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IL DISCORSO INTEGRALE DI YULIA NAVALNAYA AL PARLAMENTO EUROPEO

Febbraio 28th, 2024 Riccardo Fucile

“MIO MARITO NON POTRA’ VEDERE COME SARA’ BELLA LA RUSSIA DEL FUTURO, MA IO CERCHERO’ DI REALIZZARE IL SUO SOGNO”

Gentile Signora Presidente, gentili signore e signori. Grazie per l’opportunità di essere qui oggi.
Dopo che Putin ha tentato di uccidere Alexei per la prima volta, abbiamo vissuto per diversi mesi nel sud della Germania. Alexei si stava riprendendo dall’avvelenamento, imparando di nuovo a camminare e scrivere. Abbiamo camminato molto, a volte facendo brevi viaggi. In uno di questi viaggi siamo andati a Strasburgo con i bambini. È una delle città preferite mie e di Alexei. Ci siamo stati più volte insieme e poi, tre anni fa, abbiamo deciso di mostrarglielo.
Ora mio marito è morto. Sono tornata a Strasburgo, ma non sono più in giro con la mia famiglia. Sono qui e mi rivolgo a voi e, tramite voi, all’Europa intera.
Pensavo che nei dodici giorni trascorsi dalla morte di Alexei avrei avuto il tempo di prepararmi per questo discorso. Ma prima abbiamo passato una settimana a recuperare il corpo di Alexei e ad organizzare un funerale. Poi ho scelto il cimitero e la bara. Il funerale avrà luogo domani e non so ancora se sarà pacifico o se la polizia arresterà coloro che sono venuti a salutare Alessio.
Tuttavia, sono qui ora perché i vostri elettori hanno una domanda importante. Loro ve lo chiedono e voi lo chiedete a me. La domanda è: “Come posso aiutarvi nella vostra lotta?”.
Sabato scorso sono trascorsi due anni da quando Putin ha iniziato una guerra su vasta scala contro l’Ucraina. Una guerra brutale e subdola. Il mondo intero è corso in aiuto dell’Ucraina. Ma sono passati due anni, c’è molta stanchezza, molto sangue, molta delusione, e Putin non è andato da nessuna parte. Tutto è già stato utilizzato: armi, denaro, sanzioni… Niente funziona. E il peggio è successo: tutti si sono abituati alla guerra. Qua e là la gente cominciava a dire: “Beh, con lui bisognerà comunque mettersi d’accordo…”
E poi Putin ha ucciso mio marito, Alexei Navalny. Su suo ordine, Alexei fu torturato per tre anni: fu fatto morire di fame in una minuscola cella di pietra, tagliato fuori dal mondo esterno e gli furono negate visite, telefonate e persino lettere. E poi lo hanno ucciso. Anche dopo hanno abusato del suo corpo e hanno abusato di sua madre.
Da un lato, l’omicidio pubblico ha dimostrato ancora una volta a tutti che Putin è capace di tutto e che non si può negoziare con lui. Ma d’altra parte, posso anche vedere quanto siano tutti scioccati. Molte persone hanno la sensazione che Putin non possa essere sconfitto affatto. E in questa disperazione ora mi chiedono: come posso aiutarti?
E sto pensando a come Alexei risponderebbe a questa domanda. Proverò a risponderti, ma per farlo devo raccontarti un po’ com’era.
Alexei era un inventore. Aveva sempre nuove idee per tutto, ma soprattutto per la politica. Ci sono le elezioni all’inizio di giugno. Molti di voi faranno campagna elettorale, incontrando gli elettori, rilasciando interviste, girando spot pubblicitari. Ora immaginate che tutto ciò sia impossibile. Nessuna stazione televisiva vi farà un’intervista. Nessun denaro al mondo può aiutarvi con uno spot pubblicitario. Tutti gli elettori presenti alle riunioni verranno arrestati insieme al candidato. Benvenuti nella Russia di Putin.
Eppure, Alexei Navalny è riuscito a diventare il politico più famoso del paese. È stato in grado di ispirare milioni di persone con le sue idee. Come ha fatto? Fantasticava e sperimentava sempre. Non ti è permesso andare in TV? Impariamo come realizzare video su YouTube in modo che tutto il paese possa guardarli. Non ti è permesso votare? Puoi elaborare una strategia di voto tattica per togliere seggi al partito al governo. Anche nel gulag di Putin, Alexei è riuscito a trasmettere idee per progetti che avrebbero gettato nel panico il Cremlino. Era l’opposto di tutto ciò che era noioso.
Questa è la risposta alla domanda. Se vuoi davvero sconfiggere Putin, devi diventare un innovatore. E devi smetterla di essere noioso.
Non si può danneggiare Putin con un’altra risoluzione o con un’altra serie di sanzioni che non siano diverse dalle precedenti. Non puoi sconfiggerlo pensando che sia un uomo di principi che ha una morale e delle regole.
Non è così, e Alexei lo ha capito molto tempo fa. Non hai a che fare con un politico ma con un maledetto mafioso. Putin è il leader di una banda criminale organizzata. Ciò include avvelenatori e assassini, ma sono tutti solo burattini. La cosa più importante sono le persone vicine a Putin, i suoi amici, collaboratori e custodi del denaro della mafia.
Tu e tutti noi dovete combattere questa banda criminale. E l’innovazione politica qui sta nell’applicare i metodi di lotta alla criminalità organizzata, non alla competizione politica. Non note diplomatiche, ma indagini sulle macchinazioni finanziarie. Non dichiarazioni di preoccupazione, ma una ricerca di mafiosi nei vostri paesi, di avvocati e finanzieri discreti che aiutano Putin e i suoi amici a nascondere i soldi.
In questa lotta avete alleati affidabili: ci sono decine di milioni di russi che sono contro Putin, contro la guerra, contro il male che porta. Non devi perseguitarli, al contrario, devi lavorare con loro. Con noi.
Putin deve rispondere di ciò che ha fatto al mio Paese. Putin deve rispondere di ciò che ha fatto a un paese vicino e pacifico. E Putin deve rispondere di tutto ciò che ha fatto ad Alexei.
Mio marito non vedrà come sarà la Bella Russia del Futuro, ma noi dobbiamo vederla. E farò del mio meglio per realizzare il suo sogno, che il male cadrà e questo bellissimo futuro arriverà.
(da agenzie)

