Giugno 9th, 2010 Riccardo Fucile
ASSUNTO IN QUOTA DISABILI, ERA STATO DESTINATO A FARE DA GUIDA PER I TURISTI A PALAZZO PLATAMONE, ANTICA DIMORA BAROCCA E SEDE DI MOSTRE… IL NUOVO ASSESSORE ALLA CULTURA, IN VISITA, SE NE ACCORGE E LO DESTINA AD ALTRE MANSIONI…MA CON CHE CRITERI VIENE ASSEGNATO IL PERSONALE?
Palazzo Platamone, a Catania, è una antica e bella dimora il cui cortile è stato recentemente ristrutturato, prendendo il nome di Cortile della Cultura: costituisce un gioiello di architettura medievale, meta di visite dei turisti che si aggirano tra le vie barocche della città etnea.
Palazzo Platamone è stato dimora nel XVI secolo della famiglia Platamuni, vicerè nel periodo borbonico, e poi convento di San Placido, oggi un fiore all’occhiello per mostre ed esposizioni.
Catania negli ultimi anni ha avuto parecchi problemi amministrativi: nel 2008 è salita alla ribalta nazionale grazie al buco di bilancio di oltre un miliardo di euro, pari a 3.379 a cittadino.
Un deficit che aveva avuto conseguenze paradossali, come i vigili urbani costretti ad andare a piedi perchè le auto erano senza benzina, o come le strade lasciate al buio perchè non erano state pagate le bollette.
Si era così arrivati a interventi governativi per coprire in parte il buco di bilancio e il 4 giugno scorso è stata varata una nuova giunta, presieduta dal sen. Pdl Raffaele Stancanelli.
Una giunta anomale, composta di soli otto assessori, nessun politico, tutti tecnici, per tentare di dare una svolta.
Assessore alla Cultura è stata nominata la stilista Marella Ferrera che ha deciso subito di andare a visitare le bellezze cittadine, patrimonio la cui tutela è centrale per il ruolo assegnatole.
E Marella inizia proprio il tour di verifica da Palazzo Platamone, all’angolo tra via Landolina e via Vittorio Emanule: si avvicina al portone e trova un uomo seduto su una sedia, con un congegno elettronico in mano.
Gli rivolge un paio di domande, nessun cenno di risposta. Continua »
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Giugno 9th, 2010 Riccardo Fucile
PUR CON LE MODIFICHE IMPOSTE DAI FINIANI CHE HANNO EVITATO IL PEGGIO, LA LEGGE NON HA SENSO… SERVIRA’ SOLO PER NON FAR USCIRE ALTRE INTERCETTAZIONI SULLA CRICCA: IL GOVERNO VA CONTRO L’OPINIONE DEL 60% DEGLI ITALIANI… SI COLPISCONO LE INDAGINI, LA MAGISTRATURA, LA POLIZIA E LA STAMPA PER TUTELARE LA SOLITA CASTA
Berlusconi la voleva ancora più repressiva, Fini più morbida, oltre il 60% degli italiani più volte ha fatto capire nei sondaggi che non la vuole affatto.
Alla fine è uscito un compromesso che, grazie ai finiani, evita il peggio, come il principio di retroattività che avrebbe azzerato tutte le intercettazioni pregresse sulla cricca dei lavori del G8, come la deroga al termine improrogabile dei 75 giorni oltre i quali non si poteva più intercettare.
Ma restano troppi punti oscuri e un principio generale inaccettabile.
Tra i primi, il pericolo di bloccare indagini pesanti di mafia, attraverso i limiti ai reati correlati, il divieto di intercettare in casa del sospettato, il ridicolo tour de force che le procure dovranno mettere in atto per ottenere proroghe ogni 72 ore, con gran incasinamento burocratico, le intercettazioni ambientali concesse per soli tre giorni, le sanzioni eccessive contro giornalisti ed editori.
Il principio generale che ritieniamo inaccettabile è invece che di questa legge siano sosdisfatti solo i delinquenti, mentre tutte le persone oneste e gli operatori del settore protestino.
Qualcosa vorrà evidentemente dire.
Se la norma fosse nata dalla giusta esigenza di tutelare la privacy di un indagato, sarebbe stato sufficiente far applicare gli art. 114 e 329 del codice che sanciscono che le indagini sono segrete mentre il processo è pubblico e che fissano il concetto di segreto istruttorio.
In ogni caso sarebbe bastato fare riferimento solo al divieto di pubblicare notizie personali dell’intercettato che nulla abbiano a che fare con l’inchiesta. Facciamo un esempio.
Dalle intercettazioni di Balducci sono emerse ipotesi di gravi reati che il cittadino ha diritto a conoscere, ma anche certe sue frequentazioni omosessuali a pagamento che nulla c’entrano con l’inchiesta e che come tali dovevano essere segretate.
Ma non ci si può appellare a questa anomalia per mettere il bavaglio a tutto. Anche perchè molte altre registrazioni, ininfluenti dal punto di vista penale, che riguardano personaggi importanti e con cariche di rilievo hanno un’utilità per il cittadino: servono ad essere informati sul modo in cui certe poltrone vengono lottizzate e sulla disinvoltura con la quale si esercita il potere. Continua »
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Giugno 9th, 2010 Riccardo Fucile
UN INTERESSANTE STUDIO DEL PROF. VERZICHELLI: ENTRANO IN PARLAMENTO A 40-50 ANNI E RIMANGONO CON CARICHE POLITICHE FINO A 65 ANNI…LA MEDIA DI PERMANENZA ALLA CAMERA E’ DI 12 ANNI, POI PROSEGUONO SPESSO IN REGIONI E COMUNI…IL CETO POLITICO E’ INVECCHIATO RISPETTO ALLA PRIMA REPUBBLICA
Rinnovamento della classe dirigente, questo sconosciuto: è quanto emerge dal libro “Vivere di politica, come (non) cambiano le carriere politiche in Italia”, pubblicato da Il Mulino e scritto da Luca Verzichelli, docente di Analisi delle Politiche pubbliche all’università di Siena.
Lo studio prende in esame il complesso delle carriere, considerando tutti gli incarichi di un certo rilievo che gli uomini di partito possono rivestire, da quelli locali a quelli nazionali, passando da comuni, province, regioni fino a raggiungere il Parlamento.
Spiega l’autore che “facendo una proiezione grossolana, la tendenza è ad entrare alla Camera o al Senato tra i 40 e in 50 anni e rimanere nel giro politico almeno fino ai 65 anni”.
In pratica i membri della Casta li manteniamo in media 25 anni, alla faccia del rinnovamento.
Solo limitatamente al Parlamento “nel complesso, la carriera politica ha una durata simile a quella della prima Repubblica: considerando coloro che escono non per scelta propria, ma per mancata ricandidatura o per mancata rielezione, la media complessiva di durata è di 2,3 mandati”.
Tradotto in anni, si parla di 12 in media. Continua »
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