Maggio 31st, 2025 Riccardo Fucile
LA STATISTA DELLA GARBATELLA HA BALBETTATO LA SOLITA SCUSA: “NESSUNA ESCLUSIONE, STANNO LAVORANDO SUL FORMATO TRA NAZIONI CHE SI SONO IMPEGNATE IN INIZIATIVE ALL’INDOMANI DI UN CESSATE IL FUOCO” – UNA TESI CHE NON REGGE PERCHÉ BERLINO NON HA ALCUNA INTENZIONE DI SPEDIRE SOLDATI IN UCRAINA…DOPO ESSERSI AUTOISOLATA PER COMPIACERE TRUMP, LA DUCETTA ORA TENTA IN TUTTI I MODI DI TORNARE IN GIOCO. E ARRIVA A DIRSI “MOLTO CONTENTA” DELL’ARRIVO DEL SUO NEMICO MACRON A ROMA MARTEDÌ
Per i colloqui di Istanbul «non c’è un’esclusione italiana». Nel colossale palazzo
dell’indipendenza del Kazakistan, lungo una sponda del fiume Isim, Giorgia Meloni risponde così ai cronisti che l’aspettano sotto le volte di vetro blu, al termine del primo vertice tra Italia e Asia centrale.
Alla premier viene chiesto conto delle dichiarazioni dell’inviato speciale Usa Kellogg, che poche ore prima ha annunciato l
possibilità che i consiglieri militari di tre paesi europei — Francia, Regno Unito e Germania — partecipino alle trattative tra Kiev e Mosca lunedì in Turchia. Ipotesi ancora traballante, ma il fatto è che l’uomo di Trump non ha menzionato l’Italia.
Questo spiazza la presidente del Consiglio, anche perché la macchina diplomatica di Palazzo Chigi nelfrattempo si era messa in moto (e aveva ottenuto rassicurazioni) per far sì che Roma venisse coinvolta.
E allora, sulle prime, Meloni fornisce a telecamere e taccuini una giustificazione che ricalca in parte, ma con meno enfasi polemica, quanto dichiarato due settimane fa a Tirana, dopo la famosa call tra Zelensky, Trump e altri leader europei, senza di lei.
«Esclusione? Credo che il motivo sia che stanno lavorando a livello di E3 (Parigi, Berlino, Londra,ndr ),formato collaudato, non la considero un’esclusione italiana, si sa che ci sono nazioni che hanno fatto passi per impegnarsi in iniziative all’indomani di un cessate il fuoco».
La tesi è sempre quella: gli altri vorrebbero mandare truppe, l’Italia no, anche se la premier stavolta è attenta a non dirlo esplicitamente visto che Berlino, è arcinoto, non ha alcuna intenzione di spedire soldati. Però il ragionamento è questo: «Non parlerei di esclusione, questo gioco di fare finta che l’Italia non conti niente non lo condivido».
Dallo staff, a quel punto, ricordano a Meloni che «c’è un’interlocuzione in corso, non siamo esclusi». E lo stesso raccontano poco dopo fonti di Palazzo Chigi: il consigliere diplomatico di Meloni, Fabrizio Saggio, ha partecipato l’altro ieri a una call con gli omologhi di Francia, Germania, Regno Unito e Ucraina. E un’altra video-call, per discutere degli sviluppi turchi, avviene nella notte, mentre il consigliere italiano è accanto alla
premier, nel volo di ritorno da Astana.
Nell’Independence palace della capitale kazaka, Meloni affronta anche altri dossier. Come il faccia a faccia con Emmanuel Macron fissato per martedì a Palazzo Chigi, dopo mesi di bizze sottotraccia e attriti pubblici. La premier sminuisce il tutto, «panna montata», si dice persino «molto contenta» del rendezvous col francese, a conferma che Roma e Parigi hanno deciso di riallinearsi, per necessità, in questa fase turbolenta con l’altra sponda dell’Atlantico. «Italia e Francia sono nazioni amiche — assicura Meloni — I leader discutono, a volte animatamente, particolarmente quando in Italia c’è un governo scelto dagli italiani». Ma «niente di personale», non ci sono «ricomposizioni» da celebrare.
È soprattutto l’Ucraina però al centro dei pensieri della premier.
