Aprile 10th, 2015 Riccardo Fucile
IL COMMISSARIO EUROPEO MUIZNIEKS: “BASTA COI CAMPI ROM, SERVONO SOLUZIONI ABITATIVE DECOROSE”… GLI ESEMPI DI MESSINA E ALGHERO
Pochi argomenti scatenano reazioni più viscerali delle discussioni sui rom.
Stereotipi, sensazionalismo e luoghi comuni spesso hanno la meglio sui fatti.
Molte persone sembrano credere che i rom scelgano di vivere ai margini della società in accampamenti di baracche in condizioni abominevoli, e che rientri nella loro cultura far crescere i bambini nella melma, togliendoli dalla scuola per mandarli a chiedere l’elemosina.
Eppure, nella maggior parte dei casi, coloro che nutrono questi pregiudizi nei confronti dei rom e alimentano queste voci non hanno mai rivolto loro la parola.
Ho fatto visita ad alcuni campi rom in Italia e in molti altri paesi europei, e le persone con le quali ho parlato non volevano vivere lì.
Non vogliono vivere in luoghi demoralizzanti nei quali sono segregati contro la loro stessa volontà .
Non ci si dovrebbe dimenticare che molti rom che vivono in accampamenti ghetto sono stati scacciati a forza dai loro alloggi precedenti, e nessuno degli abitanti di quei campi che ho conosciuto durante il mio sopralluogo del 2012 ha dichiarato di essersi trasferito lì di sua volontà .
Anzi: mi sono stati riferiti molti esempi che spiegano in che modo – rispetto alla loro situazione abitativa precedente – vivere in quei campi limita il contatto, e quello dei loro figli, con la popolazione in generale, e in che modo vivere lì contribuisce quindi alla loro emarginazione.
Già nel mio rapporto del 2012 sull’Italia e in una lettera spedita al sindaco di Roma nel 2013 raccomandavo alcune misure atte a facilitare l’integrazione dei rom nella società tradizionale e facevo presente la necessità di porre fine alle politiche che portano alla creazione di campi isolati ed emarginati e agli sfratti coatti.
Malgrado ciò, sono stati fatti pochi passi avanti: queste pratiche proseguono e così pure continuano a esserci ostacoli che precludono ai rom che vivono in accampamenti fatiscenti di accedere all’edilizia popolare.
In alcuni comuni, tra i quali Roma, Torino e Milano, sono stati costruiti o ristrutturati campi ghetto
Questa strada è chiaramente sbagliata. I campi ghetto portano a gravi violazioni dei diritti umani. Violano sia i parametri internazionali e nazionali sia la politica delle stesse autorità italiane in materia: la Strategia nazionale per l’inclusione dei rom del 2012 non lascia spazio alcuno agli accampamenti che emarginano.
Si devono dunque trovare valide alternative abitative.
Per agevolare l’inclusione dei rom nella società , si rende necessario un cambiamento di politica. Gli sfratti coatti e i campi ghetto devono finire nel dimenticatoio.
Nuovi sforzi devono essere fatti per andare incontro alle necessità abitative dei rom.
Tutto ciò è importante perchè l’accesso a un’abitazione decorosa è un requisito fondamentale per usufruire di molti altri diritti umani, in particolare l’istruzione.
Come possono i bambini che vivono in baraccopoli di località remote, circondate da fango e prive di accesso all’acqua potabile, a sistemi fognari, alla rete elettrica e ai trasporti pubblici, frequentare la scuola con regolarità e apprendere, restando alla pari con gli altri bambini?
Per cercare alternative migliori, l’Italia non ha bisogno di guardare tanto lontano.
Alcune esperienze incoraggianti portate avanti a livello locale potrebbero essere prese a esempio.
A Messina alcuni edifici comunali abbandonati sono stati ristrutturati direttamente dai rom del campo di San Ranieri che in seguito vi si sono trasferiti.
Ad Alghero il 15 gennaio è stato chiuso il campo di Arenosu e 51 rom hanno ricevuto un aiuto quadriennale dalla Regione, dal Comune e dalle associazioni per pagare l’affitto di normali appartamenti.
Queste iniziative dimostrano che, con un adeguato impegno politico, alcuni progetti ben strutturati possono effettivamente migliorare l’integrazione dei rom e una reciproca comprensione con la popolazione maggioritaria.
