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RIMBORSI, ALLA LEGA 180 MILIONI IN 25 ANNI: COSI’ IL CARROCCIO HA SPREMUTO “ROMA LADRONA”

Aprile 13th, 2015 Riccardo Fucile

IL PARTITO ORA HA LE CASSE VUOTE E MOLTI PROCESSI APERTI PER LE SPESE PAZZE DEI SUOI VERTICI

Dalla Lega Lombarda alla Lega Nord, transitando dalla prima alla seconda repubblica a suon di miliardi (di lire) prima e milioni (di euro) poi generosamente elargiti dallo Stato.
Dal 1988 al 2013 sono finiti nelle casse del partito fondato da Umberto Bossi e oggi guidato da Matteo Salvini, dopo la parentesi di Roberto Maroni, 179 milioni 961 mila. L’equivalente di 348 miliardi 453 milioni 826 mila lire.
Una cuccagna, sotto forma di finanziamento pubblico e rimborsi elettorali, durata oltre un quarto di secolo.
Ma nonostante l’ingente flusso di denaro versato nei conti della Lega oggi il piatto piange. Ne sanno qualcosa i 71 dipendenti messi solo qualche mese fa gentilmente alla porta dal Carroccio.
Sorte condivisa anche dai giornalisti de “La Padania”, storico organo ufficiale del partito, che ha chiuso i battenti a novembre dell’anno scorso non prima, però, di aver incassato oltre 60 milioni di euro in 17 anni.
Insomma, almeno per ora, la crisi la pagano soprattutto i dipendenti. In attesa che la magistratura faccia piena luce anche su altre responsabilità .
A cominciare da quelle relative allo scandalo della distrazione dei rimborsi elettorali, che l’ex amministratore della Lega Francesco Belsito avrebbe utilizzato in parte per acquistare diamanti, finanziare investimenti tra Cipro e la Tanzania   e per comprare, secondo l’accusa, perfino una laurea in Albania al figlio prediletto del Senatùr, Renzo Bossi, detto il Trota.
Vicenda sulla quale pendono due procedimenti penali, uno a Milano e l’altro a Genova.
MANNA LOMBARDA
Fondata nel 1982 da Umberto Bossi, è alle politiche del 1987 che la Lega Lombarda, precursore della Lega Nord, conquista i primi due seggi in Parlamento.
E nel 1988, anno per altro di elezioni amministrative, inizia a beneficiare del finanziamento pubblico: 128 milioni di lire (66 mila euro).
Un inizio soft prima del balzo oltre la soglia del miliardo già  nel 1989, quando riesce a spedire anche due eurodeputati a Strasburgo: 1,03 miliardi del vecchio conio (536 mila euro) di cui 906 milioni proprio come rimborso per le spese elettorali sostenute per le elezioni europee.
Somma che sale a 1,8 miliardi lire (962 mila euro) nel 1990, per poi scendere a 162 milioni (83 mila euro) nel 1991 alla vigilia di Mani Pulite.
