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IL NUOVO PATTO PER LA MIGRAZIONE E’ UNA SCHIFEZZA: MINORI SENZA TUTELA E SCHEDATI

Aprile 11th, 2024 Riccardo Fucile

APPELLO DI SAVE THE CHILDREN: “COSI’ RESTERANNO MESI NEI CPR: DOVREBBERO ANDARE A SCUOLA, NON STARE NEI CENTRI DI DETENZIONE”

Il nuovo Patto europeo su migrazione e asilo, che si propone di semplificare l’accoglienza e di agevolare il rimpatrio di coloro che non hanno diritto di rimanere in Europa, porta con sè il rischio non solo di non tutelare i bambini, ma di innescare una sorta di schedatura, in base alle nuove regole sui ricollocamenti.
Questa la posizione di «Save The Children», che attraverso il direttore e rappresentante presso l’Ue, Willy Bergogné, ha detto che così si «mina il loro diritto di asilo, mettendoli a rischio di detenzione, respingimenti e violenze alle frontiere».
«L’approvazione da parte dell’Unione europea e dei suoi Stati membri del nuovo Patto europeo su migrazione e asilo indebolirà significativamente le tutele per i minori che fuggono da guerre, fame, conflitti, violenza, rischiando spesso la morte», questo l’appello dell’organizzazione.
«Con l’approvazione di questo provvedimento esiste il rischio concreto che le famiglie, anche quelle che viaggiano con bambini molto piccoli, finiscano per trascorrere settimane o mesi nei centri di detenzione. Questi minori dovrebbero essere a scuola, creando ricordi felici, non dolorosi in centri di detenzione che senza dubbio avranno un impatto su di loro negli anni a venire».
Ma cosa cambia, concretamente? Ci saranno due opzioni: ricollocare i richiedenti asilo sul proprio territorio o versare contributi finanziari. Il calcolo del contributo considera la popolazione e il Pil di ciascuno Stato. Il nuovo regolamento stabilisce una soglia minima di 30 mila ricollocamenti e un contributo finanziario di 600 milioni di euro. In caso di ricollocamenti insufficienti, gli Stati possono essere chiamati a esaminare le domande di protezione internazionale.
Un secondo regolamento crea una procedura comune per l’asilo a livello europeo, rendendo più rapide ed efficienti le decisioni fino a 12 settimane. Le persone con minacce alla sicurezza o provenienti da Paesi con bassi tassi di riconoscimento dell’asilo saranno soggette a una procedura di asilo alla frontiera.
Sono previsti centri di accoglienza nei paesi di primo ingresso con una capacità di 30.000 posti. Un terzo regolamento stabilisce norme per affrontare situazioni di crisi migratoria, prevedendo meccanismi di solidarietà e deroghe.
E qui c’è il punto cruciale che rischia di portare alla schedatura: il regolamento Eurodac sarà riformato per migliorare l’identificazione e la sicurezza, includendo le impronte digitali e le immagini del volto. Un regolamento di screening uniformerà l’identificazione dei cittadini di Paesi terzi e la procedura di ingresso nell’UE, con controlli biometrici e sanitari entro sette giorni. Il Patto comprende anche regolamenti per l’Agenzia europea per l’asilo, miglioramento delle condizioni di accoglienza e un quadro per il reinsediamento dei richiedenti asilo.
«Tutti i bambini, le bambine e gli adolescenti che arrivano in Europa meritano di trovare un sistema che riconosca i loro bisogni, li tratti con rispetto e dignità e li protegga dai pericoli. Purtroppo, queste regole potrebbero finire per accrescere la sofferenza e l’angoscia di migliaia di minori bisognosi di protezione. Save the Children continuerà a impegnarsi a favore dei bambini, delle bambine e delle famiglie in transito, assicurandosi che i loro bisogni siano soddisfatti e i loro diritti rispettati, e continuerà a fornire loro un supporto cruciale in tutta Europa. Il ruolo di organizzazioni come la nostra diventa più importante che mai, poiché i diritti dei minori sono messi a rischio da politiche restrittive che non riescono ad affrontare le principali carenze dell’attuale sistema di asilo», ha aggiunto Bergogné.
(da agenzie)

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FDI FA FUORI PURE AMADEUS, COSA C’E’ DIETRO IL VENTILATO ADDIO DI AMADEUS ALLA RAI: “AMA” INCONTRERA’ MARTEDÌ IL DIRETTORE GENERALE ROSSI (FDI) CHE NON LO VUOLE E HA GIÀ INDIVIDUATO STEFANO DE MARTINO COME SUO SOSTITUTO

Aprile 11th, 2024 Riccardo Fucile

IL CONDUTTORE STA TRATTANDO CON DISCOVERY PER ANDARE A OCCUPARSI DI TUTTO L’INTRATTENIMENTO DEL CANALE “NOVE” CON UN INCARICO DA DIRETTORE ARTISTICO-MANAGER ALLA MARIA DE FILIPPI