Ne ha discusso anche con i leader dei 5 paesi asiatici radunati ad Astana (Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Tagikistan e Kirghizistan). Ex repubbliche sovietiche, ancora oggetto degli interessi russi e depositarie di ingenti risorse minerarie ed energetiche che fanno gola. Meloni ha lodato il leader kazako Tokayev, che nonostante i rapporti con Mosca sarebbe stato «coraggioso» a riconoscere il diritto di Kiev all’integrità territoriale.
(da La Repubblica)
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Maggio 31st, 2025 Riccardo Fucile
IL BULLETTO: “LO RIFAREI DOMATTINA”. OTTIMO, C’E’ L’ARRESTO IN FLAGRANZA DI REATO, IN GALERA E NON SE NE PARLA PIU’
Il politico leghista nell’ottobre 2019 partecipò, a bordo di una ruspa, all’abbattimento di uno storico accampamento di persone sinti. È stato condannato per usurpazione delle pubbliche funzioni e deposito non autorizzato di rifiut
L’ingresso trionfale sulle ruspe per demolire un campo nomadi a
Ferrara, dove trent’anni vivevano decine di persone di etnia sinti. Uno «sgombero show», così era stato definito quello dell’ottobre 2019, che all’ex vicesindaco leghista Nicola “Naomo” Lodi è costato caro.
L’assessore comunale alla sicurezza è stato condannato a sette mesi di reclusione per deposito non autorizzato di rifiuti pericolosi e non, cioè i detriti delle casette, e per usurpazione di pubbliche funzioni, avendo di fatto ignorato completamente il dirigente del settore Opere pubbliche facendo allestire lui in prima persona il cantiere di sgombero.
«È un attacco politico mascherato da questione ambientale e burocratica. Quello che i più chiamano “ruspa show” lo rifarei domani mattina».
Oltre alla condanna, la giudice Anna Maria Totaro ha dichiarato estinto per prescrizione un altro capo d’accusa che la procura contestava a Lodi. In particolare, la presunta mancata osservanza delle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro: durante lo sgombero, infatti, il cantiere era stato lasciato aperto a tutti e la stampa, anzi, fu invitata caldamente a partecipare in diretta all’evento.
(da agenzie)
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Maggio 31st, 2025 Riccardo Fucile
SOTTO ACCUSA IL SEGRETARIO ALLA SALUTE KENNEDY
L’amministrazione Trump ha pubblicato la scorsa settimana un rapporto sulle
malattie infantili che cita studi che non esistono. Lo ha notato l’agenzia Notus, che ha messo sotto accusa il testo della Commissione presidenziale Make America Healthy Again (Maha) del segretario alla Salute, Robert F. Kennedy Jr. La notizia è stata ripresa dal New York Times, che successivamente ha trovato ulteriori riferimenti sbagliati nel report.
Gli studi che non esistono
Il documento parla dei disturbi mentali, dei farmaci prescritti ai bambini e del cibo servito nelle mense scolastiche. Citando una ricerca di Katherine Keyes, professoressa di epidemiologia alla Columbia University. La quale viene citata come autore di un articolo scientifico sulla salute mentale e sull’uso di sostanze stupefacenti che però non ha mai scritto. «Mi preoccupa il rigore del rapporto se non viene seguita la prassi per le citazioni scientifiche», ha detto Keyes al Nyt. Ma non è l’unico caso. Nel report si parla di un articolo di Lancet del 2005 sulla pubblicità dei farmaci come di uno studio scientifico, quando si trattava solo dell’opinione di un esperto. E si attribuisce una ricerca sul legame tra sonno,
infiammazione e sensibilità all’insulina a un coautore che non ci aveva mai lavorato.
L’intelligenza artificiale?
L’agenzia di stampa Agi riporta che secondo Ivan Oransky, che insegna giornalismo medico alla New York University ed è co-fondatore di Retraction Watch, gli errori sono caratteristici dell’uso dell’intelligenza artificiale per redigere testi. Non è detto che la sostanza sia sempre sbagliata, ha spiegato, ma è evidente la mancanza di quei controlli rigorosi che rendono scientificamente valido un rapporto. Dopo l’articolo la Casa Bianca ha pubblicato una nuova copia del rapporto con correzioni. E minimizzato. Emily Hilliard, portavoce del dipartimento della Salute, ha parlato di «errori di formattazione» che «non cambiano la sostanza del rapporto».
