Febbraio 23rd, 2012 Riccardo Fucile
I DATI DEL MINISTERO FOTOGRAFANO IL DECADIMENTO DEL SIKSTEMA SANITARIO… ATTESE FINO A 5 ORE PER UN CODICE GIALLO, FINO A 12 ORE PER UN CODICE VERDE…AL SAN CAMILLO DI ROMA DA 1.400 POSTI SI E’ SCESI A 900
Quarantacinquemila posti letto tagliati in 10 anni, soprattutto nelle strutture pubbliche. Attese nei pronto soccorso anche di 12 ore.
Carenza cronica di personale e difficoltà a essere trasferiti in un vero posto letto se si rende necessario il ricovero.
E, più in generale, un incremento del ricorso alle strutture private accreditate in 12 regioni su 20.
E’ quanto emerge dai dati dell’Annuario statistico del ministero della Salute elaborati da Quotidiano sanità .
Numeri che evidenziano come la riforma della sanità abbia finora portato principalmente tagli di posti e piani di rientro (con ulteriore ridimensionamento dell’offerta sanitaria in quasi la metà delle regioni), lasciando ancora sulla carta la cosiddetta “medicina del territorio” che dovrebbe fungere da collegamento tra ospedale e cittadino, assicurando cure e assistenza h24 soprattutto a chi soffre di patologie non acute.
I dati di Quotidiano sanità fotografano una rete ospedaliera vicina al collasso in molte zone del Paese, soprattutto in grandi città come Roma, Napoli o Torino, dove la riduzione dei letti in corsia, la chiusura dei piccoli ospedali e la mancanza di strutture di riferimento sul territorio sta portando all’intasamento dei Pronto Soccorso, con il moltiplicarsi di situazioni limite come quelle del San Camillo o del il Policlinico Umberto I di Roma, finiti nelle cronache delle ultime settimane.
45mila posti letto in meno: tanto è stato tagliato tra il 2000 e il 2009, il 15,1% del totale. Si è passati dal rapporto di 5,1 posti letto ogni mille abitanti di 12 anni fa al 4,2 attuale (di cui 3,6 per mille dei letti per acuti e 0,6 per mille per le lungodegenze).
Un dato che ci pone sotto la media europea, che è di 5,5 per mille.
I tagli maggiori si sono avuti in Sardegna (-22,6%), Friuli Venezia Giulia (-21%), Puglia (-20,2%) e Lazio (-18,8%).
Quelli più modesti invece in Campania e Abruzzo (che, come quasi tutto il Sud, partivano da una realtà ospedaliera già sottodimensionata rispetto al centro-nord), mentre le uniche regioni che hanno evitato i tagli sono Molise e Valle d’Aosta, che hanno visto addirittura un incremento di circa il 9% dei posti letto ospedalieri.
Triplo dei tagli nel settore pubblico: a risentire maggiormente del calo di posti letto è stato il settore pubblico, dove in media, a livello nazionale, il ridimensionamento è stato del 17,2%, cioè più di tre volte di quanto tagliato nel privato, dove le riduzioni hanno riguardato solo il 5,3% dei letti delle case di cura private accreditate.
Tuttavia, analizzando solo il dato del privato per singola regione si scopre che appena otto regioni (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Lazio, Calabria e Sardegna) hanno ridotto i posti letto nel privato, mentre tutte le altre realtà locali hanno incrementato il ricorso al privato accreditato con picchi di oltre il 50% in Liguria, Abruzzo, Molise, Basilicata. Numeri che hanno fatto spostare di ben due punti la bilancia del rapporto tra posti letto pubblici (dall’82,8% del 2000 al 80,8% del 2009) e posti letto nel privato accreditato (dal 17,2% del 2000 al 19,2% del 2009), a tutto vantaggio di quest’ultimo, come si può intuire.
Dodici ore di attesa, anche in piedi: nelle strutture d’emergenza-urgenza italiane il problema principale è quello delle attese e delle barelle aggiunte nei corridoi per la mancanza di posti letto, come rileva un’indagine condotta dal Tribunale del Malato, insieme all’Anaao-assomed (il principale sindacato dei medici ospedalieri), che ha fotografato la situazione di 70 strutture, di cui i due terzi nelle regioni centrali.
Se per l’accesso al triage (cioè l’assegnazione del codice bianco, verde, giallo o rosso) si aspetta infatti da pochi minuti a mezz’ora, per la presa in carico i tempi sono molto più lunghi.
