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RENZI FA DA SCUDO ALLA BOSCHI: “L’IMMUNITÀ L’HO VOLUTA IO”

Giugno 28th, 2014 Riccardo Fucile

SAREBBE STATO LO STESSO PREMIER A DECIDERE IL RITORNO DELL’IMMUNITA’ PER I SENATORI, LA BOSCHI HA SOLO ESEGUITO

Una riforma con l’immunità  al centro e i balletti intorno.
Ci sono i ribelli in Forza Italia, le ridotte al Nazareno, le furerie in zona Nuovo Centro Destra. Tutti vigili poco incisivi.
E la riforma di Palazzo Madama scivola verso il tira e molla di sub-emendamenti (oltre 500) di lunedì in Commissione Affari costituzionali e, fra un paio di settimane, finirà  in aula. In stiva, protetta, viaggia l’immunità  per i futuri senatori che poi senatori non saranno, non come oggi, non eletti, non equivalenti ai deputati, ma consiglieri regionali, sindaci e nominati.
L’immunità  non è apparsa per caso, e per caso potrebbe restare.
Com’è andata lo spiegano fonti di Palazzo di Chigi, che rispondono a precisa domanda: il 17 giugno, due giorni prima che terminassero le mediazioni in Commissione, Matteo Renzi e una delegazione di senatori democratici hanno siglato un compromesso e riesumato l’immunità .
Questa è la novità . Un particolare schiacciante che aiuta a interpretare l’immobilismo di Maria Elena Boschi, il ministro competente e piuttosto riservata e silente su questa vicenda.
I passaggi sono numerosi, però, e vanno messi in fila.
Per fare ordine. Roberto Calderoli, il leghista relatore in Commissione assieme ad Anna Finocchiaro, ha ricostruito le origini di quest’apparizione. Calderoli e Finocchiaro, per non ignorare la questione, introdurre o escludere l’immunità  per una Camera non più paritaria, volevano coinvolgere l’arbitro più preparato e imparziale che si possa coinvolgere: la Consulta.
I democratici avevano fretta. Il ministro per le Riforme aveva fretta.
Calderoli ha consegnato al Fatto il contenuto di un paio di email provenienti dal dicastero per le Riforme che certificano un elemento: Boschi sapeva dell’immunità  — siamo al 19 giugno, giovedì — e non ha modificato il documento.
Ma non poteva intervenire: la decisione l’aveva timbrata Matteo Renzi.
Il 17 giugno, raccontano fonti di Palazzo Chigi, Renzi ha incontrato una delegazione di senatori democratici e, in quella sede, è emersa la convinzione che fosse necessario ripristinare l’immunità  per Palazzo Madama in versione aggiornata.
I motivi. Aumentati poteri legislativi, di controllo e di garanzia, l’immunità  era invocata da gran parte dei senatori in Commissione e da un gruppo di costituzionalisti che hanno osservato l’evoluzione di un testo che, in fase di approvazione preliminare (Cdm del 31 marzo), non prevedeva l’ombrello contro l’arresto, le perquisizioni e le intercettazioni senza la tradizionale autorizzazione, articolo costituzionale numero 68.
Il faccia a faccia tra i senatori e il segretario-premier è servito anche a reperire la formula più adatta per aggiornare il testo: un emendamento dei relatori.
E dunque il governo, ricevuto il via libera da Renzi, non ha eliminato l’immunità  e ha confermato — come dimostrano i documenti pubblicati ieri dal Fatto e come ammettono le fonti di Palazzo Chigi — le proposte teleguidate dei relatori.
Non è stato un incidente burocratico. Non è stato un equivoco fra uffici. Non è stata una dimenticanza, una spietata leggerezza.
Ma è stata una volontà  politica, vidimata fra i doppi livelli di esecutivo e partito. Unica differenza: il governo non ha accettato, in quei giorni frenetici, il suggerimento di Calderoli e Finocchiaro che volevano (e vogliono ) interpellare la Consulta.
Il leghista, autore di porcate elettorali e dotato di sagacia tattica, non voleva sembrare uno sprovveduto nè un difensore di una nuova categoria di privilegiati: i senatori non eletti, di fatto una squadra di fortunati politici locali.
E così Calderoli ha sfidato il ministro Boschi a negare l’evidenza: l’immunità  è un desiderio di Palazzo Chigi, non l’estremo, non l’unico, ma comunque di proprietà  di Palazzo Chigi. Boschi non ha replicato a Calderoli, non ne ha avvertito l’esigenza.
Ma non ha più importanza: perchè Palazzo Chigi si è intestato la paternità  di questa scelta.
L’arcano non esiste più. Anzi, non è mai esistito.
Il ministro Boschi ha degradato a questione non “dirimente” (testuale) l’immunità  perchè era a conoscenza degli accordi fra Renzi e un gruppo di senatori.
Non poteva smentire il premier. E il premier non ha smentito l’ultimo testo.
Ma non hanno più valore le frasi di circostanza, le esternazioni quasi piccate di chi sosteneva con sicumera: se l’immunità  è un problema, la togliamo.
Forse adesso è un problema, ma l’hanno voluta. E sta lì, nel documento, come richiesto.

Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano”)

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FINI IN CAMPO CON UN NUOVO MOVIMENTO: “RINNOVAMENTO, NON ROTTAMAZIONE”

Giugno 28th, 2014 Riccardo Fucile

UN NUOVO PROGETTO TRA PARTECIPAZIONE, MONOCAMERALISMO ED ELEZIONE DIRETTA DEL CAPO DELLO STATO

A volte ritornano (anche in politica).
Dopo l’annuncio di discesa in campo di Corrado Passera, stavolta è toccato a Gianfranco Fini lanciare un nuovo progetto politico di centrodestra: «Partecipa, l’Italia che vorresti». Nome provvisorio, visto che «quello del nome è l’ultimo problema».
Non un partito, almeno per il momento – ci tiene a precisare – ma un «movimento partecipativo dal basso».
Il processo è ancora lungo: l’ex presidente della Camera lo ha lanciato oggi al palazzo dei Congressi di Roma; da qui partirà  l’organizzazione delle assemblee regionali in vista di un nuovo incontro nazionale per prendere le decisioni sul futuro del progetto voluto da Fini.
Il suo nuovo ruolo è quello di un «allenatore» – come lui stesso si definisce – di una «squadra che deve tornare a vincere».
Il team di cui parla è quello del centrodestra, «diviso da ripicche e personalismi». Per ricostruirlo, però, non servono le alleanze, ma le idee e i contenuti, spiega l’ex leader di An e FdI.
Scelta obbligata per chi sta fuori dal Parlamento e sostiene di voler fare politica all’esterno del Palazzo, per «passione e non per le poltrone».
L’iniziativa di Fini nasce anche da uno spettro agitato dall’ex presidente della Camera: «Non ci sono competitori credibili a Renzi, non lo sono nè Grillo nè il centrodestra ora, e il rischio è che il leader del Pd governi per vent’anni».
Allora quello che serve è un rinnovamento: «Non una rottamazione», come quella renziana, perchè «l’esperienza può aiutare sempre, anche i più giovani».
Non solo di prospettive future ha però parlato Fini: non sono mancati gli agganci con l’attualità .
L’euro, ad esempio; oggetto dello scontro con il centrodestra: «Non si fa l’interesse nazionale quando si dice di uscire dalla moneta unica – sostiene Fini riferendosi a Lega e FdI – ma l’euro rischia di non stare insieme senza una politica economica e sociale».
E di Ue l’ex leader di An ha parlato anche in merito alle nomine di cui si discute in questi giorni: «Mi auguro sia l’attuale ministro degli Esteri Mogherini la nuova Lady Ashton dell’Ue, ma serve una vera politica estera europea».
E, infine, le riforme: «Spero che sia la volta buona», si auspica Fini svelando di vedere di buon occhio il dialogo aperto da Berlusconi con la sinistra.
Ma non manca una provocazione: «Perchè non passare al monocameralismo al posto del Senato delle autonomie?».
E magari anche all’elezione diretta del capo dello Stato, come chiede Fini in piena sintonia con la posizione di tutto il centrodestra.

