lettore di studi sul clima”, un “agronomo“, un “pensionato”, un “dottore commercialista“, un “architetto urbanista“, un “generale di divisione aerea”, un “docente in pensione” e il fondatore del gruppo Facebook “Falsi allarmismi sul riscaldamento globale”.
Gli estensori della petizioni dicono che dei firmatari “più che i loro titoli” valutano “l’impegno”. Allora sì che possiamo dormire tranquilli.
(da agenzie)
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Agosto 5th, 2023 Riccardo Fucile
IL GOVERNO VUOLE AFFIDARE ALLE VOLPI IL PROBLEMA DI GESTIRE IL POLLAIO
Nelle grandi città italiane (perfino Milano, che fino a pochi anni fa era una felice eccezione) trovare un taxi è spesso un’avventura. Nei giorni di pioggia, una sfida impossibile. Lo sanno tutti, lo dicono tutti: ci vorrebbero più taxi, specie nelle ore di punta e nei giorni più affollati.
Se nessuna autorità locale o nazionale è mai riuscita a risolvere il problema, è per ragioni che sfuggono a ogni logica, e appartengono forse al paranormale: il tassista terrorizza.
È un’entità che incombe, come nei romanzi di Stephen King, e leva il sonno.
Ne sia prova definitiva il comico progetto di legge del governo Meloni, che in sostanza dice: il problema c’è, ci vorrebbero almeno il venti per cento di taxi in più. Dunque affidiamo agli attuali possessori di licenza (i tassisti in carica) la facoltà di risolverlo, concedendo generosamente una specie di duplex della loro licenza ad altri (si suppone parenti e amici). Come dire: affidiamo alle volpi il problema di gestire i pollai.
Ogni corporazione, anche se non lo sa, è di destra per natura. È dunque comprensibile che un governo di destra confidi nelle corporazioni: quella dei tassisti, specie a Roma, diede grandi prove di fedeltà alla linea – un tassista di sinistra, a Roma, è un’eccezione entusiasmante.
Ciò che sfugge alle corporazioni è che più il loro potere si ossifica, più prospera la deregulation: io rifuggo da Uber e consimili, e il car sharing non fa parte del mio Dna di quasi anziano. Ma, per autodifesa, imparerò a usarli.
(da La Repubblica)
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Agosto 5th, 2023 Riccardo Fucile
NEL DECRETO OMNIBUS PIOGGIA DI SOLDI PER IL PONTE SULLO STRETTO
Non si sa se il Ponte sullo Stretto di Messina verrà mai costruito, ed è lecito dubitarne, nel frattempo però si procede nella solita operazione che è poi la vera essenza del Ponte da decenni: distribuire consulenze, incarichi, posti di lavoro, soldi.
Nella bozza del decreto Omnibus “asset e investimenti”, trapelata ieri pomeriggio, tra caro voli, taxi, aiuti alla pesca e alle zone alluvionate, c’è infatti un intero articolo dedicato alla Stretto di Messina S.p.a., la società concessionaria incaricata di realizzare l’opera, che Matteo Salvini ha deciso di far rinascere per decreto nel marzo scorso dalla liquidazione cui l’aveva destinata nel 2013 il governo Monti fermando il progetto.
Il decreto prevede un bel pacchetto di deroghe: al tetto massimo di stipendio previsto per le società sotto controllo pubblico; all’obbligo di attenersi alle norme che regolano la gestione del personale nelle società pubbliche e al tetto massimo di ricapitalizzazioni previste per il 2023 dallo stesso decreto di marzo.
L’articolo consta di quattro commi ed è interamente dedicato a fare della Stretto di Messina un unicum nel panorama delle società a capitale pubblico, tutte vincolate a obblighi sul tetto di spesa, sulle assunzioni e sulla gestione del personale.
Il primo comma elimina il tetto massimo di 240mila euro annui per “amministratori, titolari e componenti degli organi di controllo, dirigenti e dipendenti” della società, oltre a svincolare la remunerazione variabile dai “risultati di bilancio raggiunti dalla società nel corso dell’esercizio precedente”.