(da agenzie)
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Maggio 31st, 2025 Riccardo Fucile
LA LUNGA LISTA DI INSULTI E DEGLI ATTACCHI SOVRANISTI AL PRESIDENTE FRANCESE
«L’Italia e la Francia sono amiche e alleate», dichiara oggi Giorgia
Meloni. Parole di ordinanza che svuotano la cronaca recente di ogni peso e raccontano un rapporto artefatto. Perché la lista degli insulti e degli attacchi rivolti da lei e dalla sua maggioranza a Emmanuel Macron è lunga e documentata.
Meloni stessa, nel febbraio 2023, definì «politicamente sbagliata» l’esclusione dell’Italia dal vertice con Zelensky organizzato a Parigi da Macron. A maggio dello stesso anno, in risposta alle critiche francesi sulla gestione dei migranti, Meloni liquidò le accuse con un’alzata di spalle pubblica, mentre il suo ministro Lollobrigida denunciava le «baruffe della Francia contro l’Italia».
Il G7 del 2024 segnò un ulteriore strappo: Meloni accusò Macron di «fare campagna elettorale» durante un vertice internazionale, mascherando così un duro affondo personale. Nel 2025, in occasione del vertice di Tirana sull’Ucraina, la premier rigettò l’ipotesi di invio di truppe, definendo la linea francese incoerente. La replica di Macron fu glaciale: «False informazioni».
Se Meloni gioca al doppio binario, Salvini si incarica di demolire ogni formalismo diplomatico. A marzo 2024 il leader leghista bollava Macron come «guerrafondaio», pronto a «rischiare l’Europa» per le sue proposte sull’Ucraina. Pochi mesi dopo, nel marzo 2025, rincarava: «Se oggi comandasse Macron un esercito europeo, saremmo sull’orlo della guerra. No, grazie».
Nel repertorio degli insulti spicca poi il “fuorionda” di Laura Ravetto (Forza Italia), che nel 2019 definì Macron «quel figlio di puttana» per la sua politica migratoria.
Eppure oggi, come se nulla fosse mai accaduto, Meloni ricuce: «A volte i leader discutono, ma questo non compromette nulla». La verità è che, per Giorgia Meloni, l’amicizia è una variabile accessoria, subordinata all’utilità politica del momento. Ieri l’offesa, oggi la stretta di mano, domani chissà. La linea non è la coerenza: è
la convenienza. E con questo metodo si può essere ogni giorno amici o nemici di tutti. C’è un piccolo problema: così manca la politica.
(da agenzie)
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Maggio 31st, 2025 Riccardo Fucile
SI TRATTA DI 1,7 MILIARDI DI EURO CHE IL MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE AVEVA DIROTTATO IN PARTE PER LA COSTRUZIONE DEL PONTE SULLO STRETTO… GLI INTERVENTI PREVISTI PER IL 2025 E IL 2026 SONO GIÀ STATI APPROVATI E I FONDI NON POTEVANO ESSERE SPESI IN ALTRO MODO
Marcia indietro di Matteo Salvini che si prepara a restituire i soldi tagliati alle
Province e alle Città metropolitane, almeno nel biennio 2025-26.
Sul tavolo le risorse per la manutenzione straordinaria delle strade che per quest’anno e il prossimo sono state ridotte del 70%. Su 500 milioni di euro ne sono stati sforbiciati 385, così che alle Province e alle Città metropolitane sono rimasti solo 165 milioni per gestire tutte le opere preventivate.
I tagli, in realtà, ammontano a 1,7 miliardi di euro e si applicheranno fino al 2036, risorse che sono state trasferite ad alcune opere del Pnrr (tra cui il Terzo Valico) e anche al Ponte sullo Stretto nell’ambito di una complessa partita di giro che riguarda il Fondo sviluppo e coesione.
I presidenti delle Province e i sindaci delle città metropolitane, che hanno denunciato il caso, chiedono al governo di recuperare subito i fondi per il 2025-26 perché sono già stati impegnati. Dopo l’interessamento della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che nei giorni scorsi ha incontrato il numero uno dell’Upi Pasquale Gandolfi, ora si è mosso direttamente Salvini.
Qualche giorno fa, però, in una risposta scritta al Question time, il ministro delle Infrastrutture, oltre a ribadire che i tagli non alimenteranno i lavori per il Ponte sullo Stretto, ha giustificato
scure sulla manutenzione delle strade per la ridotta capacità di spesa delle Province.
