Agosto 21st, 2024 Riccardo Fucile
L’ITALIA NON È PRIMA NEPPURE PER LE ESPORTAZIONI UE: IN CIMA ALLA CLASSIFICA CI SONO I FRANCESI, DAVANTI AGLI OLANDESI E AI TEDESCHI, MENTRE NOI SIAMO SOLAMENTE QUARTI, CON L’11% DEL TOTALE DEI GELATI VENDUTI DAI PAESI MEMBRI DELL’UE
Nato in Italia, alla corte di Caterina dei Medici, nella seconda metà del sedicesimo secolo,
il gelato è diventato uno dei simboli dell’Italia.
Eppure non è il Belpaese il principale produttore di gelato in Europa e neppure esportatore. Secondo i dati di Eurostat relativi al 2023, la produzione totale è calata nei 27 Paesi Ue dell’1,4%, da 3,3 a 3,2 miliardi di litri. E il principale produttore di gelato, per il secondo anno consecutivo è stata la Germania: 612 milioni di litri, seguita dalla Francia con 568 milioni di litri e l’Italia con 527.
La tendenza alla diminuzione che emerge dal dato complessivo non ha risparmiato il nostro Paese dove la produzione si era attestata nel 2022 a 571 milioni di litri. Guardando alle esportazioni è il glace francese a battere tutti: gli stecchi, i coni e le coppette che tirano di più fuori dall’Europa sono infatti proprio quelli d’oltralpe.
Nel 2023 un quinto delle esportazioni extra-Ue di gelato veniva dalla Francia con 52 milioni di chili. A seguire i Paesi Bassi (35 milioni di chili), la Germania (29 milioni di chili) e poi, al quarto posto, l’Italia, che nel 2023 ha esportato 28 milioni di chili di gelato fuori dall’Ue, l’11 per cento del totale dei Paesi membri.
(da agenzie)
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Agosto 21st, 2024 Riccardo Fucile
MOLTI MEZZI SAREBBERO STATI UTILIZZATI DA LADRI E RICETTATORI E POI BUTTATI NEL LAGO UNA VOLTA FINITO IL COLPO, PER FARE SPARIRE LE PROVE … ALCUNE MACCHINE, INVECE, SONO STATE GETTATE IN ACQUA DAI PROPRIETARI, CHE NON VOLEVANO PAGARE IL CONTO PER ROTTAMARLE
Sinora, negli Stati Uniti, il lago di Como era famoso per le splendide ville che ospitano attori e ricconi di oltreoceano, per i grand hotel ancora in stile Liberty (salvo quale lodevole eccezione) e per gli scorci spettacolari. Ma quest’anno, i media a caccia di nuove storie hanno scoperto anche qualcosa che gli abitanti del lago conoscono da decenni: al largo del Moregallo, la roccia sulla sponda occidentale del ramo di Lecco, ci sono decine di auto, moto, furgoncini in stato di decomposizione e che appartengono a precedenti epoche motoristiche. Le più vicine alla costa si trovano a 15 metri di profondità, le più lontane a una settantina.
In realtà, il cimitero comprende anche vetture importanti (Jaguar, Mercedes e Land Rover) e delle Ducati ma l’aspetto sorprendente è che la reporter – ma anche gli altri media di oltreoceano – si fermino a valutare il pur importante aspetto ambientale trascurandone quello curioso e drammatico.
Una serie di eventi che sembrano usciti da un romanzo noir di Carlo Lucarelli o da una delle bellissime canzoni in dialetto «laghée» di Davide Van De Sfroos, con le storie della lotta tra contrabbandieri e Finanza o dei balordi del luogo.
La ‘vulgata’ lariana dice che sono veicoli di ladri e ricettatori, buttati nel lago una volta finito il colpo e per fare sparire le prove. Ce ne sono sicuramente, ma è notorio che siano finite nel cimitero anche auto utilizzate per frodi assicurative o semplicemente da rottamare, con un proprietario che non voleva pagare il costo. Sin qui, è pratica deprecabile ma non esclusiva di questo tratto di lago.