(da “La Stampa“)

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IL RITORNO IN POLITICA DI FINI MOVIMENTISTA: “SI PUO’ GIOCARE UNA PARTITA VINCENTE”

Giugno 28th, 2014 Riccardo Fucile

DOPO UN ANNO DI SILENZIO, L’EX LEADER DI AN LANCIA “PARTECIPA”, IL SUO NUOVO PROGETTO PER IL CENTRODESTRA

Aveva preannunciato la sua ridiscesa in campo con un video promozionale nelle vesti di allenatore. E oggi, al Palazzo dei Congressi dell’Euro, Gianfranco Fini dopo un anno di silenzio ha presentato la sua nuova idea di centrodestra, lanciando l’iniziativa “Partecipa, l’Italia che vorresti”.
L’ex leader di An guarda al futuro, non recide le radici profonde della destra a partire da Almirante mai nominato ma evocato, non rottama ma rinnova e, soprattutto, sceglie di mettersi in gioco in prima persona e in solitudine.
Una convention che già  nel format declina i punti di riferimento e lo ‘schema’ scelto da Fini per quella che lui stesso definisce “una partita difficilissima” da giocare.
A scaldare la platea è un video in cui scorrono campioni come Federica Pellegrini e Valentino Rossi, mentre lo spot dell’evento è un filmato in cui Fini appare in veste di allenatore che manda giovani calciatori in campo.
Poi è lo stesso ex presidente della Camera a indicare le premesse indispensabili per “giocarsela”: “Si deve guardare avanti senza agitare una ideale scimitarra. Sarà  deluso chi si aspetta da me chissà  quali polemiche e recriminiazioni. Faccio un appello, evitiamo lo sterile sfogatoio o la seduta psicanalitica collettiva”. Ancora, serve una sana autocritica: “Dobbiamo guardare avanti coscienti di aver vissuto momenti difficili e dolorosi, in cui sono consapevole di aver commesso errori. Il che non significa essere pentiti perchè il tempo è galantuomo”.
Infine, l’obiettivo, chiaro: “Dobbiamo ragionare rivolgendoci non tanto ai partiti di destra e centrodestra ma agli italiani delusi dalla situazione della destra e del centrodestra, a quelli che gli hanno voltato le spalle”.
Fini poi annuncia al termine della convention l’avvio delle assemblee regionali e quindi di una fase di radicamento di un movimento che oggi è ancora senza nome: “E’ l’ultimo problema, prima parliamo tra di noi, poi pensiamo ai nomi”.
Quindi, fuori dal Palazzo, senza una vera organizzazione, “senza un centesimo” è il perimetro della sfida del Fini ‘movimentista’ che ha deciso di giocare quasi in solitudine.

(da “La Repubblica“)

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IL RITORNO DI GIANFRANCO FINI: “LA POLITICA E’ PASSIONE NON UN SEGGIO IN PARLAMENTO, SERVE UNA NUOVA DESTRA”

Giugno 28th, 2014 Riccardo Fucile

L’EX PRESIDENTE DELLA CAMERA: “SE LA DESTRA NON SI MUOVE RENZI GOVERNERA’ PER 20 ANNI”… VIA ALLE ASSEMBLEE ORGANIZZATIVE REGIONALI

Sostiene che non vuole scendere in campo ma allenare una squadra per tornare a vincere.
Al di là  delle metafore calcistiche Gianfranco Fini presenta la sua idea per una «destra che non c’è».
Questo lo slogan scelto nella convention di Roma «Partecipa, l’Italia che vorresti» durante la quale l’ex leader di Alleanza Nazionale ha illustrato un nuovo progetto politico dopo l’esperienza infelice di «Futuro e Libertà ».
Parte proprio da qui, da un’autocritica, il nuovo percorso: «Sono consapevole di aver commesso errori, il che non significa essere pentiti, perchè il tempo è galantuomo. Abbiamo ottenuto un risultato catastrofico, negativo oltre ogni previsione, da tenere a mente con umiltà  per fare tesoro degli errori commessi».
«Fuori dal palazzo»
Critico verso Alfano parla di una «di una destra che non c’è o che è troppo divisa da ripicche e personalismi». E senza un avversario «Renzi può governare per 20 anni, con lui si è chiuso il commissariamento della politica. Grillo rappresenta la protesta ma nessun italiano pensa che possa governare. La destra è statica, immobile».
Si sente ormai fuori dal palazzo da tempo: «La politica è passione non un seggio in Parlamento. E non avrà  senso nei prossimi mesi parlare di alleanze. Siamo fuori dal palazzo e dobbiamo agire da fuori, ascoltando la società  e il paese»
Un movimento dal basso che non punta a «rottamare» ma a «rinnovare».
Le posizioni sono quelle di una destra europea liberale, spiega: difesa dell’euro, sistema unicamerale, apertura alle unioni civili. Il prossimo passo? L’organizzazione di assemblee regionali per ramificare la formazione sul territorio, «poi vedremo se ci sono le condizioni per andare oltre».

