Destra di Popolo.net

LE ARMI SPUNTATE DELLA MAGISTRATURA NELLA GUERRA ALLE NUOVE TANGENTOPOLI

Maggio 12th, 2024 Riccardo Fucile

ABUSO D’UFFICIO, L’USO DEI TROJAN NELLE INTERCETTAZIONI E IL TRAFFICO DI INFLUENZE: TUTTI I RITOCCHI AL CODICE PENALE PER INDEBOLIRE IL LAVORO DEI GIUDICI

Se in questi giorni di inchieste e grandi scandali qualcuno vi racconterà che in Italia è tornata la corruzione, voi non credetegli. Perché in Italia la corruzione – dai tempi di Mani Pulite in poi – non se n’è mai andata. Genova oggi. Bari, Torino, Palermo ieri. E prima ancora Roma, Milano. Nel Paese che si prepara all’autonomia differenziata, se c’è qualcosa che non cambia a nessuna latitudine, ecco quel qualcosa è proprio la corruzione.
Secondo stime del centro di ricerca Rand, ogni anno all’Italia la corruzione costa 237 miliardi, circa il 13 per cento del Pil. Si indaga a Nord come a Sud, sono travolte giunte di destra e di sinistra. Si paga con le vecchie e care mazzette in denaro contante o con le “altre regalie” (viaggi, regali di lusso, escort), ci sono i facilitatori e i prestanome, corrompono i mafiosi e i piccoli artigiani, si ruba sui grandi appalti e sulle sagre di paese.
Quello che è cambiato, però, è l’approccio dei governi che si sono succeduti. Il governo Meloni, in particolare, sta mettendo a punto tutta una serie di norme e provvedimenti che più che provare a contrastare un fenomeno endemico sembrano voler spuntare le armi a chi quel fenomeno cerca di combatterlo.
L’abolizione dell’abuso di ufficio, la nuova formulazione dei reati sul traffico di influenze. E ancora: la limitazione di strumenti di indagine come i trojan per i reati contro la pubblica amministrazione e le norme “di semplificazione” sugli appalti pubblici, sempre auspicate e in parte già realizzate dal ministro Salvini, sono tutti tasselli di un grande mosaico che rende ogni giorno più difficile la vita delle guardie. Più facile quelle di corrotti e corruttori.
Il report
Su questi argomenti è difficile avere dei numeri affidabili che rendano l’idea della situazione. Spesso si racconta la favola secondo cui nessuna inchiesta finisca con condanne definitive. In realtà basta restare a quello che è accaduto negli ultimi mesi: l’ex parlamentare della Lega, Gianluca Pini, ha patteggiato un anno e 11 mesi per corruzione nell’inchiesta sulla fornitura di mascherine alle Asl dell’Emilia Romagna. E per corruzione hanno patteggiato (a un anno e 4 mesi) l’europarlamentare di Fratelli d’Italia, Carlo Fidanza, e il deputato Giangiacomo Calovini. Per corruzione è indagato (e ha chiesto di patteggiare a 2 anni e dieci mesi) anche il cognato del ministro Salvini, Tommaso Verdini, figlio di Denis. Insomma, la cronaca documenta come i processi spesso finiscono con condanne.
Tornando alle statistiche, da tempo viene considerato come autorevole il Corruption perception index, un indice realizzato da Transparency International che segnala appunto il grado di corruzione percepita in ogni singolo paese. L’indice è il risultato di una sintesi fra gli indicatori di 13 diverse fonti fra cui Banca Mondiale, World Economic Forum, società private di consulenza e gestione del rischio, ed è mirato alla grande corruzione pubblica. Quando si parla di percezione, quindi, si fa riferimento a quella della comunità internazionale e finanziaria. Bene. L’Italia è in 42esima posizione su 180, nove punti sotto la media europea. Va molto meglio di Paesi come l’Ungheria, che è ultima in classifica (14 punti in più). Ma molto peggio di Paesi come Finlandia, Norvegia e Svezia che sono ai primi posti nella classifica. Negli ultimi dieci anni il nostro Paese ha fatto importanti passi in avanti, registrando poi una frenata proprio con l’arrivo del governo Meloni: un posto in meno in graduatoria e nessun punto in più. Troppo poco, chiaramente, per emettere un giudizio definitivo (anche perché tra i parametri che vengono valutati ci sono problemi enormi, come la durata dei processi, che non possono essere risolti in pochi mesi) ma chiaramente un’indicazione importante.
Le nuove misure
Ancor più se viene letta nella chiave delle misure in tema di giustizia e appalti pubblici che il governo Meloni sta prendendo nonostante le proteste di magistrati e addetti ai lavori. Nelle prossime ore verrà pubblicato il nuovo dossier dell’Anac, l’Autorità anticorruzione, che seppur svuotata di capacità di incidere, rappresenta uno dei baluardi del nostro Paese: da tempo il presidente Giuseppe Busia denuncia – come è accaduto nel caso di Genova – il fatto che le nuove regole sugli appalti pubblici aprano strade ai predoni. E questo è ancora più vero oggi, con i grandi cantieri del Pnrr, per non parlare del Ponte sullo Stretto.
A preoccupare, poi, è il pacchetto di norme in parte già approvato e in parte prossimo al via libera che il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha preparato. L’abolizione dell’abuso di ufficio è stata raccontata come l’eliminazione di un inutile orpello per gli amministratori. Ma in realtà, documentano le ultime sentenze di condanna in Cassazione (3.600 dal 1997 a oggi), rappresentava un argine importante: per dire, quei sindaci e assessori che erano stati condannati per aver annullato delle cartelle esattoriali a loro elettori, alla vigilia di una campagna elettorale, oggi non lo sarebbero più. Per non parlare dell’abolizione del traffico di influenze, misura nell’agenda del governo: dal caso Palamara a quello Alemanno, sarebbero tutti salvi senza quel reato. Così come l’inchiesta di Genova, e decine di altre, non sarebbe esistita se fosse stato in vigore l’emendamento Costa adottato dalla maggioranza di centrodestra: niente trojan, cioè microspie dentro i telefoni, per i reati contro la pubblica amministrazione. Perché la maniera migliore per non trovarla, la corruzione, alla fine è non cercarla.
(da agenzie)