È di fondamentale importanza finanziare e attuare la strategia nazionale di inclusione di rom e sinti.
Alcune risorse, comprese quelle provenienti da finanziamenti Ue, potrebbero essere convenientemente mobilitate per promuovere iniziative adeguate di edilizia e integrazione.
È giunto il momento di smettere di trattare i rom come cittadini di serie B.
Emarginarli non può che portare a maggiore alienazione, emarginazione, pregiudizi.
L’Italia deve mostrare molta più determinazione nel risolvere i problemi di abitazione che i rom si trovano ad affrontare, anche facilitando il loro accesso all’edilizia popolare.
Le vigenti leggi anti-discriminatorie dovrebbero renderlo possibile: le si deve quindi applicare. Questo è il prerequisito di base per garantire che i diritti umani dei rom, siano essi italiani o originari di altri paesi europei, siano interamente rispettati.
Nils Muiznieks
Commissario ai Diritti Umani del Consiglio d’Europa
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Aprile 10th, 2015 Riccardo Fucile
DATI INPS SMENTISCONO GOVERNO: + 12,3% CONTRATTI A TEMPO INDETERMINATO, – 7% QUELLI A TERMINE, – 11,3% QUELLI DI APPRENDISTATO… SALDO OCCUPAZIONE NULLO
In gennaio e febbraio aumentano i nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato (+20,7%),
aumenta la quota di lavoro stabile sul totale (dal 37,1% al 41,6%) ma nel complesso il numero di attivazioni dei contratti resta stabile rispetto al primo bimestre del 2014.
Stabili anche le retribuzioni nei nuovi contratti a tempo determinato.
Sono i dati principali che arrivano dalle rilevazioni dell’Inps.
Nei primi due mesi del 2015, i nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato stipulati in Italia, rilevati da Inps, sono stati 307.582, il 20,7% in più rispetto all’analogo bimestre del 2014.
Se si considerano anche le conversioni a tempo indeterminato di rapporti a termine e gli apprendisti “trasformati” in tempo indeterminato, sono 403.386 i nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato stipulati nel primo bimestre dell’anno (in questo caso la variazione rispetto allo stesso periodo del 2014 è di +12,3%).
Pertanto la quota di nuovi rapporti di lavoro stabili è passata dal 37,1% del primo bimestre 2014, al 41,6% dei primi due mesi del 2015.
Resta però sotto il livello del 2013, quando il lavoro stabile era al 43,85% del totale.
Sul versante delle assunzioni a termine si registra un calo del 7% e anche per l’apprendistato, sempre nel primo bimestre dell’anno, si vede una flessione dell’11,3%. Nel complesso, infatti, il totale delle attivazioni di rapporti di lavoro (che escludono il pubblico impiego, i lavoratori domestici e gli operai agricoli) risulta fermo rispetto al primo bimestre del 2014: circa 968mila unità , solo 13 contratti in più.
Si può allora interpretare i dati ricordando l’impatto del provvedimento di decontribuzione (fino a 8000 euro circa) dei nuovi tempi indeterminati, scattato per le assunzioni da inizio anno.
Ma bisogna anche verificare che, sempre dai dati Inps, nel novembre-dicembre 2014 il totale dei tempi indeterminati rispetto allo stesso bimestre del 2013 era sceso dell’8,6%: si conferma dunque che le imprese hanno probabilmente atteso gli sgravi prima di assumere.
Per quanto riguarda le retribuzioni, dalle tabelle dell’Inps si indica in 1.845 euro la retribuzione media teorica lorda dei contratti a tempo indeterminato, che salgono a 1.866 euro se si includono anche i contratti a termine (pagati 1.914 euro) e gli apprendisti (che scendono a 1.376 euro).
Rispetto al gennaio-febbraio 2014 la variazione è di una crescita contenuta dell’1,4%.
(da “La Repubblica”)
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Aprile 10th, 2015 Riccardo Fucile
FIDUCIA PER RENZI, SALVINI E BERLUSCONI IN CALO
Calo significativo del Pd nei sondaggi.
Secondo le intenzioni di voto di Ixe’, in esclusiva per Agora’ (Raitre), il partito di Matteo Renzi in una settimana perde lo 0,8%, toccando quota 37,6%.
Il Movimento 5 Stelle sale, invece, dello 0,3% (19%) mentre la Lega Nord rimane stabile al 13,5%.