Le norme permettono poi di derogare in toto a tutti i vincoli e le norme che regolano la gestione del personale nelle società a partecipazione pubblica, da quelle sul lavoro subordinato, alle retribuzioni, fino alla trasparenza e ai principi di economicità. I commi seguenti ribadiscono il punto, andando a intervenire su tutte le leggi pregresse. Insomma, mano libera ai vertici della società, anche di percepire emolumenti fuori scala, così come i dirigenti.
Alla guida, peraltro, Salvini ha chiamato Pietro Ciucci, storico ras dell’opera (ha guidato Sdm per dieci anni, è stato presidente dell’azionista di maggioranza, Anas, e commissario per l’opera nei governi Berlusconi), che ha contribuito a trasformare in una saga legale infinita grazie alle penali garantite ai costruttori.
Il decreto velocizza poi l’aumento di capitale previsto dal decreto, derogando anche al limite previsto per il 2023, cioè i 50 milioni stanziati dalla vecchia legge di Bilancio, peraltro destinati a un nuovo studio di fattibilità per alternative progettuali: non servirà dal momento che Salvini ha deciso di ripristinare il vecchio progetto del consorzio Eurolink, capitanato da Webuild, in causa con lo Stato. Il testo prevede che Tesoro e ministero delle Infrastrutture salgano nell’azionariato della Sdm versando i 50 milioni e rilevando dall’Anas la sua quota di 320 milioni, sulla base di una perizia effettuata da esperti nominati dallo stesso ministero dell’Economia.
Se approvate, le norme vanno a cesellare la rinascita della Sdm, come si suol dire, alla vecchia maniera, visto che la società dagli anni 80 a oggi ha speso circa 900 milioni, senza praticamente posare una pietra, solo in studi, consulenze e progetti. Il nuovo ponte, come da Def, di base dovrebbe costare 15 miliardi, il 60% in più di quanto previsto nel 2012, quando l’opera venne fermata dal governo Monti proprio perché ritenuta un’inutile spreco di soldi. Eurolink ha fatto causa allo Stato, chiedendo 700 milioni, ma in primo grado ha perso. L’appello è stato sospeso dopo il decreto di Salvini, che impone alla società di trovare un accordo. L’Autorità anticorruzione ha spiegato che il decreto, per come è costruito, è un enorme favore a Eurolink.
Ma a Salvini non importa.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Agosto 5th, 2023 Riccardo Fucile
VOGLIONO DARE AGLI ULTIMI UN NEMICO PER FARLI SENTIRE PENULTIMI
Una volta sradicavano le panchine per impedire che fungessero da ricovero per i senzatetto, oggi, essendo alla guida del Paese, tagliano le corde dell’unico paracadute sociale.
È sempre la stessa destra asociale che alimenta le “retoriche del disumano” – così le chiama Marco Revelli – esprimendo in maniera manifesta una regressione dell’etica sociale. È la forza di tutte le destre del mondo: dare agli ultimi un nemico, per farli sentire penultimi. Il nemico in Italia è stato costruito con una campagna mediatica martellante, sostenuta dalla propaganda (l’informazione è tutt’altro), ancella del potere.
Testate giornalistiche in vita grazie ai contributi pubblici e parlamentari lautamente foraggiati dal contribuente umiliano con insolenza coloro che non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena.
Politici e giornalisti che discettano di povertà come se fossero al bar. Sciorinano una serie di luoghi comuni non supportati da alcun dato ufficiale, anche perché questo smentirebbe i primi.
Imprenditori in ambasce che non riescono a trovare soggetti sui quali riversare la loro munificenza. Sono gli stessi che vorrebbero scaricare sulla collettività i costi dei dipendenti perché nelle loro aziende non vi sono impianti di condizionamento oppure, con paterna comprensione, propongono di iniziare a lavorare alle cinque del mattino.
Poi ci sono gli elettori della destra, capitanati dai coccolati e viziati evasori fiscali, coloro che sanno solo ricevere ma non intendono dare. In seconda fila ci sono coloro che “cristianamente” odiano il prossimo, nutrendo astio per il benessere conseguito dall’affine.
Non riescono ad accettare che il conoscente conduca un tenore di vita migliore del loro e vedono come un’usurpazione il conseguimento anche del più piccolo degli agi.