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CORRUZIONE, I PM INDAGANO ANCHE SUI DEPOSITI CHIMICI: SOSPETTI SUL CAMBIO DI ROTTA DEL CTR

Maggio 12th, 2024 Riccardo Fucile

LE INTERCETTAZIONI DI TOTI E BUCCI SUL RISIKO DELLE BANCHINE

Per ora non ci sono ipotesi di reato né iscritti nel registro degli indagati ma la procura di Genova ha aperto un fascicolo sulla discussa partita del dislocamento dei depositi chimici di Superba e Carmagnani da Multedo, nel ponente cittadino, a ponte Somalia, nel porto di Sampierdarena.
Il progetto, su cui mercoledì è arrivato un sostanziale stop del Tar (che ha contestato sia l’iter autorizzativo sia i fondi del decreto Genova stanziati da Bucci, in qualità di commissario straordinario, per l’operazione), è stato da sempre osteggiato dagli abitanti di Sampierdarena, ma anche da diversi operatori portuali – per ragioni di concorrenza sulle banchine – e da gran parte dell’opposizione.
I pm genovesi pensano che il via libera alla decisione sia arrivati dopo pressioni indebite. A insospettire è stata la giravolta del Ctr, comitato tecnico regionale, che inizialmente si era espresso definitivamente sul dislocamento per motivi di sicurezza. Poi, però, in 9 giorni, la posizione era cambiata. Dal no si era passati a un sì condizionato. Nel frattempo, però, erano accaduti fatti poco chiari. Una riunione del Ctr si era interrotta per un malore del presidente, il comandante dei vigili del fuoco Claudio Manzella. Nei giorni successivi il documento di via libera era arrivato, benché condizionato, e con due mesi di ritardo rispetto alle scadenze stabilite per legge.
Il procuratore aggiunto Vittorio Ranieri Miniati, che coordina il pool che si occupa di reati contro la pubblica amministrazione, vuole capire cosa sia successo in quella settimana. Gli stessi dubbi, d’altronde, erano stati sollevati dalle Officine Sampierdarenesi che con la presidente Barbara Barroero avevano presentato un esposto proprio sulla procedura del rilascio del rapporto preliminare di sicurezza. Ed è confermato che gli inquirenti abbiano raccolto negli ultimi mesi diversi riscontri alle proprie ipotesi.
Adesso, dalle carte della maxi inchiesta per corruzione si trovano diversi dialoghi che portano a collegare vari personaggi e partite. Dialoghi tra Giovanni Toti e Aldo Spinelli e telefonate tra Toti e il sindaco di Genova Marco Bucci, che non è indagato. Perché, questa l’ipotesi, i depositi chimici a Ponte Somalia sarebbero stata una soluzione gradita anche al terminalista ora agli arresti domiciliari e che, proprio stamani, sarà sentito nell’interrogatorio di garanzia.
Ponte Somalia, come si legge in una delle intercettazioni in cui Toti parla a Spinelli, era la soluzione per “fare contenti tutti”. Spostando lì i depositi chimici si sarebbe tenuta libera un’altra alternativa – indicata a lungo dagli studi come percorribile – ovvero quella calata Concenter, sotto la Lanterna, su cui però Spinelli (che occupa anche la vicina banchina ex carbonile) aveva altre mire e di cui ha chiesto, infatti, il tombamento.
In un dialogo intercettato tra Toti e Bucci riportato nell’ordinanza di custodia cautelare, parlando dello sviluppo portuale, presidente della Regione e sindaco parlano dei molti “desiderata” da parte degli operatori. Bucci paragona gli imprenditori portuali “ai maiali a cui dava da mangiare da piccolo”. Toti conta di ottenere dagli stessi nuovi finanziamenti, in particolare Spinelli, in quanto prossimo a ottenere dall’allora presidente del porto Signorini quanto caldeggiato con la concessione trentennale del terminal Rinfuse.
Toti parla di “assalto alla diligenza” da parte degli operatori: “Aponte si prende il suo, quell’altro si prende il suo, Spinelli si prende il suo e noi? (ridendo) Non ci danno un cazzo?”.. Bucci usa la metafora dei maiali e poi Toti: “va beh con l’anno nuovo bisogna fare il giro di tutti i grandi del porto…”, Bucci concorda: “Eh beh certo, bisogna farlo…”. Toti: “Aponte…Spinelli ora è abbastanza tranquillo se Signorini gli da quel…” e Bucci: “Sì, Spinelli è a posto”.
Qui emerge il collegamento con la partita “depositi”. Toti: “Spinelli vuole che gli tombiamo quel cazzo di Concenter…” e Bucci: “Certo! Infatti noi lo tombiamo, appena ci risolvono il problema dei depositi, tombiamo. Glielo dico chiaro e tondo io… hai capito?”. Toti: “Sì, ma sui depositi Spinelli è neutrale eh… non gliene fotte neanche…”. E Bucci: “No ma lui anzi, dice che va bene…da quel punto di vista lì, ci ci supporta”.
(da Genova24)