Invece lascia di sasso che le acque davanti al Moregallo siano le più soggette a incidenti, spesso mortali, ad appassionati di sub. Solo nello scorso marzo, in una settimana, ci sono state due vittime che vanno ad aggiungersi alle tre dei mesi precedenti e a tanti altri nelle passate stagioni. Una mezza ecatombe che ha spinto a chiedere un’ordinanza al sindaco di Mandello Lario – mai redatta, peraltro – per vietare le immersioni nel lago.
(da Il Corriere della Sera)
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Agosto 21st, 2024 Riccardo Fucile
“HA FATTO UN GRANDE DISCORSO, UN GIORNO CI SARA’ UNA BIOGRAFIA SU DI LUI”
C’è chi dice che la lunghissima lettera che ha inviato al presidente Biden a metà luglio sia
stata decisiva per convincerlo a ritirarsi. Lui si schermisce – «chi può saperlo», ma Jamie Raskin, uno dei deputati democratici più noti e popolari, ha una connessione speciale con il presidente, che arriva da un dramma condiviso: la perdita di un figlio. Tommy, che aveva 25 anni, si suicidò il 31 dicembre del 2020.
Pochi giorni dopo, Raskin era al Congresso per certificare la vittoria di Biden quando arrivarono i rivoltosi. Lo incontriamo fuori da un albergo di Chicago, reduce da una sfilza di «congressional breakfast», le colazioni organizzate dai delegati dei vari Stati.
Ieri era in platea con i delegati del suo Maryland. Come le è sembrato il discorso di Biden?
«È stato un grande discorso, bellissimo, molto personale, ma allo stesso tempo legato al futuro del nostro Paese. Biden è un vero patriota. Ci sarà una grandiosa biografia su di lui un giorno. Sa, c’è una regola in politica per cui nessuno è mai tanto bravo quanto sembra o tanto male quanto sembra. Ma Joe Biden è eccezionale quanto sembra».
Ha sentito più rimpianto o più orgoglio nelle parole del presidente? Per esempio quando ha detto che all’inizio gli dicevano che era troppo giovane e ora che è troppo vecchio.
«La politica è faticosa. Sei troppo giovane o troppo vecchio o troppo liberal o troppo conservatore, e la gente può attaccarti per un motivo o per il suo opposto. Ma mi viene in mente una citazione di Teddy Roosevelt che diceva: il merito è dell’uomo che è nell’arena, il cui volto è segnato dalla polvere, dal sudore e dal sangue, che conosce i grandi entusiasmi e le grandi devozioni. E questo è davvero il Presidente Biden. Voglio dire, è stato coinvolto in tutte le lotte del nostro tempo, ed è anche cresciuto molto come leader. È diventato il principale leader liberale progressista in America, pur avendo iniziato come politico di apparato».
Gli ha parlato dopo la decisione di ritirarsi?
«No, l’ho visto brevemente, ma non abbiamo parlato di quello».
Nessuna chance che torni sul palco giovedì?
«Quell’uomo merita un po’ di riposo».
(da Il Corriere della Sera)
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Agosto 21st, 2024 Riccardo Fucile
MICHELLE: “SE CI TROVIAMO DI FRONTE A UNA MONTAGNA NON CI ASPETTIAMO CHE CI SIA UNA SCALA MOBILE CHE CI PORTI IN CIMA”….”NESSUNO HA IL MONOPOLIO SU COSA SIGNIFICHI ESSERE AMERICANO”
«Quando gli altri si abbassano ad attaccarci, noi voliamo alto». È la frase più famosa di
Michelle Obama, pronunciata alla convention di Philadelphia per la nomination alla Casa Bianca di un’altra donna, Hillary Clinton. Nel suo discorso alla convention di Chicago che ha incoronato ieri Kamala Harris, l’ex first lady ha mostrato chiaramente che è ora di cambiare strategia. Ha denunciato in modo netto e durissimo Donald Trump.
«Per anni Donald Trump ha fatto tutto ciò che era in suo potere per far sì che la gente avesse paura di noi», ha detto Michelle, riferendosi agli attacchi durante gli anni della presidenza di suo marito e alle bugie, già prima, sul suo certificato di nascita. Lo ha accusato di avere una «visione limitata e ristretta del mondo, che lo faceva sentire minacciato dall’esistenza di due persone che lavorano sodo, altamente istruite, di successo e che sono anche nere».
