Destra di Popolo.net

SUL MARITO DELLA MUSSOLINI: “LUI CLIENTE, DATI INCONTROVERTIBILI” IN MANO AI MAGISTRATI CHE INDAGANO SULLE BABY SQUILLO

Marzo 11th, 2014 Riccardo Fucile

RICONOSCIUTO DALLE RAGAZZINE OLTRE A PROVE DERIVANTI DA INTERCETTAZIONI TELEFONICHE, TABULATI E SMS INVIATI E RICEVUTI

“Elementi incontrovertibili” graverebbero sulla posizione di Mauro Floriani, marito della parlamentare Alessandra Mussolini, indagato per prostituzione minorile nell’ambito dell’inchiesta della procura di Roma sulle due studentesse che si prostituivano in un appartamento ai Parioli. Già  ufficiale della Guardia di Finanza, Floriani fa parte di una lista di venti clienti (su 40 complessivamente identificati dai carabinieri) iscritti nel registro degli indagati sulla base di una lunga serie di accertamenti investigativi: tra questi intercettazioni telefoniche e esame dei tabulati dei cellulari, inclusi dunque anche sms inviati e ricevuti sulle utenze dei protagonisti della vicenda. A suo carico ci sarebbe anche il fatto che le due ragazzine dei Parioli l’avrebbero riconosciuto in foto.
Floriani nei giorni scorsi aveva già  chiarito la sua posizione, presentandosi spontaneamente ai carabinieri e spiegando perchè il suo numero di telefono sia tra quelli finiti nelle intercettazioni. La sua versione, però, non sembra aver convinto più di tanto gli inquirenti.
Altri dieci clienti, tra i 40 identificati, hanno chiesto di patteggiare la pena e rischiano da sei mesi ad un anno di reclusione.
Con l’identificazione dei clienti la Procura di Roma si avvia a chiudere la prima tranche dell’inchiesta che ha portato all’arresto di sei persone tra cui anche la madre di una delle due ragazzine.

(da “La Repubblica”)

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RETROSCENA: ORE 15 ALLARME ROSSO, LA BOSCHI PRECETTA TUTTI PER NON ANDARE SOTTO: “TUTTI IN AULA, RENZI SI GIOCA LA FACCIA”

Marzo 11th, 2014 Riccardo Fucile

NEL PANICO DEI RENZIANI, CONVOCATI ANCHE I NON ELETTI GUIDI E POLETTI

L’allarme rosso scatta alle 15,00, quando le votazioni sulle preferenze segnalano che, a voto segreto, il Pd rischia di esplodere.
E che la strigliata mattutina di Matteo Renzi al suo gruppo ha prodotto l’effetto opposto rispetto alle intenzioni di ricondurre tutti all’ordine, e cioè quello di moltiplicare il dissenso.
Tutte le votazioni dicono che il Pd inizia a non reggere: le soglie di sbarramento sono al sicuro per una cinquantina di voti, sulle preferenze l’emendamento La Russa non passa per 35. A rischio è il cuore dell’accordo tra Renzi e Berlusconi.
A quel punto Maria Elena Boschi fa scattare il codice rosso.
Avvisando palazzo Chigi che occorre precettare ministri e sottosegretari, altrimenti rischia di saltare l’Italicum.
È attorno all’emendamento Gitti, su preferenze e quote, che teme l’Incidente.
Tesa, la ministra renziana non si allontana dall’Aula nemmeno per un caffè, compulsa il telefonino che non molla un attimo. Il problema non è Forza Italia. Il problema è il Pd. I gruppi non rispondono a Renzi.
Rosy Bindi, nel suo intervento mattutino alla riunione dei gruppi, ha intercettato un malessere diffuso: “Noi — ha detto Bindi – abbiamo un’idea diversa della democrazia di un uomo solo che fa le cose buone”.
In Transatlantico pare di essere tornati ai giorni dei centouno. Capannelli, tensione. Francesco Boccia è plumbeo: “Io — dice – ho votato Renzi al congresso e sono andato in giro a dire che cambieremo l’Italia e tutto questo non sta accadendo. Questa legge trasforma l’Italia in un pantano”.
L’aria è pesante. La sinistra del Pd non ha ancora digerito lo schiaffo sulle quote rose, il malessere trasversale delle donne è tangibile, Bersani nella sua intervista ad Agorà  ha indurito i toni. Se gli emendamenti passano è perchè Forza Italia è compatta. Scherza Mariastella Gelmini: “L’accordo tiene grazie all’opposizione…”.
Arrivano trafelati, i membri del governo. Allertati da Palazzo Chigi.
In un clima surreale partono telefonate da invio al fronte: “Tutti in Aula”.
Tanto che viene spostato a mercoledì mattina il pre-consiglio dei ministri, preparatorio delle misure economiche. Sull’Italicum Renzi si gioca la faccia.
Nella concitazione vengono spediti in difesa della patria renziana pure i non eletti.
Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, che parlamentare non è, entra in Aula e capisce che non c’entra nulla con quella votazione semplicemente perchè non può votare.
Ci ride su Federica Guidi, altra esterna non parlamentare, che approfitta per scambiare qualche battuta con Fitto in Transatlantico.
La grande paura produce sketch comici. Un senatore, sottosegretario, allarga le braccia: “Stanno rimbambiti. Hanno chiamato tutti, pure chi non c’entra”.
I renziani Lotti e Guerini marcano i parlamentari per capire che aria tira. Uno dopo l’altro arrivano i membri del governo. Ministri, sottosegretari accompagnati da qualche portaborse felice di poter azzannare un tramezzino in bouvette.
Giovanni Legnini, sottosegretario all’Economia, invece di lavorare sui dossier si ritrova precettato per l’emendamento Gitti: “Secondo me — dice prima che si voti — non passa. Di poco ma non passa”. Esatto.
Arriva a passo svelto il ministro Madia, all’ottavo mese di gravidanza. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando entra in Aula e non si assenta un attimo. Così pure la Mogherini e Pistelli. In tutto sono 22 i membri del governo presenti. Il pallottoliere dice che salvano l’Italicum e il governo visto che l’emendamento Gitti non passa per venti voti.
Senza di loro sarebbe, di fatto, sarebbe saltato l’Italicum.