Secondo i dati del Mit, nel 2021 sono stati utilizzati solo il 39% dei fondi disponibili; nel 2022 il 28%. Quindi, è il ragionamento messo per iscritto da Salvini, «siamo a disposizione per verificare forme di reintegro dei finanziamenti stanziati per il 2025-2026», ma con l’impegno che le risorse che si renderanno disponibili dovranno essere accompagnate da misure che impegneranno gli enti locali alla spesa effettiva dei fondi erogati.
Nel corso dell’evento “La Stampa è con voi” a Imperia, il sindaco Claudio Scajola ha accusato Salvini del taglio alle strade provinciali, rivelando di aver parlato con il vice ministro delle Infrastrutture Edoardo Rixi, il quale ha scaricato le responsabilità su un dirigente del dicastero.
Senza un intervento del governo l’impatto dei tagli avrà un effetto devastante per la messa in sicurezza della rete italiana. La scure ha colpito 120 mila chilometri di vie che collegano il Paese, bisognose di assistenza e riparazione. Asfaltatura, barriere paramassi, segnaletica, opere su ponti, viadotti e gallerie sono le misure necessarie a cui pensano gli amministratori. Al momento, le risorse a disposizione riusciranno a coprire a malapena la manutenzione di 25 mila chilometri, ovvero il 21% del totale.
/da agenzie)
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Maggio 31st, 2025 Riccardo Fucile
MURSK HA MESSO SUL LASTRICO MIGLIAIA DI DIPENDENTI PUBBLICI IN NOME UN CAPITALISMO ESTREMISTA CHE ODIA I POVERI
Avere messo sul lastrico parecchie migliaia di dipendenti pubblici, e averlo fatto scaricando sulle spalle delle vittime la responsabilità morale della loro rovina, in quanto inutili parassiti. Questo è il bilancio della breve stagione politica di Elon Musk. Tutto il resto (l’esibizionismo patologico, l’uso di droghe, perfino l’appoggio sguaiato alle peggiori destre del mondo) è quasi folklore rispetto alla sostanza sociale delle sue scelte: colpire direttamente, lui che è un miliardario, un tipico segmento del ceto medio, quali sono gli impiegati pubblici. E colpire indirettamente la parte più indifesa della popolazione attraverso i tagli al Welfare, considerato uno spreco a prescindere.
Un ricco che ruba ai poveri, questo è Musk. O almeno lo sarebbe se contasse, nel giudizio pubblico, la realtà delle cose, piuttosto che il fracasso sui social, il rosario di tweet sempre identici, ripetuti a mitraglia (sono i pater-ave-gloria del nostro evo), la discussione piuttosto oziosa se sia un genio e dunque, in quanto genio, autorizzato alle peggiori intemperanze e alle balle più sconcertanti, come se essere un inventore di talento autorizzasse a essere un cretino mediatico, o un fanatico di estrema destra.
La dimensione patologica e/o pittoresca di Musk, quando mai il mondo tornasse a essere normale, e a ragionare su basi razionali, conterebbe molto meno del suo devastante operato politico. Nemmeno i padroni in marsina e cilindro delle vignette socialiste ottocentesche, nemmeno il “sciur padrun da li beli braghi bianchi” dei canti delle mondariso sono comparabili, quanto a suprematismo sociale dei ricchi sui poveri, al manipolo di estremisti del capitalismo che ha conquistato la Casa Bianca grazie al voto suicida
di milioni di poveri cristi.
(da repubblica.it)
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Maggio 31st, 2025 Riccardo Fucile
LA CORTE DEI CONTI INDAGA SULLA TRASFERTA GIAPPONESE COSTATA 1,8 MILIONI DI EURO DI FONDI PUBBLICI
Uno spritz costato 76 euro a testa. Decisamente rinforzato. Accompagnato da pizza
con la mortadella e un po’ di pecorino. E poi la produzione di video promozionali per un totale di 8 minuti di girato e 67mila euro di spesa. Alla modica cifra, si fa per dire, di 8.387 euro al minuto.
La trasferta della Regione Lazio all’Expo di Osaka è terminata da pochi giorni, ma continua a regalare chicche, grazie al resoconto dei costi. Su cui la Corte dei Conti, da poco, ha aperto un fascicolo.