Un codice giallo può aspettare fino a 5 ore dopo il suo arrivo al Pronto Soccorso, mentre un codice verde fino a 12 ore.
Un’attesa che molte volte si fa in piedi. Anche se sale d’attesa con posti a sedere sono presenti nel 98,5% delle strutture, i posti sono insufficienti.
In 24 pronto soccorso, si legge nell’indagine, si sono trovati da un minino di due ad un massimo di 10 malati in piedi in attesa.
Mentre chi deve essere ricoverato, nel 37,7% dei casi aspetta più di sei ore per avere un posto letto.
Nel frattempo, denuncia il Rapporto, le persone vengono sistemate in barelle aggiunte, che sono “in media 5 per Pronto Soccorso monitorato”, con un massimo segnalato di 22. Dalla ricerca emergono anche dei dati positivi: in nove casi su dieci le strutture hanno eliminato le barriere architettoniche e nell’87% dei siti monitorati è presente un’area di osservazione breve.
Lacune si segnalano invece in relazione alla privacy: le persone vengono in molti casi chiamate per nome e non ci sono spazi adeguati per garantire la riservatezza.
Anche la presenza della vigilanza, nota il Tdm, è da incrementare, visto che è segnalata solo in poco più della metà dei casi (55,8%).
Da risolvere è pure la carenza di mediatori culturali, presenti solo in un terzo delle strutture (34,2%).
Da Torino a Napoli, i medici raccontano l’emergenza: ”Al Cardarelli di Napoli negli ultimi anni sono stati tagliati circa 200 posti letto e ogni giorno il pronto soccorso si ritrova invaso da pazienti che abbiamo difficoltà a smaltire”.
E’ la testimonianza di Franco Verde, coordinatore provinciale Anaao-Assomed sull’ospedale napoletano. Ma anche negli altri pronto soccorso della penisola non va molto meglio.
Al San Camillo-Forlanini di Roma i posti tagliati sono stati quasi 500 letti dal 2002 ad oggi, passati da 1.400 a 929.
”Ed è aumentata molto — racconta Bruno Schiavo, segretario aziendale Anaao-Assomed — la permanenza delle persone in pronto soccorso, proprio a causa della grave difficoltà nel reperire posti liberi. Nel 2005 infatti in pronto soccorso 78 persone hanno dovuto attendere per più di 24 ore per un posto letto libero. Nel 2010 sono diventate 2.280”.
Alle Molinette di Torino è stato tagliato il 20% dei posti in dieci anni e il pronto soccorso è in difficoltà da mesi.
”Ormai si trovano barelle ovunque anche nei ripostigli — rileva Gianluca Ruiu, segretario aziendale Anaao-Assomed — e anche per questo bisogna rafforzare l’assistenza extraospedaliera”. Un punto questo, su cui si sono spese tante parole, ma visti pochi fatti. E con la crisi i tempi potrebbero essere ancora molto lunghi.
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 23rd, 2012 Riccardo Fucile
DENUNCIA DELLA CORTE DEI CONTI: GLI EFFETTI DEL LODO DEL PDL BERNARDO LIMITA LA POSSIBILITA’ DI CHIEDERE I DANNI AI FUNZIONARI PUBBLICI INFEDELI
In tempi di crisi, riprendersi i soldi dei corrotti sarebbe ancora più utile al bilancio
dello Stato. Invece “la tutela dei fenomeni corruttivi o concussivi è obiettivamente rallentata”.
Lo scrive il Procuratore regionale della Corte dei conti per la Lombardia Antonio Caruso, nella relazione d’inaugurazione dell’anno giudiziario 2012. E il motivo, spiega, sta in un codicillo introdotto dal Parlamento del 2009, che il procuratore precisa con tutti i crismi: “art. 17, comma 30 ter, Dl 78/2009…”.
Così non dice niente, ma all’epoca della sua controversa approvazione era noto alle cronache come “lodo Bernardo”, dal deputato (lombardo) del Pdl Maurizio Bernardo che lo aveva presentato.
Guadagnandosi l’accusa di aver confezionato l’ennesima legge ad personam che avrebbe tutelato, tra gli altri, l’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi da ulteriori effetti collaterali del nascente “caso escort”.
Per di più, il lodo Bernardo era stato inserito come emendamento al decreto “anticrisi” di quell’anno, e non è semplice comprendere come possa contrastare la crisi un provvedimento che toglie risorse alla casse pubbliche senza portare alcun vantaggio alla collettività .