Nel 1992 la Lega Lombarda, diventata proprio in quell’anno Lega Nord, piazza in Parlamento una pattuglia di 55 deputati e 25 senatori. E il finanziamento pubblico lievita a 2,7 miliardi di lire (1,4 milioni di euro) prima di schizzare, l’anno successivo, a 7,1 miliardi (3,7 milioni di euro).
Siamo nel 1993: sulla scia degli scandali di tangentopoli, con un referendum plebiscitario (il 90,3% dei consensi) gli italiani abrogano il finanziamento pubblico ai partiti.
Che si adoperano immediatamente per aggirare il verdetto popolare, introducendo il nuovo meccanismo del fondo per le spese elettorale (1.600 lire per ogni cittadino italiano) da spartirsi in base ai voti ottenuti.
Un sistema che resterà  in vigore fino al 1997 e che consentirà  alla Lega di incassare 11,8 miliardi di lire (6,1 milioni di euro) nel 1994, anno di elezioni politiche che fruttano al Carroccio, grazie all’alleanza con Forza Italia, una pattuglia parlamentare di 117 deputati e 60 senatori.
Nel 1995 entrano in cassa 3,7 miliardi (1,9 milioni di euro) e altri 10 miliardi (5,2 milioni di euro) nel 1996.
RIMBORSI D’ORO
L’anno successivo, nuovo maquillage per il sistema di calcolo dei finanziamenti elettorali. Arriva «la contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici», che lascia ai contribuenti la possibilità  di destinare il 4 per mille dell’Irpef (Imposta sul reddito delle persone fisiche) al finanziamento di partiti e movimenti politici fino ad un massimo di 110 miliardi di lire (56,8 milioni di euro).
Non solo, per il 1997, una norma transitoria ingrossa forfetariamente a 160 miliardi di lire (82,6 milioni di euro) la torta per l’anno in corso.
E, proprio per il ’97, per la Lega arrivano 14,8 miliardi di lire (7,6 milioni di euro) che scendono però a 10,6 (5,5 milioni di euro) iscritti a bilancio nel 1998.
Un campanello d’allarme che suggerisce ai partiti l’ennesimo blitz normativo che, puntualmente, arriva nel 1999: via il 4 per mille, arrivano i rimborsi elettorali (che entreranno in vigore dal 2001).
In pratica, il totale ripristino del vecchio finanziamento pubblico abolito dal referendum del 1993 sotto mentite spoglie: contributo fisso di 4.000 lire per abitante e ben 5 diversi fondi (per le elezioni della Camera, del Senato, del Parlamento Europeo, dei Consigli regionali, e per i referendum) ai quali i partiti potranno attingere.
Con un paletto: l’erogazione si interrompe in caso di fine anticipata della legislatura.
ELEZIONI, CHE CUCCAGNA
Intanto, sempre nel 1999, per la Lega arriva un assegno da 7,6 miliardi di lire (3,9 milioni di euro), cui se ne aggiungono altri due da 8,7 miliardi (4,5 milioni di euro) nel 2000 e nel 2001.
E’ l’ultimo anno della lira che, dal 2002, lascia il posto all’euro. E, come per effetto dell’inflazione, il contributo pubblico si adegua alla nuova valuta: da 4.000 lire a 5 euro, un euro per ogni voto ottenuto per ogni anno di legislatura, da corrispondere in 5 rate annuali.