Il viaggio in Giappone della Regione si è svolto da 17 al 27 maggio. Ma le polemiche erano scoppiate già prima della partenza. Per i numeri della delegazione, composta da 43 partecipanti per la Regione, tra cui lo stesso presidente Francesco Rocca, ma da oltre 60 per chi lo accusa, e per il costo faraonico di 1,8 milioni, comprensivo di regalie come cravatte e foulard personalizzati a 122 euro l’uno e trolley da 275.
La lista della spesa, in effetti, desta qualche perplessità per le cifre fuori mercato, ma anche per la decisione di procedere con affidamenti diretti. Il 23 maggio, ad esempio, si tengono una serie di incontri tra aziende del Lazio e potenziali partner. Sono necessari tre interpreti per circa una settimana e sei hostess. La spesa? 162Mila
euro, compreso qualche pasto. C’è poi il tema delle audio guide e dell’esperienza immersiva, costati 16mila euro.
La delegazione laziale in Giappone ha giustamente mangiato. Ma tanto. Dal 17 maggio in poi si tengono pranzi e cene per oltre 22mila euro. Ma gli ospiti non pasteggiano a ostriche e champagne. Sui tavoli è un trionfo di burrate, rigatoni alla cacio e pepe, arrosti di pollo e verdure grigliate. La cena inaugurale con concerto del teatro dell’Opera costano 53mila euro.
E va citato l’allestimento del padiglione regionale. Con la parcella dello studio di architettura da 27mila euro e il noleggio dei led pagato 48mila. “È stato un viaggio con una gestione dei costi quanto meno allegra — commenta il consigliere regionale di Azione, Alessio D’Amato — con aperitivi da 80 euro e video da 8.000 al minuto. Nemmeno fossimo in presenza di un filmato di Scorsese. È mancata la proporzionalità, di cui deve sempre tenere conto un amministratore pubblico. La promozione all’estero va tolta alle Regioni”.
Rocca ieri ha chiarito che “neanche un euro è stato sottratto alla sanità o ai servizi” e che tutti i soldi spesi provenivano da fondi europei. “Sono sereno”, ha aggiunto. La Corte dei Conti stabilirà se si è esagerato. Intanto la Regione continua a spendere.
E un filo invisibile unisce Tokyo a Gaeta e Civitavecchia, dove questi giorni è attraccata la nave scuola Amerigo Vespucci. La Regione, per averla, ha trattato le tariffe di Difesa Servizi spa, società in house del ministero. Il conto tocca 400mila euro.
(da La Repubblica)
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Maggio 31st, 2025 Riccardo Fucile
IL SOSTEGNO E’ DETTATO DA PURA OPPORTUNITA’, COME QUELLO DI CANCELLARE UN PASSATO IMBARAZZANTE
L’ultima serie è stata Marine Le Pen. Invitata dalla rete televisiva Israel 24, la storica leader del Rassemblement National ha tenuto ad affermare il suo sostegno senza riserve all’azione bellica che il governo di Tel Aviv va conducendo nella Striscia di Gaza, giustificandola in nome della necessità della lotta al terrorismo di Hamas. Gli stessi argomenti che, prima di lei, tutti gli esponenti dei partiti nazional-populisti e/o sovranisti europei hanno sostenuto sin
dall’inizio della rappresaglia scatenata dall’esercito israeliano dopo l’attacco del 7 ottobre 2023, senza modificare di una virgola il loro atteggiamento di fronte alla piega sempre più sanguinosa assunta dal conflitto.
L’evento mediatico non ha mancato di sollevare una vivace polemica da parte dei giornali della sinistra francese, che hanno interpretato le dichiarazioni della candidata tuttora in testa nei sondaggi in vista della prossima elezione presidenziale (malgrado la recente condanna in primo grado all’ineleggibilità) come la prova di un’identità di fondo fra le sue convinzioni e i suoi programmi e quelli di Netanyahu. E rilanciato l’immagine dell’esistenza di un’estrema destra ramificata anche oltre i confini europei, che al di là di secondarie divergenze tattiche e accorgimenti opportunistici condividerebbe una piattaforma valoriale fatta di culto della forza, autoritarismo, disprezzo dei diritti umani, nazionalismo aggressivo e razzismo. Una rappresentazione che ha il pregio, utilissimo in politica, di disegnare i contorni compatti e lineari del Nemico e indicare i punti in cui è più facile attaccarlo.