La norma introdotta nel 2009 limita fortemente la possibilità della Corte dei conti di agire per danno d’immagine nei confronti dei funzionari pubblici infedeli.
Prescrive fra l’altro l’esistenza di una sentenza di condanna definitiva.
Da qui il sospetto, sollevato a suo tempo da Pd e Idv, che il testo fosse “telefonato” per le esigenze del Cavaliere, all’epoca non ancora indagato per il caso Ruby, ma già al centro del caso D’Addario-escort.
Che data la grande risonanza internazionale, qualche sostanzioso danno d’immagine alla Repubblica italiana verosimilmente lo stava provocando.
E ben altri ne sarebbero derivati a breve con la storia della minorenne “nipote di Mubarak” ospite per diverse notti ad Arcore.
Come al solito, però, la legge ad personam finiva per beneficiare una vasta platea di soggetti in quel momento “attenzionati” dalla magistratura contabile, ma ben lontani da una sentenza definitiva.
Per esempio il sindaco Letizia Moratti, alle prese con le “consulenze d’oro” del Comune di Milano, una vicenda che si è poi conclusa con il proscioglimento in sede penale, ma con una condanna, limitata al danno erariale, da parte della Corte dei conti. Tra i primi a invocare il Lodo Bernardo in un aula di tribunale, il 29 settembre 2009, è stato Pier Paolo Brega Massone, primario della clinica “degli orrori” Santa Rita, sotto processo per omicidio, lesioni e truffa, con l’accusa di aver disposto interventi chirurgici inutili per ottenere maggiori rimborsi dal sistema sanitario lombardo.
Vent’anni dopo l’inizio dell’inchiesta “Mani pulite”, sul fronte della corruzione la situazione è “peggiorata”, ha affermato il presidente regionale della Corte Fabio Galtieri, perchè sono più “raffinati i meccanismi” ed “è diffuso convincimento che le possibilità di essere colpiti sia bassa”.
Nel 2010, l’azione dei giudici contabili ha consentito di recuperare 11,3 milioni di euro, che a giudicare dalle affermazioni di Galtieri sono una piccola parte monte mazzette circolante in Lombardia.
Nel frattempo, la norma architettata da Maurizio Bernardo ha dispiegato in pieno i suoi effetti.
“Per effetto di tale novella legislativa”, scrive il Procuratore regionale Caruso nella sua relazione, “l’azione erariale a tutela dei fenomeni corruttivi o concussivi è obiettivamente rallentata”.
Non solo: “Risultano in parte sterilizzati gli strumenti cautelari che l’ordinamento appresta per evitare che, nel corso del giudizio finalizzato all’accertamento della responsabilità amministrativo-contabile, possa ridursi o addirittura venire meno la garanzia patrimoniale dei soggetti responsabili”
(da “Il Fatto Quotidiano“).
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Febbraio 23rd, 2012 Riccardo Fucile
DA MONTEZEMOLO A PASSERA, L’ULTIMO E’ MONTI
In meno di due anni, Mario Monti è il terzo “papa straniero” che Walter Veltroni propone per la leadership del centrosinistra.
Tutto ruota attorno all’aggettivo “riformista”, ancora una volta.
“Monti è un riformista, non lasciamolo alla destra”, così domenica scorsa a Repubblica l’ex quarantenne kennediano che a metà dei Novanta non voleva regalare alla destra neanche Lamberto Dini, altro ex premier tecnico oggi nel recinto dei satelliti del Pdl, con queste parole profetiche: “Ha vissuto da ministro l’esperienza Berlusconi, poi quella del suo governo appoggiato dal centrosinistra. Beh, quando gli hanno chiesto se avrebbe accettato un ruolo nel prossimo schieramento di destra, ha semplicemente risposto: ‘No, non mi ci vedo’. A buon intenditor…”
Difatti.
Andando a ritroso, dopo l’esternazione che sancisce la nascita del “partito di Monti” nel Pd, la passione di Veltroni per il leader che viene “dall’esterno” si colloca nel settembre del 2010. L’ex sindaco di Roma nonchè ex candidato-premier (perdente) nel 2008 si fa vivo dopo mesi di pensoso silenzio e lancia il documento dei 75 per il “papa straniero” a capo dell’ex Ulivo ed ex Unione.