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CORRUZIONE IN LIGURIA, ECCO CHI SONO I 30 INDAGATI DELLA MAXI-INCHIESTA

Maggio 12th, 2024 Riccardo Fucile

DA TOTI A NOTI IMPRENDITORI, CON ACCUSE CHE VANNO DALLA CORRUZIONE AL VOTO DI SCAMBIO, IN ALCUNI CASI CON L’AGGRAVANTE DELL’AVER AGEVOLATO COSA NOSTRA

È nata grazie alla trasmissione degli atti dalla Procura della Spezia, che stava indagando sull’allora sindaco di Portovenere Matteo Cozzani, la mini “tangentopoli” genovese, che che ha visto la procura distrettuale chiedere e ottenere gli arresti domiciliari per il governatore Giovanni Toti, il suo capo di gabinetto Cozzani, l’imprenditore della Logistica Aldo Spinelli e l’ex presidente dell’autorità portuale e ad (sospeso) di Iren Paolo Signorini che si trova adesso in carcere.
L’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Genova, coordinata dal procuratore Nicola Piacente (e condotta dagli aggiunti Francesco Pinto e Vittorio Ranieri Miniati e dai pm Federico Manotti e Luca Monteverde) conta in tutto al momento 30 indagati ed è di fatto composta di due parti.
Da un lato ci sono, secondo l’accusa, i voti cercati nella comunità riesina e tra gli ambienti legati a Cosa Nostra e alla ‘Ndrangheta in cambio di posti di lavoro e favori per ottenere case popolari. Dall’altro i finanziamenti illeciti ottenuti da imprenditori per ottenere lo snellimento o la risoluzione di pratiche: dalla trasformazione da libera a privata della spiaggia di Punta Dell’Olmo per agevolare l’iter di una pratica edilizia di interesse di Aldo Spinelli e Roberto Spinelli alla pratica di rinnovo per trent’anni della concessione del Terminal Rinfuse alla Terminal Rinfuse Genova controllata al 55% dalla Spinelli.), fino all’assegnazione a Spinelli degli spazi portuali ex Carbonile Itar e Carbonile Levante, o l’agevolazione nella pratica del tombamento di calata Concenter.
I 30 indagati dell’inchiesta genovese
Ad essere indagati nell’inchiesta genovese sono lo stesso Matteo Cozzani che a Genova è indagato per corruzione aggravata dall’aver favorito Cosa nostra. Poi c’è Giovanni Toti indagato di corruzione semplice continuata, corruzione aggravata dall’aver agevolato la mafia e falso e anche falso per la vicenda delle discariche savonesi, Aldo Spinelli, indagato per corruzione e suo fratello Roberto Spinelli (corruzione).
C’è l’ex presidente dell’autorità portuale Paolo Emilio Signorini (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio), gli imprenditori Luigi Amico (corruzione) Francesco Moncada (corruzione) Mauro Vianello (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio e corruzione), il consigliere regionale Stefano Anzalone, Domenico Cianci, Maurizio e Arturo Testa (voto di scambio aggravato dall’avere agevolato la mafia) e il consigliere comunale di Genova Umberto Lo Grasso (favoreggiamento), Venanzio Maurici (voto di scambio aggravato dall’avere agevolato la mafia), l’attuale commissario dell’authority del porto Paolo Piacenza (omessa denuncia) la funzionaria dell’Adsp Antonella Traverso (omessa denuncia) e ancora Ivana Catarinolo, Giovanni Di Carlo, Francesco Cornicelli, Biagio Zambitto, Giuseppe Soldano, Alessandro Cartosio, Francesco e Filippo Ania, Carmelo Griffo, Giovanni Ferroni, Santo Inturri, Elisabetta Pinna (voto di scambio). Nell’elenco ci sono anche l’editore di Primocanale Maurizio Rossi (finanziamento illecito) e Pietro Colucci (corruzione).
Gli 11 indagati della costola d’indagine rimasta alla Spezia
L’inchiesta sul ‘sistema Cozzani’ nello spezzino con 11 indagati: Matteo Cozzani accusato di corruzione e turbata libertà degli incanti e suo fratello Filippo Cozzani che fa l’imprenditore e gli imprenditori Raffaele e Mirco Paletti.
Ci sono Saverio Cecchi e Alessandro Campagna, rispettivamente presidente (oggi autosospeso) e direttore commerciale del Salone nautico di Genova, Ivan Pitto e Giovanni Olcese, Francesco Fiorino, Massimo Gianello e Filippo Beggi. I filoni d’inchiesta riguardano una serie di affari come installazione di pannelli a led, acquisizione di ristoranti, realizzazione di stabilimenti balneari sull’isola di Palmaria fino all’aumento esponenziale dei contributi regionali al Salone nautico in cambio di una fornitura di acqua in tetrapak per il fratello Filippo.
(da Genova24)