Sono quelli che rimangono indifferenti al fatto che un parlamentare possa percepire il vitalizio e la buonuscita pur essendo ristretto nelle patrie galere per concorso esterno in associazione mafiosa. Sono gli stessi che non fanno un plissé di fronte alle liquidazioni milionarie di manager che hanno portato aziende pubbliche al collasso, ma non sono disposti ad accettare che il figlio del vicino di casa sia stato ammesso all’asilo comunale a discapito del proprio.
È la guerra sociale prefigurata da Friederich Engels nel 1845, che può dirsi conclusa nel 2011 quando Warren Buffet (uno degli uomini più ricchi al mondo) confessava al Washington Post: “Di fatto negli ultimi vent’anni è stata combattuta una guerra di classe e la mia classe l’ha vinta. (…) Se c’è una guerra di classe l’hanno vinta i ricchi”.
Gli odierni sconfitti sono coloro che, in stato di bisogno, hanno perso il sussidio del reddito di cittadinanza. Sono le donne italiane, ultime nelle classifiche europee dell’occupazione, che dovranno sottostare all’autorità patrimoniale del marito, così come piace ai cultori della “famiglia tradizionale” (ma solo a danno degli altri). Sono i giovani, la cui emancipazione comporterà il pagamento del dazio dell’emigrazione. Sono i lavoratori che verranno ancor più sfruttati con salari da fame e da condizioni di schiavitù.
E tutto questo, non è da madri, non è da cristiani e non è da donna che solidarizza con le altre donne. Lasciamo che siano i sociologi a separare il grano dal loglio e solo allora scopriremo quale sia stato il reale impatto del reddito di cittadinanza sulla sicurezza pubblica, sulla salute fisica e mentale dei cittadini, sull’inclusione sociale, sull’istruzione, sulla tenuta dei consumi, sulla ripartenza dopo la pandemia, sul reclutamento nelle file della criminalità, sulla recidiva nei reati contro il patrimonio…
Non possiamo chiedere alla destra di operare tutti questi distinguo, i loro militanti sono addestrati a fare di tutta l’erba un fascio.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Agosto 5th, 2023 Riccardo Fucile
“C’E’ CHI CI MARCIA”
Mentre milioni di italiani si mettono in viaggio per il primo weekend da bollino nero sulle autostrade italiane, in molti si preparano a fare i conti con il caro estate. I prezzi dei voli e della benzina non sono gli unici ad aumentare in vista delle vacanze estive. E capita che in alcune delle zone di villeggiatura più frequentate d’Italia gli aumenti si facciano sentire più che altrove.
Un esempio è la Versilia, in Toscana. Secondo il Corriere Fiorentino, qui si può arrivare a pagare 25 euro per un cocktail, 40 euro per un risotto, 9 euro per uno spritz, 2,60€ per un caffè. Per un giorno in spiaggia, il Twiga di Forte dei Marmi – il locale esclusivo sul mare di Flavio Briatore e Daniela Santanchè – chiede anche 600 euro per tenda con sofà, letti king size, lettini standard e tavolino. Nella vicina Quercianella, ai bagni Cala Bianca, i lettini in prima fila con tenda costano 130 euro al giorno
E restando in Toscana, anche nel centro storico di Firenze gli aumenti si fanno sentire.
Sul Ponte Vecchio una coppetta di gelato grande può costare fino a 12 euro. Per la bistecca alla fiorentina, in piazza Duomo il costo è di 69 euro per due persone, senza però che sia indicato il peso effettivo della carne. E sempre tra le vie del centro della città si trovano insegne con un piatto di prosciutto e melone a 20 euro, la panzanella a 16 euro o una pizza margherita a 14 euro.
«C’è chi ci marcia, altri invece sono costretti a fare maggiorazioni sul prezzo finale per i tanti costi in più: caro bollette, personale, materie prime, trasporti e affitto», spiega Aldo Cursano, presidente di Confcommercio Toscana. A pagare però sono soprattutto i consumatori finali. Secondo un’indagine di Demoskopica, oggi mangiare al ristorante in Toscana costa in media il 7,6% in più di un anno fa.