(da “il Corriere della Sera”)

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IL BONUS DA 80 EURO RIMANE NEL PORTAFOGLIO: IMPATTO ZERO SUI CONSUMI

Giugno 28th, 2014 Riccardo Fucile

LE GRANDI CATENE DELLA DISTRIBUZIONE CONCORDI: I CONSUMI SONO RIMASTI FERMI ANCHE DOPO IL PRIMO BONUS DI GIUGNO

In questi giorni per la seconda volta dieci milioni di italiani trovano sui conti bancari, nelle buste paga e nei cedolini della pensione, gli 80 euro (circa) del bonus Irpef.
Giugno è stato il primo mese nel quale il loro potere d’acquisto è aumentato con lo sgravio concesso dal governo.
Per tirare le somme è presto. Impossibile capire se davvero si sia innescato il circolo virtuoso sperato: una spinta ai consumi e uno stimolo alla domanda di beni e servizi, tale da far ripartire le vendite e dunque anche la produzione delle imprese rivolte al mercato italiano.
Non è presto però per cercare di misurare se i primi 80 euro in busta paga (o nel cedolino previdenziale), quelli versati un mese fa, abbiano provocato un primo risveglio delle vendite al dettaglio.
La risposta, per il momento, è no. Non sembra sia successo.
Nè la ristorazione a basso costo, nè la grande distribuzione organizzata sembrano aver registrato il benchè minimo incremento dell’attività  in giugno rispetto a maggio.
Nè Esselunga, nè la rete dei punti vendita Coop riferiscono di aver notato un’inversione, soprattutto non in senso positivo.
Sommate, le due grandi concorrenti italiane pesano per quasi un terzo della rete di supermercati e ipermercati sul territorio nazionale, con un fatturato annuo cumulato di quasi venti miliardi.
Ma per nessuna delle due, per il momento, il bonus da 80 euro sembra aver fatto alcuna differenza.
Francesco Cecere, direttore del marketing Coop, in giugno non ha notato svolte nella capacità  di spesa degli italiani.
Però ha trovato la conferma di un nuovo fenomeno: «Le famiglie di età  medio-alta stanno incrementando i consumi, mentre quelle giovani continuano nella tendenza alla contrazione». Secondo le analisi svolte a Coop, molti giovani con figli mangiano sempre meno spesso a casa propria e preferiscono andare dai genitori, per risparmiare.
Tocca a questi ultimi, spesso pensionati, magari beneficiari del bonus Irpef a differenza dei figli che non guadagnano abbastanza per avervi diritto, a fare più spesa: devono mettere a tavola anche figli e nipoti.
Roberto Masi, amministratore delegato di McDonald’s Italia, conferma le stesse tendenze.
Il fatturato in Italia della catena americana è in calo del 3% rispetto a un anno fa e in lievissima flessione, decisamente meno dell’1%, in giugno rispetto a maggio.
Gli italiani non hanno speso i loro 80 euro di bonus andando più spesso a mangiare un hamburger con una bibita. Masi osserva che possono esserci spiegazioni episodiche: «Nel mese dei mondiali, le famiglie preferiscono restare a casa a guardare le partite — dice — Gli italiani escono meno spesso».
Soprattutto, il mancato aumento dei consumi nel primo mese del bonus può avere motivazioni più generali.
In una parte dei Comuni a metà  giugno i proprietari di casa hanno dovuto pagare la Tasi, la nuova tassa sui servizi urbani. Per le imprese, anche quelle a conduzione familiare, sono arrivate poi le scadenze Iva.
Serviranno dunque alcuni mesi per valutare se il bonus possa avere un impatto al netto degli impegni fiscali.
Un sondaggio dell’Istat pubblicato giovedì segnala però che potrebbero esserci altre forze a frenare. In giugno il clima di fiducia dei consumatori è sceso, così come i giudizi sulla situazione economica della famiglia e sulle prospettive familiari future. Non tutto è negativo.
Segnala Cecere, di Coop, che le risposte ai sondaggi dei loro consumatori mostrano «un ritorno di speranza nel futuro, se non proprio di fiducia».
Certo in Italia il clima sull’economia rilevato dalla Commissione Ue è ancora in calo, mentre in Spagna è ai massimi dal 2007.
E il motivo è facile da capire: secondo l’Istat, in giugno sono aumentate le persone che prevedono o temono la disoccupazione.
I big della grande distribuzione: giugno magro nonostante gli aiuti Scadenze fiscali e disoccupazione allontanano la gente dai negozi Un bilancio sull’impatto degli 80 euro è dunque prematuro.
Ma non lo è per azzardare una previsione: non aiuteranno a far ripartire i consumi, fino a quando le imprese non saranno in condizioni di riprendere a creare posti di lavoro.
Ma per quello, forse, serve qualcosa più di uno sgravio da 80 euro sull’Irpef.