Forza Italia, intanto, torna sopra il 13%, issandosi al 13,1% (+0,2%) mentre il dato sull’affluenza alle urne scende al 56,6%.
Prosegue il trend negativo della fiducia nel premier, Matteo Renzi, che perde un altro punto in 7
giorni, passando dal 39% al 38%.
Per il 73% degli italiani inoltre, proprio con Renzi, sarebbero “aumentate le tasse”. Secondo l’Istituto Ixe’ di Roberto Weber anche la fiducia nel governo è in leggero calo (dal 32% al 31%).
Sempre alto il gradimento degli italiani per il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, stabile al 70%
Parlando di tagli, il 55% degli italiani, dovendo scegliere, preferisce tagli a Comuni e Enti locali piuttosto che l’aumento di un punto dell’Iva.
Il 29%, invece, preferisce salvaguardare i trasferimenti dal centro alla periferia.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 10th, 2015 Riccardo Fucile
ALL SYSTEM SI CHIAMA FUORI: QUEL VARCO NON È NOSTRO, PRESIDIAMO GLI ALTRI SEI
Una “falla”, la definisce il premier Matteo Renzi. 
Mentre il presidente della Corte d’Appello di Milano, Giovanni Canzio, aggiunge “evidente”: “I sistemi di sicurezza hanno palesato una falla evidente”.
E tre cadaveri in un tribunale sono decisamente evidenti.
Ma dove fosse questa falla ancora non si sa. Nè di chi sia la responsabilità .
Chi gestisce la sicurezza nella cittadella giudiziaria milanese? Quella esterna, cioè gli ingressi, è competenza dei Comuni d’intesa con le Prefetture e può essere appaltato ad aziende private.
E di fatto a Milano l’amministrazione oggi guidata da Giuliano Pisapia ha assegnato la gestione della sicurezza attraverso un appalto pubblico a due società esterne: la All System e la Securpolice. La prima è la più importante.
Non solo perchè ha la vigilanza armata (la Securpolice gestisce la “guardiania non armata”) ma soprattutto perchè dei sette ingressi del Palazzo di Giustizia di Milano ne controlla ben sei.
Il contratto è stato sottoscritto dal Comune nel maggio 2010, quindi dalla giunta ancora guidata da Letizia Moratti, per un corrispettivo di 8,2 milioni di euro.
Il contratto è però stato aggiornato il 17 maggio 2013 a seguito di alcuni ricorsi al Tar che riguardavano la legittimità dell’affidamento.
Nel testo la Allsystem viene indicata come “ca pogruppo” insieme a una terza società : la Gf Protection.
Il contratto scade il 30 aprile prossimo e dovrebbe rinnovarsi per tacito accordo tra le parti. Del resto come non fidarsi: la società si è da poco aggiudicata anche l’appalto da 20 milioni di euro della sicurezza a Expo 2015 come capogruppo di una rete di imprese di vigilanza, tra cui compare anche la Ivri.
Il bando è stato assegnato due mesi, il 30 gennaio. Allsystem è operativa per lo più nel Nord-ovest, ha oltre 2.300 dipendenti che gestisce direttamente.
In via delle Forze Armate, presso la sede milanese, ieri nessuno ha voluto rilasciare dichiarazioni.
L’ufficio stampa ha però emesso un comunicato in cui “tiene a precisare quanto segue: dei 7 varchi complessivi di accesso al Tribunale, Allsystem ne presidia 6 e, per quanto si è potuto constatare fino a questo momento attraverso lo sviluppo delle immagini degli accessi che è ancora in corso, la persona imputata dei fatti ha avuto accesso dal varco di via Manara, ingresso riservato ai soli avvocati e magistrati, che non è presidiato e in carico alla Allsystem, ma di responsabilità di altra società ”.
Forse la Securepolice, che però può svolgere vigilanza esclusivamente agli ingressi non presidiati da metal detector?
Per cercare di fare chiarezza sulle responsabilità oggi a Palazzo Marino si riunirà una sorta di comitato convocato da Carmela Rozza, assessore ai lavori pubblici, competente dell’appalto per la vigilanza esterna dei palazzi di giustizia.
La competenza interna, invece, è disposta sulla base di provvedimenti che competono al procuratore generale presso la Corte d’appello.
I metal detector, invece, dipendono direttamente dal Viminale, non dal Comune e dal ministero della Giustizia.
