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DAI BRACCIALETTI ALLE SCARPE TROPPO STRETTE: VIAGGIO DENTRO GLI SPRECHI DEL MINISTERO

Novembre 4th, 2012 Riccardo Fucile

TRA LE FORNITURE DISCUSSE PERSINO QUELLE PALLOTTOLE DI FABBRICAZIONE CECA, DIFETTOSE

La polizia, ogni anno, spende 65 milioni di euro per servizi di mensa, 89 milioni per l’equipaggiamento, 59 milioni per la manutenzione e il noleggio dei mezzi e altri 16 milioni per beni e servizi vari.
Un fiume di denaro, al quale si aggiungono altre spese pagate sempre dal ministero dell’Interno che, solo per forniture, versa annualmente 500 milioni.
Spulciando le varie voci delle singole uscite, non mancano le curiosità .
Come, ad esempio, i 2 milioni di euro per «acquisto di attrezzature varie per prevenzione di rischi di attacchi nucleari ».
Anche la Corte dei conti ha denunciato gli sprechi del Viminale.
Quello del prolungamento del contratto con la Telecom (azienda citata anche dal corvo e di cui si può leggere nell’articolo qui accanto) affidato nel 2003 senza alcuna gara, per i costosissimi braccialetti elettronici dei detenuti.
Nonostante dal 2003 al 2011 il ministero dell’Interno abbia speso ben 81 milioni di euro per un braccialetto utilizzato da appena quattordici detenuti, una cifra record, il Viminale ha deciso di rinnovare la convenzione con la Telecom per la durata settennale: «Esattamente dal 2012 fino al 2018 – sottolineano i giudici contabili nella relazione di fine settembre 2012 – reiterando perciò una spesa antieconomica e inefficace, che avrebbe dovuto essere almeno oggetto di un approfondito esame».
«Anche la conferma del contraente Telecom – si legge ancora nella relazione – avvenuta a prezzi e prestazioni non identici (i pezzi sono passati da 400 a 2000), e perciò qualificata impropriamente come una proroga, avrebbe dovuto o potuto essere oggetto di riflessione e trattative, se non di comparazione con altre possibili offerte ».
Se in otto anni sono stati realmente utilizzati appena 14 braccialetti su un totale di 400, perchè adesso ne servirebbero addirittura 2.000?
Di certo ringrazia la Telecom, che in tempi di spending review, con i poliziotti che lamentano perfino la mancanza di risorse per la benzina delle auto di servizio, si è vista rinnovare, senza aver fatto alcuna gara, un appalto da oltre 10 milioni di euro all’anno: cifra, questa, che potrebbe crescere di almeno quattro volte, se i braccialetti verranno utilizzati, con una spesa stimata in altri 500 milioni di euro.
Ma appalti in odor di sprechi, che meriterebbero accertamenti, ce ne sono in tutte le forniture. Clamoroso è stato l’acquisto di pallottole dalla ceca Sellier&Bellot: 8 lotti di cartucce calibro 9 prodotte nel 2009, e 5 l’anno prima, sono risultati difettosi, lasciando le forze di polizia di tutta Italia senza munizioni per le esercitazioni.
Come fu fatto il bando e, soprattutto, con quali controlli di qualità ?
Ci fu una rivalsa di danni nei confronti della azienda ceca?
L’appalto delle scarpe delle poliziotte è addirittura finito Striscia la notizia.
Migliaia di scarpe nere da donna con un tacco leggermente più alto del modello standard.
Il Viminale, il 30 settembre del 2005, ne ha acquistate, attraverso una gara affidato a una azienda italiana con stabilimento in Romania 12 mila per un valore di 600mila euro.
Peccato che i numeri di scarpe in Romania non corrispondano a quelli italiani e della Cee.
E così le donne poliziotto non sono riuscite a calzarle e le hanno restituire ai magazzini costringendo gli uffici a avviare un contenzioso con l’azienda.
C’è, poi, tutto il capitolo dei fondi Ue per rendere più sicuro il Meridione aggiornandone le tecnologie di sicurezza.
Un business milionario che ruota attorno al Cen, il Centro elettronico di Napoli che funziona da server per la polizia di Stato e che offre prestazioni a tutte le forze dell’ordine italiane.
Qui avrebbe dovuto essere testata la potenza di calcolo della polizia.
In realtà  sono stati buttati milioni di fondi europei, e la gran parte dei progetti non è mai entrata in produzione.
Uno per tutti è il progetto Siai che avrebbe dovuto consentire alla polizia il rapido accesso a tutte le banche dati esterne (comuni, camere commercio), attraverso un unico processo di identificazione.
Nonostante tutti i soldi spesi, non ha mai funzionato nemmeno un giorno. Sprechi anche per i progetti informatici delle Scientifiche.
Quello Spaid, ad esempio, nato per la veloce identificazione degli immigrati da parte degli uffici periferici: sono stati acquistati moltissimi macchinari, ma la gran parte è rimasta inutilizzata.
Chi li ha scelti, non ha pensato a come farli “dialogare” tutti insieme con il sistema Afis di rilevamento delle impronte digitali.
Sempre in tema di impronte digitali, sono tuttora inutilizzati i cosiddetti centri mobili, grossi camper abbandonati nei garage delle Questure.