Federico Fubini
(da “La Repubblica“)

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LITE BRUNETTA-VERDINI SULL’OK A RENZI

Giugno 28th, 2014 Riccardo Fucile

FORZA ITALIA SPACCATA: BRUNETTA INSISTE PER IL NO, VERDINI SI APPELLA A BERLUSCONI: “ATTENTO, IL PD PUO’ FAR TUTTO DA SOLO”

A dispetto dei ribelli forzisti e dei dissidenti della maggioranza, l’intesa tra Renzi e Berlusconi tiene.
Lo conferma il premier da Bruxelles, definendo «un compromesso molto buono» quello raggiunto in commissione: «Sono molto ottimista che l’accordo terrà ».
Quindi, aggiunge, «già  dalla prossima settimana o la fine della successiva» ci saranno «i primi voti in commissione e Aula».
La battuta feroce è contro i dissidenti interni: «Trovo davvero sorprendente che tutte le volte che andiamo all’estero c’è parte del Pd, ancorchè minoritaria, che riapre discussioni che sembravano chiuse sulle riforme: è un atteggiamento che si giudica per quello che è e non ha bisogno di parole ulteriori».
A sentire gli altri contraenti del patto del Nazareno le cose stanno filando per il verso giusto.
Il ministro Boschi e Luca Lotti, mentre Renzi era impegnato al summit Ue, hanno tenuto i rapporti con i forzisti Paolo Romani e Denis Verdini.
«Il lavoro istruttorio è quasi finito», spiega Romani. Manca solo il timbro ufficiale del governo alla principale richiesta di Forza Italia, quella di introdurre un correttivo proporzionale nella scelta dei futuri senatori, in modo che dalle Regioni (oggi quasi tutte in mano al centrosinistra) non vengano inviati a Roma solo senatori di una parte politica.
Ma la scelta politica di Berlusconi di non far saltare il patto sembra ormai irreversibile, almeno in questo primo passaggio parlamentare.
La commissione affari costituzionali inizierà  a votare gli emendamenti lunedì pomeriggio, ma il punto più contrastato, quello del Senato non elettivo, slitterà  sicuramente alla settimana successiva.
Il fatto è che giovedì sia il Pd ma soprattutto il Pdl terranno le loro assemblee parlamentari. E in casa forzista sarà  l’ora della verità .
Negli ultimi giorni, dietro le quinte, si è consumato uno scontro molto duro tra lo stesso Verdini e Renato Brunetta proprio sull’atteggiamento da tenere nei confronti del governo.
Nelle riunioni di vertice con Berlusconi il capogruppo ha insistito sulla linea dura, quella dell’opposizione senza sconti al governo e del no al ddl Boschi sul Senato. Tanto che Verdini, esasperato, si è rivolto direttamente al leader: «Nessuno ha il coraggio di dirtelo, ma la verità  è che Renzi le riforme al Senato le può fare anche senza di noi. Ho calcolato che gliele possono votare 180-190 senatori. E allora tu saresti tagliato fuori da tutto e messo in un angolo. E Renzi potrebbe fare una legge elettorale che ci farebbe scomparire dalla scena. E questo che vuoi presidente?».
Da qui è nata l’idea dell’assemblea di tutti i parlamentari forzisti.
Perchè Romani e Verdini, a questo punto, preoccupati per le voci su una fronda sempre più consistente, hanno chiesto al leader di metterci la faccia.
E dunque sarà  Berlusconi stesso a spiegare la necessità  di “baciare il rospo” e votare sì al Senato non elettivo.
«A quel punto – pronostica una fonte berlusconiana – quanti senatori di quei 35 senatori che hanno firmato il documento di Minzolini resteranno sulle loro posizioni? Non più di 3 o 4».