(da agenzie)
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Agosto 5th, 2023 Riccardo Fucile
L’AUMENTO DEI PREZZI PER SPIAGGE E SERVIZI HA PORTATO GIUSTAMENTE GLI ITALIANI A PREFERIRE METE ESTERE
Che la Puglia stia guardando con sempre più interesse al turismo di lusso non è una novità. Ieri, Vito Vergine – titolare del lido Maldive del Salento a Pescoluse e presidente del Sindacato italiano balneari di Lecce – aveva detto che i rincari dei prezzi in regione hanno proprio questo obiettivo: selezionare la clientela.
Una strategia che però ha prodotto un effetto collaterale non indifferente: la fuga dei turisti italiani all’estero.
A raccontarlo è l’edizione locale di Repubblica, che ha raccolto alcuni dati sull’andamento dei flussi turistici in Puglia. Da una settimana i collegamenti da Bari a Durazzo – in Albania – sono raddoppiati e un quarto dei passeggeri è italiano. Per il mese di luglio, i gestori dei lidi in Puglia hanno denunciato un calo delle presenze del 20%. Un dato a cui fanno da contraltare i numeri sempre più in crescita delle partenze verso Tunisia, Albania, Grecia, Mar Rosso e Spagna.
In fuga dal caro-vacanze
E se il porto di Bari nel 2023 ha fatto registrare il numero più alto di partenze degli ultimi dieci anni (120mila), lo stesso vale anche per le tratte aeree. I dati di Aeroporti di Puglia mostrano che gli imbarchi dal tacco d’Italia verso l’Albania sono aumentati a luglio del 58,06% rispetto allo scorso anno, per un totale di 21.341 passeggeri. Più moderata la crescita delle partenza verso la Grecia, in aumento dell’11,34%. A spingere molti pugliesi a trascorrere le proprie vacanze altrove sembrano essere proprio i prezzi. «Qui una cena a base di pesce può costare tra i 20 e i 35 euro, contro gli oltre 40-45 della Puglia», racconta il ristoratore Tonino Lembo in vacanza a Salonnico. In un’intervista al Corriere del Mezzogiorno, anche la ministra al Turismo Daniela Santanchè commenta il calo di flussi turistici in Puglia: «Il modello “mordi e fuggi” non è contemplato nel nostro piano industriale, che è incentrato invece su una policy che deve rendere il turismo strutturale e appetibile in qualsiasi periodo dell’anno. È proprio l’assenza di una adeguata programmazione e di politiche lungimiranti che porta a risultati altalenanti». In ogni caso, precisa la ministra, «per giudicare con maggior cognizione di causa l’andamento del turismo in Puglia bisogna attendere i dati definitivi che si avranno a fine anno».
Federalberghi: «La Regione è ferma»
A confermare l’aumento dei prezzi e la diminuzione delle presenze di turisti è anche Francesco Caizzi, presidente della Federalberghi Puglia. «Il calo più importante si registra in zona balneari come il Salento e parte del Gargano, i nostri maggiori attrattori», spiega in un’intervista a Repubblica. La Puglia, aggiunge Caizzi, «è turismo balneare. Ma anziché valorizzarlo lo abbiamo snobbato, privilegiando ad esempio i borghi o altre destinazioni».
Alla situazione contribuiscono poi altri due problemi: la mancanza di infrastrutture di collegamento e gli affittacamere abusivi, soprattutto nelle zone più turistiche. L’unica nicchia che sembra non conoscere crisi è il turismo di lusso: «È un tipo di settore che non subisce mai cali, trattandosi di persone con una capacità di spesa elevata», conferma Caizzi.
(da agenzie)
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Agosto 5th, 2023 Riccardo Fucile
I BILANCI 2022
Fossero società per azioni gran parte di loro dovrebbe portare i libri in tribunale. I partiti politici italiani leggendo i bilanci del 2022 pubblicati questa estate non se la passano affatto bene: complessivamente hanno un patrimonio netto negativo per 106 milioni di euro, in gran parte dovuto ai pessimi risultati storici di Forza Italia e della Lega, sia quella tradizionale (La Lega Nord) sia quella “per Salvini” che di fatto ha sdoppiato la vita di quel partito.
Ma anche il Pd non se la passa benissimo: alla fine del 2010 aveva un patrimonio netto positivo di 20,3 milioni di euro. All’inizio del 2022 quella cifra si era ridotta a 23.380 euro, quindi quasi scomparsa.