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INCHIESTA CORRUZIONE LIGURIA, SPINELLI TEMEVA INTERCETTAZIONI PER UNA RELAZIONE SENTIMENTALE

Maggio 12th, 2024 Riccardo Fucile

IL TERMINALISTA AVEVA RIOCEVUTO MINACCE PER LA RELAZIONE

Aldo Spinelli, accusato di essere il grande corruttore del sistema politico affaristico di Giovanni Toti, temeva di avere i telefoni sotto controllo per una questione sentimentale.
Lo spiega un passaggio delle carte depositate nell’inchiesta che ha portato in carcere il presidente del porto Paolo Emilio Signorini e Spinelli, Toti e il suo capo di gabinetto Matteo Cozzani ai domiciliari. In una conversazione con una donna dell’ottobre 2022 l’imprenditore spiega, scrivono gli inquirenti di «essere convinto di avere i telefoni suo e della donna con cui ha una relazione, sotto intercettazione per via di “quella vicenda che abbiamo” alludendo ad una telefonata minatoria precedentemente ricevuta e riconducibile alla relazione sentimentale fra i due”.
Un’altra volta a Signorini spiega: “C’abbiamo i telefoni sotto controllo, … quindi basta dirsi poco e niente”. Il presidente del porto cercava di capire da cosa derivasse questa certezza
E Spinelli riferito alla donna “non le han detto niente, non le possono dire niente, l’hanno chiamata i carabinieri, perché poi loro fanno indagano e poi la passano al giudice”.
Ma per questa ragione Spinelli in un determinato periodo evitava di parlare al telefono di argomenti d’affari.
E visto che la prudenza non è mai troppa, anche a bordo del Leila 2 lo yacht di Spinelli a bordo del quale si sarebbero decisi molti degli accordi illeciti contestati dalla procura, si prendevano delle “precauzioni”.
Lo stesso Spinelli, il figlio Roberto, e l’allora presidente dell’Autorità portuale Paolo Emilio Signorini lasciavano i telefoni su un tavolo esterno prima di entrare nella barca. Un modo, secondo gli investigatori, per evitare di essere intercettati da eventuali trojan sugli smartphone, inconsapevoli però che lo stesso natante fosse stato imbottito di microspie e una videocamera collocata all’esterno.
E ieri mattina Spinelli è stato protagonista di un siparietto a palazzo di giustizia. Doveva anche lui comparire dalla gip Paola Faggioni ma l’interrogatorio è saltato ed è stato rinviato perché la cancelleria non ha inviato la pec di convocazione agli avvocati Vernazza e Gatto. E Spinelli, che non è abituato a starsene zitto: “Gli avvocati non ci sono, mi hanno lasciato solo” ha detto sorridendo. Ma “saprete tutto lunedì”. Poi ai cronisti ha risposto “Guardi, male non fare paura non avere”.
(da agenzie)

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‘CAPITONE’, SEI CONNESSO? PROBLEMI TECNICI PER MATTEO SALVINI DURANTE LA SUA DIRETTA SOCIAL: A UN CERTO PUNTO DELLA “LIVE”, IL VIDEO DEL VICEPREMIER SI INTERROMPE E VIENE SOSTITUITO DA QUELLO DI UN BARBUTO TATUATORE, IMPEGNATO A DECORARE IL BRACCIO DI UNA DONNA

Maggio 12th, 2024 Riccardo Fucile

NESSUN ATTACCO HACKER O CAMBIO DI LOOK, SI TRATTAVA DI “PROBLEMI DI CONNESSIONE”

Matteo Salvini, quando non incontra di persona i suoi elettori, cerca di raggiungerli attraverso le dirette sui social. Tuttavia ieri qualcosa è andato storto.
Mentre il segretario della Lega, a braccio, disserta dei temi più disparati il suo video sembra bloccato, mentre la voce va avanti.
Lo schermo diventa nero. E dopo qualche secondo appare un altro contenuto.
Sugli schermi dei follower di Salvini appare un tatuatore impegnato a decorare il braccio di una donna, forse in una cascina.
I due soggetti misteriosi vengono mostrati per circa sei minuti, poi la trasmissione è interrotta.
Nel gruppo Whatsapp in cui lo staff di Salvini comunica con i giornalisti, l’accaduto viene spiegato con un semplice «problema di connessione».
(da Open)