Ieri il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che era a Milano per un vertice proprio sulla sicurezza in Prefettura assieme al titolare del Viminale, Angelino Alfano, dopo aver incontrato i vertici degli uffici giudiziari del capoluogo lombardo, ha sintetizzato: “I sistemi di sicurezza tecnologici erano funzionanti ma le indagini dovranno chiarire, il sistema di sicurezza ha visto compiersi un insieme di errori gravi”.
A venti giorni esatti dall’inaugurazione di Expo, con norme antiterrorismo ferme in Parlamento ormai da mesi e tre cadaveri in un palazzo di giustizia.
Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 10th, 2015 Riccardo Fucile
E A PRESIDIARE I TRIBUNALI ABBIAMO MANDATO LE GUARDIE GIURATE
Forse esagera Gherardo Colombo, sopraffatto dall ‘ emozione per l’assassinio dell ‘ ex collega e amico Ferdinando Ciampi, quando collega la sparatoria di ieri al Palazzo di Giustizia di Milano al “brutto clima” che si respira intorno alla magistratura.
Ma il folle ragionamento che ha portato il killer Claudio Giardiello a incolpare per la sua bancarotta non se stesso, ma il giudice, il pm e il coimputato-testimone, e a scaricare su di loro il piombo della vendetta, non è inedito nè isolato.
Sono trent’anni che qualunque potente finisca alla sbarra per i propri delitti se la prende regolarmente con i magistrati che l ‘ hanno scoperto, invece di guardarsi allo specchio e battersi il mea culpa sul petto.
E siccome gli imputati eccellenti possiedono giornali e tv, o hanno amici che li possiedono, o avvocati in Parlamento, o magari vi siedono essi stessi, sono riusciti a dirottare l ‘ attenzione dai crimini e da chi li commette verso i pm che li smascherano e i giudici che li processano.
Da dove nasce l ‘ossessione contro i magistrati, i pentiti, i testimoni e le intercettazioni, che ha prodotto una raffica di leggi per smantellare i più preziosi strumenti di indagine e di raccolta delle prove, se non dall ‘ansia di una classe dirigente ad altissimo tasso criminale di liberarsi del controllo di legalità per
delinquere indisturbata?
È la stessa radice “culturale” che ha appena prodotto la legge — unica al mondo — sulla responsabilità civile dei magistrati, che consente a qualunque imputato (nel penale) o denunciato (nel civile) di chiedere i danni allo Stato — senza filtri di ammissibilità — per qualsiasi decisione sgradita del suo giudice, nella speranza di costringerlo ad astenersi, cioè di sbarazzarsene al più presto e di trovarne un altro più morbido o più spaventato.
Il killer Claudio Giardiello non disponeva di questi strumenti per spaventare i suoi giudici. Non aveva un partito alle spalle, nè avvocati famosi e/o parlamentari, nè tv o giornali disposti a scatenare campagne mediatiche a suo favore.
Non poteva contare su una maggioranza parlamentare pronta ad approvare mozioni sulla nipote di Mubarak.
Nè sguinzagliare 150 fra deputati e senatori per cingere d ‘ assedio il Palazzo di Giustizia di Milano, come fecero gli eletti del Pdl l’11 marzo 2013, prima con un
sit-in sulla scalinata e poi con l ‘ascesa in massa fino all ‘aula di Tribunale al quarto piano, dove si celebrava una delle ultime udienze del processo Ruby.
Chissà se quell’indegna gazzarra è tornata in mente al cosiddetto ministro dell ‘ Interno Angelino Alfano. Il quale, due anni fa, guidava la falange berlusconiana all ‘ assalto del tribunale milanese.
E ieri balbettava, alle prese con l’ennesima catastrofe della sicurezza nazionale nello stesso identico edificio.
Il tutto, a due settimane dall’inaugurazione di Expo nella stessa identica città , Milano, che dovrebbe essere la più presidiata d’Italia, dopo le ricorrenti minacce dell’Isis in vista dell’evento.
Il fatto poi che a garantire la sicurezza (si fa per dire) del Palazzo di Giustizia di Milano — come di quasi tutti quelli del resto d’Italia — sia una ditta di vigilanza privata aggiunge un tocco di tragicommedia al tutto.
