Aprile 7th, 2014 Riccardo Fucile
ALFANO: “PRONTI A ROMPERE CON CHI PONE VETI SULLE RIFORME”
«I numeri li abbiamo comunque». Dopo la minaccia di Berlusconi di far saltare l’accordo sulle riforme, è
il ministro Maria Elena Boschi a rispondere con un avvertimento rivolto a Forza Italia.
«Se dovesse sfilarsi», puntualizza la renziana, si andrebbe avanti con i soli voti della maggioranza. A palazzo Chigi restano comunque convinti che le ultime uscite di Berlusconi siano legate a un problema personale (i servizi sociali in arrivo) e alla campagna elettorale e non mettano a rischio l’intesa.
«Scommetto sulla tenuta dell’accordo», afferma infatti Boschi. L’altolà del ministro provoca in ogni caso una raffica di reazioni pesanti da parte di Forza Italia e s’intuisce una divaricazione fra i dialoganti e l’ala dura.
Mentre il Cavaliere rilancia sul presidenzialismo, una colomba come Giovanni Toti in tv chiarisce che sulla fine del Senato «i margini di accordo ci sono, ma solo se non viene chiesta la fiducia nè a colpi di maggioranza».
Mentre il falco Renato Brunetta sfida Denis Verdini (architetto dell’intesa) a rendere pubblico il testo dell’accordo del Nazareno per vedere chi «bara» tra FI e Pd.
Stretto nella dialettica tra i due partiti maggiori prova ad alzare la voce anche Angelino Alfano: «Siamo pronti anche a strappi e a rotture: chi vuole starci, ci sta».
Esiste un piano B, nell’immenso risiko sulle riforme combattuto da Matteo Renzi. Prevede di sostituire le truppe di Silvio Berlusconi con una pattuglia di senatori che siedono alla sinistra del premier.
Si tratta dei sette vendoliani e di almeno una decina di ex grillini, disponibili a fondere le proprie proposte con il ddl alternativo sottoscritto da ventidue senatori dem.
Una falange di quaranta parlamentari in tutto, decisivi se dovesse saltare il patto del Nazareno.
Gli ambasciatori di questo nuovo centrosinistra si incontreranno entro mercoledì. E a quel punto l’alternativa al Cavaliere sarà recapitata a Palazzo Chigi. «Nessuno vuole boicottare il percorso — prova a rassicurare Pippo Civati — ma solo allargare il consenso sulla riforma. Perchè impuntarsi?»
In fondo, anche il ministro Maria Elena Boschi ha lasciato intendere che esiste un’alternativa al matrimonio con il capo di Forza Italia. È il doppio forno a disposizione del premier, un’arma rimasta finora nascosta nella fondina di Renzi.
Non è detto che servirà davvero brandirla, ma di certo consentirà al presidente del Consiglio per ridurre il potere di veto del leader azzurro
Le prove generali di una maggioranza diversa andranno in scena attorno al testo di riforma messo nero su bianco da Vannino Chiti. È stato sottoscritto da 22 senatori, tra i quali civatiani, sinistra democratica, parlamentari del Pd senza casacca.
La novità delle ultime ore è che il consenso sul testo è destinato ad allargarsi parecchio, fino a toccare quota quaranta senatori.
Una girandola di contatti tra Chiti e Campanella, Civati e vensi doliani ha preparato il terreno nel week end. Sel, per dire, ha fatto il punto ieri, dando il via libera a una proposta che ricalca quella della sinistra democratica. Prevede, tra l’altro, un Senato elettivo e un diverso bilanciamento delle funzioni di Camera e Senato. «È molto positivo che avvii il confronto — rileva il senatore Peppe De Cristofaro — ed è possibile una convergenza con i progetti simili al nostro»
Gli ex grillini, poi, sono una galassia in eterno movimento pronta a strutturarsi in un nuovo gruppo di almeno dieci senatori.
Il regista dell’operazione è Francesco Campanella. Ha già presentato una proposta simile a quella di Chiti — riduzione dei parlamentari, niente fiducia per Palazzo Madama e senatori eletti — ed è disponibile a ragionare su una convergenza: «È interessante cooperare per evitare lo smembramento del Senato.
Non è solo una possibilità da valutare, ma da parte nostra addirittura da ricercare. Ci incontreremo in settimana».