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YULIA NAVALNAYA STREGA IL PARLAMENTO EUROPEO: “PUTIN E’ UN MAFIOSO SANGUINARIO A CAPO DI UNA BANDA DI CRIMINALI, CON LUI NON SI PUO’ TRATTARE”

Febbraio 28th, 2024 Riccardo Fucile

LA VEDOVA DEL DISSIDENTE RUSSO ACCOLTA IN AULA A STRASBURGO DA UNA STANDING OVATION… DEFEZIONI TRA I BANCHI DEI FOGNA SOVRANISTA, I SERVI PREZZOLATI DI PUTIN

È stata accolta con lunghi applausi e una standing ovation Yulia Navalnaya, l’ospite più attesa della plenaria in corso questa settimana a Strasburgo.
La vedova di Alexei Navalny, il dissidente russo morto lo scorso 16 febbraio in circostanze ancora da chiarire, ha parlato per la prima volta dalla scomparsa del marito di fronte agli eurodeputati.
Un discorso toccante, pronunciato in quella stessa aula dove nel 2021 Navalnaya ritirò il premio Sacharov per la libertà di espressione assegnato a suo marito, che al tempo già si trovava in carcere in Russia. «Sono qui oggi perché oggi i vostri elettori hanno una domanda importante: come possiamo aiutarti nella tua lotta?», ha detto Navalnaya rivolgendosi ai parlamentari europei presenti in aula.
«Il funerale di Alexei si svolgerà dopodomani e non so ancora se sarà pacifico o se la polizia arresterà coloro che sono venuti a salutare mio marito», ha aggiunto la vedova del dissidente russo, senza nascondere un velo di preoccupazione.
Nel discorso pronunciato al Parlamento europeo, Navalnaya punta il dito soprattutto contro Vladimir Putin, che «non è un politico qualsiasi ma un mafioso sanguinario che è stato messo a capo di una banda di criminalità organizzata».
La vedova del dissidente russo poi aggiunge: «Per sconfiggere Putin bisogna essere innovativi. Non bastano una risoluzione o un altro pacchetto di sanzioni uguale a quelli precedenti». Poi si arriva al capitolo della guerra in Ucraina, che secondo Navalnaya dimostra la spietatezza del regime russo. «Sabato scorso sono passati due anni dalla guerra totale contro l’Ucraina. Una guerra vile e brutale, in cui Putin non è riuscito a raggiungere il suo obiettivo». E a proposito della via d’uscita dal conflitto, la vedova di Alexei Navalny sembra avere le idee molto chiare: «Non si può negoziare con lui, deve rispondere per tutto ciò che ha fatto ad Alexei», ha scandito Navalnaya, strappando l’applauso dei parlamentari europei.
(da agenzie)

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ELLY SCHLEIN: “I SOVRANISTI SI POSSONO BATTERE SE RESTIAMO UNITI”

Febbraio 28th, 2024 Riccardo Fucile

“BENE L’APERTURA DI CALENDA”… “TROVARE CONVERGENZE SENZA PERDERE COERENZA”

La segretaria del Partito Democratico Elly Schlein si è concessa un “bella ciao” per festeggiare la vittoria di Alessandra Todde in Sardegna.
E oggi in un’intervista a Repubblica dice che dall’isola «è arrivato un bel segnale: è la nostra prima reconquista e non sarà l’ultima, questo è il mio messaggio per Giorgia Meloni».
Mentre la prossima tappa è la sfida in Abruzzo «dove il centrosinistra stavolta al completo ci può regalare un’altra sorpresa. Ma anche la costruzione del campo dell’alternativa, a cui lavoro sin dal principio con spirito testardamente unitario. La vittoria di domenica dimostra due cose: che la premier non è imbattibile e che se stiamo insieme tutto diventa possibile». Ma il risultato dimostra soprattutto che «se siamo uniti la destra si può battere.
L’unità e la vittoria
Anche se «la Sardegna non è terra da test nazionali, ha una storia e una sua specificità, però qui è successo qualcosa. Non ha perso solo Truzzu, ha perso la premier che ha imposto con arroganza il suo candidato, sfilandolo a Salvini. Sono sbarcati sull’isola in pompa magna, sicuri di vincere, e hanno preso una sberla micidiale, di cui Meloni deve assumersi la piena responsabilità».
Come? «Restando ostinatamente unitari per costruire un progetto solido sui temi, attorno a candidati credibili. Su alcune grandi questioni abbiamo già cominciato a lavorare insieme: salario minimo, sanità pubblica, salvataggio del Pnrr, congedo paritario, politiche industriali, sulle quali è partito un confronto anche con Calenda. Punti su cui iniziare a delineare la nostra visione di Paese. Trovare convergenze senza perdere la coerenza è possibile e necessario».
(da agenzie)