Pochi lo sanno e molti l’hanno scoperto ieri: ma da anni non sono più i carabinieri e le altre forze dell’ordine a presidiare i tribunali.
Sono imprese di guardie giurate a cui lo Stato (si fa per dire) ha deciso di appaltare il servizio di sorveglianza dopo averlo “esternalizzato”.
Esattamente come ha fatto con il servizio delle intercettazioni, affidato a ditte private, da cui lo Stato affitta ogni anno le apparecchiature con costi esorbitanti (senza contare quelli che impongono le compagnie telefoniche allo Stato concessore incapace di imporre loro il servizio gratuito).
Salvo poi scoprire, per esempio, che il manager della milanese Research Control System, appaltatrice delle intercettazioni delle Procure di Milano e di Palermo, aveva rubato la bobina di un colloquio segretato tra Fassino e Consorte e l’aveva donata a Berlusconi per il Natale del 2005, e soprattutto per la campagna elettorale del Giornale del 2006.
La stessa fu poi incaricata di distruggere le intercettazioni Mancino-Napolitano sulla trattativa Stato-mafia il 22 aprile 2013, dopo la sentenza della Consulta.
Con quali garanzie di segretezza, meglio non pensarci.
È la privatizzazione strisciante della giustizia e dell’intero Stato, che accomuna i governi degli ultimi anni, di destra e di sinistra, politici e tecnici, all’insegna —tutta da verificare —del risparmio e dell’efficienza.
Chi ha mai condotto una seria analisi del rapporto costi-benefici dell’esternalizzazione del servizio di intercettazioni e, soprattutto, di vigilanza nei tribunali?
Davvero ingaggiare dieci o venti contractor costa meno che piazzare agli ingressi altrettanti carabinieri o poliziotti?
E come vengono scelte le imprese appaltatrici dai Comuni e dal Viminale?
E queste con quali criteri assumono il personale?
Siamo sicuri che, a vigilare sulla sicurezza e sull’incolumità di magistrati, avvocati, testimoni, imputati, parti civili, collaboratori di giustizia, uomini delle scorte e personale ausiliario, non ci sia qualche mafioso o qualche amico degli amici?
O, più semplicemente, qualche travet con la divisa e il pistolone che ama giocare alla guerra ma, al primo cenno di pericolo, corre a nascondersi al cesso o sotto un tavolo per portare a casa la pelle?
Per queste ragioni, alcuni anni fa, i pm di Palermo si ribellarono alla proposta di privatizzare la sicurezza del loro Palazzo di giustizia, che infatti è uno dei pochissimi ancora presidiati dall’Arma.
Di questo si dovrebbe discutere al Csm, in Parlamento e in Consiglio dei ministri, ora che si chiude il pollaio quando la volpe è entrata.
E con la massima naturalezza è riuscita là dove avevano fallito persino i terroristi e i mafiosi: fare strage in un’aula di tribunale.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 10th, 2015 Riccardo Fucile
BERLUSCONI: “SE NON SI FIDA PIU’ DI ME VADA ALTROVE”… IL PROGETTO DI UN ASSE CON ALFANO, TOSI E NUOVE AGGREGAZIONI
La “cosa bianca” del dopo-Berlusconi prende già forma. 
Primo banco di prova le regionali, per strappare consiglieri e radicarsi, dal Veneto alla Puglia passando per la Campania.
Per decollare subito dopo, quando i pezzi del centrodestra ormai recisi dal corpaccione berlusconiano tenteranno una qualche forma di federazione sotto le bandiere di un Ppe in salsa italiana.
Angelino Alfano e i centristi (settanta parlamentari) dell’Area popolare con Flavio Tosi ormai “ex” del Carroccio di Salvini, per arrivare a Raffaele Fitto e ai suoi trenta tra deputati e senatori, a un soffio dalla scissione.
È tutto un mondo in movimento, destinato a trasformarsi in calamita per le tante anime in pena dentro Forza Italia e tentate dal tagliare la corda dopo il probabile big bang del 31 maggio.
Un’operazione che, per compiersi, necessita però di alcuni passaggi.
Uno dei principali è l’effettivo addio di Raffaele Fitto al suo partito. Condizione che potrebbe maturare già nelle prossime ore.
Questa mattina, a Bari, nella conferenza stampa di lancio della coalizione moderata che lo sosterrà , il candidato governatore Francesco Schittulli si presenterà senza il simbolo del partito berlusconiano.