E per la Lega, tornata di nuovo al governo nel 2001, è un’escalation senza sosta: 3,6 milioni di euro nel 2002, 4,2 nel 2003, 6,5 nel 2004 e 8,9 nel 2005.
Una corsa che non si arresta nemmeno nel 2006, quando il centrodestra viene battuto alle politiche per la seconda volta dal centrosinistra guidato da Romano Prodi: nonostante la sconfitta, il Carroccio incassa 9,5 milioni e altri 9,6 nel 2007. Niente a confronto della cuccagna che inizierà  nel 2008, quando nelle casse delle camicie verdi finiscono la bellezza di 17,1 milioni di euro.
CARROCCIO AL VERDE
E’ l’effetto moltiplicatore di un decreto voluto dal governo Berlusconi in base al quale l’erogazione dei rimborsi elettorali è dovuta per tutti i 5 anni di legislatura, anche in caso discioglimento anticipato delle Camere.
Proprio a partire dal 2008, quindi, i partiti iniziano a percepire un doppio rimborso, incassando contemporaneamente i ratei annuali della XV e della XVI legislatura.
Nel 2009 il partito di Bossi sale così a 18,4 milioni per toccare il record storico con i 22,5 milioni del 2010.
Anno in cui, sempre il governo Berlusconi, abrogherà  il precedente decreto ponendo fine allo scandalo del doppio rimborso.
E anche i conti della Lega ne risentiranno: 17,6 milioni nel 2011.
La cuccagna finisce nel 2012 quando il governo Monti taglia il fondo per i rimborsi elettorali del 50%. Poi la spallata finale inferta dall’esecutivo di Enrico Letta che fissa al 2017 l’ultimo anno di erogazione dei rimborsi elettorali prima della definitiva scomparsa. Per il Carroccio c’è ancora tempo per incassare 8,8 milioni nel 2012 e 6,5 nel 2013. Mentre “La Padania” chiude i battenti e i dipendenti finiscono in cassa integrazione.
FINANZIAMENTI E RIMBORSI ELETTORALI ALLA LEGA NORD
(1988-2013)
1988 € 66.249,25 (128.276.429 lire)
1989 € 536.646,25 (1.039.092.041 lire)
1990 € 962.919,55 (1.864.472.246 lire)
1991 € 83.903,87 (162.460.547 lire)
1992 € 1.416.991,83 (2.743.678.776 lire)
1993 € 3.707.939,87 (7.179.572.723 lire)
1994 € 6.125.180,49 (11.860.003.225 lire)
1995 € 1.915.697,39 (3.709.307.393 lire)
1996 € 5.207.659,00 (10.083.433.932 lire)
1997 € 7.648.834,36 (14.810.208.519 lire)
1998 € 5.518.448,11 (10.685.205.533 lire)
1999 € 3.947.619,62 (7.643.657.442 lire)
2000 € 4.539.118,41 (8.788.958.807 lire)
2001 € 4.511.422,19 (8.735.332.610)
2002 € 3.693.849,60
2003 € 4.284.061,62
2004 € 6.515.891,41
2005 € 8.918.628,37
2006 € 9.533.054,95
2007 € 9.605.470,4
2008 € 17.184.833,91
2009 € 18.498.092,86
2010 € 22.506.486.93
2011 € 17.613.520,0
2012 € 8.884.218,85
2013 € 6.534.643,57