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LA LEZIONE DELLA SARDEGNA: CHI VA DA SOLO PERDE

Febbraio 28th, 2024 Riccardo Fucile

COSTRUIRE COALIZIONI E’ L’ARTE DELLA POLITICA

C’è qualcosa di nuovo, anzi di antico sotto lo splendido sole della Sardegna. Per conquistare una carica monocratica, la presidenza della Regione, assegnata in un solo turno elettorale, è decisivo costruire preventivamente una coalizione a sostegno della candidatura prescelta.
Ferme restando le loro personali preferenze politiche, gli elettori rispondono valutando l’offerta dei partiti, della coalizione, della candidatura, in parte dei programmi e della capacità di governare. La vittoria di Alessandra Todde in Sardegna è il prodotto virtuoso di questo pacchetto di elementi. La grande soddisfazione di dirigenti e attivisti dello schieramento del centro-sinistra che ha vinto è comprensibile (e da me, per quel che conta, condivisibile).
Procedere a generalizzazioni assolutistiche, «la sinistra unita non sarà mai sconfitta» («il governo Meloni è indebolito») e proiettare automaticamente la possibilità/probabilità di un esito sardo anche sulle altre elezioni regionali e sulla elezione dell’Europarlamento (che è tutta un’altra storia) è esagerato, sbagliato, rischia di risultare controproducente.
ALLEANZE LOCALI E NAZIONALI
Ciascuna regione, a cominciare dall’Abruzzo, la prima a votare prossimamente, ha le sue peculiarità di storia politico-partitica, di governo, di problematiche socio-economiche. Se la lezione generale è che le coalizioni si costruiscono di volta in volta, saranno i dirigenti politici di quella regione a decidere se, come, con chi, attorno a quale candidatura costruire un’alleanza.
La buona notizia, non so quanto importante per l’Abruzzo, è che Calenda ha twittato che l’esito sardo «è una lezione di cui terremo conto». Traduzione “correre” come polo autonomo è perdente. Aggiungo che rischia sempre di fare perdere il polo più affine (ma qualcuno proprio quelle sconfitte vuole produrre).
Stare insieme in coalizioni elettorali che possono diventare di governo porta ad una più approfondita condivisione di obiettivi, di preferenze, di soluzioni programmatiche. Il discorso sui valori è, naturalmente, molto più complesso. Parte dalla Costituzione e porta all’Europa, tema che riguarda anche i governi regionali. Rimarranno sempre differenze programmatiche e politiche nella schieramento di centro-sinistra.
Meglio non esaltarle e neppure seppellirle additando le profonde divisioni esistenti nel centro-destra. Infatti, quei partiti e i loro dirigenti sembrano avere maggiore consapevolezza del fatto che, separati e divisi, perdono e che il potere è un collante gradevolissimo, generosissimo. Inoltre, i loro elettorati sembrano socialmente più omogenei. Alla eterogeneità e diversità, sociale e, forse, più ancora culturale, dei rispettivi elettorati di riferimento, non basta che i dirigenti del centro-sinistra esaltino le differenze come risorse. Debbono ricomporle attorno a obiettivi e a candidature comuni il più rappresentative possibili.
LA PROSPETTIVA EUROPEA
Le elezioni per il Parlamento europeo, poiché si vota con una legge proporzionale con clausola di esclusione del 4 per cento, suggeriscono due comportamenti. Primo, evitare la frammentazione nel e del centro-sinistra. Secondo, poiché i partiti, a cominciare dal Partito Democratico e dal Movimento 5 Stelle, giustamente vogliono misurare il loro consenso correndo separatamente, dovrebbero evitare di scegliersi come bersagli reciproci.
La sfida è delineare una visione per l’Unione Europea dei prossimi cinque anni, non criticare la visione dei propri alleati nazionali. La critica va indirizzata agli opportunismi, alle contraddizioni, ai patetici resti di sovranismo provinciale, dello stivale, dei tre partiti del centro-destra.
L’obiettivo di fondo non è la mission al momento impossibile di fare cadere il governo e sostituirlo, ma di dimostrare che esiste un’alternativa di centro-sinistra all’altezza della sfida. Adelante con juicio.
(da editorialedomani.it)

