L’AGONIA SENZA FINE DI MARIUPOL: L’80% DELLA CITTA’ È STATO RASO AL SUOLO E PIÙ DI 200MILA PERSONE SONO RIMASTE SENZA CIBO, ELETTRICITÀ E RISCALDAMENTO
I MORTI SONO STATI AMMASSATI NELLE FOSSE COMUNI, OPPURE SEPOLTI NEI GIARDINI… LA TESTIMONIANZA DI UN CITTADINO: “TRE BAMBINI CHE CONOSCEVO SONO MORTI PER DISIDRATAZIONE. NELLA MIA CITTÀ. NEL XXI SECOLO. LA GENTE STA MORENDO DI FAME”
Le bombe continuano a cadere, anche se praticamente Mariupol non c’è più. L’ottanta per cento della città è distrutto: palazzi e scuole, ospedali, teatri, piazze. Restano solo macerie incandescenti mentre i carri armati continuano a sparare nelle strade deserte. La conquista è fondamentale per l’avanzata di Mosca, che punta ad avere il controllo della costa del Mar d’Azov e a creare un ponte tra la Crimea e la Russia.
Venti giorni di bombe non hanno piegato chi tra quelle strade raccoglie i ricordi di una vita. In tanti sono fuggiti, ma più di 200mila persone sono intrappolate in quello che descrivono come «un inferno gelido». Non c’è cibo, non c’è elettricità, non c’è il riscaldamento, comunicare con l’esterno è diventato quasi impossibile. I morti sono stati ammassati nelle fosse comuni, oppure sepolti in quello che resta dei giardini, sfidando i missili e le bombe.
«Dima, mamma è caduta il 9 marzo. Veloce, quasi senza accorgersene», si legge in un bigliettino indirizzato a Dimitry e scritto dal fratello, che ha indicato nome e cognome numero di telefono, indirizzo, numero di appartamento.
Stava fuggendo dalla città e voleva essere sicuro che le sue parole arrivassero a destinazione: «La casa è stata distrutta, bruciata. Dima, scusami per non aver salvato la mamma! L’ho sepolta nel cortile dell’asilo». Per farlo, ha rischiato, scavando nel terreno gelato – «profondità due metri» – mentre i proiettili attraversavano l’aria. Nel bigliettino è disegnata anche una mappa.
A Mariupol ogni cosa è cambiata, ogni famiglia è distrutta. «Qui c’è la casa dove sono nato, quello che ne rimane. La normalità non tornerà più. Non sento i miei genitori da due settimane e nessuno sa cosa stia succedendo – racconta Oleg Klimenko, che abita vicino a Kharkiv – Mariupol verrà completamente distrutta». Chi è rimasto, è intrappolato «in un Hunger Game», un gioco al massacro, prosegue Klimenko.
Anche la casa di Alevtina Scevtsova, poco distante dal teatro bombardato dai russi, non esiste più. L’intero centro della città portuale sul Mar Nero si è sgretolato sotto le esplosioni. Alevtina è riuscita a scappare e con la sua bambina di 8 anni. Si trova a Kryvyi Rig, non lontano da Dnipro. «Quando è iniziato l’assedio, era il compleanno di mio fratello – racconta – volevamo festeggiare, mio marito ha detto che la Russia aveva attaccato». L’escalation è stata terrificante, «l’8 marzo sono saltate le finestre. Dormivamo nel corridoio, vestiti».
Poi sono arrivati i razzi, i missili, le bombe sull’ospedale pediatrico, l’attacco aereo al teatro, le esplosioni che hanno distrutto la scuola d’arte dove erano nascosti in 400. Anche Natalia Hayetska è riuscita a fuggire insieme ai genitori, anziani. «Eravamo senza acqua ed elettricità. Le persone coprivano i cadaveri con coperte. Altri scavavano fosse nei cortili, sapendo che nessuno sarebbe andato a dare a quei corpi una vera sepoltura», ricorda.
La madre Halyna Zhelezniak, 84 anni, è sconvolta: «È la prima volta nella mia vita che provo tanto orrore». E il marito Ihor aggiunge: «Non credo riuscirò a rivedere Mariupol com’ era. Non vivrò abbastanza». I loro racconti sono simili a quelli di molti altri testimoni scappati dalla guerra, che hanno ancora negli occhi case, strade e palazzi rasi al suolo. Ieri 5.926 persone hanno lasciato la città con i propri mezzi e hanno raggiunto Zaporizhzhia.
«Mariupol non esiste più – commenta Victoria, 27 anni – Tre bambini che conoscevo sono morti per disidratazione. Nella mia città. Nel XXI secolo. La gente sta morendo di fame».
Di atrocità in atrocità, i racconti si susseguono. Memorie di roghi in strada, scontri a fuoco, cadaveri esposti nelle vie. Perfino interventi chirurgici eseguiti con coltelli da cucina e oggetti trovati in casa. Viktoria Totsen, 39 anni, fuggita in Polonia, ricorda: «Gli aerei volavano sopra le nostre teste ogni cinque secondi e lanciavano bombe ovunque».
Il marito Oleksii Kazantsev racconta: «Quando eravamo nel nostro palazzo, nello scantinato, ci sembrava che ci colpissero continuamente e cercavamo di capire perché la nostra casa fosse un obiettivo. Quando siamo usciti, ci siamo resi conto che la stessa cosa era successa in tutta la città. Avevano lanciato bombe su ogni palazzo, senza distinzione».
Domenica il colonnello generale Mikhail Mizintsev, direttore del centro di gestione della difesa nazionale di Mosca, aveva invitato gli abitanti della città portuale ad arrendersi in cambio dell’incolumità. Un’offerta che è stata rifiutata. «Il colonnello Mizintsev, che in precedenza aveva guidato l’operazione militare russa in Siria, è personalmente responsabile dell’assedio», ha detto su Twitter il portavoce dell’amministrazione militare regionale di Odessa, Sergey Bratchuk.
(da agenzie)
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