Al suo fianco, i Ricostruttori di Fitto e l’Ncd, con altre sigle minori. Ma non Forza Italia, appunto.
«Attendiamo ancora un invito ufficiale, se non arriverà ne prenderemo atto e andremo per la nostra strada», diceva ancora ieri il commissario forzista pugliese Luigi Vitali. L’invito non arriverà .
Perchè anche Raffaele Fitto attenderebbe entro stamattina un comunicato ufficiale con cui Forza Italia firmi di fatto la resa: una figura di garanzia (Altero Matteoli il primo dei nomi proposti) che presenti la lista a Bari (al posto di Mariarosaria Rossi o di un suo delegato) e soprattutto la presenza in squadra di tutti gli uscenti e di altri 8-10 amministratori locali vicini proprio all’eurodeputato.
Fitto, ieri sera, serafico: «Io non ho pregiudizi, se accettano le nostre condizioni, siamo felici di correre sotto le insegne di Fi».
Una provocazione, vista dal fortino di Villa Certosa dove Silvio Berlusconi è rimasto chiuso anche ieri. Le condizioni sono state bocciate, giudicate irricevibili.
Lo sfogo dell’ex Cavaliere coi suoi non sembra lasciare margini.
«Altri prima di Fitto hanno pesato di avere il mondo in mano, poi si è visto com’è finita», si è lasciato andare alludendo ai vari Fini, Casini, Alfano.
«Raffaele non si fida dei miei uomini? Vuol dire che non si fida più di me, vada altrove». Lo considera già un corpo estraneo.
Per questo ha promesso a Vitali che in Puglia farà tappa due se non tre volte: la battaglia contro il pd Emiliano è persa, ma l’obiettivo adesso è scalzare proprio il duo Fitto-Schittulli e relegarlo al terzo posto.
«Si tratterà fino all’ultimo – spiega cauto dalla Liguria l’altro candidato governatore, Giovanni Toti – detto questo, abbiamo un piano alternativo. Saremo in corsa comunque coi nostri uomini in Puglia, anche con Matteo Salvini che non vede l’ora di misurarsi al Sud con la sua lista. E a quel punto – conclude il consigliere di Berlusconi – mi sembra difficile che Giorgia Meloni possa stare altrove».
Proprio in Liguria, Forza Italia sogna ora il colpaccio e di sfruttare le scintille in seno al pd.
Un ultimo sondaggio Euromedia datato 8 aprile darebbe Raffaella Paita (Pd) al 32,5 per cento, proprio Toti al 29,7, a meno di tre punti e con la campagna appena iniziata, il candidato grillino Alice Salvatore al 20,9 e Luca Pastorino della Sinistra al 16,9 (ma col 43,6 di indecisi).
E domenica probabile abbraccio pubblico tra Salvini, il riluttante Rixi (ex candidato alla Regione per la Lega) e lo stesso Toti.
Ma è in Veneto che Flavio Tosi – altro caposaldo della “Cosa bianca” a Nord – punta a strappare consensi decisivi agli ormai avversari forza-leghisti. Con Alfano alla sua sinistra e Fitto a destra.
«Anche in Veneto Fi sta mettendo fuori tutti i fittiani – denuncia la senatrice forzista Cinzia Bonfrisco – a costo di presentare liste deboli », la scelta per la fronda forzista appare fatta anche nel Nordest.
Le regionali tuttavia serviranno giusto per recidere gli ultimi cordoni che legano al loro passato i quarantenni già al lavoro per un’altra forza moderata e “popolare”, da Tosi a Fitto ad Alfano.
La partita si aprirà dal primo giugno. A loro potrebbero guardare i tanti che, come la senatrice Manuela Repetti (ex Fi col compagno Sandro Bondi), sono convinti che «la sfida è un nuovo progetto di centro alleato con Renzi».
Poi ci sono i parlamentari vicini a Denis Verdini, ormai in rotta con Berlusconi al punto da voler onorare il patto del Nazareno e votare le riforme. Già , il premier.
È il vero elemento di contraddizione all’interno di questo puzzle ancora informe. Alfano siede al suo fianco a Palazzo Chigi, Raffaele Fitto non ne vuol sentire parlare. Ma da qui alle politiche, tra due o tre anni, tutto lo scenario è destinato a mutare.
(da “La Repubblica“)
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