Lo ha criticato insomma per il suo razzismo pur senza usare questa parola: ha evocato le lamentele dell’ex presidente sugli immigrati che si prendono «i lavori dei neri», osservando che qualcuno dovrebbe dirgli che la sua stessa corsa per la Casa Bianca altro non è che il tentativo di impadronirsi di uno di quei lavori.
Perciò, Michelle ha sottolineato la necessità di essere vigili e di difendere il proprio voto. «Se mentono su di lei (Kamala Harris, ndr), e lo faranno, noi dobbiamo fare qualcosa. Dobbiamo superare ogni tentativo di sopprimerci». Michelle resta una delle figure più popolari nel partito democratico.
Mentre parlava, c’era chi tra il pubblico prendeva appunti, chi ripeteva le sue parole come in un sermone in una chiesa gospel. Ha presentato Kamala come una donna della classe media, come lo è la maggior parte degli americani che non hanno «il lusso di ricchezze accumulate per generazioni»: «Se ci troviamo di fronte a una montagna, non ci aspettiamo che ci sia una scala mobile che ci porti in cima» (un chiaro riferimento alla scala mobile della Trump Tower da cui il tycoon discese per candidarsi alla Casa Bianca).
Una frase in particolare è destinata a restare: «the affirmative action of generational wealth» (la cosiddetta «discriminazione costruttiva» che si basa sul «patrimonio generazionale di un singolo»): una critica aperta ai repubblicani che si sono scagliati contro il trattamento preferenziale delle minoranze nell’istruzione (e alla Corte suprema che lo ha rovesciato). «Non possiamo soffermarci sulle nostre ansie sul fatto che questo Paese possa o meno eleggere qualcuno come Kamala, dobbiamo invece fare tutto quello che possiamo in modo di realizzarlo», ha aggiunto. «Nessuno ha il monopolio su cosa significhi essere americano».
Un discorso profondamente personale ma anche profondamente politico, il più efficace finora in questa convention – anche più di quello di suo marito Barack, che pochi minuti dopo è salito sul palco definendosi «l’unica persona al mondo abbastanza stupida da parlare dopo Michelle Obama». Alla fine, marito e moglie hanno sferrato un doppio attacco a Trump dal palco della loro città, che li proiettò 16 anni fa verso la Casa Bianca. La loro presenza ha trasmesso un’energia straordinaria ai delegati nell’arena. Non stupisce che Kamala Harris abbia deciso nella «loro» serata di andare altrove, a sfidare Trump direttamente in Wisconsin, nell’arena dove lui tenne la sua convention. Notevole anche l’assenza di cartelli con i loro nomi («Doug», quando parlava il marito di Kamala, o «Jill» quando parlava la moglie di Biden) per evitare che la forza della loro personalità rischi di oscurare anche Harris.
Quando Michelle e Barack parlavano, ai delegati erano stati distribuiti cartelli che dicevano semplicemente: «Vote», «Votate». Michelle è restia spesso a fare comizi, ma il discorso di ieri ha dimostrato perché sia da tempo temutissima dai repubblicani come possibile candidata alla Casa Bianca (per quanto abbia spiegato più volte di non volerlo fare). Ha detto ieri che non sapeva se sarebbe stata in grado di farcela a parlare alla convention, perché è in lutto per la morte di sua madre, Marian Robinson, scomparsa la scorsa estate. Marian era una presenza costante alla Casa Bianca, dove si trasferì per stare con le bambine Malia e Sasha nel 2009. «L’ultima volta che sono venuta qui, nella mia città, è stato per ricordare mia madre, la donna che mi ha mostrato il significato del lavoro duro, dell’umiltà e della correttezza, la donna che mi ha insegnato i valori morali e il potere della mia voce».
Barack Obama, che ha avuto un ruolo significativo nel ritiro di Biden, ha iniziato invece il suo discorso rendendo omaggio all’uomo che s’è detto «orgoglioso di chiamare presidente, ma ancora più orgoglioso di chiamare amico». Però ha subito aggiunto: «Il passaggio della torcia è avvenuto». La nostalgia per il 2008 era palese nella sala: Barack l’ha evocata più volte con riferimenti ai «better angels» (la parte migliore che bisogna risvegliare negli americani, un richiamo a Lincoln) e con la frase «fired up and ready to go», entrambi slogan della sua prima campagna elettorale. La folla è impazzita quando Obama ha proclamato: «Yes She Can», riferendosi a Kamala Harris. Harris non ha ancora definito la sua posizione su molti temi, lui ha suggerito che «L’America non può essere poliziotto del mondo, ma può essere una forza per il bene».