TOTALE 179.961.382,78

Francesco Giurato e Antonio Pitoni
(da “il Fatto Quotidiano“)

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QUEI COMUNI INCAPACI DI FARSI PAGARE 5,9 MILIARDI DI TRIBUTI

Aprile 13th, 2015 Riccardo Fucile

AL SUD RIESCONO A INCASSARE SOLO LA META’ DEL DOVUTO

Certo, da qualche tempo a questa parte per i sindaci far quadrare i conti è una battaglia quasi quotidiana, basti pensare che negli ultimi 4 anni hanno dovuto subire tagli per circa 17 miliardi e fare i conti con 64 modifiche delle regole di bilancio e ben 17 variazioni delle tasse sulla casa.
Detto questo molti comuni si fanno proprio male da soli, perchè sono davvero dei pessimi esattori.
E, in molti casi, le performance peggiori riguardano città  che più delle altre si lamentano dei tagli del governo.
Grandi città  in affanno  
Su 110 comuni capoluogo, in base ai bilanci consuntivi del 2012 elaborati da Openpolis (www.openbilanci.it), appena 11 superano la soglia dell’85% quanto a capacità  di riscossione, con Bolzano che svetta col 91,77%, Olbia e Trento che seguono rispettivamente col 90,19 e l’88,53%. Le grandi città  presentano tutte performance mediocri: Roma è 66 col 71,4%, Napoli 88 col 65,15%, facendosi in pratica sfuggire un terzo delle potenziali entrate.
Non vanno meglio Milano (92° posto col 63,95%) e Venezia (73° col 70,56%). Genova è 15 (82,89), Bologna 17 (82,56%), Firenze 45 (76,42%) e Torino 52 col 74,95%.
In coda alla classifica 14 amministrazioni, in gran parte città  meridionali, non incassano la metà  di quello che hanno messo bilancio con la sarda Tortolì che si ferma al 42,77%, Palermo al 43,69 e Reggio Calabria al 47,7%.
E forse non è nemmeno un caso che molte delle città  meno efficienti sul fronte degli incassi siamo anche quelle che hanno bisogno di maggior trasferimenti dallo Stato per reggere, con Messina 97 nella graduatoria della capacità  di riscossione (58,57%) che guida la classifica col 40,97% delle sue entrate che arriva da Roma, seguita da Palermo (37,55) e Catania col 25 percento.
I soldi messi a bilancio, ma che poi non entrano effettivamente in cassa, vengono classificati come residui attivi.
L’analisi di Openpolis, anche in questo caso, assegna più o meno alle solite «pecore nere» i «voti» più bassi: in fondo alla classifica, con un palese problema di inaffidabilità  delle entrate considerate nei propri bilanci, ci sono Palermo (21,58%), Napoli (18,43%) e Catania (17,59%), mentre Genova (45,19) con Bologna e Trieste risulta tra le più affidabili.
Tante multe «sprecate»  
Lo schema si ripete quasi identico quando si analizza una voce delicata, ma anche importante per i bilanci dei comuni, come quella relativa ai proventi delle multe: in media nel 2012 i comuni italiani hanno incassato 46 euro per ogni cittadino.
Con Bologna, Milano e Firenze che arrivano rispettivamente a 78,4, 97,7 e 99,3 euro, mentre in coda Messina, Palermo e Trieste non vanno oltre quota 25.
Il buco nero delle bollette  
A livello nazionale, il totale dei bilanci degli oltre 8 mila comuni italiani in base ai dati 2011 elaborati dall’Istat, gli ultimi disponibili in forma aggregata, presentano entrare tributarie accertate per un totale di 33,36 miliardi e di contro appena 25,25 di entrate effettive.
Il resto o entrano in caso negli anni a seguire oppure finisce tra i residui, in questo caso parliamo 5,89 miliardi di somme non riscosse.
A gonfiare questa cifra contribuiscono soprattutto le tasse sui rifiuti: 6,8 accertati, appena 3,2 entrati a bilancio nel 2011.
Lo stesso vale per le multe, dove vengono incassati solamente 958 milioni anzichè 1,51 miliardi, i servizi scolatici (mense, bus ecc.) con 562 milioni incassati su 731.
Sui proventi legati a stadi e palasport i nostri comuni raccolgono meno del 50% delle entrate previste (39,3 milioni su 68,5), mentre nei servizi idrici si tocca il top assoluto con 141,6 milioni incassati su 738.
Mentre ben 483,8 milioni finiscono anche in questo caso a gonfiare la montagna dei residui.
Tutti soldi che probabilmente i comuni non vedranno mai, tutte risorse sottratte alle comunità .

Paolo Baroni

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MAI ROTTAMATI: DOVE VAI ITALIA CON LABOCCETTA?