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MELONI, L’ARROGANZA CHE NUOCE ALLA POLITICA

Febbraio 28th, 2024 Riccardo Fucile

SI E’ INFRANTA SULLE COSTE DELLA SARDEGNA LA PRESUNZIONE DI ONNIPOTENZA

Cade a Cagliari la maschera di un centrodestra unito comunque vada, nonostante la palese insofferenza reciproca dei tre leader, vincente con qualunque candidato, in una intramontabile e radiosa luna di miele meloniana.
S’infrange sulle coste della Sardegna la presunzione di onnipotenza di una premier che ha pensato di poter trasformare davvero in oro qualunque cosa toccasse. Perfino uno dei peggiori sindaci d’Italia.
Giorgia Meloni paga l’ingenua convinzione di essere il nuovo Silvio Berlusconi. Colui che era capace di far eleggere governatore il figlio del suo amico commercialista Ugo Cappellacci. Ma erano altri tempi, era il 2009, altre leadership, altro carisma.
Rewind. Nelle elezioni di domenica 25 febbraio perde un destra-centro mai così in rotta al suo interno, in questi 17 mesi di governo. In una Regione in cui la coalizione ha dato pessima prova di sé.
Christian Solinas, vessillo leghista ma di matrice autonomista, è stato uno dei peggiori governatori che si ricordino in quelle latitudini, precipitato in fondo a una sfilza di classifiche e bocciato prima ancora di essere ricandidato (dal solo Salvini). La condanna politica, nel suo caso, è arrivata ben prima delle inchieste, che poi faranno il loro corso, nella legittima presunzione d’innocenza.
Il destra-centro perde poi perché per puro sentimento di vendetta, con molta probabilità, 5.500 elettori di quell’area — ed è lecito sospettare che siano stati simpatizzanti del Partito sardo d’Azione e della stessa Lega — hanno voltato le spalle al candidato imposto da Fratelli d’Italia.
Perde, ancora, perché la Lega è crollata alle percentuali pre-salviniane del 3,8 per cento, in una Regione che finora il partito di Salvini aveva governato.
Presagio infausto per il vicepremier e carico dei peggiori auspici, in vista delle Europee di giugno e di una successiva e sempre più probabile resa dei conti interna al Carroccio. Perde, infine, perché — come raccontava Giorgio Mulé in una intervista a questo giornale — «non si vince imponendo nomi». In quel caso, anche gli alleati moderati di Forza Italia possono iniziare a ricredersi.
Ancor più se il nome imposto è quello di un amministratore, il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu, detestato e malvisto a tal punto dai suoi concittadini da fare del capoluogo l’epicentro della imprevedibile vittoria di Alessandra Todde.
Il fatto è che se commetti un errore così clamoroso, rompendo con gli alleati, riducendoli a vassalli, schiacciandoli con un tuo uomo, neanche lontanamente tra i tuoi migliori, allora vuol dire che hai perso lucidità, che la tua leadership si è annebbiata, che la tua supponenza ha prevalso sulla capacità decisionale.
Ancor più perché se non ci fosse stato in campo l’outsider Renato Soru la vittoria del centrosinistra sarebbe stata di una decina di punti di scarto abbondanti, altro che finale al fotofinish.
E qui si viene alla seconda, profonda ragione della disfatta, che travalica la frattura tra i partiti della coalizione. E chiama in causa la stessa premier e non solo perché è lei ad aver cambiato in corsa un candidato incapace con uno fallimentare.
No, Giorgia Meloni è responsabile in quanto presidente del Consiglio di un governo che continua a raccontare la storiella di un’economia in ripresa, con un tasso di disoccupazione ai minimi storici, di un Paese il cui futuro, grazie ai fondi del Pnrr (solo per metà finora investiti), sarà raggiante.
Succede però che i sardi e un po’ tutti gli italiani si imbattono quotidianamente con un’altra realtà diversa, alle casse dei supermercati come alle pompe di benzina. L’economia reale sta paurosamente cozzando con quella programmata. E questo alle urne si paga.
Ancora, Giorgia Meloni è una leader che appare al cospetto di amici e avversari sempre più arrogante. Nervosa. Distruttiva anziché propositiva. E l’arroganza in politica non perdona, ha sempre castigato tutti: Matteo Renzi e Matteo Salvini sono solo le due ultime vittime illustri.
Andatevi a riguardare le immagini del comizio di Cagliari. La premier oscura di gran lunga gli alleati sul palco in un crescendo di rabbia, accuse agli avversari, lo sguardo torvo dell’oppositrice cronica: tutto è colpa degli altri, c’è sempre qualcuno che ce l’ha con lei.
Le vocine storpiate, le faccette da avanspettacolo del Colle Oppio. Sarebbe la presidente del Consiglio. Da lei gli italiani — non gli elettori di FdI ai quali lei continua a rivolgersi in via esclusiva — si attenderebbero rassicurazioni, pacatezza, visione del futuro e, se possibile, anche un tantino di stile.
Lei adesso teme, e fa bene, l’escalation altrettanto rabbiosa di un Salvini ancora più disperato e recalcitrante. Ma è allo specchio che dovrà guardarsi, se sarà davvero alla ricerca del nemico più insidioso.
Alessandra Todde di converso è l’espressione di una nuova leva di politici per bene, moderata, lei sì, efficiente e visionaria. Alla prima governatrice 5 Stelle i sardi hanno affidato la buona amministrazione dopo il buio di questi cinque anni.
Se Schlein e Conte pensano tuttavia che tutto adesso sarà più facile si illudono e parecchio. E le Regionali abruzzesi del 10 marzo e quelle della Basilicata ad aprile potrebbero segnare un brusco risveglio.
Tutto sarà stato vano se i due leader non comprenderanno il messaggio piuttosto semplice ma chiaro lanciato loro dagli elettori che si sono espressi domenica.
Solo uniti, solo se convincenti e politicamente sensati si potrà costruire un’alternativa, dopo la corsa solitaria delle Europee di giugno. Solo allora comincerà la rincorsa per cambiare il corso di questa brutta storia italiana.
(da La Repubblica)