Ma anche Barack ha visto come il suo compito principale quello di contrapporre all’America di Kamala Harris (e degli Obama) quella di Trump. La prima visione dell’America passa attraverso le donne che hanno cresciuto Michelle (Marian Robinson), Barack (la nonna bianca nata in Kansas) e Kamala (Shyamala Gopalan, che venne dall’India a 19 anni per studiare negli Stat Uniti). Donne provenienti da parti diverse del mondo, che indipendentemente dal colore della pelle avevano in comune i valori: «Sapevano cosa è vero e cosa conta: l’onestà e l’integrità, il lavoro duro», ha detto Barack. Ma ha aggiunto che servono nuove politiche per consentire a chi lavora sodo di avere una casa, l’assistenza sanitaria, le cose belle e necessarie nella vita. «E Kamala lo sa». «C’è qualcosa di magico nell’aria. Il potere contagioso della speranza»: così ha esordito Michelle.
(da Il Corriere della Sera)
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Agosto 21st, 2024 Riccardo Fucile
HARRIS LO HA INCONTRATO A QUASI 50 ANNI ED E’ DIVENTATA LA SECONDA MAMMA DEI SUOI DUE FIGLI
Un abbraccio alla mia famiglia allargata: nelle prime parole sul palco di Chicago del second gentleman che spera di diventare il primo first gentleman della Storia, c’era già il quadro che avrebbe dipinto nei successivi quindici minuti. Quello di un tipo di famiglia comune ovunque, ma non tra i pretendenti alla Casa Bianca. Kamala non ha figli, ha incontrato e sposato Doug quando aveva quasi cinquant’anni, ed è diventata la seconda mamma dei figli di lui, che la chiamano Mamala.
È un filmato del figlio maggiore Cole, che lavora nello spettacolo come la mamma, nella società di produzione di Brad Pitt, a introdurre Mr Emhoff sul palco, un video finto amatoriale che riassume la vita del padre prendendolo affettuosamente in giro. Ella (la figlia minore) è sul palco a mandargli cuoricini. È lei che descrive la mamma, il papà e Kamala, racconta Doug, come «una macchina genitoriale a tre teste». E per questo dal palco Emhoff le ringrazia insieme, Kamala, che non è qui perché impegnata in un comizio a Milwaukee, e Kirsten, che invece è seduta in platea.
Il second gentleman è un po’ goffo e un po’ buffo, come nel racconto che fa del primo appuntamento al buio con la futura compagna, cominciato con una telefonata alle otto e mezzo del mattino finita in un involuto messaggio lasciato in segreteria. Ma fa simpatia al pubblico di Chicago, e svolge senza sbavature il compito non particolarmente originale ma ineluttabile toccato a tante mogli prima di lui: enfatizzare il lato umano della candidata, una donna che «trova gioia nel ricercare la giustizia», la «cui forza è l’empatia».
Ma non una «molle», anzi, una «guerriera gioiosa», una procuratrice nell’anima che «sa che il modo migliore di affrontare i codardi è farlo a testa alta perché i codardi sono deboli»
Emhoff racconta anche delle loro fedi diverse, lui ebreo lei cristiana, delle tradizioni mischiate e condivise della loro famiglia. E sottolinea il ruolo di lei nella scelta di occuparsi da second gentleman di lotta all’antisemitismo.
Rivoluzionario a suo modo – è la prima volta (Bill Clinton non conta, era Bill Clinton) che un uomo incarna quello che per 250 anni di Storia americana è stato il ruolo simbolo della donna idealizzata – ma anche tradizionalissimo nello svolgimento. E nel far capire che un posto speciale nel suo cuore lo occupa un’altra donna, «l’unica che pensa sia Kamala quella fortunata ad avermi sposato»: Barb, la mamma.
(da Il Corriere della Sera)
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