(da “Huffingtonpost“)

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I SOLDI SONO DI LETTA E IL CUNEO DI RENZI : I 10 MILIARDI CHE RENZI SEMBRA ELARGIRE DI TASCA SUA IN PARTE SONO GIA’ STATI STANZIATI

Marzo 11th, 2014 Riccardo Fucile

2,5 MILIARDI ERANO GIA’ PREVISTI DALLA LEGGE DI STABILITA’, 3,5 MILIARDI SONO IL RISPARMIO SUGLI INTERESSI DEL DEBITO PUBBLICO A CAUSA DELLA RIDUZIONE DELLO SPREAD… I RESTANTI 4 MILIARDI DA TAGLI ALLA DIFESA E ALLE PRESTAZIONI SOCIALI… E SI SCOPRE CHE I 2 MILIARDI PER LE SCUOLE LI AVEVA GIA’ STANZIATI LETTA

Il dossier del taglio da 10 miliardi all’Irpef per i redditi mediobassi lo hanno in mano in tre: il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, Matteo Renzi e il sottosegretario Graziano Delrio (più relativi staff, ovviamente).
La collegialità , nonostante sia previsto un incontro con la maggioranza prima del Consiglio dei ministri di domani, non è una cifra di questo governo.
Poco male, comunque, se non fosse che questo rende parecchio incerto il quadro degli eventi. Nel Transatlantico di Montecitorio — luogo di penombra e cinismo così poco consonante col decisionismo renziano — domina un nervoso scetticismo: “La copertura non c’è”, prevedono esperti del bilancio pubblico e vecchie volpi di commissione.
“Non ho i particolari, ma che la copertura ci sia lo dò per scontato visto che il taglio è già  stato annunciato”, sostiene invece Enrico Zanetti, Scelta Civica e sottosegretario proprio al Tesoro.
Il dubbio dei malpensanti, va detto, non è fondato: nel senso che il premier e il ministro i soldi in Consiglio li porteranno; è la qualità  di queste risorse, invece, ad essere tutta da verificare.
Un po’ di numeri: in realtà  i dieci miliardi di Renzi sono 7,5 visto che — come ha spiegato il viceministro Enrico Morando — inglobano i due miliardi e mezzo già  stanziati da Enrico Letta sul 2014 con la legge di Stabilità .
E qui la faccenda si fa più confusa. Al Tesoro viene dato per certo che alla riduzione del cuneo verrà  devoluto anche il risparmio previsto dalla spesa per interessi sul debito pubblico (lo spread è in calo): già  in una simulazione a inizio anno il solito governo Letta l’aveva quantificato in 3,5 miliardi.
L’ex premier, comunque, si rifiutò di mettere a bilancio qualunque cifra come misura prudenziale: ora quei soldi se li prende il buon Matteo.
Gli ultimi 4 miliardi che mancano a coprire il provvedimento con cui Renzi farà  la campagna per le europee sono una materia più scivolosa: l’idea è che quasi tutti possano venire dalla spending review di Carlo Cottarelli.
Fabrizio Saccomanni per quest’anno ha messo a bilancio la miseria di 60 milioni di euro, ma quando era al Tesoro stimava in non meno di cinque miliardi il frutto possibile del lavoro del commissario già  nel 2014.
Sempre la maledetta prudenza del governo della stabilità  che oggi torna utile al giovane e veloce nuovo presidente del Consiglio: tutto a coprire la riduzione del cuneo fiscale.
Il problema è che non si può tagliare una tassa promettendo che si taglierà  una spesa in futuro. Serve una copertura certa in attesa dei decreti ispirati da Cottarelli e allora al Tesoro si stanno baloccando con varie ipotesi, che — nascoste sotto il nome inglese — hanno una natura antica: sono i cari vecchi tagli lineari (più qualche operazione sulle tasse).
I bilanci da cui si può tagliare sono in sostanza due: quello del Welfare e quello della Difesa.
Su quest’ultimo, ad esempio, fonti governative ieri spiegavano che gli interventi ipotizzati sono sul programma F35 (oltre 500 milioni la spesa 2014) e il blocco totale o parziale del reclutamento di nuovi militari.
Così i soldi non bastano, però: e infatti “temo che per reperirli il governo sia costretto a incidere sulle prestazioni sociali”, dice l’ex viceministro Fassina.
Un’altra delle simulazioni fornite dalla Ragioneria generale, infine, farà  sobbalzare sulla sedia qualcuno (Alfano su tutti): adeguamento degli studi di settore per gli autonomi, elettorato non proprio a trazione piddina.
Il core business dell’operazione Renzi, comunque, al momento si basa sui soldi generati da opere e omissioni di Enrico Letta: anche il pagamento dei debiti della P.A. — che ora passa sotto l’egida di Cassa depositi e prestiti — vive nel solco di quella da 47 miliardi (la metà  già  pagati) fatta dal precedente esecutivo.
Persino il grande spot sulle scuole da mettere a posto si basa su 2 miliardi che erano già  stanziati a questo fine nel bilancio del ministero delle Infrastrutture.
Per questo Pier Carlo Padoan — che ieri ha spiegato questo e altro ai colleghi europei nel suo debutto a Bruxelles — l’ha buttata sulla velocità : “Molte delle direzioni del governo sono in linea con quelle del precedente, ma noi intendiamo accelerare”.
Il colloquio di Letta con Eugenio Scalfari su Repubblica di domenica e la faccia di Saccomanni, ieri sera a La7, testimoniano un fatto: non gli è piaciuto essere quelli che hanno pagato la benzina.

Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano“)

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IL GIOCO DELLE PARTI, STORACE ATTACCA LA MELONI: “NO EURO E FUORI DAL PPE? DUE ANNI FA VOTAVA ANCORA LA FIDUCIA A MONTI”

Marzo 11th, 2014 Riccardo Fucile

ORA SI CONTENDONO UN ELETTORATO “CRITICO” VERSO BERLUSCONI PER POI ALLEARSI O METTERSI IN LISTA CON LUI: SONO ANNI CHE NON SI SMUOVONO DALLA SILVIODIPENDENZA E AL CAVALIERE FANNO GIOCO