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LA FRAGILE TREGUA, A SUON DI SGAMBETTI, DI MELONI CON SALVINI E TAJANI: “I CONTI DOPO LE EUROPEE”

Febbraio 28th, 2024 Riccardo Fucile

SALVINI LA ATTACCA: “E’ TUTTA COLPA SUA”

La vedono entrare in tarda mattinata a Palazzo Chigi schermata da occhialoni scuri da sole, anche se fuori non c’è il sole. Nessuno ha il coraggio di chiederle “buongiorno presidente, come va?”. La premier comparirà in pubblico, solo in tarda serata, spigliata e autoironica, all’hotel Hilton per un appuntamento informale – senza domande – con la Stampa estera. Momento leggero con i corrispondenti stranieri. Certo, la capa della destra italiana sarebbe nera di umore per via della Sardegna (“che ho perso”), per i sospetti sul voto disgiunto manovrato da Matteo Salvini e dal Partito sardo d’azione (non tornano 5 mila preferenze). Di prima mattina da Palazzo Chigi partono i primi contatti con Paolo Truzzu, il grande sconfitto di Fratelli d’Italia, generazione Atreju, a cui viene data la linea: “Prenditi tutta la responsabilità”.
E infatti così accade a Cagliari in conferenza stampa. Siccome la conferma dell’Abruzzo dell’ex gabbiano Marco Marsilio fa paura, Meloni deve a tutti i costi dare un’immagine di unità per tranquillizzare l’elettorato. A L’Aquila il 5 marzo si presenterà accompagnata da Tajani e Salvini. Un altro ko sarebbe complicato da gestire: Marsilio nasce come dirigente dell’Msi a Colle Oppio, sorella assessore con Alemanno sindaco, moglie in vari staff patriottici. E’ considerato un fedelissimo di Meloni. Ecco perché, con l’occhio a una sfida molto vicina, dopo pranzo esce una nota anodina dei tre leader per dire che in Sardegna il centrodestra ha quasi vinto e che comunque si imparerà dagli errori del passato.
Il partito ribolle. Con teorie anche stravaganti. C’è chi dice che Truzzu sia stata una scelta del territorio. C’è chi, tra i meloniani romani, dà la colpa a Giovanni Donzelli in qualità di coordinatore nazionale per avere dato il via libera all’operazione e c’è anche chi, come la minoranza roman-rampelliana, fa un discorso un po’ più tondo: “Stessa dinamica già vista con la scelta del carneade Enrico Michetti, Giorgia è bravissima, ma non condivide mai le decisioni”. Il mattinale di FdI “Ore 11”, supervisionato dal sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, sostiene che il bagno sardo sia “un fatto locale”. In generale a Fratelli d’Italia non resta, come si dice a Roma, che “consolarsi con l’aglietto” in quanto le liste di centrodestra a sostegno del candidato Truzzu hanno toccato quasi quota 50 per cento, peccato che il voto del presidente abbia raccolto cinquemila (fatali) voti in meno. L’importante è restare uniti, dice Meloni e lo fa ripetere anche a Salvini e Tajani. Di facciata è così. Tuttavia basta passare una giornata in Transatlantico – per un giorno enorme redazione romana dell’Unione sarda visto l’unico tema trattato – per capire che c’è dell’altro.
C’è per esempio Andrea Crippa, vice di Salvini, con la licenza di dichiarare. Il leghista attacca Meloni per aver spodestato Solinas (“non ha ascoltato i territori: queste sono le conseguenze”). E poi rievoca la generosità di Berlusconi; dice che la leader non ha uomini all’altezza; che gli elettori hanno sempre ragione; che su al nord Fontana-Zaia-Fedriga superano sempre il voto delle liste e che a proposito del Veneto come si fa a non ricandidare uno che ha il 70 per cento dei consensi? Crippa, idolo del cronista che cerca un titolo per la giornata, dopo aver parlato con tutti si sposterà fuori dalla Camera per fare un punto con le televisioni e i videomaker chiamati alla spicciolata. Scusate, ma da chi è arrivato l’invito? “Dalla comunicazione di Salvini”. Tana. La strategia insomma è questa, almeno per la Lega. Forza Italia, con il sardo Pittalis abbastanza di buon umore per il capitombolo di Truzzu, pensa solo alla Basilicata, al bis di Vito Bardi, governatore uscente finito nel mirino dei veti della Lega. Per Fratelli d’Italia si può confermare, come spiega il capogruppo Tommaso Foti. Per il Carroccio no. O almeno siamo alle solite manfrine tattiche. Riassunto: tutti danno la colpa a Meloni per la scelta del candidato sbagliato in Sardegna, anche i suoi seppur sottovoce pena l’esilio nel Mali, c’è anche una timida contronarrazione del partito sul voto disgiunto orchestrato da Salvini, ma non regge. Il capo del Carroccio dissimula pace e armonia, ma poi manda il vice a picchiare su FdI. Il teatro della dissimulazione si nutre però di note congiunte perché preoccupa l’Abruzzo e non si può perdere nemmeno la Basilicata. Voce da Fratelli d’Italia: “Ci rivediamo tutti l’11 giugno”. E cioè quando i voti delle europee saranno stati pesati. A partire da quelli acchiappati dalla premier, pronta a correre come capolista.
(da ilfoglio.it)