Alberto Custodero e Antonio Fraschilla
(da “La Repubblica”)

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UNITA’ D’ITALIA: LE CELEBRAZIONI DEI 250 ANNI LASCIANO UN BUCO DI 3,5 MILIONI

Novembre 4th, 2012 Riccardo Fucile

DUE MILIONI DI MANCATI INTROITI DALLA MOSTRA “FARE GLI ITALIANI”: “TROPPI I BIGLIETTI SCONTATI”… SPESI 25 MILIONI PER IL RESTAURO DELLE EX OFFICINE GRANDI RIPARAZIONI

Tra due giorni la mostra “Fare gli italiani” chiuderà  definitivamente i battenti.
È stata una delle vetrine più scintillanti delle celebrazioni per i 150 anni dell’unità  d’Italia.
“La mostra più bella che abbia mai visto” commentava lo scorso maggio Roberto Saviano, che da quella struttura con Fabio Fazio ha condotto le tre puntate della trasmissione televisiva “Quello che (non) ho”.
Fare gli italiani, allestimento multimediale su 150 anni di storia nazionale, è stato infatti il fiore all’occhiello di una Torino prima capitale d’Italia, emozionata e tirata a lucido per l’importante anniversario.
La mostra, come molte altre iniziative cittadine, è stata gestita dal Comitato Italia 150, un ente fondato per la grande occasione dal ministero della Cultura, Regione Piemonte, Provincia, Comune di Torino e diversi soci privati.
Il Comitato ha davvero pensato a tutto, dai lavori di restauro ai gadgets tricolore dell’anniversario.
Ma deve aver sbagliato qualcosa nei suoi calcoli se oggi, calato il sipario, si trova a fare i conti con un mare di debiti.
Il buco di bilancio del Comitato è di 3 milioni e mezzo di euro.
Dovuto a due milioni di mancati introiti per la mostra Fare gli italiani e a un contributo governativo che tarda ad arrivare.
Cifre alla mano il Comitato ha speso per il ripristino e l’allestimento delle ex Officine grandi riparazioni, stabilimenti delle Ferrovie in disuso che hanno ospitato la mostra, più di 25 milioni di euro.
Un’enormità  rispetto agli incassi, dato che i visitatori sono stati 700mila e avrebbero dovuto pagare a testa, per avere un saldo in pareggio, circa 35 euro a testa.
Alberto Vanelli, vice presidente del Comitato, ha spiegato che il problema sono stati i troppi biglietti scontati e che non c’è da allarmarsi: l’ammontare del buco per il 2012 infatti “è nettamente inferiore a quello di fine 2011, che era pari a 7 milioni 800 mila euro”.
Resta comunque lo scoglio dei fornitori.
Dove trovare i soldi per chi ha lavorato ai festeggiamenti e aspetta ancora di essere pagato? Dopo la lunga attesa, la lista di allestitori e piccoli artigiani arrabbiati — ha scritto il giornale piemontese Lo Spiffero — si sta a tal punto allungando che “in qualche studio legale si sta profilando l’idea di riunire tutti i creditori addirittura in un comitato”.
Non sono però solo i piccoli ad essere sul piede di guerra.
Il Comitato 150 ha infatti dovuto affrontare il problema di un’ingiunzione di pagamento da parte di Rcs Sport, che pretendeva i pagamento dei 700mila euro pattuiti per il passaggio a Torino del Giro d’Italia nell’anno delle celebrazioni.
Si trattava di fondi che sarebbero dovuti arrivare dalla Regione Piemonte e che sono stati liquidati appena in tempo, il 10 ottobre, prima dei previsti pignoramenti.
Secondo la fonte giornalistica il ritardo nel saldo è comunque costato alla collettività  76 mila euro in più rispetto alla spesa iniziale.
Tra i fornitori arrabbiati c’è poi il Teatro Stabile di Torino, che si è rivolto ai legali per recuperare i suoi 250mila euro, guadagnati “per le attività  di allestimento e intrattenimento realizzate in occasione dei festeggiamenti per l’unità  d’Italia”. Vanelli intanto ha promesso: verranno pagati tutti entro l’anno.
Al momento la partita è interamente spostata sulla vendita delle ex Ogr, gli stabilimenti delle ferrovie ripristinati a spese del Comitato.
Solo questa operazione, grazie alla quale la struttura passerebbe da Ferrovie alla Fondazione Crt, può consentire al Comitato di recuperare i 3 milioni e mezzo di euro e sanare i suoi conti in rosso. L’accordo tra venditore e acquirente però è lontano dall’essere raggiunto.
La trattativa procede con tale fatica che il Comune di Torino ha deciso di intervenire per provare a velocizzarne la conclusione.
Senza quella vendita il Comitato resta nei guai e la città  rischia di sprecare uno spazio espositivo su cui sono stati fatti molti investimenti.
Lo ha spiegato, con un certo trasporto, l’assessore alla cultura del comune di Torino, Maurizio Braccialarghe, che ha definito la vendita necessaria “perchè sulle Ogr non cali la notte con un conseguente degrado, per valorizzare gli investimenti realizzati, perchè le Ogr rappresentano uno spazio che esiste e che è stato vissuto, avendo ospitato, oltre alla mostra, molte manifestazioni”.
Dietro l’enfasi delle parole si profila infatti il rischio che lo scintillante scenario di Fare gli italiani, costato milioni di euro, faccia la fine di certe altre strutture olimpiche, oggi preda dei vandali e dell’abbandono