Francesco Storace, grande assente di Fiuggi…
«No, guardi, se cominciamo così lasciamo perdere, non mi va più di fare l’intervista».
Il leader de La Destra non è persona che perda facilmente il sorriso. Ma stavolta il tono delle sue parole è amaro, scontroso, con nessuna voglia di scherzare.
«Se non c’ero a Fiuggi non è stato certamente per mia volontà  – spiega – ma perchè non mi hanno voluto. Non che pretendessi di avere qualche ruolo in particolare. Mi bastava un invito, alla stregua di Quagliariello o del rappresentante di Sel».
Come si è spiegato il mancato invito?
«Non me lo sono spiegato. Probabilmente non c’è nessun interesse a tentare una ricomposizione, ma è difficile chiarirsi certi meccanismi. Pssa la voglia persino di fare polemiche, meglio chiuderla qui».
Cosa si aspettava da Giorgia Meloni?
«Avrei voluto un appello sincero all’unità . Invece c’è stato solo un dire e un non dire. Condito da diverse insinuazioni su quelle che sarebbero le mie intenzioni per il futuro. Si preoccupi del futuro dell’Italia, non del mio».
C’è invece qualcosa che l’ha colpita positivamente?
«Il discorso pronunciato da Giorgia è largamente condivisibile. Il problema è che sono solo parole. Mentre la credibilità  si basa sui fatti».
A cosa allude?
«Penso alla presa di posizione contro l’euro. Eppure loro sono gli stessi che hanno votato la fiducia al governo Monti. Noi la battaglia contro la moneta unica l’abbiamo fatta in tempi non sospetti. Era il 3 marzo 2012 e portammo in piazza ventimila persone. Proprio mentre loro in Parlamento sostenevano il governo tecnico. Altro che Marine Le Pen. Per non parlare della faccenda del Ppe…».
Parliamone.
«In passato la Meloni ammoniva: “Guai a tornare nostalgicamente indietro”. Ora invece hanno cambiato idea. Il che è legittimo se però si risparmiano prediche agli altri. La verità  è che se le parole di adesso fossero state identiche ai fatti di ieri non avrebbero avuto problemi a invitarci. Invece hanno avuto paura del richiamo della coscienza, per questo non ci hanno voluti».
L’unità  della destra è definitivamente compromessa?
«La Meloni, con la replica di domenica, certamente non ha aiutato. Ma il discorso va allargato. Questo nuovo partito come si pome con il tema delle alleanze? Vuole o non vuole stare con il centrodestra? Anche parlare di Berlusconi in quella maniera non è stato carino…».
In che senso?
«Sono stati per quattro anni nel suo stesso partito, sono stati ministri con lui e ora lo attaccano. Ma così l’elettorato di destra non te lo riprendi. An valeva il 15%. Adesso quei voti sono almeno per metà  in Forza Italia. Sperano di riconquistarli insultando il leader di quel partito? Vuole sapere i motivi dello scontro con Fini? Sono diventati concorrenti nell’antiberlusconismo».
Berlusconi non può essere messo in discussione?