Amadeus ha comunicato ai vertici Rai che «sta riflettendo se cambiare vita». Questo, ovviamente, significa che lascia la Rai.
Ora scatta la competizione tra Mediaset e Discovery. A Mediaset lui c’è già stato, con risultati modesti. Ma la corte di Pier Silvio Berlusconi sarà serrata e con validi argomenti. Il presentatore potrebbe invece farsi allettare dalla proposta di Warner Bros Discovery per occuparsi di tutto l’intrattenimento del canale Nove.
Diventerebbe così una sorta di replica di quello che Maria De Filippi fa per Canale 5. E con questo passaggio, Amadeus verrebbe sepolto di soldi, triplicando almeno quello che adesso prende in Rai (poco più di un milione di euro). Se ciò accadesse, Nove, dopo il colpaccio di Fabio Fazio, diventerebbe un assoluto protagonista nell’universo italiano della tv generalista, andando pericolosamente a intaccare un territorio, quello dell’intrattenimento, che in sostanza tiene in piedi tutta Mediaset.
«Ci sarà una dichiarazione Rai: non è facile comunicare quello che devono comunicare»: Fiorello ormai è come la Pizia, il sacerdote che dal suo antro all’aperto con vista Tevere svela i responsi del cavallo di viale Mazzini. Amadeus è a quasi due passi fuori dalla Rai, sembra che non ci siano molti margini di manovra anche se dalla tv di Stato fanno sapere che le «diplomazie sono al lavoro». Difficile possano ricucire uno strappo che ormai sembra troppo profondo.
La firma — e dunque anche il comunicato evocato da Fiorello — sembra destinata ad arrivare, ma non subito. In realtà la situazione è in evoluzione continua, ora dopo ora, potrebbe precipitare da un momento all’altro e non lascia certezze scritte nel marmo. Al momento però si parla di un’attesa che dovrebbe essere fino a martedì, quando al settimo piano di viale Mazzini andrà in scena l’incontro (o lo scontro?) tra Amadeus e il direttore generale meloniano della Rai Giampaolo Rossi
In realtà l’appuntamento sembra essere destinato ad avere i contorni di un pro forma, una questione di educazione professionale e aziendale. Insomma un incontro più dovuto che sentito.
Rossi infatti fa parte di quell’anima della Rai che non spinge per avere la firma di Amadeus, e anzi secondo Dagospia avrebbe già individuato in Stefano De Martino un sostituto per l’access prime time, la fascia dopo il tg dove Amadeus con i Soliti ignoti prima e Affari Tuoi dopo ha portato a casa ogni sera oltre cinque milioni di spettatori. Ormai il conduttore ha capito che la Rai è spaccata sul suo nome (l’ad Sergio lo vuole, il dg Rossi no) e ha messo i pesi sulla bilancia.
(da Italia Oggi)

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LA RUSSIA E’ SEMPRE PIU’ VICINA: FRATELLI D’ITALIA VUOLE IL CARCERE PER I GIORNALISTI (4 ANNI E MEZZO DI GALERA)

Aprile 11th, 2024 Riccardo Fucile

GLI EMENDAMENTI PER SILENZIARE LA STAMPA… LA NORMA ERA GIA’ STATA BOCCIATA DALLA CONSULTA… RIVOLTA DELLE OPPOSIZIONI, LEGA E FORZA ITALIA IN IMBARAZZO, FEDERAZIONE DELLA STAMPA INDIGNATA