Come se non bastasse, altri scontenti del Pd potrebbero essere della partita. Non lo nasconde Angelica Saggese, che pure non ha firmato il ddl Chiti: «Se Renzi la mette nei termini del “prendere o lasciare”, io non ho problemi a lasciare. Ma rilevo in queste ore diverse aperture del governo…»
Per il premier, in realtà , non sarà facile sostituire il Cavaliere. Non si tratta solo di rinunciare ai sessanta voti a disposizione di Forza Italia.
Far saltare l’accordo del Nazareno rimetterebbe in discussione anche l’Italicum, consegnando la riforma elettorale al gioco di veti incrociati dei partitini di maggioranza.
Dal quartier generale di Arcore, intanto, continuano ad arrivare segnali ambigui. Giovanni Toti, ad esempio, giura che l’accordo del Nazareno reggerà , a patto che il ddl del governo venga sottoposto a «revisione »
La verità è che l’ex premier è alla disperata ricerca di nuovi margini di manovra. Fissa paletti, minaccia di ribaltare il tavolo, si agita in attesa dell’udienza del 10 aprile che lo destinerà ai servizi sociali o ai domiciliari.
Domina l’incertezza, eppure la contraerea berlusconiana interviene in difesa del leader: «Il Pd sostiene che va avanti sulle riforme anche senza di noi? Si tratta di una prova di debolezza — giura Deborah Bergamini — basta considerare che quaranta senatori democratici sono contrari alla riforma del governo…».
Forza Italia, in ogni caso, è allo sbando. E un gesto inconsulto del Cavaliere sulle riforme potrebbe provocare nuove scissioni proprio a Palazzo Madama.
Lo lascia intendere il sottosegretario montiano Benedetto Della Vedova: «Per Berlusconi sarebbe una scelta suicida lasciare l’unico tavolo nel quale conta. Se dovesse rompere immotivatamente, troveremmo comunque una maggioranza per approvare il testo. E aumenterebbe pure la maggioranza del governo…».
Sette, otto senatori azzurri sono già pronti a trasferirsi nel Nuovo centrodestra.
Si tratta di berlusconiani delusi, parlamentari messi ai margini dal cerchio magico di Arcore e senatori campani che fanno capo a Nicola Cosentino.
Si legheranno ad Angelino Alfano, come faranno nel medio periodo anche i Popolari di Casini e Mauro. «Dopo l’alleanza per le Europee — conferma Antonio De Poli (Udc) — ci muoveremo insieme al Ncd anche sulle riforme, non c’è dubbio ».
(da “La Repubblica”)
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Aprile 7th, 2014 Riccardo Fucile
GIOVEDI L’UDIENZA: SE AFFIDATO AI SERVIZI SOCIALI CONTINUERA’ A FARE IL SUO “LAVORO”
Come sempre, quando di mezzo c’è Berlusconi, un ordinario caso di giustizia diventa un’anomalia.
È accaduto così per tutti i suoi processi, si ripete adesso per la sua prima condanna definitiva.
Sin dal giorno della sentenza Mediaset (2 agosto, condanna a 4 anni per frode fiscale, di cui 3 condonati per l’indulto del 2006) si accavallano le ipotesi su come sconterà l’anno residuo di pena.
Adesso che sta per arrivare il giorno dell’udienza davanti al tribunale di sorveglianza – giovedì 10 aprile – le ipotesi si infittiscono, al pari delle paure che trapelano da Arcore.
Ma in realtà , a guardare bene la procedura, par di capire che il leader di Forza Italia dovrebbe avere ben poco da temere. Ad arrischiare una previsione, ascoltando le scarne indiscrezioni che arrivano dal palazzo di giustizia milanese, si può dire sin d’ora che Berlusconi dovrebbe vedersi accettare la richiesta di affidamento ai servizi sociali con restrizioni compatibili con la sua preminente attività di uomo politico
L’ANOMALIA SILVIO
Non si può che partire dall’anomalia stessa del caso Berlusconi, per inquadrare in modo corretto quello che potrà accadere giovedì davanti al tribunale di sorveglianza presieduto da Pasquale Nobile de Santis, il magistrato che assomma in sè le funzioni di primo presidente del tribunale di sorveglianza, ma anche di presidente del collegio che affronterà il caso dell’ex Cavaliere.