Francesco Bei
(da “La Repubblica”)

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ALLA STAMPA BERLUSCONIANA FINI FA ANCORA PAURA: TAROCCANO PURE I NUMERI

Giugno 28th, 2014 Riccardo Fucile

FINI ALL’EUR ILLUSTRA IL SUO PROGETTO A 1.000 PARTECIPANTI, MA “IL GIORNALE” E “LIBERO” NE CONTANO   SOLO 100 PER FAR PIACERE AL PREGIUDICATO

Ci riserviamo di entrare in seguito nel merito degli interventi in svolgimento all’Eur di Roma in occasione della presentazione del progetto “Partecipa – La destra che non c’e'”, promossa da Gianfranco Fini.
Ci preme qua sottolineare che l’ex presidente di Futuro e Libertà  a qualcuno fa ancora paura se sono costretti a dedicargli le prime pagine delle notizie politiche del giorno.
Non per entrare nel merito di quanto da lui esposto in tarda mattinata, nel corso del suo intervento introduttivo, ma per coprirlo di una serie di insulti e manipolazioni della realtà .
Titola “il Giornale”: Fini, l’illuso ct della destra senza nemmeno la squadra”. Gli fa eco “Libero: “Povero Fini, la sua destra riparte col piattino in mano”.
Abituati a salire le scale padronali in ginocchio e con la lingua di fuori, non avendo il fisico per avvilupparsi al palo della lap dance e neanche il culo tonico di Nicole e di Ruby, notoriamente non sopportano che esista qualcuno che abbia osato puntare il dito contro il loro padrone pregiudicato, segnando l’inizio del suo declino e delle loro fortune.
Abituati a subire attentati misteriosi e condanne per diffamazione con trattamenti preferenziali, inventarsi balle stratosferiche e usare la macchina del fango contro i dissidenti, oggi dedicano le loro virtù giornalistiche al meeting romano di Fini, per urlare in preda ad emorroidi mentali, che Fini è un fallito, che non ha seguito, che deve politicamente “morire”.
Una domanda sorge spontanea: se Fini non conta un cazzo, perchè vi agitate tanto? Leccate la ciotola del vostro padrone e possibilmente non sbrodolate per terra che poi Francesca deve pulire e si incazza.
Pensate ai guai che avete in casa, alla sentenza del 18 luglio sul caso Ruby e sul terzo grado della Cassazione a fine anno: magari preparatevi per la pubblicazione de “Le mie prigioni” a dispense settimanali.
Quello che fa Fini può darsi che non rivesta interesse e che non porti a nulla, ma ciò che distingue un giornalista da un pennivendolo dovrebbe essere almeno quello di riportare la verità  dei fatti.
Sostenere che ad ascoltare Fini stamane ci fossero “poche centinaia di persone, forse anche meno” (facciamo poche decine? n.d..r.) non è giornalismo, è mistificare i fatti.
La sala era piena, gli accrediti erano 1.000 e i posti a sedere sono notoriamente 800, come certificato da “il Tempo” di Roma, giornale di centrodestra con altra serietà .
Con una differenza: illusi o stolti che siano, i partecipanti non sono stati prelevati da un ospizio per una gita gratuita, non hanno avuto il ricco cestino da viaggio “pagasilvio” e pensate un po’, si sono anche pagati il viaggio di tasca propria, cose impensabili nel Pdl.
Conclusione: chi non ha rispetto degli altri non lo ha neanche verso se stesso.
Per questo esistono i servi.

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E LA UE INTIMA ALL’ITALIA: PAREGGIO ENTRO IL 2015. STANGATA A OTTOBRE?