A fine anno è diventata di 600.408 euro grazie alle maxi entrate della campagna congressuale straordinaria che hanno consentito un utile a fine anno di 572.028 euro ma come dicono gli stessi amministratori del Nazareno l’evento non è ripetibile ogni anno.
Nell’ultimo anno però solo due partiti sono andati in rosso: Italia Viva per 55.513 euro e la Lega per Salvini che ha perso poco meno di 4 milioni di euro. Forza Italia è stato il partito che ha chiuso il migliore bilancio, con un utile di 1.323.331 euro, ma sono una goccia nel disavanzo accumulato negli anni (99,5 milioni di euro) e pure rispetto ai debiti esistenti (98,4 milioni di euro) tutti nei confronti degli eredi Berlusconi.
I tristi conti azzurri salvati da Silvio
Il comitato di presidenza di Forza Italia che doveva approvare il bilancio si è riunito a Roma il 13 giugno alle 13,30, il giorno dopo la morte di Silvio Berlusconi. La riunione è stata aperta dal tesoriere, il senatore Alfredo Messina che «a nome di tutti gli intervenuti» ha voluto «esprimere con commozione il profondo cordoglio per la scomparsa del nostro amatissimo Presidente Silvio Berlusconi, cui va il ringraziamento per aver fondato e generosamente sostenuto Forza Italia, ispirandola agli ideali di libertà, democrazia, giustizia e legalità e per averci incluso in questo progetto». Messina ha spiegato di volere fare di tutto meno che essere lì in quel momento, ma la legge glielo imponeva.
E poi ha iniziato il suo lamento, dovuto in gran parte al fatto che i parlamentari eletti non si auto-tassano per il partito come si erano impegnati a fare. «A compromettere il risultato della gestione caratteristica», ha spiegato Messina, «e a mantenere la sofferente situazione finanziaria del nostro Movimento ha concorso l’insufficiente afflusso della generalità delle contribuzioni e delle quote associative rispetto a quanto atteso. La riduzione dei Parlamentari eletti nonché la discontinuità dei versamenti provenienti da essi e dai consiglieri regionali del nostro Movimento rappresentano la causa primaria del risultato negativo della gestione caratteristica».
La riscossione
Per cui adesso Forza Italia andrà alla riscossione: «Il Partito continuerà le attività, già intraprese nel corso dell’esercizio precedente, di recupero delle somme arretrate dovute al Movimento da parte degli eletti al fine di ottenere un concreto apporto da tutti i parlamentari e i consiglieri regionali del nostro Movimento, in particolare di coloro che, con differenti motivazioni, non sono puntuali nella contribuzione come invece altri colleghi hanno meritevolmente continuato a fare». A salvare l’ultimo bilancio per altro è stato ancora in vita Silvio Berlusconi, rinunciando agli interessi sul debito nei suoi confronti (ora nei confronti degli eredi): «Ci sono € 1.796.868 derivanti dalla rinuncia degli interessi sul credito del Presidente maturati e accantonati in bilancio negli esercizi precedenti».
La doppia Lega ha già versato 30 dei famosi 49 milioni di euro
La Lega da qualche anno si è fatta in due: alla tradizionale Lega Nord si è aggiunta quella per Salvini. C’è una buona notizia nei bilanci di quella vecchia: ormai 30 milioni dei famosi 49 da restituire allo Stato secondo sentenza sono stati versati. Si annota nella relazione della Lega Nord: «I debiti da saldare sono ancora 18, 148 milioni di euro ed è quel che resta da pagare dei famosi 48,969 milioni di euro che la Lega deve retrocedere allo Stato secondo le sentenze della magistratura. La somma infatti è al netto delle somme già sequestrate giacenti sui conti correnti della Lega Nord, delle società partecipate, e delle singole articolazioni territoriali».
La vecchia Lega ha ancora il controllo di Pontidafin «che ha un patrimonio netto di 4,2 milioni di euro. La perizia di stima del patrimonio immobiliare è sensibilmente superiore al valore di bilancio della partecipazione».
