L’IMPRENDIBILE LETTA: TRENT’ANNI DI SCANDALI E MAI UNA MACCHIA
DAI FONDI NERI IRI AL CASO FININVEST-MAMMàŒ, PASSANDO PER LE MAZZETTE DEL PSDI, IL MOSE E LA P4: SEMPRE “ILLESO”
Un Gran Visir ineffabile.
Gianni Letta è come un’ombra che ingravida quella zona oscura del potere, ma poi diventa imprendibile.
L’uomo che ha ministerializzato (in senso romano) e andreottizzato, in una parola narcotizzato, la rivoluzione berlusconiana è il prezzemolo che spunta a ripetizione nelle inchieste Mose ed Expo. È sempre stato così.
Letta, che è eterno oltre il maestro “Giulio”, è lo spirito che aleggia, senza conseguenze penali, su tutti gli scandali del ventennio della Seconda Repubblica. E non solo.
La sua difesa: correttezza e trasparenz
Di fronte alle citazioni negli atti veneziani del Mose, il solitamente riservato Letta è stato costretto a smentire e ad annunciare querele.
Un atto estremo perchè il verbo minacciare non appartiene a questa figura strana ma decisiva del potere italiano. Una sorta di ciambellano che non ha seggi parlamentari, nè incarichi di partito, e ancora oggi, da privato cittadino, fa l’ambasciatore presso il Quirinale. Con quale titolo? Semplice: la sua fama vasta di mediatore pettinatissimo che Sergio Saviano descrisse così: “Ha un nome da uomo, veste da uomo, porta la cravatta da uomo ma sembra sua sorella”. Ecco la difesa lettiana di ieri: “Non è la prima volta che il mio nome viene evocato o citato in una delle tante inchieste che riempiono le cronache di questi mesi. Ed è ovvio che lo sia, perchè negli anni di governo, mi sono occupato di tante vicende, certo di tutte le più importanti, ma solo per dovere di ufficio e per le responsabilità connesse alla funzione e al ruolo. Ma l’ho sempre fatto con spirito rigorosamente istituzionale, nella più assoluta correttezza e trasparenza”.
Il fantasma di Bernabei e i soldi dell’Iri al “Tempo”
Arrivato a 79 anni, l’ecumenismo di Letta ritrova nello scandalo del Mose i fantasmi di una brutta avventura che risale a trent’anni fa.
E riporta a quell’Ettore Bernabei, boiardo di Stato, che del progetto lagunare è ritenuto il padre. Quando qualcuno ha voluto sottilizzare ha definito il ciambellano berlusconiano come un antico democristiano di rito bernabeiano, non andreottiano. E Bernabei in origine fu fanfaniano. Sottigliezze, appunto. Soprattutto rispetto ai soldi. Perchè nel 1984 il boiardo “Ettore”, a capo dell’Italstat, venne arrestato per i fondi neri dell’Iri e si scoprì che un miliardo e mezzo di lire era finito nelle casse del Tempo, quotidiano diretto da Gianni Letta e legato al nome di Renato Angiolillo, ritenuto dallo stesso Letta “il più grande direttore perchè non ha mai scritto una riga”. L’ineffabile “Gianni” la sfangò, ma la stampa obiettò sulla somma non registrata nel bilancio della società editrice: “L’uso che Gianni Letta avrebbe fatto della cospicua somma getta nuove ombre sull’intero episodio. Infatti, da successivi accertamenti sarebbe emerso in modo inconfutabile che il finanziamento occulto fu utilizzato per un’operazione nell’interesse personale di chi si trovò ad averne la disponibilità ”.
Letta smentì e si difende dicendo che quei soldi servivano al suo giornale.
L’arresto mancato e il sistema Fininvest
Quasi dieci anni dopo, Letta si è riciclato nella Seconda Repubblica da uomo chiave del sistema Fininvest, reclutato da B. nel 1987.
Letta consegna 70 milioni di lire all’allora segretario del Psdi, l’indimenticabile Cariglia come “contributo personale”.
Ma è la legge del repubblicano Oscar Mammì, quella che regola le frequenze, che mette a rischio la sua imprendibilità .
Durante Tangentopoli, viene accertata una tangente Fininvest sotto forma di consulenza (quasi mezzo miliardo di lire) a un collaboratore del ministro, Davide Giacalone.
Per Letta è pronta una richiesta d’arresto. Il gip romano è Augusta Iannini, moglie di Bruno Vespa, corregionale di Letta, che si astiene in nome di “un’amicizia abbastanza antica” .
Il suo sostituto respinge la richiesta e la stessa Iannini, giorni dopo, firma per le manette a Carlo De Benedetti.
La vicenda Letta riecheggia il porto delle nebbie di andreottiana memoria, se non altro perchè il capo dei gip di Roma è Renato Squillante, protagonista di altri gravissimi scandali del ventennio berlusconiano.
Tutti gli amici e tutti gli appalti
Nella Seconda Repubblica la rete lettiana emerge nelle inchieste sulla cricca dei grandi appalti e del G8 (Anemone e Balducci), sulla P4 del faccendiere pregiudicato Luigi Bisignani, sulle interferenze di B. sulla Rai (Trani).
Letta, stavolta da indagato, compare pure in un’indagine per un appalto a una cooperativa ciellina.
Nemmeno una conseguenza, come sempre. Agli atti della cricca c’è una lettera di Letta a Bertolaso, in cui si chiede di aiutare un’impresa di amici di Denis Verdini, sherpa plurinquisito di Silvio. Per non parlare del rapporto quotidiano con Bisignani.
Anche qui rivendicazioni di correttezza nel rapporto con un piduista condannato per tangenti: “Con Bisignani intrattengo rapporti di amicizia che gestisco in modo istituzionale e corretto”.
A 79 anni, Letta è ancora vergine, dal punto di vista penale.
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano”)
Leave a Reply