Giugno 28th, 2014 Riccardo Fucile

RACCOMANDAZIONI ANCORA PIU’ RIGIDE DI QUELLE DI GIUGNO… POSSIBILE MANOVRA CORRETTIVA DI ALMENO 25 MILIARDI

C’è un negoziato parallelo che si sta sviluppando a Bruxelles in queste settimane, più al riparo dai riflettori. Non attrae l’attenzione forse perchè si gioca più sui dettagli tecnici che sulle grandi dichiarazioni di principio.
Ma per l’Italia e per le dimensioni della manovra finanziaria in arrivo a ottobre, fa un’enorme differenza. E per il momento non sta andando come il governo avrebbe voluto: i documenti ufficiali dicono che sul proprio specifico piano di finanza pubblica il governo non ha ottenuto la «flessibilità » che chiedeva.
La posta in gioco è quella che ha dichiarato Pier Carlo Padoan nella sua lettera alla Commissione europea del 16 aprile scorso.
In quella comunicazione, il ministro dell’Economia annunciava che l’Italia avrebbe rallentato il passo del risanamento di bilancio: l’obiettivo del pareggio «strutturale », ossia scontando l’impatto della recessione da cui il Paese è appena uscito, sarebbe slittato di un anno.
Padoan scrisse che l’Italia avrebbe raggiunto il pareggio nel 2016, non nel 2015 come concordato in precedenza.
Non si tratta di un dettaglio da poco, perchè ne va della taglia della correzione che dovrà  imporre la Legge di bilancio in arrivo ad ottobre. Con lo slittamento degli obiettivi al 2016, poteva essere meno pesante.
Senza, la manovra d’autunno rischia di profilarsi invece come un’operazione da circa 25 miliardi: quanto serve a coprire il bonus Irpef e gli altri impegni presi dal governo, senza perdere il controllo del debito pubblico.
Lo spazio sul debito del resto è ridotto: ieri è emerso che nei primi quattro mesi dell’anno il debito è cresciuto di 77 miliardi, ossia quasi quanto in tutto il 2013. Quest’anno il volume dell’onere dello Stato salirà  a quota 2150 miliardi e, superando la Germania, sarà  terzo al mondo per volume finanziario dopo Stati Uniti e Giappone. Solo l’anno scorso, i contribuenti hanno pagato 82 miliardi solo in interessi sul debito dello Stato e nel 2014 replicheranno.
Il negoziato in corso a Bruxelles si innesta qui. La novità  passata sottotraccia nel vertice appena concluso è che la proposta del governo di rinviare il pareggio di bilancio per ora è stata respinta.
Addirittura i leader, incluso il premier Matteo Renzi, hanno dato il loro « endorsement » (appoggio, approvazione) a un documento ufficiale che raccomanda all’Italia di fare l’opposto di ciò che aveva chiesto: il pareggio già  l’anno prossimo, non nel 2016.
Si tratta del testo della «raccomandazione del Consiglio» (cioè dei governi) su proposta della Commissione europea riguardo al programma di stabilità  italiano. Si tratta di una risposta ragionata degli altri Paesi al piano finanziario dell’Italia, come si fa per tutti i governi.
Quella raccomandazione contiene una sorpresa importante, perchè è più intransigente persino di quanto suggerito dalla Commissione europea.
Quest’ultima aveva chiesto all’Italia il due giugno: «Nel 2015 (bisogna, ndr) rafforzare in modo significativo la strategia di bilancio per garantire le esigenze di riduzione del debito».
Quel testo ora è stato inasprito e ieri i capi di Stato e di governo hanno dato il loro « endorsemen t » al più alto livello politicolegale in Europa.
Le modifiche sono state apportate in una riunione del Comitato economico e finanziario a Bruxelles. Presieduto dall’austriaco Thomas Wieser, il Comitato Ecofin riunisce i direttori del Tesoro di tutti i Paesi per preparare le conclusioni dei vertici dei ministri finanziari: per l’Italia partecipa il direttore generale del Tesoro Vincenzo La Via, anche se la cooperazione fra Palazzo Chigi con le strutture tecniche del ministero dell’Economia in questi mesi è stata molto meno che eccellente.
Di solito nel Comitato Ecofin si negozia fra sherpa per diluire, non per inasprire, le proposte di raccomandazione ai Paesi avanzate dalla Commissione europea.
Questa volta all’Italia è accaduto l’opposto.
Il testo ora recita: «Nel 2015 (…) Il Consiglio raccomanda all’Italia di garantire le esigenze di riduzione del debito e così raggiungere l’obiettivo di medio termine (il pareggio di bilancio strutturale, ndr) ». Non solo.
Si chiede anche di «assicurare il progresso» verso il pareggio già  nel 2014. In sostanza si chiede una maggiore correzione dei conti già  quest’anno e si respinge la richiesta di slittamento del pareggio per il prossimo.
Era stato evidente dall’inizio che la strategia di bilancio del governo Renzi sollevava forti perplessità  nel resto d’Europa, come anticipato da Repubblica ( «I dubbi di Bruxelles sul piano Renzi», 20 aprile).
Il fatto che la lettera di Padoan in aprile non ebbe una prima risposta a livello politico, ma burocratico, era già  una prima spia proprio di un problema politico, non uno sgarbo personale al ministro.
Adesso i nodi sono venuti al pettine. Non sarà  facile ribaltare gli equilibri, dopo il via libera di ieri dai capi di Stato e di governo dell’Unione. Ma il vertice Ecofin del prossimo mese si annuncia tempestoso, perchè tutto si deciderà  lì.