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SGARBI: LE CHAT LO INCHIODANO AL QUADRO ESPORTATO

Maggio 12th, 2024 Riccardo Fucile

CHIUSA L’INDAGINE A IMPERIA: DELLA TELA DI DE BOULOGNE PORTATA ILLECITAMENTE NEL PRINCIPATO DI MONACO NASCOSTA IN UN FURGONE, IL POLITICO SAPEVA TUTTO

È una fresca mattina di fine febbraio del 2020, un furgone si arrampica sui ripidi tornanti della strada che da Ventimiglia porta a Montecarlo facendo tutta la costa della montagna, la stessa dove Grace Kelly precipitò per 40 metri. Chi lo guida lo sa perfettamente, l’ha scelta apposta, dovendo gestire “un trasporto top secret”: nel retro del furgone ci sono mobili e scatole ma al centro – coperto da uno strato di gommapiuma, due di pluriball e una velina – c’è un capolavoro del ‘600 che vale 5,5 milioni di euro. E nessuna autorizzazione a esportarlo.
La compagna di Vittorio Sgarbi Sabrina Colle però l’ha detto più volte: speriamo si riesca a venderlo altrimenti “è una rovina”. L’aveva pure scritto all’amico e impresario d’arte Gianni Filippini e – sentito Sgarbi – erano partite vorticose trattative sul prezzo: da 5,5 a 4 milioni, ma anche 1,2, secondo i diversi canali di vendita tentati, tra banche svizzere e facoltosi collezionisti sparsi tra Europa, Africa e Stati Uniti. Ecco le chat che incastrano Sgarbi&c.
Lui, la compagna Colle e l’impresario sono tutti imputati nell’indagine per esportazione illecita del dipinto Concerto con Bevitore attribuito al caravaggesco Valentin de Boulogne sequestrato l’11 giugno 2021 nel Principato di Monaco. L’inchiesta era partita nel 2019 da Siracusa ed era stata trasferita a Imperia nel 2021. Quella giornalistica condotta dal Fatto con Report ha poi fornito contributi decisivi al suo sviluppo, tanto che ora corre spedita verso la richiesta di processo. Entro maggio dovrebbe concludersi anche quella avviata dalla Procura di Macerata per riciclaggio di opere d’arte legata al famoso “Manetti” con la candela, il dipinto che si sospetta rubato al Castello di Buriasco nel 2013, terzo filone dell’inchiesta giornalista.
Il sottosegretario che si è dimesso a causa delle incompatibilità – ma avendo già in tasca la candidatura a Bruxelles – così poco se ne cura da aver scelto come “mandatario elettorale” proprio Sabrina Colle, coimputata in due delle tre indagini a carico, contando quella per evasione fiscale alla Procura di Roma. In Italia il problema sono sempre stati i candidati “impresentabili”, con la coppia Sgarbi-Colle pure i garanti dei candidati lo diventano.
Gli elementi a loro carico raccolti a Imperia, ora a disposizione delle parti, sembrano piuttosto pesanti. La relazione tecnico scientifica dell’Istituto Italiano del Restauro smonta la versione del critico secondo cui il dipinto sequestrato era “solo una replica fatta da un pittore italiano nel 1980”, come ha più volte ripetuto. Una “copia recente” e così brutta da non meritare neppure una sua expertise, che invece esisteva eccome. Le analisi a raggi x, spettrometria fluorescente, radiografia etc del perito hanno permesso però di accertare che quel dipinto è del ‘600. E la sua conclusione è che potrebbe essere davvero l’originale del caravaggesco francese (vedi a fianco). Sgarbi ha poi sostenuto che l’opera incriminata non fosse di sua proprietà, a costo di accollarla a un morto, sostenendo fosse dell’editore d’arte e organizzatore di mostre reggino Augusto Tota, venendo subito smentito dalla figlia di lui (“è una vera infamia, è morto un anno fa e non può difendersi”). Anche questo tassello finisce in pezzi sotto il peso degli elementi raccolti dal Nucleo Tutela Patrimonio di Roma.
Decisiva è la testimonianza resa da Mirella Setzu, gallerista cagliaritana che si era impegnata a garantire la collocazione del dipinto sul mercato internazionale esponendola alla fiera d’arte di Maastricht che si sarebbe svolta a marzo 2020. La sua posizione è stata stralciata, avendo fornito contributi essenziali a ricostruire la vicenda. A contattarla, racconta, era stato l’impresario Gianni Filippini dicendole che Sgarbi poteva presentare alla fiera due o tre opere di sua proprietà per la vendita. Il racconto trova riscontri puntuali nei messaggi che Filippini nel frattempo scambia con la Colle, la compagna di Sgarbi che ora certifica per lui le spese elettorali. “Sabrina, posso aiutarti a fare cassa con due banche estere. Potreste vendere qualche opera della vostra collezione”, dietro “equa commissione”. E ancora: “Ciao Sabrina hai parlato con Vittorio? Devo sapere cosa avete deciso, e poi vi spiegherò le condizioni”. La risposta sarà: “Ho parlato con Vittorio, mi ha detto: proponi il Perugino e il Valentin de Boulogne alla banca”.