Chi conosce le vicende di questa frastagliata area politico-ideologica per averle seguite e studiate in tempi in cui i loro attuali successi apparivano impensabili fatica tuttavia a sottoscrivere una visione così semplicistica.
Le molte oscillazioni che in passato hanno caratterizzato le prese di posizione di queste formazioni politiche sui conflitti mediorientali suggeriscono una lettura diversa dei loro comportamenti attuali. Si pensi alla Lega di Bossi, che per molti anni ha inserito i palestinesi fra i popoli senza patria di cui occorreva sostenere i diritti e le rivendicazioni – invitandone addirittura una rappresentativa a un campionato mondiale di calcio delle “nazioni proibite” che avrebbe dovuto fare da contraltare ai fasti “statalisti” di Italia 90 –, salvo
invertire precipitosamente la rotta dopo l’11 settembre 2001. O a un altro Le Pen, Jean-Marie, capace di sostenere a spada tratta il governo di Menachem Begin ai tempi dei massacri nei campi profughi di Sabra e Shatila e poi di opporsi con eguale vigore alle crociate occidentali contro l’Iraq. O, ancora, al Msi di Almirante, che pur tenendo una linea costantemente occidentalista e filo-israeliana, recepiva nei dibattiti congressuali mozioni di minoranza che auspicavano stretti rapporti di cooperazione fra l’Italia e il mondo arabo e vedeva gran parte dei suoi militanti più giovani apertamente schierati dalla parte palestinese.
In realtà, l’atteggiamento di queste destre dinanzi al conflitto israelo-palestinese, perlomeno da quando alcune di esse sono uscite dall’originaria condizione di marginalità, è sempre stato contraddistinto da considerazioni di pura opportunità, espresse lungo tre diverse e convergenti direttrici.
Su un primo versante ha pesato fortemente la necessità di scrollarsi di dosso l’accusa, spesso loro rivolta dagli avversari, di coltivare nostalgie per regimi, come quelli fascisti, che hanno adottato politiche antiebraiche. Per dissipare queste ombre, la reazione dei presunti eredi di Salò, di Vichy o del Terzo Reich è sempre stata quella di schierarsi a tutti i costi con lo Stato ebraico, fin dai tempi della “guerra dei sei giorni” del 1967, quando in Italia il senatore missino Alessandro Lessona, già sottosegretario alle colonie del governo Mussolini, propose all’ambasciata israeliana la formazione di una brigata di volontari del suo partito a sostegno dello Stato ebraico. Un esempio caratteristico, ma tutt’altro che unico, in questo senso è stato fornito da Alleanza nazionale e dal percorso del suo leader, dalle tesi congressuali di Fiuggi fino alle note polemiche successive alla visita di Fini allo Yad Vashem. È tuttora questo il principale motivo per cui tutti gli esponenti dei partiti sovranisti
chiudono gli occhi su tutto ciò che di orribile sta accadendo a Gaza. Per certi versi, lo si può ritenere un effetto perverso dell’uso strumentale del mito dell’eterno ritorno dell’“Ur-fascismo” coniato da Umberto Eco che è tornato di moda negli ambienti progressisti dopo la nascita del governo Meloni.
Un secondo aspetto della questione è legato non solo alla necessità di non ingrossare l’ondata di discredito che sta investendo un governo che, come quello di Netanyahu, è descritto (ed è) di destra, e in certe sue componenti di destra estrema, indebolendo l’immagine complessiva dell’area alla quale nella maggioranza dei casi ci si vanta di appartenere, ma anche e soprattutto alla possibilità di ribaltare sugli avversari un’accusa di cui a lungo si è dovuto sopportare il fardello. Così, rinunciando a distinguere fra avversione agli ebrei e opposizione alle politiche di un governo che intensifica la colonizzazione della Cisgiordania e tollera le violenze e i soprusi dei coloni – quando non le sostiene apertamente –, si fa passare per atto antisemita ogni manifestazione di appoggio alle rivendicazioni palestinesi. E, partendo dalle sue frange più radicali, si finisce con l’estendere questa imputazione all’intera sinistra, anche per trovare un terreno d’intesa con settori della destra più moderata e centristi, dove il favore per Israele è profondamente diffuso.