«Guardi, io con il Cavaliere ho avuto anche scontri duri. Penso a quando, nel 2008, subì il veto di Fini alla presenza de La Destra nella coalizione. Anche noi, in quel contesto, facemmo un “miracolo” in quaranta giorni, conquistando il 2,5% dei voti. Ma quella storia è indicativa anche sotto un altro punto di vista».
Quale?
«Quando convinsi la Santanchè a guidare quella battaglia non le dissi “se ti va, vieni”. La corteggiai, ci fu un’opera di avvicinamento. In politica, a volte, bisogna anche saper essere garbati. Dall’altra parte, invece, c’era Fini che ci attaccava e la Meloni che lo spalleggiava contro di noi. Anche lei, all’epoca, tuonava contro i partitini. E adesso?».
È vero che andrà  con Berlusconi?
«Intanto la Direzione de La Destra, prima del congresso di Fiuggi, aveva varato la doppia tessera. Anche quello voleva essere un segnale distensivo. Ma non è stato colto. Ora convocherò il comitato di presidenza, ascolterò i vari orientamenti e decideremo. Un’idea me la sono fatta, ma ne parlerò solo quando diventerà  qualcosa di più concreto».

Car. Sol.
(da “il Tempo”)

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LA LEGGE TRUFFA PASSA ALLA CAMERA: SOLO PER 35 VOTI BOCCIATE LE PREFERENZE, I FRANCHI TIRATORI ORA SI APPOSTANO AL SENATO

Marzo 11th, 2014 Riccardo Fucile

VIA LIBERA A SOGLIE DI SBARRAMENTO E LISTE BLOCCATE

L’Aula di Montecitorio ha approvato l’emendamento che rappresenta il ‘cuore’ dell’Italicum e contiene i ‘pilastri’ del patto siglato tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi.
Ovvero, le soglie di sbarramento, il premio di maggioranza e i criteri e algoritmi per la ripartizione dei seggi.
La votazione si è tenuta a scrutinio segreto: i sì sono stati 315, i no 237.
Secondo alcuni calcoli, mancherebbe infatti all’appello una ‘fronda’ di 51 deputati appartenenti alla maggioranza politica che sostiene la riforma.
Ok dell’assemblea quindi alla soglia del 37% per ottenere il premio di maggioranza, a quella del 12% per i partiti in coalizioni, a quella dell’8 %   per quelli non coalizzati. La norma introduce inoltre il sistema del doppio turno di ballottaggio per le due coalizioni – o in alternativa i due partiti – più votate che tuttavia non riescono a raggiungere o superare la soglia del 37%.
No alle preferenze.
La Camera ha invece bocciato l’emendamento al testo dell’Italicum che mirava ad introdurre le preferenze.
La maggioranza ‘politica’ che sostiene il patto Renzi-Berlusconi (che non prevede le preferenze ma le liste bloccate con collegi plurinominali) ha evitato il passo falso per soli 35 voti.
I sì favorevoli all’emendamento sulle preferenze, a prima firma La Russa, sono stati infatti 264 contro i 299 no.
Anche in questo caso il Pd si è spaccato: il deputato Pd Francesco Boccia (marito dell’ex ministro Nunzia De Girolamo, Ncd) ha infatto sottoscritto l’emendamento La Russa e anche quello Gitti (Sc) che prevedeva le preferenze di genere.
Le defezioni sono state oltre 100.
Alla luce di quanto accaduto, vista la maggioranza risicata a Palazzo Madama, per il governo il passaggio al Senato si preannuncia tutt’altro che scontato.