E’ l’effetto di uno degli emendamenti presentati dal relatore Gianni Berrino (FdI) al ddl sulla diffamazione. Si introduce di fatto un nuovo articolo: il 13-bis alla legge sulla stampa.
“Chiunque, con condotte reiterate e coordinate, preordinate ad arrecare un grave pregiudizio all’altrui reputazione, attribuisce a taluno con il mezzo della stampa” fatti “che sa essere anche in parte falsi è punito con il carcere da 1 a 3 anni e con la multa da 50mila a 120mila euro. Se si sa che l’offeso è innocente la pena aumenta da un terzo alla metà, cioe’ fino a 4 anni e mezzo di carcere.
Il Pd insorge parlando di attacco “alla libertà di informazione”. Dubbi anche da Forza Italia che dice: “Dobbiamo approfondire”.
Pd: da FdI retaggio barbaro contro libertà di stampa
“Questa maggioranza ha proprio un conto aperto con la libertà di informazione, se il relatore al provvedimento sulla diffamazione a mezzo stampa Berrino (FdI) ha proposto in commissione Giustizia una serie di incredibili emendamenti a un testo base – quello del senatore Balboni – già pesantemente negativo”.
E’ quanto dichiarano in una nota congiunta i senatori del Pd membri della commissione Giustizia Alfredo Bazoli, Anna Rossomando, Franco Mirabelli, Walter Verini.
“Gli emendamenti – spiegano – prevedono addirittura la possibilità del carcere per i giornalisti, un retaggio barbaro, condannato a più riprese da organismi europei e dalla Corte costituzionale. Una cosa gravissima, un segnale pesantissimo. Un attacco frontale che si inserisce in un testo base colpevolizzante, che – invece di tutelare i giornalisti dalle querele temerarie e intimidatorie, sanzionando chi le promuove a scopo di bavaglio – prevede multe e sanzioni proprio nei confronti dei giornalisti. La diffamazione a mezzo stampa è già tutelata da leggi. A non essere protetto è il lavoro dei giornalisti che, spesso con coraggio e senza tutele, svolgono un lavoro d’inchiesta prezioso per la libertà di informazione e per la società”.
Forza Italia: capire se è conciliabile con Consulta
“Non abbiamo fatto in tempo ad approfondire il contenuto degli emendamenti. Lo faremo in maggioranza prima di cominciare a votare. Il carcere per i giornalisti? Bisogna vedere se è conciliabile con la sentenza della Consulta”.
Lo ha detto a caldo il senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin, interpellato sugli emendamenti del relatore Gianni Berrino di FdI al ddl sulla diffamazione, in cui torna il carcere per i giornalisti.
Fnsi: governo teme libertà stampa, orbanizzazione Paese
“Il carcere per i giornalisti è un provvedimento incivile” e denota la paura di questo governo nei confronti della libertà di stampa. Questa è l’orbanizzazione del Paese”. Lo afferma Alessandra Costante, segretaria generale della Fnsi. “Parlare di carcere in caso di quella che viene considerata ‘diffamazione grave’ – prosegue – significa voler mettere il silenziatore a molte inchieste giornalistiche. Appare, inoltre, del tutto pretestuosa e funzionale a un disegno liberticida la confusione tra fake news e diffamazione a mezzo stampa. Con queste norme faremo un altro salto indietro nelle classifiche internazionali sulla libertà di informazione. L’auspicio è che in Parlamento anche pezzi della maggioranza sappiano reagire di fronte a questo ennesimo sfregio all’articolo 21 della Costituzione”.
L’articolo 13 era già stato bocciato da Corte Costituzionale
L’art. 13 della legge sulla stampa (la n. 47 del 1948) era stato dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale (con la sentenza n.150 del 2021) proprio perché prevedeva pene detentive, in contrasto con la giurisprudenza della CEDU che nel caso Sallusti ha condannato l’Italia perché per Sallusti era stata prevista una pena detentiva (peraltro poi commutata dall’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano). Con uno degli emendamenti del relatore (1.114), da una parte, si sostituisce l’art.13 con una nuova disposizione che prevede solo pene pecuniarie, peraltro molto più alte del testo base del disegno di legge ora all’esame della Commissione Giustizia del Senato. Con un’altra parte dell’emendamento (la lett.c cioè il comma 2-bis) si prevede la pena detentiva.
Nel primo periodo, si prevede il carcere solo come alternativa alla sanzione pecuniaria, cosa che non è in contrasto con la sentenza della Consulta di cui sopra, anche se la Corte aveva spiegato che il giudice può decidere di irrogare la pena detentiva “solo nei casi di eccezionale gravità”. Nel secondo periodo della norma, invece, la pena detentiva è cumulativa con la pecuniaria. E questo aspetto sembra che invece possa entrare in contraddizione, secondo quanto si osserva nel centrosinistra, con la famosa sentenza della Corte Costituzionale che si era espressa contro il carcere per i cronisti.
Pene aumentano se offesa è recata a “corpo politico”
Ma nella nuova norma di prevede anche che quando queste condotte “consistono nell’attribuzione, a taluno che si sa innocente, di fatti costituenti reato, la pena è aumentata da un terzo alla meta’”.
Infine, la parte che l’opposizione considera tra le più “gravi”: “Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o a una sua rappresentanza o a una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate”.
(da Tgcom)

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EIAR, EIAR, ALALÀ: L’OPPOSIZIONE VA ALLA GUERRA CONTRO TELE-MELONI, DOPO LA NORMA CHE PERMETTE A MINISTRI E SOTTOSEGRETARI DI AGGIRARE I LIMITI IMPOSTI DALLA PAR CONDICIO

Aprile 11th, 2024 Riccardo Fucile

IL PD PARLA DI “DERIVA ORBANIANA”, IL SINDACATO DEI GIORNALISTI RAI DI “SERVIZIO PUBBLICO RIDOTTO A MEGAFONO DEL GOVERNO”… LA FEDERAZIONE NAZIONALE DELLA STAMPA: “LA RAI OGGI ASSOMIGLIA DI PIÙ ALL’EIAR: BASTERÀ UNA SIGLETTA E IL GOVERNO POTRÀ FARE PROPAGANDA SENZA LIMITI”