Già questo dice come la vicenda rappresenti un unicum. Il perchè è evidente.
È la prima volta, non esistono precedenti, che l’uomo più ricco d’Italia, ex premier e leader del maggior partito di opposizione, sia alle prese con una condanna da scontare. Proprio questo annulla il paragone con i precedenti, delinea una storia a sè, in cui i parametri “normali” non sono sovrapponibili
IL PENTIMENTO
S’è detto da più parti che la richiesta di scontare la pena con l’affidamento ai servizi comporta di per se stesso un palese “pentimento”. In realtà questo non è vero.
C’è una pena da scontare – un anno, che si riduce a 9 mesi con lo sconto di 45 giorni ogni 6 mesi – e ci sono tre vie per farlo.
Il carcere, i domiciliari, i servizi sociali. Berlusconi, dopo lunga riflessione con i suoi legali Ghedini, Longo e Coppi, ha scelto la terza, che è ovviamente la meno afflittiva dal punto di vista dell’immagine.
Fatto tecnico dunque, nè morale, nè di coscienza. Berlusconi può continuare a pensare di essere innocente, di essere stato condannato ingiustamente, di essere una vittima dei giudici
RINVIO IMPROBABILE
Gli avvocati del leader di Forza Italia sono orientati a non chiedere il rinvio. Per la semplice ragione che esso sarebbe comunque breve per cui una prossima udienza e la successiva decisione rischierebbero solo di schiacciarsi ancora di più a ridosso delle elezioni europee
CARCERE ESCLUSO
Toccherà al giudice relatore Beatrice Crosti e al sostituto procuratore generale Antonio Lamanna fare la fotografia del caso Berlusconi e arrivare alle richieste per le rispettive competenze. I boatos del palazzo di giustizia milanese valutano come del tutto improbabile un rifiuto dell’affidamento ai servizi.
Nel futuro di Berlusconi non ci sarà nè la parola carcere, nè tantomeno quella dei domiciliari, per la semplice ragione che ciò suonerebbe come un inutile accanimento nei suoi confronti, foriero più di polemiche che di un effettivo vantaggio.
POCA DIFFERENZA
In realtà , tra un affidamento ai servizi sociali con maglie di controllo strette e i domiciliari con maglie larghe c’è assai poca differenza, se non per la “brutta impressione” di essere messo agli arresti domiciliari.
Il vero problema è legato al “lavoro” di Berlusconi, cioè al fatto di essere il leader di un partito.
Normalmente, quando un detenuto chiede di scontare la pena ai servizi, un’istruttoria preventiva verifica il suo stato, il tipo di lavoro, la sua forza di sopravvivenza, la sua abitazione, la qualità dei suoi familiari.
Nel caso di Berlusconi tutto questo è arcinoto, come è noto il fatto che sia il capo di un partito alla vigilia delle elezioni europee, e che la sua unica preoccupazione sia quella di poter fare comunque la campagna elettorale
AGIBILITA’ POLITICA
L’ipotesi più probabile accreditata a Milano è che Berlusconi otterrà l’affidamento ai servizi sociali e questo si tradurrà , nei mesi a venire, in incontri periodici (anche una sola volta al mese) con un assistente sociale.
Fatta l’udienza giovedì, entro 5 giorni i giudici dovranno rendere nota la decisione. Ovviamente, Berlusconi non sarà più un uomo libero, ma sarà moderatamente “libero” di continuare a fare l’unico lavoro che fa da anni, cioè l’uomo politico. Avverrà per lui quello che avviene per chi, avendo un lavoro, viene affidato ai servizi e chiede di non perdere la sua attività .
Toccherà al giudice decidere se Berlusconi, che “lavora” politicamente a Roma, potrà venirci tre volte a settimana da Milano, dove ha fissato la sua residenza.
Certo, non potrà andare all’estero, ma un giudice comprensivo del suo stato potrebbe autorizzarlo a svolgere quasi normalmente la sua vita politica.
Liana Milella
(da “La Repubblica”)
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Aprile 7th, 2014 Riccardo Fucile
PARLANO PRESIDENTI, ASSESSORI E CONSIGLIERI CHE RIMARRANNO IN CARICA FINO A DICEMBRE, MA SENZA INDENNITA’
“Per fare l’assessore io mi sono messo in aspettativa e così hanno fatto molti altri. È chiaro che venendo
a mancare lo stipendio da amministratori molti di noi dovranno tornare a fare il loro lavoro: non siamo in pensione. Si tratterà di capire come garantire comunque continuità alla nostra attività . Certo è strano che, per legge, uno che lavora non debba essere pagato ».