Federico Fubini
(da “La Repubblica”)

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INTERVISTA ALL’ECONOMISTA DANIEL GROS: “ALTRO CHE FLESSIBILITÀ, IL POTERE CE L’HA LA COMMISSIONE”

Giugno 28th, 2014 Riccardo Fucile

“LE RIFORME NON DANNO AUTOMATICAMENTE DIRITTO ALLA FLESSIBLITA'”

«Mi sembra fuori luogo, o perlomeno prematuro, quest’ottimismo sulla “conseguita flessibilità ” in Europa. Perchè tutti parlano di accordo fra Stati? C’è solo una sorta di intesa fra il premier italiano e il cancelliere tedesco sul relativo ammorbidimento di alcuni parametri ma nulla è deciso, tutto andrà  verificato con la nuova Commissione». Daniel Gros, il tedesco che si laureato in economia alla Sapienza di Roma prima di andare a prendere il PhdD a Chicago, direttore del Ceps di Bruxelles (Centre for European Policy Studies), getta acqua sul fuoco.
«Attenzione — insiste — perchè non basterà  neanche l’appoggio del presidente Juncker, che pure è stato nominato con il decisivo appoggio italiano e tedesco, perchè servirà  una maggioranza forte all’interno della Commissione e soprattutto la convinzione ferma del nuovo commissario agli Affari Economici che, come insegna Olli Rehn, è molto più potente del successore di Barroso».
Però, professore, converrà  che un appoggio politico di base è propedeutico a qualsiasi accordo. Oppure è inutile?
«Senta, le ricordo che ci sono delle regole comuni fissate con il Six Pack, molto rigide, precise e cogenti. L’Italia è stata fra i più convinti sostenitori di esse, ora vuole disattenderle? E gli altri, alla prima occasione le bypassano? Non si possono fare e disfare le norme a seconda degli accordi politici».
Insomma Renzi ha sbagliato indirizzo andando a tirare per la giacchetta la Merkel sino a farle ammettere che bisogna essere più flessibili?
«Intendiamoci, Renzi è stato molto bravo nel suo approccio all’Europa. Ha condotto una campagna elettorale basata non sulla lamentazione perchè l’Ue è un “cattivo tiranno” ma tutta in positivo sull’idea dell’integrazione, e ha conseguito una vittoria nettissima. A lui va buona parte del merito se nel Parlamento di Strasburgo c’è una solida maggioranza pro-Europa. Ora però deve fare un uso attento del suo prestigio e non favorire lo scavalcamento di regole comuni che sono invece molto preziose. Mi sembra un po’ arbitrario pretendere che le riforme diano automaticamente diritto alla flessibilità ».
Ma, guardando nel merito, non ritiene che se viene accordata questa benedetta flessibilità  all’Italia, ne potrebbe uscire un quadro di sviluppo dal quale alla fine beneficerebbe tutta l’Europa?
«Guardiamola al contrario: l’Italia non dovrebbe chiedere più margini per se stessa. Cosa potrà  ottenere? Lo 0,1-0,2% in più? Sarebbe produttivo invece provare a convincere la Germania a spendere di più. È l’unica che se lo può permettere: dovrebbe investire sulle sue infrastrutture, sul mercato interno, la produzione industriale. Allora sì che i benefici per tutta l’Unione sarebbero evidenti e tangibili. Sarebbe una bella prova di unità : quasi miracolosamente da un sondaggio post-elettorale è uscito che il 40% degli europei ancora crede nel Parlamento di Strasburgo, più degli americani che credono nel Congresso. Non dissipiamo questo patrimonio».

Eugenio Occorsio
(da “La Repubblica“)

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