Il nome del momento è quello di Alessandro Profumo, cacciato da Unicredit. Parafrasando il Fassino dell’estate dei furbetti del quartierino: “Abbiamo un banchiere”.
L’ipotesi Profumo mette a soqquadro il Pd e irrita persino un moderato come Beppe Fioroni, democristiano doc: “Prendere come leader uno che è appena stato cacciato mi pare un’idea singolare della politica”.
Ma i veltroniani non si rassegnano e un mese dopo ci riprovano con un altro nome.
Stavolta a farlo è Goffredo Bettini, cervello politico del buonismo trasversale.
Per lui, l’impegno in politica di Luca Cordero di Montezemolo “potrebbe avere un grande significato e una grande presa”. Il presidente della Ferrari (e di tante altre cose), secondo Bettini, dovrebbe “compiere un atto di servizio, unilaterale, disinteressato e a termine, mettendo la sua popolarità ed esperienza a disposizione di una battaglia civile e democratica”.
In questa fase il tema del “papa straniero” esplode (altro grande alfiere che difende il solco tracciato da Veltroni è il direttore di Repubblica Ezio Mauro) ed emergono anche le suggestioni dello scrittore anti-camorra Roberto Saviano e dell’ad di Fiat Sergio Marchionne.
Ovviamente, sulla sponda opposta a quella presidiata da Veltroni, si mette seduto Massimo D’Alema, teorico del primato della politica e dei partiti e notoriamente allergico alla società civile, secondo una sua antica e feroce battuta copiata dalla propaganda nazista: “Quando sento parlare di società civile metto mano alla pistola”.
Certo, Profumo, Montezemolo e Marchionne più che nella categoria “società civile” vanno inseriti sotto la voce “poteri forti” ma per D’Alema è lo stesso e fa sapere che quella del “papa straniero” è una “falsa strada”.
Rispetto a oggi, la discussione di due anni fa sembra preistoria.
Soprattutto perchè non c’è più Berlusconi a Palazzo Chigi.
Dal novembre scorso, da quando cioè è nato il governo sobrio dei tecnici, la convinzione comune è che dopo Monti (e Passera) nulla sarà come prima.
Non senza paradossi e contraddizioni. All’inizio i ruoli erano rovesciati.
Nel senso che il superministro Corrado Passera, ex Intesa, era il candidato più gettonato del centrosinistra (sempre per la serie “abbiamo un banchiere”) e Monti per il centrodestra.
Oggi è il contrario. Roberto Formigoni, governatore della Lombardia, ha proposto Passera al posto di Alfano per la successione a Berlusconi, Veltroni ma anche Enrico Letta si sono buttati su Monti.
Nel centrosinistra, la questione del leader esterno, da non regalare agli altri, è affiorata all’alba della Seconda Repubblica, all’indomani della sconfitta della gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto.
Non a caso, il partito montiano del Pd ripete che la foto di Vasto (Bersani, Di Pietro, Vendola) sarebbe il bis di quell’esperienza.
Prima della candidatura di Romano Prodi nel 1996, fu proprio Veltroni a lanciare il nome di Carlo Azeglio Ciampi, ma questi ringraziò e rifiutò. Il Pds inseguì anche Mariotto Segni, sempre per sottrarlo alla destra.
In quella zona grigia e bipartisan tra i due poli sono stati vari i nomi dei leader intercambiabili prima di Monti, Passera e Montezemolo.
Sergio D’Antoni, quando lasciò la Cisl, fu corteggiato da destra e sinistra (oggi è nel Pd). Ma la vera passione tra i postcomunisti sono i banchieri, causato forse dal complesso della “sinistra stracciona”.
Nel duemila spuntò l’ipotesi di Antonio Fazio, governatore di Bankitalia. Disse Massimo Cacciari: “Ci vorrebbe un cattolico democratico di alto profilo disposto a farsi carico del problema di arginare questa destra che con le destre europee non ha niente da spartire. Io vedo solo Antonio Fazio”.
Oggi l’argine al “papa straniero” è soprattutto Bersani, che vede tramontare la sua candidatura a premier ma più di tanto, in pubblico, non ha osato.
Questa la sua risposta a Veltroni su Monti: “Il mio partito ha una proposta alternativa, non a Monti, ma alla destra. Poi Monti e i suoi ministri potranno decidere con quale polmone respirare”.