C’è chi pensa di fare le valige, punto e basta; chi vuole rinviare la partenza, comunque prevista alla fine dell’anno; e chi, come Graziano Prantoni, assessore al Lavoro della Provincia di Bologna, cerca di coniugare necessità e senso di responsabilità nei mesi di vita che restano alle Province dopo la loro abolizione.
Via gli amministratori, rimangono moltissime competenze. Su un costo complessivo di 2 miliardi, vengono tagliati 32 milioni: le indennità di presidenti, assessori, consiglieri.
E nemmeno questo risparmio minimo, come tiene a precisare Antonio Saitta, presidente della Provincia di Torino e dell’Unione Province italiane (Upi) può essere dato per scontato.
A metterlo in dubbio è un’audizione della Corte dei Conti in Parlamento.
«Alcune competenze delle Province, ora indicate come causa di tutti i mali, dovranno tornare alle Regioni, dove il contratto dei dipendenti costa il 27% in più rispetto a quello dei dipendenti locali», commenta amaro Saitta.
E se qualcuno pensa che occuparsi di strade o crisi aziendali sia inutile, ecco come lo smentisce Prantoni, che negli anni del suo mandato ha coordinato e seguito cinquecento trattative tra imprese e sindacati.
«Un’attività in cui erano o sono in gioco 20-25 mila posti di lavoro, il destino di aziende come Alcisa, Moto Morini, Officine Rizzoli, Mandarina Duck. Nel 96% dei casi sono stati raggiunti degli accordi. Questo è il compito che ci hanno affidato le parti sociali, salvaguardare lavoro e tessuto produttivo. Non ce lo siamo inventati noi una mattina».
A chi gli chiede se il suo lavoro continuerà come prima, Prantoni ricorda che l’impegno era pressochè quotidiano e che nei prossimi sei mesi non sarà possibile assicurare lo stesso tipo di presenza
Durissima la posizione della sua presidente, Beatrice Draghetti, che parla di un «provvedimento non dignitoso e rabberciato».
Lei rimarrà al suo posto fino all’ultimo. «Scelgo di accompagnare in porto questa nobile Istituzione, che è ed è stata la Provincia, che sembra fare ribrezzo a tutti, incolpata di ogni profilo di inutilità ed inefficienza – ha scritto – dalla quale tuttavia si pretenderà fino all’ultimo giorno l’erogazione dei servizi che derivano dalle sue competenze, cosa che avverrà – nelle condizioni date e come sempre — grazie anche e soprattutto ai dipendenti, di cui nessun decisore finora ha mostrato la responsabilità di occuparsi»
Servizi e competenze, sì, ma voto no.
«Ci si dichiara soddisfatti perchè non si vota più per le Province – dice Saitta – ma in questo modo si dà spazio alla tecnocrazia. Noi amministratori abbiamo una visibilità molto maggiore, se c’è una frana e mi telefona un giornalista io devo rispondere, anche se è domenica o sono in ferie. Questa è la differenza ».
Andrea Barducci, presidente della Provincia di Firenze, misura le parole, ma il suo giudizio è franco quanto quello dei colleghi.
«Ci è stato chiesto dal legislatore un impegno per traghettare l’ente in una fase di transizione – spiega – A questo bisogna guardare con responsabilità politica e istituzionale, ma è chiaro che da oggi cambiano le regole di ingaggio. Siccome non prendo tangenti io dovrò sostenere me stesso e la mia famiglia».
Il passaggio delicato delle competenze alle nuove città metropolitane e alle Regioni andrà seguito con molta cura, aggiunge Barducci.
Ad esempio la gestione dei fondi europei per la formazione professionale. «Noi ce ne siamo occupati fattivamente, bisognerà fare molto lavoro perchè i nuovi organismi siano in grado di recepire tutte le nostre competenze».
Con ironia, il presidente parla di «una bella rivoluzione» che finirà «per accentrare su poche persone molte responsabilità ».