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IL GENERALE VANNACCI SOSPESO PER 11 MESI: “CARENZA DI SENSO DI RESPONSABILITA’ E POSSIBILI EFFETTI EMULATIVI”

Febbraio 28th, 2024 Riccardo Fucile

LA SANZIONE APPLICATA DAL MINISTERO DELLA DIFESA: “COMPROMETTE IL PRESTIGIO E LA REPUTAZIONE DELL’AMMINISTRAZIONE”… STIPENDIO DIMEZZATO E DETRAZIONE DI ANZIANITA’

Sospensione disciplinare dall’impiego per 11 mesi, ‘con conseguente uguale detrazione di anzianità e dimezzamento dello stipendio’. È la sanzione applicata dal Ministro della difesa Guido Crosetto al generale Roberto Vannacci, in esito al procedimento disciplinare di stato avviato lo scorso 30 ottobre.
Lo rende noto all’Adnkronos l’avvocato dell’ufficiale, Giorgio Carta, che spiega: “La sanzione stigmatizza le circostanze della pubblicazione del libro ‘Il mondo al contrario’ che avrebbe asseritamente denotato ‘carenza del senso di responsabilità’ e determinato una ‘lesione al principio di neutralità/terzietà della Forza Armata’, ‘compromettendo il prestigio e la reputazione dell’Amministrazione di appartenenza e ingenerando possibili effetti emulativi dirompenti e divisivi nell’ambito della compagine militare”.
Contro il provvedimento, il legale ha annunciato “immediato ricorso al Tar Lazio”, con richiesta di sospensiva, rivelandone il contrasto con il diritto alla libera manifestazione del pensiero garantito a tutti i cittadini, compresi i militari.
Il generale era finito nella bufera nei giorni scorsi, quando sono state rese note quattro indagini aperte sul suo conto. Il militare è indagato a Roma in relazione ad alcune affermazioni che compaiono nel suo libro “Il mondo al contrario”. Nei suoi confronti viene contestato il reato di istigazione all’odio razziale.
Ci sono poi tre indagini aperte sul suo conto dalla procura militare, quella ordinaria e dalla magistratura contabile per le presunte “spese pazze” del generale ai tempi in cui era a Mosca come addetto militare, tra il 7 febbraio 2021 e il 18 maggio 2022, periodo terminato con l’espulsione dell’alto ufficiale dalla Russia per volontà del Cremlino, che mandò via dal Paese 24 tra diplomatici ed esperti militari italiani per rispondere a un’analoga mossa del governo guidato da Mario Draghi che aveva preso la decisione di mandare via dall’Italia trenta fedelissimi di Vladimir Putin
(da agenzie)

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LA SONDAGGISTA GHISLERI: “IN ABRUZZO IL CENTRODESTRA RISCHIA, IL CENTROSINISTRA SI PRESENTA UNITO, ANCHE CON CALENDA E RENZI”

Febbraio 28th, 2024 Riccardo Fucile

“IN SARDEGNA CI SONO 40.000 ELETTORI CHE SONO ANDATI A VOTARE LEI, INDIPENDENTEMENTE DAI PARTITI, TRUZZU E’ STATO VISTO COME UN CANDIDATO IMPOSTO DA ROMA”… UN SONDAGGIO RISERVATO VEDE MARSILI (FDI, GOVERNATORE USCENTE) IN VANTAGGIO DI POCO