Il servizio pubblico televisivo «ridotto a megafono del governo », è la denuncia senza mezzi termini dell’Usigrai, il sindacato dei giornalisti della tv di Stato.
Ministri e sottosegretari non avranno alcun vincolo di tempo e potranno dire ciò che vorranno purché sia riferito all’attività istituzionale.
Un escamotage perfetto per far parlare a ruota libera i leader della destra. Con la norma approvata dalla maggioranza in commissione di Vigilanza due sere fa, cioè il regolamento sulla par condicio per le europee dell’8-9 giugno, nei programmi di approfondimento giornalistico pubblico «si ritorna all’Istituto Luce», dice la rappresentanza giornalistica Rai, la quale «da oggi assomiglia di più all’Eiar: basterà una sigletta e il governo potrà fare propaganda senza limiti», è il parere netto del presidente di Fnsi, Vittorio Di Trapani.
La “deriva orbaniana” di Giorgia Meloni, come la definisce il Pd, fa scatenare in maniera compatta le opposizioni, visto come detto che si potranno ampliare a dismisura gli spazi per premier e ministri.
«Se il diritto a informare e ad essere informati anche sulle attività del governo è sempre stato garantito, modificare le delibere per far sì che si dia sempre la parola al governo dentro un dibattito politico-elettorale è una distorsione evidente, un segnale assai preoccupante », ragiona Antonio Nicita, vicepresidente dei senatori pd e membro della commissione Vigilanza Agcom.
Per questo «ci prepariamo ad una battaglia durissima, in tutte le sedi competenti, nella quale entriamo già con un’attitudine editoriale partisan di alcuni tg del servizio pubblico, peraltro in crisi di ascolti».
Toccherà all’Agcom monitorare, oltre che quelle delle forze politiche, le presenze di rappresentanti istituzionali durante la par condicio sulla base delle previsioni di legge, in particolare quella del 1993, e dei regolamenti approvati ed eventualmente invitare al riequilibrio o irrogare sanzioni.
Domani si riunirà il Consiglio dell’Autorità per dare il via libera definitivo alla delibera approvata e trasmessa alla Vigilanza, valida per le emettenti private.
Andrà a finire che per le reti private le regole saranno più restrittive, mentre in Rai impazzerà TeleMeloni.
Questo grazie alla riforma del 2015 voluta dall’allora premier Matteo Renzi: il cda della Rai è composto non più da cinque consiglieri nominati dai presidenti di Camera e Senato ma da sette consiglieri, due di nomina governativa: quattro su sette quindi sono espressione della maggioranza.
Anche l’ad è di nomina del cda ed è lui a sua volta a investire dirigenti di primo livello e direttori vari. Insomma, alla fine la destra sta agendo con una perfetta manovra a tenaglia.
(da agenzie)

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PAR CONDICIO RAI: C’E’ PURE IL BAVAGLIO SOCIAL PER REPORT E PRESA DIRETTA

Aprile 11th, 2024 Riccardo Fucile

I SOVRANISTI APPLICANO LO STILE ORBAN PER OSCURARE IL DISSENSO

Un bavaglio anche per i social dei programmi Rai. C’è pure questo nelle modifiche alla delibera Agcom sulla par condicio votate martedì sera in commissione di Vigilanza Rai.
L’emendamento 13-bis.1 prevede infatti che “nel caso di pubblicazione di contenuti sulle piattaforme e sui canali social della Rai e delle singole trasmissioni la concessionaria assume ogni utile iniziativa volta ad assicurare il rispetto dei principi di tutela del pluralismo e della libertà di espressione, d’imparzialità, indipendenza e obbiettività dell’informazione nonché ad adottare misure di contrasto ai fenomeni di disinformazione”. Una norma contestata dal verde Angelo Bonelli, che ha provocato l’interruzione della seduta e la riformulazione con l’aggiunta della formula “ove applicabili”. “Mi pare evidente che si tratta di una norma che va contro quei programmi, come Report e Presa diretta, che hanno un’intensa vita social”, dice Bonelli.
La polemica tra le forze politiche impazza però soprattutto l’emendamento 4.13, il cosiddetto “lodo Fazzolari”, che garantisce ai rappresentanti del governo uno spazio all’interno dei talk da non conteggiare nella par condicio per “la necessità di garantire ai cittadini una puntuale informazione sulle attività istituzionali e governative”. Polemiche non sopite dalla riformulazione dell’emendamento 4.7 in cui Maurizio Lupi ha messo in chiaro il riferimento alla legge 515 del 1993 e alla 28 del 2000, quella che regola la par condicio. “È la prima volta che si modifica la par condicio con regole decise nelle stanze di Palazzo Chigi”, attacca Sandro Ruotolo (Pd). Il dem Francesco Boccia parla di “deriva orbaniana”, mentre i 5S, con Dario Carotenuto, denunciano “un atto di arroganza inaccettabile”. Ora la palla torna all’Agcom che dovrà decidere se recepire o meno le modifiche della Vigilanza, che valgono solo per la Rai. Se non lo farà, saremo di fronte al paradosso di due par condicio diverse: una per la tv pubblica e una per le emittenti private.
(da ilfattoquotidiano.it)