Le chat consentono anche di ricostruire il rocambolesco viaggio per portare l’opera all’estero senza permessi. Filippini indica alla Setzu una persona di fiducia per il trasporto, a carico della società intermediaria Switzerlart. Sabrina Colle si fa avanti: “Si Gianni, devo chiamarti perché io ho una società”. Si tratta di quella Hestia Srl con cui fatturava per Sgarbi comparsate e presentazioni a pagamento poi giudicate incompatibili da Agcm. Viene anche predisposto un contratto, ma alla fine non sarà sottoscritto dalla controparte svizzera proprio per la mancanza di documentazione che attesti l’esportazione legale dell’opera.
I due incaricati del trasferimento ricevono precise istruzioni e riferiscono ogni fase della missione. Dai messaggi si evince la consapevolezza di quanto fosse delicato il carico. Prima di partire, il trasportatore monta sul furgone “mobili, scatole e cazzate”. Il 25 febbraio 2020 l’opera, 97 cm per 133, viene prelevata presso la casa del critico per essere portata l’indomani a destinazione, impacchettata secondo le indicazioni di Filippini. A consegnarla è Alessandro Bertazzini (non indagato), il tenutario della collezione Cavallini-Sgarbi. In serata i due fanno sosta a Ventimiglia, presso l’hotel Villa Eva. Il Valentin ha dormito benissimo e sta bene, assicura lei. Spiega che con l’autista si sono accordati di usare la strada che collega La Turbie a Monaco dove “non sono previsti controlli”. Sono stati fermati a Menton ma… “qualche minuto di chiacchiere… e ce la siamo cavata”. “Perfetto”, la risposta di Filippini.
Nel viaggio si ragiona dei pochi soldi pattuiti rispetto al valore della merce e dei relativi rischi. Il 2% di 5,5 milioni fa 110mila euro, il 3% 165mila, è il “pensiero della sera”. Il compenso gira invece attorno a 3mila euro “cash”. La signora Setzu pretende la fattura, ma da Sgarbi&c non è arriva un bel nulla, tanto che la garante lamenta di aver anticipato di tasca propria 300euro di spese. L’opera viene consegnata a Montecarlo la mattina del 26 febbraio con una “simil bolla” di accompagnamento ma senza un certificato dell’Ufficio Esportazioni del Mic: l’ulteriore elemento che prova l’esportazione illecita. Il 24 febbraio 2021 la Setzu riceverà dalla segreteria dell’allora deputato “un expertise a firma di Sgarbi” che confermava l’attribuzione al De Boulogne.
Dopo la consegna, la signora mantiene i contatti con la Colle che le rappresenta la necessità di venderla perché Sgarbi aveva delle “situazioni da definire”. La richiesta di vendita della proprietà era di circa 1.200.000, spiega la donna. Meno dei 5,5 iniziali, ma ben più dei 10mila euro con cui risulta fosse stato acquistato nel 2014, tramite un autista di Sgarbi, a una famiglia bergamasca in difficoltà ignara del tesoro appeso nel salotto. Le cose da “definire” potevano essere debiti da ripianare.
Vero è che in quelle settimane Sgarbi&c sondano tutta una serie di operazioni di cui il Valentin è il pezzo forte, ma non l’unico. I messaggi si rincorrono a metà febbraio 2020. Filippini: “Sabrina, forse ho una persona che potrebbe acquistare il Valentin. È un miliardario sudafricano che si chiama Dick Enthoven. Gli chiedo 2,5 milioni trattabili. Che dici? Chiedilo a Vittorio”. In un messaggio del 4 maggio rilancia: ”Ciao Sabrina hai novità per il Valentin? Con Mirella ti stai sentendo? Invia un contratto per certificare che l’opera è in deposito e la proprietà è tua”. Spiega poi di aver inoltrato la scheda del dipinto a una società d’investimenti a New York per sondarne l’interesse all’acquisto. Viene anche ventilata un’operazione più ardita. Un modo per mettere a frutto opere del valore di 18 milioni di euro da utilizzare come “collaterali per fare cassa” o per costituire un fondo, vendendo in modo parcellizzato le azioni e generando così un “rendimento mensile”. L’operazione salta perché Sgarbi ha paura a spostare le opere. Laconico il commento della Colle: “Speriamo si riesca a vendere il quadro altrimenti è una rovina”.
(da ilfattoquotidiano.it)

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“SPINELLI PREPARO’ LA VACANZA PER SIGNORINI A LAS VEGAS”