Appena tre giorni prima aveva detto che Monti “non fa cose di sinistra”.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Febbraio 23rd, 2012 Riccardo Fucile
PER I SONDAGGI IL PARTITO CROLLA MA BERLUSCONI INTONA L’INNO
È stato quando Berlusconi ha cominciato a cantare il nuovo, raggelante, inno della “rifondazione
del Pdl” che i suoi gerarchi, i vari Verdini, Cicchitto, La Russa, Gasparri, ma anche Alemanno e Polverini, sono rimasti senza parole.
E non per il fatto che la canzone avesse una musicalità assolutamente pedestre, quanto perchè “abbiamo avuto nettamente la percezione — ha raccontato ieri sera uno sconfortato dirigente di via dell’Umiltà — di trovarci davanti un uomo lontano dalla realtà che sta vivendo il partito. E anche il Paese”.
Lesmo, villa Germetto, quasi mezzanotte di lunedì.
È appena finita la cena convocata da Berlusconi con tutti i rappresentanti del Pdl, dai massimi vertici ai dirigenti locali, per discutere del futuro del partito in vista delle amministrative.
Ma, soprattutto, dello scandalo delle tessere false e delle future, possibili, alleanze.
Prima della cena erano girate voci incontrollate, che riferivano di un Cavaliere deciso a “saltare un giro”, a non “presentare il simbolo del Pdl alle amministrative” per appoggiare solo alcune liste civiche in modo da non rendere evidente quello che la sondaggista Ghisleri, ormai, certifica da settimane: il Pdl ai minimi storici, compresa la figura di Berlusconi.
In alcune regioni, addirittura, si sarebbe toccato la voragine dell’8%, in altre solo il 10%, in Lombardia poco più che il 15%; abissi mai raggiunti prima, a sentire uomini come Verdini, abituati a monitorare costantemente l’andamento dei consensi.
Ecco, insomma, i più fidati del Cavaliere, i Cicchitto, ma anche le Gelmini, si sarebbero aspettati da Berlusconi una strategia politica decisa.
Invece, si sono trovati davanti uno scenario completamente diverso, ma non nuovo.
Un Berlusconi che ha cominciato a parlare della “nuova azione politica” come se stesse per lanciare una nuova “operazione predellino”.
Cioè: nessuna archiviazione del simbolo del Pdl. Che anche se non ha più grande appeal, “non scalda i cuori”, però è ancora in grado di “farci portare a casa il 23% a livello nazionale”. Questo, consentirà di veder rinsaldata presto “anche l’alleanza con la Lega, ma guardano in particolare verso Casini” e che nessuno si metta in testa che il Pdl possa stare nell’ombra alle prossime amministrative; ci saranno liste civiche, certo, laddove ci sia un’oggettiva situazione di “sofferenza” (l’8% dei consensi denunciati dalla Ghisleri), ma mai e poi mai “stare in panchina”. E, ciliegina sulla torta, un nuovo inno.
A quel punto c’è stato chi dice di aver visto sbiancare Mario Valducci, ma anche lo stesso Fabrizio Cicchitto.
Perchè il Cavaliere, ormai ebbro di esaltazione, ha chiamato al pianoforte, al centro della sala, un giovane diplomato al conservatorio e ha cominciato a cantare: “Gente della libertà /gente che spera/ che canta /che crede nel sogno della libertà …”.
Ritmo rap. O, almeno, il tentativo.
Gli sguardi dei commensali pare tradissero indicibile imbarazzo, soprattutto quando B. ha svelato come è nata la melodia.
“L’ho scritta io — ha svelato Berlusconi — ad Arcore, assieme a Maria Rosaria (Rossi,ndr); l’abbiamo buttata giù in pochissimo tempo, da soli, al pianoforte”.
Alla fine della serata, un noto dirigente pidiellino ha commentato, deluso: “Speriamo di riuscire a farlo ragionare almeno domani sera prima dell’incontro con Monti”.
Già , perchè il Cavaliere deve vedere il premier all’ora di pranzo per parlare di riforme, dopo il vertice dove ha nuovamente fatto il punto con Alfano sulla legge elettorale (una riforma da fare con il Pd, con sbarramento almeno all’8%), ma soprattutto sul decreto per le semplificazioni e su alcuni emendamenti chiave del provvedimento sulle liberalizzazioni: quelli sul beauty contest delle frequenze tv.
Comunque, il suo nuovo inno del Pdl sta già tenendo banco più della sua “azione” politica.
In particolare J-Ax degli Articolo 31 lo ha trovato familiare.
Troppo.
Sara Nicoli
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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