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LA LEGA SI SPACCA ANCHE SULLA FESTA DEL QUARANTENNALE. SALVINI INSEGUE IL SENATUR MANDANDOGLI UN INVITO, GIUDICATO “TARDIVO” PER LE CELEBRAZIONI CHE SI SVOLGERANO A VARESE

Aprile 11th, 2024 Riccardo Fucile

I FEDELISSIMI DEL FONDATORE ORGANIZZANO UN CONTRORADUNO A GEMONIO… IERI I MILITANTI DI UNA STORICA SEZIONE LEGHISTA, QUELLA DI TRAVAGLIATO VICINO BRESCIA, HANNO DETTO DI NON RICONOSCERSI NELLA GUIDA DI SALVINI, DEFINITA “ONDIVAGA E CONTRADDITTORIA”: “SENZA UN CONGRESSO NON HA SENSO CONTINUARE”

Adesso la Lega si aggrappa a lui, al vecchio leader che sembrava dimenticato. Ora che si avvicina il quarantennale della fondazione della Lega lombarda, e che le celebrazioni dei “ribelli” sono inevitabilmente destinate ad amplificare il dissenso verso l’attuale gestione, Matteo Salvini prova frettolosamente a rendere omaggio a Umberto Bossi.
Un’operazione di “recupero” del fondatore cominciata una settimana fa, davanti alle telecamere di “Belve”:
«Da quanto tempo non sento Bossi? Da troppo e di questo mi dispiaccio, è una delle mie colpe», aveva detto l’attuale leader. Ieri, 48 ore prima dell’anniversario, un riconoscimento che viaggia su un giornalino distribuito ai militanti: «Siamo una grande comunità in cammino, nel solco del nostro fondatore Umberto Bossi e dell’indimenticabile Roberto Maroni», scrive Salvini.
Che addirittura, fa sapere il segretario della Lega lombarda Fabrizio Cecchetti, ha controfirmato una lettera d’invito al Senatur per una manifestazione organizzata in tutta fretta dal partito “ufficiale” per domenica, a Varese.
La notizia di questo evento — una festa «con risottata» — è stata data solo cinque giorni fa, quando la ricorrenza sembrava ormai dovesse passare sotto silenzio. Ci sono stati problemi organizzativi, si apprende.
Ma nelle chat interne della Lega, che Repubblica ha visionato, non mancano i messaggi di preoccupazione per un flop e per le possibili contestazioni dei “nordisti”. Bossi andrà? Nessuno lo sa. A circolare è però un certo disappunto per quello che viene ritenuto un “ravvedimento tardivo”.
Il sospetto, in ogni caso, è che la “festa” — preceduta sabato da un convegno sull’autonomia a Bergamo — sia stata messa su per coprire le polemiche che già stavano montando sull’assenza di celebrazioni della nascita della Lega bossiana — il 12 aprile 1984 nello studio del notaio Franca Bellorini proprio a Varese — da parte della dirigenza di un partito che al Nord ha perso il proprio appeal.
Ieri i militanti di una storica sezione leghista, quella di Travagliato in provincia di Brescia, hanno minacciato di chiudere la saracinesca dicendo di non riconoscersi nella guida di Salvini, definita “ondivaga e contraddittoria”, ma anche nella “scala gerarchica,” e nel simbolo: «Senza un congresso non ha senso continuare».
«Eravamo partiti per arrivare all’autonomia e al federalismo e siamo arrivati, invece, al fascismo. C’è ancora speranza anche se Salvini ha cambiato rotta di 180 gradi», dice l’architetto Giuseppe Leoni, uno dei fondatori del Carroccio.
«La manifestazione di domenica? Diciamo che hanno voluto metterci una toppa. E cercare di riconquistare i voti persi da queste parti, in vista delle Europee », afferma Paolo Grimoldi, coordinatore del Comitato Nord cui proprio Bossi, nel novembre del 2022, diede vita.
(da la Repubblica)

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I PRIVILEGI DI ESSERE LA “VEDOVA” BERLUSCONI: MARTA FASCINA PUÒ GODERE DI UN UFFICIO PRIVATO A MONTECITORIO, ANCHE SE ALLA CAMERA NON SI PRESENTA QUASI MAI

