DOVE È FINITA LA MELONI CHE DEFINIVA LA MANNAIA DEL DAZISTA TRUMP “UN’OPPORTUNITÀ”? DOVE È ANDATA A NASCONDERSI L’’’ANELLO DI CONGIUNZIONE’’ TRA AMERICA FIRST E L’EUROPA DEI “PARASSITI? A CHE È SERVITA LA SUA “SPECIAL RELANTIONSHIP” CON LO PSICO-DEMENTE DELLA CASA BIANCA CHE CINGUETTAVA: “MELONI È UN LEADER E UNA PERSONA FANTASTICA”?
CHE FOSSE TAGLIATA FUORI DAI GIOCHI, LA REGINA DI COATTONIA DOVEVA FICCARSELO IN TESTA QUANDO L’ALTRO GIORNO HA CHIAMATO URSULA PER SCONGIURARLA A NON RISPONDERE CON I CONTRO-DAZI AL TRUMPONE. LA KAISER DI BRUXELLES LE HA RISPOSTO CON PIGLIO TEUTONICO CHE LA DECISIONE FINALE SULLA POLITICA COMMERCIALE DELL’UNIONE APPARTIENE SOLO A LEI… ED ORA “IO SONO GIORGIA” SI TROVA A DOVER AFFRONTARE UNA GUERRA COMMERCIALE CHE TOCCA MOLTO DURAMENTE LA SUA BASE ELETTORALE E NON SOLO QUELLA CHE VIVE DI EXPORT, COME AGRICOLTURA, LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE, I TESSILI. UN BAGNO DI SANGUE E, IN PROSPETTIVA, UNA CATASTROFE POLITICA
Cercasi disperatamente la “Giorgia dei Due Mondi” che affermava che i dazi trumpiani possono essere “un’opportunità”. Dove è andata a nascondersi l’’’anello di congiunzione’’ di Palazzo Chigi tra l’America First di Trump e l’Europa di Ursula von der Leyen?
A che cazzo è servita la sua “special relationship” con lo psico-demente della Casa Bianca che tre mesi fa dichiarava: “Amo l’Italia. Meloni è un leader e una persona fantastica”?
Detto poco poeticamente: l’Italia governata dalla Statista della Garbatella non conta un amato cazzo.
Fino alle ore 22 di ieri la Ducetta (confortata, sembra, da presunti “amici italiani di Trump”) si cullava nella speranza che l’Italia fosse trattata meglio di altri paesi o che comunque (che poi è la stessa cosa) alcuni settori in cui noi siamo più esposti, fossero esclusi (in primis l’agroalimentare).
Così non è stato, anzi Trump ha rimarcato che per lui nella Ue sono tutti uguali, Macron e Meloni, per cui è inutile cercare distinguo e capriole cerchiobottiste.
Zac! Adesso il panico si è impossessato dell’Underdog: ha annullato tutti gli impegni di oggi per convocare un vertice straordinario del governo sulle tragiche ricadute economiche causate dal 20% del Dazista Trump.
Una volta che il gioco si è fatto duro e i duri hanno cominciato a giocare, con l’entrata sul ring del duplex Starmer-Macron, la Melona è finita alle corde sotto una gragnuola di colpi. Alle 22 di ieri, finite tutte le minchiate da Regina di Coattonia, è finita al tappeto.
Un mese prima dell’entrata in vigore dei dazi americani – una sorta di terza guerra mondiale portata avanti con altri mezzi – il presidente degli Stati Uniti ha fatto orecchie da mercante alle suppliche dell’Underdog per un incontro alla Casa Bianca che avrebbe dovuto épater i burocrati di Bruxelles.
Assistendo all’ingresso nello Studio Ovale del premier britannico e del presidente francese, ricevuti con tutti gli onori dal suo amico Trump, le era partito l’embolo del rosicamento.
Mentre la premier de’ noantri, quando riuscì a ottenere uno straccio di invito all’insediamento di “King Donald” a Washington lo scorso gennaio, fu sbattuta nelle ultime file, accanto all’argentino della motosega, Milei.
Oggi 3 aprile i fatti ormai parlano chiaro e le veline di Palazzo Chigi sono finite nel cestino: la Ducetta di Palazzo Chigi è stato tagliata fuori dalla scena internazionale come certe presenze moleste che ne fanno di tutti colori per imbucarsi alle feste dove non sono stati pregati.
Non resta in mano alla Poverina nemmeno la carta del galoppino italiano di Elon Musk, Andrea Stroppa, come ai tempi del suo blitz a Mar-a-lago per la liberazione di Cecilia Sala dalle galere di Teheran.
Non basterà un semplice Oki per debellare l’ubriacatura trumpiana della Meloni, con applausi al “genio” di Musk e attacchi alle politiche europee. Priva di cultura del potere, circondata dai quei geni della politica che si chiamano Fazzolari e Scurti, la
povera Giorgia non ha capito in tempo che, della sua Nazione, Trump se ne fotte.
Non le è entrato nei neuroni nemmeno è bastato che il suo governo non firmasse il contratto miliardario con SpaceX di Musk per i satelliti a bassa quota per assistere all’inedito e umiliante spettacolo di uno Stroppa qualsiasi che sparava intemerate, del tipo: “Agli amici di FdI: evitate di chiamarci per conferenze o altro”.
Sto’ svalvolato ex hacker diventato lobbista è arrivato al punto di tempestare di chiamate il Quirinale per ottenere un colloquio con il presidente Sergio Mattarella.
Che fosse tagliata fuori dai giochi, irrilevante e fastidiosa come una ronzante mosca estiva, Giorgia Meloni doveva ficcarselo in testa quando l’altro giorno ha chiamato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, per fermarla sulle contromisure europee al “dazismo” trumpiano.
Lo scambio telefonico tra le due signore ha avuto accenti piuttosto aspri. La Thatcher della Garbatella ha insistito sulla necessità di “scongiurare in tutti i modi una guerra commerciale” applicando dei contro-dazi.
L’ex portaborsette di Angela Merkel, che Starmer e Macron hanno trasformato nella Kaiser di Bruxelles, le ha risposto con piglio teutonico che non solo i “parassiti europei” (copy Vance) avrebbero dovuto imporre dei dazi prima del “Giorno della liberazione” Usa, ma che la decisione finale sulla politica commerciale dell’Unione appartiene solo a lei. Come a dire, “a Cosetta, non t’allarga, qui comando io…”
Calata la mannaia delle cosiddette “tariffe reciproche”, ecco una Melona che stamattina balbetta all’agenzia Ansa che bisogna “aspettare.. valutare con attenzione… rispondere, se serve, ma senza isterie”.
Se Mattarella liquida la scelta dell’amministrazione americana un “errore profondo” che richiede “una risposta compatta, serena, determinata» dell’Europa”, la Cosetta di Palazzo Chigi a denti stretti è costretta a riconoscere i “risvolti pesanti” sull’economia italica e ammette che “se servirà” bisognerà difendere gli interessi nazionali, ed europei, immaginando “risposte adeguate”.
Essì, “Io sono Giorgia” si trova a dover affrontare una guerra commerciale che tocca molto duramente la sua base elettorale: agricoltura, le piccole e medie imprese che vivono di export, i tessili. Un bagno di sangue e, in prospettiva, una catastrofe politica.
(da Dagoreport)
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