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SI SONO FATTI RIMBORSARE ANCHE UN VIBRATORE: SPESE PAZZE IN PROVINCIA

Marzo 11th, 2014 Riccardo Fucile

BUFERA A BOLZANO SUL PARTITO SEPARATISTA E XENOFOBO   FREIHEITLICHEN, ALL’OPPOSIZIONE IN ALTO ADIGE

Il vibratore a carico del contribuente ancora no.
Nell’elenco degli oggetti bizzarri, comprati a spese dei cittadini dalla casta dei consiglieri regionali, quello mancava.
Così da oggi, al fianco delle mutande verdi di Roberto Cota, delle Red Bull di Renzo “Trota” Bossi e del libro “Mignottocrazia” di Paolo Guzzanti, acquistato da Nicole Minetti, entrano in scena anche i sex toys.
Succede a Bolzano dove la Guardia di Finanza ha trovato una fattura per l’acquisto di tre oggetti erotici in un sexy shop della città  in mezzo alla documentazione sequestrata ai Freiheitlichen, gruppo consiliare germanofono di estrema destra.
A darne notizia in anteprima il Corriere dell’Alto Adige che svela il nuovo colpo di scena dell’inchiesta sulle spese pazze fatte con soldi pubblici degli amministratori altoatesini condotta dal sostituto procuratore Giancarlo Bramante.
Come riporta il dorso locale del Corsera, dopo il blitz di gennaio, fra le carte sequestrate dalle Fiamme Gialle è saltato fuori anche uno scontrino di 65 euro emesso dalla Beate Uhse, celebre catena tedesca di articoli erotici che ha una sede anche a Bolzano: 25 euro per un vibratore e il resto per altri due non meglio specificati sex toys.
I militari stanno ancora cercando di capire quale dei sei consiglieri del gruppo abbia effettuato l’acquisto per poi chiedere il rimborso attraverso i fondi pubblici a disposizione dei gruppi (750mila euro annui).
Quel che è certo, in attesa di sapere chi è l’acquirente, è che sta per arrivare una nuova mazzata sulla credibilità  della politica all’ombra delle Dolomiti.
Già , perchè il nuovo scandalo arriva nemmeno dieci giorni dopo all’ondata di rabbia popolare per la pubblicazione dell’elenco dei ricchissimi vitalizi che i consiglieri (in carica ed ex) si preparavano a intascare.
Così come sarà  difficile per il Die Freiheitlichen giustificare l’accaduto di fronte al proprio elettorato che pochi mesi prima aveva premiato la sua linea ultra-autonomista e xenofoba con il 17,9 dei voti facendolo diventare la principale forza d’opposizione nel parlamentino della provincia autonoma.
Il manifesto del partito guidato da Ulli Mair e Pius Leitner recita: “No agli immigrati clandestini, no alle moschee, no ai parassiti sociali”.
Ma soprattutto chiede la secessione e la costituzione dello stato autonomo del Sud Tirolo.
Posizioni da fare impallidire anche la Lega Nord e che avevano fatto accomunare la formazione al Freiheitliche Partei à–sterreichs, il partito nazionalista austriaco che ebbe nello scomparso Jà¶rg Haider, ex governatore della Carinzia, il suo principale esponente.

Lorenzo Galeazzi ed Emiliano Liuzzi

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RENZI ARRIVA ALLE MINACCE: “CHI FARA’ MANCARE IL PROPRIO VOTO NE RISPONDERA'”, LA BINDI LO INTERROMPE: “ABBIAMO UN’IDEA DIVERSA DI DEMOCRAZIA”

Marzo 11th, 2014 Riccardo Fucile

LA LEGGE-TRUFFA DEVE PASSARE A OGNI COSTO: IL DUCETTO DI PONTASSIEVE DEVE SALVARE LA POLTRONA E L’INCIUCIO CON BERLUSCONI… AL “PURO” SALVINI VERRA’ GETTATO UN “SALVALEGA” AL SENATO…LE CRITICHE DI BERSANI