Un terzo e fondamentale fattore della solidarietà delle destre populiste e sovraniste con l’attuale governo israeliano è l’utilizzo delle accuse di terrorismo ad Hamas – e del sostegno a chi mira a sradicarla, anche con i bombardamenti indiscriminati contro la popolazione civile – nel contesto più ampio della polemica contro la penetrazione islamica in Occidente e la conseguente crescita delle società multiculturali, da sempre cavallo di battaglia di queste formazioni. L’attacco alle Torri gemelle ha costituito in questo senso, come accennavamo, un punto di svolta, rafforzato da tutte le
conseguenze delle operazioni militare condotte in Afghanistan e in Iraq. La proliferazione degli attentati sul suolo europeo e la costituzione dell’Isis hanno favorito la crescita, nell’opinione pubblica, della percezione dell’Islam come di una duplice minaccia: alla sicurezza personale e all’identità culturale, e hanno rafforzato la presa delle argomentazioni che vedono nell’immigrazione di massa il cavallo di Troia di forze ostili alla civiltà occidentale e allo stile di vita che ne caratterizza le società. Ne è uscita perciò rafforzata l’immagine di un Israele coraggioso baluardo guerriero contro l’incipiente barbarie araba: un’immagine che ha uno stretto rapporto con le nostalgie colonialiste e che è stata coltivata in una parte degli ambienti dell’estrema destra, soprattutto nel caso francese, fin dai tempi del conflitto per il Canale di Suez, nell’autunno del 1956.
Per l’effetto combinato di tutti questi motivi, le destre conservatrici, populiste o sovraniste sono oggi costrette, quasi da un riflesso condizionato, a schierarsi senza remore dalla parte del governo Netanyahu qualunque siano le sue scelte a limitarsi a blandi auspici di cessazione della carneficina in atto e a opporsi all’ipotesi di un riconoscimento, peraltro meramente simbolico, di uno Stato palestinese. Non si tratta di un matrimonio d’amore, ma di un connubio fondato su sostanziosi interessi; tuttavia l’esperienza insegna che è proprio in casi di questo genere che l’unione è più solida.
Marco Tarchi
(da ilfattoquotidiano.it)
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Maggio 31st, 2025 Riccardo Fucile
SENZA PRESIDENTE NE’ CDA IL PIU’ GRANDE ENTE SCIENTIFICO ITALIANO NON PUO’ SPENDERE I SUOI FONDI, ASSUMERE PRECARI NE’ PORTARE AVANTI PROGETTI DI RICERCA
La presidente ha esaurito il suo mandato il 27 maggio. Altri 3 membri del consiglio
d’amministrazione su 5 erano decaduti il 21 marzo. Il bilancio consuntivo del 2024 non è ancora stato approvato, e senza quello è impossibile sbloccare nuovi fondi. Il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), la nave ammiraglia della scienza italiana con 9.300 dipendenti, 5.400 dei quali ricercatori, 102 anni di vita e 1,7 miliardi di budget annuale, si ritrova a vagare senza un timoniere.
I vertici scaduti
Il Ministero dell’università e della ricerca (Mur) non ha ancora avviato la procedura di nomina dei nuovi vertici. “Senza un rappresentante legale, i 2 o 3 milioni quotidiani che riceviamo come finanziamenti dalle imprese o dagli enti pubblici italiani e internazionali entrano in banca, ma non possono essere usati” spiega Nicola Fantini, rappresentante dei ricercatori, unico membro del cda rimasto in carica: “Sono stato eletto separatamente, il mio mandato scadrà nel 2027”.
La nave oceanografica Gaia Blu, le campagne scientifiche in Antartide e in artico, il dominio .it su cui poggiano i siti internet italiani, le carote di ghiaccio estratte al polo sud che permettono di ricostruire il clima fino a 1,2 milioni di anni fa e sono conservate nei freezer a Venezia solo per citarne alcune: tutte le ricchezze del Cnr si reggono in questo momento su un equilibrio precario. “Se ci fosse un’emergenza, nessuno avrebbe modo di intervenire” spiega Fantini. “Forse il direttore generale, ma l’interpretazione su quali siano i
limiti del suo mandato non è chiara”.