Aprile 11th, 2024 Riccardo Fucile

I COLLEGHI DI FORZA ITALIA SBUFFANO: “HA UN BAGNO PRIVATO, C’È ANCHE LA DOCCIA, MENTRE NOI SIAMO IN CO-WORKING”… DOPO UN ANNO DI LUTTO, PER LADY FASCINA È ARRIVATO IL MOMENTO DI TORNARE IN POLITICA? UN PRIMO SEGNALE È STATA LA DONAZIONE DI 40MILA EURO AL PARTITO, E IL RIENTRO IN AULA CON NUOVO LOOK

Scripta manent, dicevano i romani. Deve essere un proverbio caro a Marta Fascina, l’ex compagna di Silvio Berlusconi che si credeva ormai rinchiusa a vita privata, fra gli stucchi e le tende di Arcore. E invece ecco riaccendersi in lei la fiamma della politica che le fece incontrare il Cav, anni fa, quando tanto ardore si traduceva in una lunga trafila di lettere sognanti inviate all’ex premier da una studentessa [in forze alla Sapienza di Roma.
Un indizio? Basta seguire le targhe di ottone con il nome di “Lady Berlusconi” inciso sopra – “On. Marta Antonia Fascina” – che iniziano a fioccare sulle porte di Arcore e, si scopre ora, anche della Camera dei Deputati. Uffici politici ad hoc per l’onorevole Marta, casomai decidesse di tornare in campo […]. Ce n’è uno anche al sesto piano del Palazzo dei Gruppi, a fianco di Montecitorio.
Eccola lì, la targhetta d’ottone con il suo nome, appena entrati nel gruppo di Forza Italia. La porta è serrata, con tre mandate. A fianco, senza altre stanze, spunta un bagno per donne che sembra pensato su misura per la vedova di Arcore. “E’ un bagno privato, ha pure la doccia!”, maligna qualche collega. Ma no, è in corridoio, dunque pubblico.
E’ un privilegio che in pochi, pochissimi condividono. Per la verità, quasi nessuno. Stefano Benigni, tesoriere e altro fedelissimo del Fascina-circle, ne ha uno tutto suo. Altri no, si stringono, quattro scrivanie in dieci metri quadri. “Siamo in co-working”, sbuffano ridendo e guardando sognanti la targhetta singola di Marta, quella bella stanza affacciata sui vicoli assolati del centro. Che rimane sempre chiusa, raccontano: lei non c’è (quasi) mai.
L’altro giorno, dopo un lungo, interminabile forfait, ha fatto capolino alla buvette. Saluti, sorrisi timidi sotto gli sguardi indiscreti e curiosi degli onorevoli colleghi. Nuovo look: doppia fede al dito, capelli sciolti. Chissà che non riprenda posto più spesso nel “suo” ufficio al sesto piano. Così simile allo studio personale che ha fatto montare ad Arcore, con tanto di targhette e una “segreteria politica” ad hoc, come ha svelato Il Fatto Quotidiano.
Qualche indizio c’è. I quarantamila euro appena donati al partito, per esempio, un segno di vita. E poi presto potrebbe terminare la “giustificazione” formale che il Gruppo le ha concesso nel primo anno di cordoglio: si vedrà.
(da il Messaggero)

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INQUISITI E RAS: FDI E ALLEATI APRONO LE PORTE

Aprile 11th, 2024 Riccardo Fucile

CACICCHI DELLA MAGGIORANZA: MELONI SCIPPA BIG AGLI ALTRI, LA LEGA PERDE IL NORD E RECLUTA PORTAVOTI NEL MERIDIONE… IN FORZA ITALIA DOMINANO LE SAGHE FAMILIARI