E i presidenti delle città metropolitane non saranno cariche elettive, ma i sindaci dei Comuni capoluogo. «È prevista un’elezione diretta, ma ci vuole una legge dello Stato», spiega Saitta, «nel frattempo è probabile che quei sindaci pensino ai voti della comunità che li ha eletti, la città capoluogo, e meno alla provincia ».
Gigi Marcucci
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Aprile 7th, 2014 Riccardo Fucile
INSULTI E MINACCE, MA PER LA MAGISTRATURA L’ISTIGAZIONE A DELINQUERE NON ESISTE PIU’ NEL CODICE PENALE
“Avete risvegliato il Nord”. Umberto Bossi fotografa la reazione dei veneti all’arresto dei 24 secessionisti “bollati terroristi” avvenuto mercoledì.
Il vecchio senatùr torna a parlare in pubblico da un palco della Lega dopo oltre un anno.
Poche frasi in una Piazza dei signori a Verona.
Circa mille persone (passati i tempi della mobilitazione del nord), altrettante bandiere autonomiste, dell’Insubria, del Tibet e ma soprattutto della Repubblica di San Marco. Gli slogan: “secessione”, “libertà ” e “arrestateci tutti”.
C’è il governatore Luca Zaia, il sindaco Flavio Tosi, poi Matteo Salvini con il collega eurodeputato Mario Borghezio, senatori e deputati leghisti. Assente Roberto Maroni, nonostante sia l’altro governatore leghista in carica.
Ma pochi si accorgono della sua assenza.
Non c’è e si nota, invece, Gianluca Busato, ideatore di plebiscito.ue che ha realizzato il referendum online per l’indipendenza della Regione cui hanno partecipato oltre due milioni di persone.
Dati non accertati e forse virtualmente gonfiati. E il malessere di quello che era il motore economico dello Stato italiano è tangibile, lo spiega facilmente Zaia. “L’unica cosa che secondo Roma dobbiamo fare è pagare, pagare, pagare: 21 miliardi solo di tasse abbiamo mandato, in cambio vengono nelle nostre case all’alba ad arrestarci”.
Ma avverte Zaia: “Nessuno pensi che questa battaglia per l’indipendenza che non vedo l’ora di votare sia la battaglia di un partito. Niente di più sbagliato, è una battaglia di tutti, di un popolo che non ne può più ed esiste solo per pagare, basta stringere la cinghia”. Il Veneto, conclude, “è la periferia dell’impero e si è rotto le balle”.
Un gruppetto di no tav prova a fischiare, ma è accompagnato rapidamente lontano dalla piazza. Tra carri armati di cartapesta, manifesti “arrestateci tutti” e altri con fantasiosi paragoni in cui due degli incarcerati vengono accostati a Nelson Mandela e Martin Luther King, o gli insulti alla “Italia di merda”, ci sono anche molte famiglie con bambini.
Che nulla hanno a che vedere con la Lega. Veneti arrivati “per curiosità ”, dice Mario R.. “Di cosa? Cerchiamo una speranza. Non si vive più, venga a fare un giro nella provincia di Belluno, è tutto morto, ammazzato dalla crisi”.
E l’indipendenza, dice, “io non credo si farà mai ma di sicuro non si può stare più zitti, non ci fanno neanche più votare”.
Al netto del folklorismo (leghista e non) di protesta contro gli arresti (salami con inciso Tnt sopra per trasformarli in dinamite, alcuni vestiti da detenuti, cappelli di cartone a forma di tank), che garantisce qualche sorriso, tornano i toni del celodurismo bossiano che ha fatto la fortuna della Lega e che era stato messo in soffitta.
E Salvini si mostra a pieno agio nei panni delle origini. I fucili di Bossi, dice, non ci sono più. “Siamo contro ogni tipo di violenza”. Porta i figli di alcuni dei secessionisti veneti sul palco con lui. “Dobbiamo far tornare i loro papà a casa”, esordisce. “Se non li liberano subito andiamo noi nelle galere dove li tengono, con loro hanno arrestato tutti noi. Scandisce anche una sorta di ultimatum: “O tornano a casa entro la settimana o ci ritroviamo tutti nelle carceri che lo stato spalanca per far uscire i pedofili, i criminali veri per metterci lavoratori e gente onesta che esprime le proprie idee”. A
ncora: “Devono capirla che così non funziona più, noi siamo bravi e buoni, ma il conto lo presenteremo a chi di dovere, presto”.