Elena Ciccarello
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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SEGGI E PRIVILEGI, LE RIFORME IN PANCHINA

Novembre 4th, 2012 Riccardo Fucile

DALLA RIDUZIONE DEGLI ONOREVOLI ALLA LEGGE SUI BILANCI DEI PARTITI…LE NORME ARENATE IN PARLAMENTO

«Abbiamo lavorato per anni a vuoto», allarga le braccia il senatore dell’Idv Francesco «Pancho» Pardi.
Ricordate la riduzione del numero dei parlamentari? Sembrava che non ci fosse missione più importante. Perfino i duellanti del Partito democratico, Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani, divisi praticamente su tutto, erano concordi.
In Senato era stata raggiunta addirittura un’intesa. Non certo il dimezzamento dei seggi che praticamente chiunque aveva promesso, bensì una più potabile (per i partiti, naturalmente) sforbiciata del 20 per cento.
Si sarebbe passati dagli attuali 945 a 762 parlamentari: 508 deputati e 254 senatori. «Non c’è alcun dubbio», giuravano ancora a giugno Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello dal quartier generale del Popolo della libertà .
«La riduzione del numero dei parlamentari verrà  approvata, in tempi brevissimi e con il voto convinto del Pdl che sul punto non si è spostato di una virgola».
Peccato che proprio la forzatura sulla proposta di riforma costituzionale semipresidenzialista, fortemente voluta da Pdl insieme alla Lega Nord, abbia fatto saltare tutto.
La riduzione del numero dei parlamentari è arenata in Senato. Più che arenata: morta e sepolta.
«Ho fatto quello che potevo, ma da solo non potevo riuscire. Più volte ho chiesto lo stralcio della norma che prevede il taglio, ma poi le decisioni vengono prese a maggioranza. Per me è un grande rammarico. Un’altra delle promesse non mantenute in questa legislatura», ha ammesso il presidente della Camera Gianfranco Fini parlando con Zapping duepuntozero di RadioRai.
Rammarico comprensibile.
Ma non può non sorgere il sospetto che sotto sotto quel taglio in realtà  pochissimi lo volessero sul serio.
Diciamo la verità ? Le poltrone a disposizione dei partiti stanno drasticamente diminuendo, sotto la pressione dell’opinione pubblica: meno posti di sottogoverno, meno consiglieri regionali, forse anche meno Province e meno società  dove collocare parenti, amici e trombati.
Se poi ci aggiungiamo l’irruzione sulla scena di un soggetto come il Movimento 5 stelle, che dopo aver conquistato il comune di Parma è diventato il primo partito in Sicilia, il quadro è completo.
I seggi parlamentari sono preziosissimi, chi ha il coraggio di rinunciarvi?
Come sempre, la Sicilia fa da modello: l’anticipo delle elezioni ha consentito di evitare che il taglio dei deputati regionali siciliani si completasse, salvando così quei 20 posti che nel caso in cui la legislatura si fosse chiusa regolarmente sarebbero quasi certamente saltati. Il 28 ottobre si è votato dunque per eleggere i soliti 90 consiglieri anzichè i 70 previsti dalle nuove norme nazionali che non sono state recepite in tempo dalla Regione siciliana (causa le provvidenziali dimissioni del governatore Raffaele Lombardo con simultanee elezioni).
L’elenco di quelle «promesse non mantenute» cui fa riferimento Fini, del resto, è piuttosto corposo.
Insieme al taglio dei parlamentari è defunta, per esempio, anche quella parte di riforma costituzionale che avrebbe messo fine al bicameralismo perfetto: altra cosa sulla quale tutti, a parole, sono d’accordo.
Che dire poi delle Province? Il governo di Mario Monti le vuole ridurre a 51 per decreto.
Ed è certo che per quel provvedimento il passaggio parlamentare non sarà  una passeggiata.