«È una vittoria di Alessandra Todde, ci sono 40 mila elettori che sono andati alle urne per votare lei, senza indicare i partiti. Truzzu invece è stato percepito come calato da Roma e i sardi non l’hanno accettato».
È la lettura che Alessandra Ghisleri, direttrice di Euromedia Research, dà delle elezioni regionali in Sardegna. Un dato emblematico del successo di Todde, spiega la sondaggista, è il risultato delle coalizioni: 48,8% per il centrodestra contro il 42,6 del centrosinistra.
Elly Schlein e Giuseppe Conte sperano nel bis in Abruzzo, obiettivo non impossibile: «Al prossimo appuntamento la coalizione del centrosinistra si presenta unita. Se fosse successo anche alle elezioni politiche la partita sarebbe stata molto più difficile per il centrodestra». Sul calo di consensi che sconta Matteo Salvini, Ghisleri si esprime così: «La Lega deve riuscire a comprendere come essere ancora attrattiva».
Truzzu non era favorito?
«Dall’ultima rilevazione che abbiamo fatto una ventina di giorni fa emergeva un quadro quasi sovrapponibile, la distanza era di un punto percentuale. Con un’affluenza più bassa era atteso aumentare il voto di Todde e diminuire quello di Soru. Viceversa un’affluenza poco più alta avrebbe favorito di pochissimo il centrodestra. La Sardegna è una regione che dal ’99 a oggi ha sempre premiato l’alternanza delle forze politiche a ogni elezione. Nessuno ha mai soddisfatto pienamente i sardi tanto da ottenere la conferma del mandato».
L’affluenza al 52, 4% cosa dice?
«Nel 2019 alle regionali sarde aveva votato il 53, 74% degli aventi diritto, 790 mila persone. Oggi hanno votato 757 mila elettori, c’è uno scarto di 30 mila unità tra le due regionali. Mentre il dato interessante è tra le politiche e le regionali. E l’affluenza è maggiore alle regionali. Alle elezioni nazionali del 2022, infatti, avevano votato 714 mila sardi, 40 mila unità in meno».
È stata una vittoria di misura, di circa 2. 800 voti. Quali fattori hanno consentito al centrosinistra di prevalere?
«Ha vinto Todde: ha ottenuto 40 mila voti in più rispetto alla sua coalizione. Mentre nel centrodestra Truzzu registra una differenza negativa di 5. 400 voti. Soru ha uno scarto positivo di 8. 500 voti».
Cosa vuol dire?
«Sia Todde sia Soru hanno avuto più successo delle loro liste».
È il voto disgiunto che agita i sospetti nel centrodestra?
«Solo in parte. Il voto disgiunto potrebbe arrivare a circa 5. 400 unità, incide poco meno dello 0, 8% sull’affluenza. Tolte queste schede ce ne sono altre 35 mila in cui le persone hanno messo la x solo sul nome della candidata del centrosinistra. Todde ha vinto perché incarnava un’identità sarda. È lei che è vincente, più della coalizione».
Quali partiti sono andati peggio?
«Tutti i grandi partiti hanno perso qualcosa in favore delle liste civiche. Forza Italia è il partito che perde di meno, circa 15 mila voti».
E la Lega?
«Alle politiche in Sardegna era arrivata al 6, 25% (43 mila voti), oggi fa il 3,80% con 25.500 voti, quindi perde circa 18 mila voti. Però aggiungendo i numeri del Partito sardo d’azione le preferenze più o meno restano le stesse. Nella somma totale della coalizione il centrodestra fa 48,8%, 8 punti in più rispetto al risultato della stessa coalizione alle politiche. Nel 2022 aveva preso 270 mila voti, oggi alle regionali cresce e si attesta a 328 mila voti. È complicato dire che i partiti della maggioranza di governo hanno perso, sicuramente hanno lasciato voti alle liste civiche».
Salvini non le sembra in difficoltà in quanto a consensi?
«La Lega ha un suo elettorato e delle discussioni interne molto importanti, deve riuscire a comprendere come essere ancora attrattiva al di là dei grandi leader locali, come Zaia, Fontana e Fedriga».
L’errore del centrodestra quindi è stato candidare Truzzu?
«È particolare che il candidato prenda meno voti dei partiti che lo sostengono».
Però anche Solinas aveva un basso gradimento prima di essere bocciato da Giorgia Meloni.
«Quando un presidente uscente non viene ricandidato, come può essere il caso di Solinas, bisogna spiegare perché e poi presentare un profilo che dimostra di essere all’altezza della sfida. Truzzu nel gradimento dei sindaci era terzultimo in classifica».
Come ha fatto Todde a conquistare la fiducia dei sardi?
«La gente di Sardegna è orgogliosa del proprio territorio, ha vissuto la scelta di Truzzu come fosse calata dal “Continente”. Perciò ha vinto la “sardità”, ovvero di essere nell’isola, per l’isola e dell’isola. Non a caso Todde ha fatto una scelta intelligente, non ha voluto i leader nella campagna elettorale. Lei è stata brava nel dialogo quotidiano con le persone, ha capito i temi a cui tengono i cittadini dell’isola: trasporti, sanità e salute».
Sul voto può aver influito la polemica sui manganelli alle manifestazioni di Pisa e Firenze?
«Non credo abbia avuto un’incidenza così importante».
Cosa si può dire di Azione e +Europa?
«Alle politiche del 2022 avevano fatto il 6,8%, oggi l’1,5%. Però nell’8,6% di Soru si distinguono 4 liste civiche, è tutto molto più complicato. Quindi non mi sento di dire che hanno perso molto».
È possibile un effetto traino per il centrosinistra anche in Abruzzo?
«In Abruzzo la coalizione del centrosinistra è unita. Se si fosse presentata così alle elezioni politiche la partita sarebbe stata molto più difficile per il centrodestra».
Il campo largo del centrosinistra può avere un futuro anche a livello nazionale?
Lo devono decidere i partiti trovando la quadra, la differenza sta nel fatto che il centrodestra litiga ma alla fine ha obiettivi comuni. Il centrosinistra invece si spacca su molte realtà. Il tema è fare sintesi e studiare un programma unitario».
Il Partito democratico può aspirare ad avvicinare Fratelli d’Italia alle europee di giugno?
«Innanzitutto il Pd deve staccare il Movimento 5 stelle che lo tallona in termini di percentuali, c’è però un bacino di elettori che potrebbe esprimere un voto utile per Schlein. Il punto d’incontro tra i due partiti per un eventuale testa a testa potrebbe essere il 25%, con il Pd in crescita e Fratelli d’Italia in calo»
(da La Stampa)

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ALTA TENSIONE MELONI-SALVINI SULLE CANDIDATURE: SI TEME L’EFFETTO DOMINO SULLE ALTRE REGIONI AL VOTO