Molti militanti ed eletti (fra cui il ministro Giancarlo Giorgetti) versano ancora alla Lega Nord una quota della loro indennità, così arrivano in cassa più di 800 mila euro. La nuova Lega di Salvini ideata per allontanarsi dai guai finanziari però non sta offrendo il risultato sperato: l’anno si è chiuso con una perdita di 3,983 milioni di euro. C’è da saldare 1,5 milioni di debiti e il patrimonio netto è già negativo sia pure solo di 25.656 euro.
Effetto Schlein sul Partito democratico
I conti del partito democratico non starebbero meglio se non ci fosse stato il tesseramento straordinario per il congresso in cui ha trionfato Elly Schlein. Ma se non si ripete la performance anche nel 2023, il rischio conti in rosso è davvero vicino visto che il patrimonio si è ridotto al lumicino in questi anni. Anche il Pd come Forza Italia ha il problema dei parlamentari che non si auto-tassano come dovuto. Solo nei confronti degli eletti nella scorsa legislatura infatti «il Partito ha attivato n. 63 ricorsi a fronte dei quali sono stati emessi n. 56 decreti ingiuntivi».
Ma gli amministratori sono realisti: «I crediti per motivi prudenziali sono stati opportunamente svalutati. Gli incrementi pari a Euro 178.658 sono dovuti alle svalutazioni dei crediti verso i Parlamentari dell’attuale Legislatura per le somme dovute al 31/12/2022 e non ancora versate alla data di redazione del presente rendiconto». Anche il personale pesa sui conti: nonostante continui scivoli all’uscita pagati ogni anno restano in forza 119 dipendenti, fra cui 18 giornalisti. Nessun altro partito oggi ha organici così folti.
La Meloni ha ancora un partito solido, Conte meno
Giorgia Meloni è fra le poche a potere festeggiare. I conti di Fratelli di Italia sono ancora quelli di un partito minore, ma così anche i guai possono aspettare. Il bilancio si è chiuso con un utile di 527.028 euro, i debiti sono ridotti al lumicino (259.578 euro) e il patrimonio netto è positivo per 2,6 milioni di euro.
Meno solido invece il bilancio del M5s, anche se il tesoriere ci tiene a dire che «l’esercizio 2022 chiude con un avanzo di euro 126.120,00 e con disponibilità liquide bancarie tali da garantire tranquillità dell’attività gestionale e politica».
I debiti però sono di 1,14 milioni di euro e il patrimonio netto è positivo, ma solo per 415.144 euro. Però alla voce crediti ci sono ancora 4,7 milioni di euro di quote di indennità e trattamento di fine rapporto parlamentare non incassato anche se imputato fra le entrate di competenza. E se pensano di riscuoterli dagli ex passati ad altra avventura politica (come chi seguì Luigi Di Maio), la strada è tutta in salita
Fratoianni in lite con l’Inps per una occupazione abusiva
Non stanno malissimo i partiti minori, e in particolare Azione di Carlo Calenda che può contare su ricchi contributi privati. Qualche problema per Sinistra Italiana e Nicola Fratoianni, che eredita da Sel un contenzioso con l’Inps per occupazione abusiva di un immobile.
Tanto è che Fratoianni ha messo a fondo rischi 73.187 euro, pari «al valore di un contenzioso promosso dall’INPS nei confronti della Struttura nazionale di Sinistra Ecologia Libertà, che si è costituita in giudizio, a fronte di una asserita occupazione abusiva di un immobile di proprietà dell’Istituto da parte di un Circolo territoriale».
Non ha problemi economici invece il suo sodale Angelo Bonelli, che in bilancio celebra la sua presunta forza social: «Su Facebook, la pagina Europa Verde-Verdi ha 73.700 follower netti e ha raggiunto una copertura di 2.572.881 persone.
Si registra una prevalenza di uomini (61,3%) della fascia di età 25-34 anni. Su Instagram, abbiamo 32.000 follower, con una copertura di 1.295.479 persone. La forza di questo social è la community che ci supporta in tutte le campagne che proponiamo: ciò si concretizza in un alto tasso di interazione nei like, sia nei commenti che nei messaggi direct. Sia su Instagram che su Facebook, abbiamo introdotto video brevi, reels che raggiungono un ampio pubblico che non segue le pagine».
(da Open)
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