Maggio 12th, 2024 Riccardo Fucile

VOLO, HOTEL DI LUSSO E CARTA DI CREDITO DA 500.000 DOLLARI… I BONIFICI A TOTI

Le migliaia di pagine dell’inchiesta che ha portato ai domiciliari per corruzione Aldo Spinelli e Giovanni Toti restituiscono l’affresco dei rapporti tra il re della logistica portuale e la politica che, almeno nel caso del Governatore, assumono i connotati della spregiudicatezza secondo la Procura di Genova.
L’immagine di Spinelli più efficace la tratteggia un uomo finito in un’intercettazione: «Quali sono le sue armi vincenti? Il sorriso, la battuta, la quinta elementare, però ha anche i cogli…, soprattutto, e il quasi illimitato numero di persone che lui in un qualche modo paga», «con pranzi, orologi, soldi, ma paga. Che è il modo di lavorare che aveva cinquant’anni fa ed è lo stesso che ha anche adesso».
Spinelli ha un legame con Toti consolidato dalla corruzione, dicono i pm del procuratore Nicola Piacente, ma non trascura i rapporti con il Pd. Incontra lo stato maggiore del principale partito di opposizione sul suo yacht Leila 2, ormeggiato alla Marina Fiera, nei momenti caldi della proroga della concessione del terminal Rinfuse, atto di vitale importanza per la sua azienda.
Il 29 ottobre 2021 l’iter va in stallo per tre componenti del comitato dell’Autorità portuale che si mettono di traverso perché sentono puzza di corruzione. Intorno alle 13, le immagini delle telecamere acquisite dalla Finanza immortalano l’arrivo a pranzo del leader del Pd ligure Claudio Burlando, ex sindaco, ex Governatore, ex ministro dei Trasporti, e di Armando Sanna, vice presidente del Consiglio regionale. L’incontro doveva rimanere segreto, ma la notizia viene fuori provocando la «reazione stizzita» di Toti che lo considera un «tradimento». Il suo messaggio il giorno dopo è glaciale: «Ora ho capito perché non ho visto nulla per le elezioni di Savona che abbiamo perso perché tu non ci hai aiutato».
Venti giorni prima, quando aveva bisogno di fondi per le comunali di Savona e gli aveva detto «non ti dimenticare di me», Toti si era sentito rassicurare: «No, appena c’è il Comitato che va in porto (su Rinfuse, ndr) stai tranquillo all’indomani ti chiamo subito». Dovrà aspettare dicembre. Niente soldi ed elezioni al centrosinistra.
Toti non se la tiene e per ritorsione ordina al Presidente dell’Autorità Portuale Paolo Signorini (in carcere) di rallentare la pratica cara a Spinelli e per un po’ non si fa trovare dall’imprenditore, il quale ammonisce così il figlio preoccupato: «Noi non siamo vicini a nessuno. Siamo con tutti». Qualche giorno dopo si risente con Toti. «Son sempre un tuo amico, ricordatelo», gli dice. Emerge quindi un finanziamento al Carroccio che, annotano i pm, «lungi da essere un atto di liberalità, è chiaramente inteso e concepito dall’imprenditore esclusivamente come “leva” per ottenere dei provvedimenti di favore».
Spinelli parteciperà ad un evento alla presenza del ministro leghista Giancarlo Giorgetti al quale chiederà fondi per la città, dice a Signorini, il quale commenta che quello «per Genova non ha mai fatto una mazza». Spinelli risponde: «Gli abbiamo già fatto un bonifico anche a loro eh, alla Lega», «poi gliene facciamo un altro stai tranquillo», perché «finanzio il partito», «ho mandato al partito quindici… a lui e quindici a Toti».
Non è lusinghiero il giudizio del sindaco Marco Bucci sugli operatori che gravitano sul porto che pretenderebbero tutto per loro. «A noi? Non ci danno un c…», dice al telefono mentre conversa con Giovanni Toti. Conclude con una riflessione pesante «paragonando la situazione ai maiali a cui dava da mangiare da piccolo», scrivono gli inquirenti.
Per affrontare l’Autorità che ha difficoltà a piegare nonostante le tangenti, Spinelli pensa di affidarsi alla figura dell’ex procuratore della Repubblica di Genova Francesco Cozzi. Al magistrato dell’inchiesta sul ponte Morandi, che fa l’avvocato dopo essere andato in pensione, propone di fargli da «super consulente per le diatribe con gli uffici», incarico al quale i pm dicono di non aver trovato riscontri. «Abbiamo preso un consulente adesso, il Procuratore capo di Genova», confida a uno dei componenti che si oppongono. Che gli risponde «io ho assunto i due figli dei due Procuratori». Spinelli: «Hai fatto bene». E l’altro: «Veniamo dalla stessa scuola (…) perché in un mondo di cogli… come questo se non ti puoi parare il c… così poi sono c…».
Manca un niente all’approvazione delle Rinfuse, anche se da tempo paga i weekend del prezioso Signorini a Montecarlo (74 mila euro), l’ultraottantenne Spinelli vuole chiudere l’anno stupendolo con sei giorni per 4 persone a Las Vegas. Tutto a suo carico, casinò compreso.
Per essere sicuro di poter pagare negli Usa, chiama la sua banca a Montecarlo per innalzare il tetto della carta di credito fino a 500 mila dollari. «Abbiamo tutti i soldi che vogliamo c’ho tre carte (ma ne elenca 4, ndr), una da 500, una da 300, una da 150, una da 75». Il programma? Volo in prima classe da 4.850 euro a testa, doppio appartamento per lui e signora e suite per Signorini e compagna nello stesso albergo del casinò che, però, sarà gratis se nei 6 giorni di permanenza giocheranno almeno venti ore: «Ma noi le giochiamo in un giorno. A Montecarlo facciamo otto ore al giorno di dadi. Puoi immaginare in America. Quindi l’hotel ce l’abbiamo tutto già gratuito hai capito?».
Il viaggio salterà per un problema familiare di Signorini. Si ripiega, si fa per dire, sul lussuoso Hotel de Paris e sui tavoli da gioco di Montecarlo.
(da Il Corriere della Sera)