Febbraio 28th, 2024 Riccardo Fucile

LA LEGA PRONTA A CEDERE SULLA BASILICATA IN CAMBIO DI UN TERZO MANDATO PER ZAIA

Il patto di non aggressione è durato pochissimo. Lunedì, Giorgia Meloni, quando ormai era chiaro che in Sardegna le cose sarebbero andate male, aveva chiesto unità ai suoi alleati. Matteo Salvini ha taciuto per tutto il giorno, cancellando anche impegni televisivi già presi, ma poi ieri è tornato alla carica, prima direttamente e poi, con più veemenza, attraverso i suoi dirigenti più fidati. C’è una paura che si fa sempre più concreta: l’effetto domino nelle altre Regioni al voto. In Abruzzo (al voto il 10 marzo) in realtà i sondaggi regalano qualche margine di sicurezza, ma il rischio di venire travolti da una spirale di sospetti reciproci è grande. Per scacciarli i leader della destra saranno a Pescara martedì prossimo, sperando che quell’amore reciproco molto esibito la settimana scorsa a Cagliari sia condiviso dagli elettori. I timori più grandi si concentrano sulla Basilicata, che va alle urne il 21 aprile, sulla quale si è scatenata una battaglia da mesi tra gli alleati. Il vicesegretario della Lega, Andrea Crippa lo spiega con una certa franchezza: «Cinque anni fa Salvini era fortissimo e si vinceva con qualunque candidato, oggi non è più così. La differenza? Matteo fa le campagne elettorali davvero, Meloni no».
Il capo dei deputati di Fratelli d’Italia, Tommaso Foti, prima di entrare in Aula, fa un’analisi della sconfitta sarda, che suona come un monito: «Abbiamo perso troppo tempo nella scelta del candidato, un errore che non dobbiamo più ripetere».
Per dare un segnale di unità, FdI ha cercato di chiudere più velocemente possibile le partite ancora aperte, in particolare la Basilicata. I colonnelli di Meloni non sono così convinti che ricandidare l’attuale governatore forzista Vito Bardi sia la scelta più adeguata, ma l’urgenza di apparire uniti prevale. Al tavolo convocato a mezzogiorno nell’ufficio del colonnello meloniano Giovanni Donzelli a Montecitorio i leghisti, guidati da Roberto Calderoli, chiedono la Basilicata, con un proprio nome, oppure con un civico. L’atmosfera non è così serena, tanto che nel mirino finisce anche il forzista Giorgio Mulè che in un’intervista a Repubblica aveva criticato Meloni. Un piano più sotto, c’è Crippa che alza un muro: «Con la decisione di non candidare Christian Solinas in Sardegna è saltata la regola di puntare sui presidenti uscenti e quindi ora trovare una soluzione per la Basilicata sarà complicato».
Nella serata poi Salvini inizia ad abbassare le pretese, il negoziato va avanti per tutta la notte, c’è una nota pronta che prevede le candidature di Bardi, Donatella Tesei (Umbria, Lega) e Alberto Cirio (Piemonte, Forza Italia). La nota in realtà non arriva mai, «è ferma per delle limature» dicono da via Bellerio, in attesa di un via libera di Meloni. Forza Italia dà per prossima la firma del patto, sul qualche mancherebbe solo un via libera dei leader. Ma da Fratelli d’Italia c’è molta più cautela, «niente è chiuso», dice uno dei massimi dirigenti del partito della premier, «manca il quadro complessivo».
Il problema, infatti, è che la Lega vuole approfittare di questo eventuale accordo, non solo per confermare la sua governatrice in Umbria, ma per arrivare all’obiettivo massimo, lasciare Luca Zaia alla presidenza del Veneto. Per Fratelli d’Italia, ovviamente, le cose non sono collegate, non può certo bastare un via libera al generale Bardi, per ottenere la riforma del terzo mandato dei governatori, che pregiudicherebbe molte delle aspettative. Eppure la Lega rilancia: «Meloni non faccia in Veneto, l’errore che ha fatto in Sardegna», dice Crippa alla Camera, confermando che l’emendamento sull’abolizione del tetto per i presidenti di Regione, bocciato in commissione, verrà riproposto in Aula, con lo stesso Salvini che, da senatore, potrebbe votare contro l’indicazione della premier.
In Veneto la pressione sul segretario federale resta fortissima. C’è chi lo dice esplicitamente, come l’assessore vicino a Zaia, Roberto Marcato e chi lo sussurra, ma la leadership di Salvini è di nuovo sotto attacco. Sempre dal Veneto arrivano poi le frasi di Massimo Bitonci, che attacca la premier: «Una coalizione non deve utilizzare il manuale Cencelli, guardando magari il voto e quelli che sono i sondaggi politici, ma deve individuare il candidato giusto. Bisogna essere un po’ generosi, soprattutto quando si è sopra».
Al tavolo delle amministrative, che resta ormai aperto in forma permanente, si è discusso soprattutto di città, l’accordo è praticamente fatto per Lecce (con il ritorno in scena di Adriana Poli Bortone) e Prato. In dirittura d’arrivo ci sarebbe anche Firenze, dove il nome più forte resta quello di Eike Schmidt, ex direttore degli Uffizi. Il Carroccio continua a pretendere il candidato sindaco di Cagliari (al voto a giugno), ma per delicatezza si evita di forzare l’addio dell’attuale primo cittadino Paolo Truzzu che potrebbe guidare l’opposizione in consiglio regionale.
(da agenzie)

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