Votare il testo della legge elettorale, così com’è, alla Camera.
Poi, prima dell’approdo in Senato, una riunione congiunta dei gruppi di Montecitorio e palazzo Madama per apportare quei correttivi ai punti critici, primo tra tutti la rappresentanza di genere, che ieri hanno visto diviso il Pd.
E’ questa la linea indicata dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, parlando ai deputati Pd nella sua qualità  di segretario del partito. Un ‘serrate i ranghi’ è arrivato dunque durante il discorso nel quale Renzi ha avvertito che chiunque farà  il mancare il proprio voto oggi dovrà  risponderne davanti al Paese e agli elettori.
E’ ripreso infatti questa mattina l’esame in aula alla Camera sulla legge elettorale: ieri a scrutinio segreto sono state affossate le norme sulla parità  di genere scatenando il caos nel Pd dove sono mancati parecchi voti a sostegno della causa delle donne, scatenando la protesta di queste ultime e della minoranza del partito.
E non è bastata la rassicurazione del presidente del consiglio, Matteo Renzi, via twitter tanto che questa mattina alle 8.30 è stata convocata al Nazareno un’assemblea proprio per “fare chiarezza”, come hanno chiesto le deputate democratiche.
Battibecco Bindi-Renzi.
Nel corso dell’assemblea del gruppo, Renzi ha assicurato che sulle quote rosa il Pd “è avanti” e che la parità  di genere è già , di fatto, una pratica. Ma ha chiarito che sulla legge elettorale “non c’è da mantenere un patto con Berlusconi, ma un impegno che come partito abbiamo preso profondo, netto, chiaro”.
Il suo discorso è stato interrotto da Rosy Bindi che, in polemica con il premier, ha fatto notare dalla platea che “il Pd è un partito ferito dai 100 voti mancati per far passare la norma antidiscriminatoria”.
La legge elettorale, ha ammonito Bindi, “è passibile di incostituzionalità “. Poi la stoccata: “Noi – ha detto la deputata Pd – abbiamo un’idea diversa della democrazia di un uomo solo che fa le cose buone”.
Renzi, ha espresso “marcato dissenso rispetto a chi ritiene “la legge elettorale che sta per essere approvata alla Camera sia incostituzionale (come ha detto oggi anche Renato Schifani annunciado il suo voto contrario in Senato, ndr).
Il monito: voto compatto.
Su quanto accaduto ieri alla Camera, Renzi ha poi accennato alla necessità  di cambiare il regolamento “per ridurre l’uso del voto segreto”. E ha ammonito: “Se qualcuno non vuole votare oggi, lo deve spiegare bene fuori da qui”.   Poi ha rivolto ai suoi un appello: “Vi chiedo, come Pd, di chiudere oggi o questo ricadrà  su di noi. “Al Senato ne riparleremo, di quote e di altro”, ha assicurato, annunciando che la settimana prossima,   sarà  un momento di approfondimento del partito sulle questioni che restano in discussione a Palazzo Madama.
Le dimissioni di Marchi.
Ma non sono solo le ‘donne’ del Pd a protestare per la mancata approvazione, ieri alla Camera, di norme sulla parità  di genere nella legge elettorale. In assemblea del gruppo ha espresso il suo “disagio” anche Maino Marchi. Per questo, ha chiarito, il deputato, voterà  la legge ma da ‘soldato semplice’. E ha annunciato che si dimitterà  da capogruppo Pd in commissione Bilancio.
I consigli di Bersani. Da Agorà  su RatiTre, intanto, Pier Luigi Bersani invita il segretario-presidente alla prudenza: “Renzi è lì da qualche settimana. Capisco che anche per indurre un meccanismo di fiducia e di movida in questo Paese lui alza le aspettative, ma è una cosa che comporta dei rischi”.
L’ex segretario Pd sottolinea anche che non avrebbe incontrato il Cavaliere nella sede del Pd, come invece ha fatto Renzi. “Se l’avessi fatto io, sarebbero venute giù le cataratte – rileva – avrei avuto furibondi titoli di giornale. Era un altro clima, un’altra stagione”.
“Forse – spiega Bersani – c’è stato un di più. Dopo di che devi parlare con tutti, va da sè. Ma questo – chiarisce – non significa dare l’ultima parola a Berlusconi. Non c’è nessuno bisogno, nemmeno dal punto di vista numerico. Bisogna metterci misura”.
L’accordo Pd-Fi sul “salva-Lega”.
Tra gli altri nodi da sciogliere che riguardano la legge elettorale, c’è anche il cosiddetto emendamento “salva-Lega” (quello che prevede che un partito forte elettoralmente su di un territorio potesse ottenere seggi in Parlamento anche senza superare le soglie stabilite a livello nazionale), ritirato ieri da Forza italia. Renato Brunetta, capogruppo di Fi a Montecitorio, a Radio Anch’io ha spiegato il motivo del ritiro: “Il Partito democratico avrebbe votato contro, e c’è un accordo per far passare questo emendamento al Senato”.