Chi amministra il potere ai confini del- l’Impero? I casi di Bari e Torino che hanno sconvolto il Pd e l’arresto per concorso esterno del meloniano Mimmo Russo a Palermo hanno mostrato come i partiti deleghino troppo spesso a capibastone, trasformisti o cacicchi locali la gestione di nomine, candidature e denaro.
La destra è fatta di leader ed esponenti nazionali che hanno un ruolo di primo piano, ognuno dei quali – vedi Ignazio La Russa e Daniela Santanchè in FdI, o Luca Zaia per la Lega – coltiva certo folte truppe di fedelissimi nei propri territori, ma in tutti i partiti di maggioranza ci sono nomi meno in vista in grado di esercitare una forte influenza.
Fdi porte aperte a tutti
Detto dell’asse La Russa-Santanchè, in Lombardia i giochi si sono complicati non tanto per la crescita dell’eurodeputato Carlo Fidanza, quanto per il ritorno del cacicco Mario Mantovani: dopo una vita in Forza Italia, è uscito pulito da un lungo processo sulla sanità lombarda ed è passato a FdI, dove ora dà le carte. D’altra parte l’ascesa dei meloniani al Nord è legata all’arrivo di classe dirigente dagli alleati, come nel caso della veneta Elena Donazzan, altra ex FI.Altro snodo centrale è la Campania. A Salerno c’è il viceministro Edmondo Cirielli, circondato da amministratori che gli devono molto. Uno su tutti: l’ex consigliere regionale e sindaco di Pagani Alberico Gambino, chiamato alla Farnesina da Cirielli come segretario particolare.
A Napoli invece ha appena vinto il congresso cittadino Marco Nonno, re delle preferenze che definì Mussolini “uno statista” e che si è preso il partito locale anche contro la volontà dello stesso Cirielli. Nel 2022 Nonno decadde da consigliere regionale perché condannato a 2 anni per resistenza a pubblico ufficiale.
Nella stessa assemblea, fino a qualche anno prima, l’uomo forte di FdI era Luciano Passariello, la cui stella s’è eclissata da quando è imputato per corruzione.
Sembra invece eterno il regno di Angelo Michele Iorio, approdato a FdI dopo una quarantennale alternanza tra Dc, Forza Italia e altre formazioni centriste. Quattro volte presidente del Molise, è stato appena rieletto in Consiglio regionale. Da FI arriva pure Salvo Pogliese, campionissimo di preferenze e oggi senatore, dopo che l’avventura da sindaco di Catania è stata complicata da una condanna a 2 anni e 3 mesi per le spese pazze.
Nelle porte girevoli tra FdI e alleati, in Sicilia è arrivato pure Basilio Catanoso, quattro volte deputato tra An e FI, mentre da poche settimane ha fatto le valigie l’europarlamentare Raffaele Stancanelli, primo degli eletti nel 2019 nelle Isole (dopo Giorgia Meloni) ma folgorato sulla via della Lega.
Cose normali, in una coalizione parecchio fluida. Basti pensare che Alfredo Antoniozzi, vice-capogruppo alla Camera con radici in Calabria, è arrivato da Meloni passando da FI e poi da Angelino Alfano (Ncd).
Lega altro che padani
L’ultimo arrivo ha nel curriculum quasi 200 mila preferenze spalmate su due elezioni europee. Si tratta di Aldo Patriciello, europarlamentare per Udc e FI prima di finire nelle liste salviniane. Quel che resta del boom leghista al Sud sono alcuni irriducibili – come il deputato calabrese Domenico Furgiuele, imputato per turbativa d’asta – e straordinari esempi di capacità di adattamento. Un esempio? Luca Sammartino, vicepresidente della Regione Siciliana. Nel 2012, neanche trentenne, prende 12 mila voti con l’Udc; nel 2017 è in lista col Pd e straccia tutti con 32 mila preferenze. Segue Matteo Renzi in Iv e infine arriva alla Lega, con cui conquista un altro seggio.
Roba da far invidia – forse – a un altro colonnello di Salvini nell’isola, quel Nino Minardo quattro volte deputato e strappato nel 2019 a Forza Italia. Il partito siciliano però freme, troppe divisioni. Qui Salvini ha appena spedito il suo fedelissimo Claudio Durigon a fare da commissario regionale, identico ruolo ricoperto in Campania. E pensare che il vero “ufficio” di Durigon è il Lazio, dove ha favorito un travaso di militanti dal sindacato Ugl (di cui è stato dirigente) al Carroccio.
Col Nord che perde pezzi (in Veneto e Friuli dominano gli uomini di Zaia e Fedriga, in Piemonte “resiste” il fortino di Elena Maccanti), Salvini trova riferimenti in altre parti d’Italia.
In Toscana, per esempio, è stimatissima Susanna Ceccardi, la cui parabola politica è nota (sindaca di Cascina e poi europarlamentare), ma meno lo sono i destini di persone cresciute con lei. Come il compagno Andrea Barabotti, deputato, o il suo ex assessore Edoardo Ziello, anche lui onorevole, o ancora Elena Meini, consigliera leghista a Cascina e ora capogruppo in Regione.
Forza Italia vecchie glorie
A fare campagna per FI alle Europee ci sarà Claudio Scajola, sindaco di Imperia per la quarta volta. La sua è anche una questione di famiglia: lo scorso anno il Comune ha assunto con regolare concorso la compagna di Piercarlo Scajola, figlio del sindaco. Il tutto mentre Marco Scajola, nipote di Claudio, da anni è invece assessore della Regione Liguria. Le saghe familiari sono un classico. A dare una mano a FI c’è pure Paolo Romani, decano del berlusconismo il cui figlio, Federico, è presidente del Consiglio regionale lombardo in quota FdI.
In Calabria c’è di che sbizzarrirsi. Il caso più scontato è quello degli Occhiuto, con Roberto presidente della Regione e il fratello Mario già sindaco di Cosenza e attuale senatore. Ma memorabile è la dinasty dei Gentile. Pino Gentile, 80 anni, si è ritirato nel 2020 dopo 7 legislature in Calabria. Da tre anni è però consigliera regionale la figlia Katya, mentre Andrea Gentile, cugino di Katya, è tuttora impelagato in ricorsi per riavere un posto in Parlamento. Se ci riuscirà, sarà l’orgoglio del già citato zio Pino ma pure del padre, Antonio Gentile, a sua volta più volte senatore con una sfilza di partiti nel centrodestra. Non si fa fatica a capire che FI tenga molto alle sue vecchie glorie. Dopo aver guidato la Regione Sardegna, di cui è ancora punto di riferimento per il partito, Ugo Cappellacci è alla seconda legislatura in Parlamento. A fargli compagnia – ma al Senato – c’è Francesco Silvestro, coordinatore di FI a Napoli con sulle spalle un processo per tentata concussione che vola verso la prescrizione. Comunque un novellino, in confronto a un vero cacicco d’epoca come Gianfranco Miccichè oggi all’Assemblea siciliana dove guida un partito nel partito. Serve scorza dura da quelle parti, anche perché la concorrenza non manca, come dimostrano le trattative per le Europee tra Antonio Tajani e l’ex governatore Raffaele Lombardo, che ha rilanciato il proprio movimento. Un po’ come il redivivo Totò Cuffaro, tornato operativo dopo la condanna a 7 anni per favoreggiamento alla mafia. E di Europee, più a Nord, si occupa pure un ex leghista come Flavio Tosi, ormai uomo-mercato per il partito nella vecchia Padania.
(da ilfattoquotidiano.it)