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UNO DEI MASSIMI ESPERTI MONDIALI DI PORTI: “IL PROGETTO DELLA DIGA DI GENOVA E’ PERICOLOSO, GIUSTIFICATO SOLO DA INTERESSI CHE CHIARIRANNO I GIUDICI”

Maggio 12th, 2024 Riccardo Fucile

PIERO SILVA, DOCENTE DI PIANIFICAZIONE PORTUALE IN FRANCIA, HA COSTRUITO DIGHE IN 64 PAESI: “SI PUO’ COSTRUIRE IN SICUREZZA SPENDENDO LA META’, MA A QUALCUNO NON INTERESSA”

«Ho letto le parole del presidente Anac Giuseppe Busia sul progetto della maxi Diga di Genova e soprattutto dopo aver letto dell’inchiesta per corruzione che coinvolge l’ex presidente del porto e il presidente della Regione devo iniziare a pensare che questa operazione insensata sia giustificata solo da motivi non tecnici ma di interessi, quali saranno i giudici a specificarlo».
Piero Silva, ingegnere genovese e docente di pianificazione portuale in Francia con un curriculum di costruttore di porti, dighe e infrastrutture in 64 paesi del mondo sta partendo per la Guinea dove lavora alla realizzazione di un porto fluviale per l’esportazione del ferro con una struttura di transhipment al largo.
All’inizio del 2022 si dimise dal ruolo di direttore tecnico per il Project Management Consulting che gli aveva affidato il Rina. Rinunciando a parecchi soldi.
Professore ricapitoliamo, perché questo progetto da un miliardo e 300 milioni finanziato dal Pnrr non la convince?
E’ un’avventura pericolosissima e costosissima senza senso. Prevede di poggiare la struttura su un fondale fangoso e instabile a 50 metri di profondità. Ma il tipo di consolidamento geotecnico proposto con gli elementi disponibili nel progetto di fattibilità è stato garantito fino a 30-35 metri, oltre non ci sono garanzie. C’è il rischio di un collassamento per scivolamento sui materiali limo-argillosi, disastro questo più volte realizzatosi nella storia delle opere marittime tra cui anche a Sibari in Calabria o davanti a Nizza nel 1979 con strutture molto più piccole».
Ma il cantiere è già partito.
«Mi risulta che le condizioni geotecniche trovate nei sondaggi del progetto esecutivo sono ancora peggiori. Hanno cambiato il metodo del consolidamento. Dalle colonne di ghiaia si passerebbe a spianata di ghiaia in cui le colonne sono prefabbricate. Le colonne devono essere però permeabili e lunghe 60/70 metri ed è una soluzione mai vista».
Ma c’è un’alternativa?
«Certo, l’ho ripetuta più volte anche ufficialmente e paradossalmente in molti la condividono. Si spenderebbe la metà, sarebbe assolutamente sicura e a differenza di questa solo per le portacontainer ne beneficerebbe anche il traffico crocieristico. Prevede l’abbattimento della porzione di antica diga vincolata dalla Soprintendenza e il posizionamento di quella nuova a una profondità garantita di 30 metri di profondità, senza rischi”
L’Anac ha riscontrato anomalie e violazioni sia nella fase dell’appalto con affidamento diretto a Webuild sia nelle varianti automaticamente riconosciute all’impresa e teme fortemente problemi relativi agli aspetti geotecnici. Gli atti sono stati mandati alla procura di Genova e a quella Europea. Signorini, oggi in carcere per corruzione è stato il regista dell’operazione Diga.Che effetto le hanno fatto le notizie della retata?
«Non fare la diga a meno 30 e fare quella che costa il doppio e ha rischi tecnici molto gravi e dura il doppio come tempi di cantiere è giustificato solo da motivi non tecnici. E leggendo i giornali in questi giorni sui fatti del porto mi sembra che esista più di un sospetto che in determinate scelte ad esempio sulle concessioni non abbiano dominato solo gli aspetti tecnici. Inoltre con un contratto come quello stipulato per la Diga il costruttore acquisisce finanziariamente un potere enorme. Insomma, potrà esserci stata qualche ragione di opportunità politica oppure qualcuno meno pulita, io non ho elementi per dirlo e aspetto che si pronuncino i giudici, ma sulla qualità del progetto della diga invece sono certo: è pericoloso in tutti i sensi».

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