(da “La Repubblica”)

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RETROSCENA: BERLUSCONI LASCIA A VERDINI LA TRATTATIVA SULLE QUOTE E STACCA IL TELEFONO

Marzo 11th, 2014 Riccardo Fucile

“L’IMPORTANTE E’ CHE REGGA L’ACCORDO CON RENZI”…. E SULLE QUOTE CAMBIA IDEA PIU’ VOLTE

Al dunque, l’unica bussola che Silvio Berlusconi segue è quella della concretezza: “L’importante è che tenga l’accordo con Renzi. Dobbiamo evitare che salti tutto. È evidente che Matteo non tiene i suoi”.
E così, sull’argomento che meno l’appassiona come le quote rose, dà  completo mandato a chiudere a Denis Verdini, nel modo che il plenipotenziario azzurro ritiene più opportuno.
E, per evitare tante chiacchiere e dibattiti, si inabissa, evitando di prendere le telefonate dei vari big che prendono d’assalto il centralino di Arcore.
Perchè la verità  è che sull’argomento il Cavaliere non ha mai avuto una posizione definita. Allergico alle discussioni ideologiche, avvezzo a promuovere le donne in base ai suoi criteri di quote rosa nei ultimi due giorni ha sostenuto una cosa e il suo contrario.
E così, parlando con i contrari alla Verdini, si è detto completamente d’accordo con loro, abbandonandosi a battute che hanno molto divertito la corte: “Questa roba delle quote è ridicola. Se fanno le quote rosa, poi si inventeranno le quote per i senior, poi arriveremo alle quote per trans”.
Epperò più volte, sempre in questi giorni, ha rassicurato Stefania Prestigiacomo e Mara Carfagna che non aveva nulla in contrario a votare la parità  di genere.
A patto chiaramente che non facesse saltare l’accordo con Renzi. Tanto che, nella giornata di sabato, aveva deciso: “Siamo favorevoli a questa cosa, mi avete convinto”.
È stata a quel punto una telefonata energica di Brunetta a fargli cambiare di nuovo linea.
Raccontano i ben informati che il capogruppo abbia ancorato il suo stesso mandato allo stop delle quote rose.
E, allora, nuovo contrordine: “Berlusconi — spiega Galan — è un liberale. Della norma in sè non gliene frega niente. Se i suoi la vogliono, dice fatela. Se ci sono problemi dice no. Tanto le donne in lista le mette lo stesso”.
Proprio questo approccio laico e disincantato spiega perchè, saturo di ricevere telefonate sull’argomento, abbia lasciato tutto nelle mani di Verdini, con un’unica regola di ingaggio: “L’importante è che regga il patto”.
Ben sapendo che il potente Denis è, letteralmente, allergico alle quote rosa, che limiterebbero il suo potere sulla formazione delle liste.
Quando si riuniscono, in un corridoio della Camera, Verdini, la Santanchè e Maria Elena Boschi, il plenipotenziario del Cav chiede che si voti “no”. Punto.
La risposta della ministra è che Renzi è contrario a questa storia delle quote ma il gruppo del Pd non regge il no.
Anzi sarebbe un massacro di fronte all’opinione pubblica. Quindi il governo si rimette all’Aula e il Pd dà  libertà  di voto.
La via della libertà  di voto è l’unico modo per scaricare sul Parlamento la responsabilità  dell’affossamento dell’emendamento.
Verdini vorrebbe il “no” del Pd, consapevole che non può votare no solo Forza Italia. Pallottoliere alla mano però può funzionare anche il voto segreto che consente di far fare il lavoro sporco nel segreto dell’urna, lasciando lindi Renzi e Berlusconi. L’importante è stoppare l’emendamento diventato, visto da Verdini che su questo ha registrato piena sintonia di vedute con Matteo Renzi, un cavallo di troia per far saltare tutto: “Le donne — dice un azzurro vicino al dossier – non c’entrano nulla. Se passa è a rischio la legge elettorale. Perchè a quel punto mezzo Parlamento chiederà  di reintroduzione delle preferenze e addio accordo”.
Ecco perchè quando Forza Italia annuncia la libertà  di coscienza le pasionarie azzurre capiscono che è un modo silurare l’emendamento: “Il mio partito — dice Stefania Prestigiacomo — non lascia neanche libertà  di coscienza. Quindi intervengo in dissenso dal mio gruppo”.
Nervi tesi con Brunetta: “Non capisco le polemiche. Abbiamo lasciato libertà  di coscienza”.
Al netto delle donne il voto di Forza Italia è stato compatto.
L’accordo con Renzi regge ancora, anche se i numeri finali lasciano perplesso il Cav in vista del Senato: “Matteo non regge i suoi”.