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SUL CORPO DELLE DONNE: LA CORTE SUPREMA DELL’ARIZONA VIETA L’ABORTO FIN DAL CONCEPIMENTO, RIAFFERMANDO LA VALIDITÀ DI UNA LEGGE DEL 1864

Aprile 11th, 2024 Riccardo Fucile

UNA MOSSA SBAGLIATA ANCHE PER I REPUBBLICANI CHE TEMONO UN’EMORRAGIA DI VOTI DI DONNE E GIOVANI VERSO BIDEN

Non piace più nemmeno ai repubblicani, che l’avevano sostenuta, la decisione presa della Corte Suprema dell’Arizona che, riaffermando l’assoluta validità di una legge del 1864 che vieta ogni forma d’aborto fin dal concepimento (salvo quando è in pericolo la vita della madre), rimette l’interruzione di gravidanza al centro del dibattito politico americano. Proprio mentre il Parlamento europeo vota oggi una risoluzione per introdurre l’aborto nella propria Carta dei diritti fondamentali, allarmata dalle scelte di Paesi come Ungheria e Polonia
A essere rispolverata in Arizona è una norma d’altri tempi, scritta quando quello che oggi è uno degli stati essenziali a vincere le elezioni — conservatore, premiò Biden per una manciata di voti nel 2020, ma ora sembra nuovamente orientato a destra — era ancora una frontiera selvaggia, terra di conquista per pionieri e cercatori d’oro che non faceva nemmeno parte degli Stati Uniti: diventata 48esima stella solo nel 1912.
Quel divieto quasi totale era caduto nel dimenticatoio nel 1973, quando l’aborto fu liberalizzato a livello federale con la sentenza Roe vs. Wade. Dopo la cancellazione due anni fa, il Grand Canyon State aveva varato una nuova legge che limitava l’interruzione di gravidanza alle prime 15 settimane. Troppe per gli attivisti pro-life che avevano chiesto alla Corte Suprema locale di ripristinare la regola antica. I giudici, tutti repubblicani, gli hanno dato ragione non essendo mai stata abolita, la 13-3603 è ancora in vigore. Imponendo però una pausa di due settimane per consentire a tribunali di rango inferiore di esaminare ricorsi di incostituzionalità già in calendario.
Nelle ore successive alla sentenza, anche i repubblicani che in precedenza avevano fervidamente sostenuto le limitazioni si sono trovati in difficoltà.
Arrivata all’indomani delle affermazioni di Trump sull’aborto, quando a caccia di voti moderati aveva detto che la scelta «spetta ai singoli stati», convinto di ribaltare a suo favore uno degli argomenti principali dei dem, la sentenza non aiuta i repubblicani in uno stato in bilico come l’Arizona.
Rischia di portare alle urne molte più donne e giovani, motivandoli a votare dem. [«I giudici hanno esagerato », si è affrettato a commentare Trump. «Io non firmerei il divieto a livello nazionale».
(da la Repubblica)

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