A chi gli ricorda che nei Palazzi di “Roma ladrona” si sono accomodati anche loro, Salvini risponde facendo spallucce e garantendo che la sua è una Lega nuova.
Prossimo appuntamento lanciato da Salvini è per il 25 aprile, “il giorno della Liberazione saremo in tutte le piazze dei Comuni del Veneto a ricordare che qualcuno è stato arrestato nel 2014 per le proprie idee”; poi ai primi di Maggio il ritorno a Pontida. Il sacro prato leghista.
Dove, ovviamente, i protagonisti saranno i secessionisti arrestati e nel frattempo liberati.
E qualche trattore travestito da carro armato.
Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 7th, 2014 Riccardo Fucile
PER LE EUROPEE RIMANE COMUNQUE PRIORITARIO IL RINNOVAMENTO E QUINDI CANDIDARE VOLTI NUOVI
La performance di Forza Italia alle prossime elezioni Europee è legata a doppio filo alle sorti del suo
leader e fondatore, Silvio Berlusconi, che il prossimo 10 aprile conoscerà i termini della sua condanna per il processo Mediaset.
I giudici dovranno decidere tra l’affidamento ai servizi sociali e la detenzione domiciliare, pene che, secondo la community Blogorà , danneggerebbero in egual misura l’immagine politica del Presidente di Forza Italia.
Qualunque sarà la decisione del Tribunale, questa avrà infatti un grande impatto sulla vita privata e politica di Berlusconi e, di conseguenza, su quella del suo partito.
Proprio in vista dell’imminente appuntamento elettorale delle Europee, ISPO Click ha chiesto ai blogger di indicare, tra varie strategie di leadership possibili, quale sarebbe la più auspicabile per Forza Italia.
Per il 95% degli interpellati, la soluzione ideale per il partito sarebbe la candidatura al Parlamento Europeo di volti nuovi, come, ad esempio, Giovanni Toti.
Più della metà ritiene invece che la strada migliore sarebbe quella di candidare uno dei figli di Berlusconi (lo pensa il 60%) o i leader di Forza Italia, come Verdini o Fitto (ipotesi caldeggiata dal 58%).
Nonostante la recente interdizione di Berlusconi dai pubblici uffici, ben il 34% dei blogger ritiene che l’ex-Cavaliere dovrebbe candidarsi comunque, qualunque pena gli venga comminata.
È invece totalmente esclusa la possibilità che a succedere al leader storico del partito possa essere la sua attuale compagna, Francesca Pascale.
Quello che emerge da questi dati è una forte voglia di novità , il desiderio di un taglio netto con il passato che il passaggio del testimone a uno dei figli o ai leader attuali di FI non potrebbe certo garantire.
Nel caso in cui Berlusconi decidesse di affidare le sorti del partito ad uno dei suoi figli, Marina sarebbe ritenuta la più adatta (38%), soprattutto per la sua esperienza e per le doti di leader carismatico, che la avvicinano alla figura paterna, seguita da Piersilvio (29%) e da Barbara (21%), ben vista per il fatto di essere giovane (fattore politicamente apprezzato dopo l’ascesa di Renzi a segretario del Pd).
Ma la giovane età non rappresenta a priori una virtù.
Meno o assolutamente non considerata l’eventualità di un passaggio di consegne nelle mani dei più giovani in assoluto della famiglia: Luigi (indicato dal 12%) ed Eleonora, probabilmente perchè meno noti e troppo inesperti.
Dal momento che oggi la comunicazione politica passa soprattutto da Twitter, abbiamo infine chiesto ai blogger di indicare un hashtag che possa rappresentare la sentenza del 10 aprile per Berlusconi.
Al di là dell’ironia, ormai consueta in questa forma comunicativa (#StayStrongSilvio, #Berlusconistaisereno), emerge un duplice atteggiamento da parte del popolo del web: da un lato, una forte ostilità , indice di un’insoddisfazione nei confronti della pena prospettata, che per molti avrebbe dovuto essere più severa (#ingalera); dall’altro, un’inclinazione più positiva e propositiva, che rispecchia l’auspicio che la sentenza del 10 aprile possa davvero rappresentare l’opportunità di un nuovo inizio per Forza Italia (#andiamoavanti, #sivoltapagina, #ripartiamo).
(da “Huffingtonpost“)
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