La nave alla deriva
Giuliana Panieri è appena diventata direttrice dell’Istituto di scienze polari dopo 12 anni passati a nord del circolo polare artico come docente e ricercatrice all’università artica della Norvegia a Tromsø. “L’anno scorso ero in mezzo al mare di Barents quando il gps ha smesso di funzionare per una tempesta geomagnetica. La sensazione di essere alla deriva senza punti di riferimento era sgradevole, ma non quanto quella che provo oggi. Mai, tornando in Italia, avrei pensato di ritrovarmi in una situazione così spiacevole”.
A questa situazione non si è arrivati certo senza preavviso. “La ministra dell’università Bernini sapeva benissimo che i vertici erano in scadenza. Non rinnovarli è stata una scelta politica, non una semplice dimenticanza” sostiene Rino Falcone, ricercatore ed ex direttore dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione. “Forse il ministro sta pensando a un nuovo modello di governance per il Cnr, semplificando il controllo da parte del potere politico? Violerebbe così i principi che la nostra costituzione prevede per il lavoro di ricerca”.
L’ipotesi del commissariamento
Il processo per rinnovare la direzione degli altri enti di ricerca italiani è iniziato alla fine dell’anno scorso ed è arrivato a buon fine. Per il Cnr no, e non sono mancate voci che ipotizzavano la volontà del governo di commissariare la più importante fra le istituzioni dedicate alla scienza in Italia. Al question time in parlamento di martedì scorso la ministra dell’università e della ricerca Anna Maria Bernini non ha dissipato le nebbie, rispondendo in modo sibillino: “Faremo al più presto le nomine che dobbiamo fare”.
Tra pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, analisi dei curriculum e selezione, la scelta del presidente richiederà comunque mesi. Molto
più rapida sarebbe la nomina dei tre membri decaduti del cda (il quarto è il presidente stesso). Uno di loro potrebbe accedere al ruolo di vicepresidente e prendere in mano il timone in tempi brevi.
“Al momento invece siamo bloccati, prigionieri di un’incertezza totale” dice esterrefatto Vittorio Morandi, direttore dell’istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati e coordinatore di uno dei più grandi progetti del Pnrr in ambito scientifico. Il suo obiettivo è cercare nuovi materiali per gli impianti di energie rinnovabili, ma ora rischia di restare senza continuità. “Non era mai accaduto nella storia dell’ente che mancasse un rappresentante legale. Abbiamo vissuto transizioni travagliate, ma sempre con un presidente facente funzioni o un vicepresidente scelto tra i membri del cda”.
I precari lasciati a piedi
Lasciato alla deriva, il più grande ente di ricerca italiano oggi non può spendere i 136 milioni di residui che ha in cassa, né i soldi che le aziende pagano affinché il Cnr porti avanti dei progetti di ricerca per loro conto. Non può accedere all’avanzo di 60 milioni per la ricerca del bilancio dell’anno scorso, nemmeno rinnovare i contratti ai circa 4mila precari che danno un contributo decisivo alla sua scienza, né completare alcune tranche del Pnrr.
“Un finanziamento del Parlamento ci consentirebbe di assumerne tra 180 e 190 precari a tempo indeterminato, ma non possiamo procedere senza un rappresentante legale” dice Fantini. “Più in generale non possiamo avviare progetti per il futuro” aggiunge Panieri. “Un gruppo di ricerca ha bisogno di partner professionali per andare avanti. Per i colleghi internazionali con cui collaboriamo, oggi noi siamo diventati inaffidabili. Vediamo la nostra reputazione sgretolarsi e non possiamo fare nulla. Restiamo attoniti alla finestra, sapendo che i treni che perdiamo oggi, in un ambiente competitivo come la scienza, non torneranno più”
Alla nave per ricerche scientifiche Gaia Blu, in porto ad Ancona, non manca ancora il carburante. “Ma non potremo realizzare le attività di ricerca scientifica pianificate da tempo senza la disponibilità certa delle risorse” spiega il direttore dell’istituto di scienze marine Mario Sprovieri.
“La prossima settimana parteciperemo alla più importante conferenza scientifica sugli oceani a Nizza in cui saremo presenti con la Gaia Blu, ma non potremo essere pronti a una competizione efficace con i nostri partner stranieri. Le collaborazioni e i progetti di ricerca internazionali devono infatti essere firmati dal presidente”. Molti salperanno con prospettive scientifiche di grande importanza. La Gaia blu rischia di restare in porto senza nemmeno aver capito il perché.
(da agenzie)
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