(da “La Repubblica”)

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BABY PROSTITUTE, INDAGATO IL MARITO DI ALESSANDRA MUSSOLINI: “HA TELEFONATO ALLE RAGAZZINE DEI PARIOLI”

Marzo 11th, 2014 Riccardo Fucile

DAL SUO CELLULARE TELEFONATE COMPROMETTENTI

Sull’elenco degli indagati con l’ipotesi di prostituzione minorile c’è anche il nome di Mauro Floriani.
Il marito della senatrice Alessandra Mussolini non è l’unico, sono una ventina i clienti delle baby squillo dei Parioli individuati dai carabinieri del nucleo investigativo di Roma e adesso finiti sotto accusa. Ma le verifiche, coordinate dal procuratore aggiunto Maria Monteleone e del pm Cristina Macchiusi, non sono terminate, altri nomi illustri potrebbero finire nel fascicolo stralcio sui frequentatori delle due baby prostitute.
Gli inquirenti stanno ancora cercando di stabilire le responsabilità  di chi frequentava quelle due adolescenti. Floriani, come altri, è già  stato interrogato.
Per gli sfruttatori, invece, già  accusati dalle ragazzine in sede di incidente probatorio, si profila un processo con rito immediato. A ottobre, i primi arresti avevano scosso l’opinione pubblica e i molti insospettabili che avevano frequentato l’appartamento di via Parioli 190.
I CLIENTI
Per la procura, Mauro Floriani è uno dei tanti. Uomini di ogni tipo che incontravano quelle due ragazzine il pomeriggio o la sera, quando la campanella del liceo era suonata. Il marito della senatrice Alessandra Mussolini è stato individuato in base all’esame dei tabulati: telefonate e sms in entrata e in uscita dai cellulari di Angela e Agnese (nomi di fantasia, ndr), le due ragazzine di 16 e 14 anni che per mesi si sono alternate tra i banchi e l’appartamento di viale Parioli.
Floriani, quando si è presentato davanti ai carabinieri per chiedere di essere interrogato, era già  stato iscritto sul registro degli indagati.
Non era stato informato dagli inquirenti, ma evidentemente sapeva che i tabulati avrebbero portato a lui.
Dal suo telefonino erano partiti messaggi e chiamate per programmare gli incontri. Così ha chiesto di potersi difendere e ha risposto alle domande, negando ogni addebito e sostenendo, soprattutto, di non avere consumato rapporti con le due ragazzine.
Le verifiche intanto continuano, sia per individuare altri clienti delle baby squillo, sia per stabilire le responsabilità  di chi le frequentava.
Gli investigatori puntano a chiarire quanti degli uomini che abbiano avuto appuntamenti e incontri abbiano effettivamente consumato i rapporti sessuali consapevoli dell’età  delle giovanissime prostitute.
Di fatto il numero di chi si rivolgeva a quelle due adolescenti sembra destinato a crescere. L’elenco dei sospettati contiene oltre quaranta nomi e sembra che Floriani non fosse l’unico personaggio illustre. Sui venti iscritti, le prime verifiche sono già  avvenute.
Per la procura, il marito della Mussolini, come gli altri già  iscritti sul registro degli indagati, sapeva che le ragazzine non avevano 18 anni, ma avrebbe ugualmente pagato per fare sesso.
L’EX FIAMME GIALLE
Ex capitano della Finanza e stretto collaboratore di Antonio Di Pietro all’epoca dell’inchiesta Enimont, Floriani nel ’96 è diventato responsabile amministrativo di Metropolis, la società  che curava il patrimonio immobiliare delle Ferrovie di Stato. Una vicenda che allora aveva creato molte polemiche, perchè al vertice dell’azienda di trasporti, allora, c’era Lorenzo Necci, presidente Enimont proprio quando l’ex finanziere indagava sulla maxitangente.
E le polemiche non sono mancate neppure nel 2003, quando il marito dell’allora parlamentare di An è stato nominato direttore generale della Asl Rm H, oltre 468 mila abitanti distribuiti fra 21 comuni, da Frascati a Nettuno, Pomezia, Velletri e Albano. E non solo per l’opportunità  dell’incarico.
Un altro polverone era stato sollevato sull’adeguatezza dei titoli posseduti da Floriani per quella poltrona.
Poi l’ex finanziere è tornato alle Ferrovie, attualmente è Capo di Ferrovie dello Stato Logistica spa. Con la senatrice di Forza Italia Alessandra Mussolini è sposato dall’89, hanno tre figli.

(da “il Messaggero“)

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