Ma nessuno ricorda che ancora non è risolta la questione più importante.
Parliamo dell’abolizione del livello elettivo, quello dei Consigli provinciali. Inizialmente il decreto salva Italia aveva privato le Province delle loro funzioni, stabilendo che sarebbero sopravvissute unicamente come scatole vuote, governate da organi non eletti dai cittadini ma nominati dai Comuni.
Questo avrebbe comportato l’azzeramento dei Consigli provinciali, con la contestuale eliminazione di un passaggio elettorale insieme a qualche migliaio di poltroncine. Risultato: risparmi non trascurabili, anche solo considerando che una elezione generale costa più o meno mezzo miliardo.
Il governo ha poi deciso di fare marcia indietro, lasciando alcune funzioni alle Province, accorpandone però un certo numero.
Ma senza toccare il principio secondo il quale quegli enti non saranno più elettivi: i Consigli provinciali dovranno in ogni caso sparire.
Già . Ma come?
Il decreto salva Italia aveva stabilito che le modalità  per il passaggio a miglior vita degli organi politici e per la nomina delle future giunte da parte dei Comuni sarebbero state fissate dal governo con una legge da approvare entro il 2012.
Quel disegno di legge in effetti esiste.
È stato presentato qualche mese fa. C’è solo un piccolo problema: è arenato.
I relatori concordano sul fatto che siano necessarie profonde modifiche, soprattutto sul peso relativo dei Comuni nella designazione degli organi di governo delle future Province.
Ma a San Silvestro non mancano che un paio di mesi e l’ingorgo è sempre più fitto. Non bastasse, è sempre pendente un ricorso alla Corte costituzionale proprio contro il salva Italia. Indoviniamo: c’è chi scommette che non ci sia tempo per approvare la legge e che pure l’abolizione dei Consigli provinciali passi in cavalleria?
E c’è il rischio che non se ne faccia nulla neppure della riforma del titolo V della Costituzione innescata dal governo Monti dopo gli scandali che hanno travolto la Regione Lazio.
Prima l’ha bocciata la commissione bicamerale per gli Affari regionali. E ora nelle commissioni Affari costituzionali e Bilancio della Camera sono comparsi alcuni emendamenti che la svuotano del tutto.
In che modo? Semplicissimo: abolendo il controllo preventivo della Corte dei conti sugli atti di spesa delle Regioni e la parificazione dei bilanci da parte delle sezioni regionali della magistratura contabile.
C’è chi scorge dietro a questa mossa la mano del partito dei governatori, che pure avevano dato via libera al progetto di Monti. Comunque sia, è un fatto che a quel punto la legge sarebbe assolutamente inutile.
Sempre che poi ci siano i tempi tecnici per una riforma costituzionale di questa portata, e così contrastata.
Da questo le preoccupazioni del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, espresse pubblicamente qualche giorno fa.
Perchè in questo travagliato scorcio di legislatura i partiti sembrano più concentrati sulla propria sopravvivenza.
Al punto da perdersi per strada altre cose che li riguardano direttamente.
Qualcuno sa dire che fine ha fatto la legge con la quale si dovrebbe finalmente dare attuazione all’articolo 49 della Costituzione, quello che riguarda proprio i partiti politici?
L’avevano messa in cantiere dopo gli scandali dei tesorieri di Margherita e Lega Nord, insieme al provvedimenti sui controlli dei bilanci.
Era sul punto di essere votata alla Camera.
Ma siccome aspetta da quasi 65 anni, forse hanno pensato che può attendere ancora…

Sergio Rizzo
(da “Il Corriere della Sera”)

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