Aprile 13th, 2015 Riccardo Fucile

IL PROTOTIPO DELL’ITALIA CHE NON CAMBIERA’ MAI

Laboccetta. Che parola perfetta, che suono tondo. E invece è un nome proprio.
Leggi le intercettazioni dell’ennesima inchiesta napoletana sugli appalti e te lo ritrovi davanti (con Francesco Simone di Cpl Concordia): Amedeo Laboccetta — stavolta non indagato — nominato dalla Regione Campania presidente della Gori (Gestione Ottimale delle Risorse Idriche, che già  con quell’aggettivo, ottimale, ti fa sorridere), accanto a Ranieri Mamalchi già  capo segreteria di Gianni Alemanno.
Subito ti ritorna in mente la canzone di Battisti: ancora tu, ma non dovevamo vederci più.
Già , Laboccetta merita più di quel tanto che ha già  avuto. Dovrebbe diventare davvero una definizione, un tipo umano, il prototipo dell’Italia che non cambierà  mai.
Basta leggere il suo curriculum: una gioventù nella destra campana, nel Fuan, fedelissimo di Gianfranco Fini.
Poi, quando le fortune del capo declinano, eccolo al fianco di Silvio Berlusconi.
Una vita tra banchi e poltrone di consigli comunali, Parlamento e società . Tanto potente quanto capace di passare inosservato, se non fosse per quel cognome che te lo fa saltare all’occhio e somiglia al suo tipo fisico, umano, un po’ rotondo, con la testa pelata come una boccia.
Laboccetta è soprattutto l’amico dei signori dei giochi, delle slot machine.
Quelli che mangiano miliardi ai cittadini e fanno dello Stato un biscazziere.
Quelli cui la procura della Corte dei Conti aveva chiesto 98 miliardi per ottenere poi qualche centinaio di milioni.
Laboccetta fedele alla famiglia Corallo: quando la Finanza irrompe negli uffici romani di Francesco Corallo — a lungo latitante — per l’indagine sui finanziamenti della Banca Popolare di Milano alla Atlantis/Bp Plus gioco legale, ecco spuntare chissà  come il nostro eroe che sventolando un tesserino parlamentare si porta via un computer sostenendo sia suo.
Si eviterà  le rogne giudiziarie, tempo dopo, restituendo il pc, con qualche file cancellato.
Oggi lo ritroviamo ai vertici della Gori, nominato dalla Regione. Inossidabile.
E allora capisci perchè l’Italia non cambierà  mai.
Sembra quasi inutile prendersela con Berlusconi, Renzi. Loro, alla fine, passano. I Laboccetta restano.
Ma non guardiamo male solo lui, il povero Amedeo. A lui tocca l’ingrato compito di essere un simbolo.
Di quel sottobosco invisibile e inestirpabile che prospera alla base dei grandi alberi e detiene il vero potere.
Quel sottobosco che cresce a destra e sinistra, basti pensare a figure come Roberto De Santis, imprenditore che frequenta Tarantini e D’Alema.
Macchè cambiamento, se la Regione Campania preferisce Laboccetta con il suo diploma di perito alle migliaia di giovani con curricula straordinari.
Ma un premio, dopo tante poltrone, Laboccetta se lo merita.
Approdare sul vocabolario. L’Italia dei Laboccetta.

Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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EATALYNITA’

Aprile 13th, 2015 Riccardo Fucile

FENOMENOLOGIA DI OSCAR FARINETTI

Oscar Farinetti, ex mister Unieuro e oggi patron di Eataly, ha quasi preso il posto di Mike Bongiorno nell’immaginario collettivo del Paese. Come prototipo dell’italiano di successo.
Per Umberto Eco, autore di un memorabile saggio sulla “fenomenologia” del grande Mike, questi incarnava con le sue memorabili gaffe la mediocrità  dell’uomo medio, ed era questa la fonte del suo successo.
Farinetti racchiude quel mix di presunzione disinformata, simpatica aggressività  da piazzista, vittimismo di fronte alle critiche, furberia e intrallazzi politico-amicali che è la cifra dell’irresponsabilità  del self made man italiota.
Che si fa giustamente e bellamente gli affari suoi, ma vuole allo stesso tempo apparire un modello etico.
Intervistato da un Giovanni Minoli apparentemente perplesso e professionalmente incalzante, di fronte alla domanda se avrebbe preferito guadagnarsi gli 8mila mq di Expo attraverso una gara pubblica piuttosto che per assegnazione diretta come è avvenuto, ha risposto che gli va bene così.
Cosa poteva dire? Non è colpa sua se qualcuno gli ha fatto un “regalo”.
Ora però egli preferirebbe non dover avere a che fare con le critiche che gli sarebbero mosse da persone erose internamente da un “rospo”, cioè dall’invidia per il suo successo.
Che ci sia di mezzo una questione di legalità , nemmeno lo sfiora. Ovvero preferirebbe vivere in un altro Paese.
Evidentemente in un paese ancora meno civile di questo.
Perchè dove la legge fosse davvero uguale per tutti, lui e molti altri non sarebbero riusciti a imporre a una politica incompetente di trasformare l’occasione unica di EXPO2015 in una patetica, nostalgica e tragicamente fallimentare fiera paesana — perchè questo è il rischio che si sta correndo – che si propone come antitesi dell’innovazione.
Nel corso dell’intervista è riuscito anche a dire che si usa «troppa scienza e coscienza».
Quindi, il suo sogno sarebbe di tornare al medioevo, all’età  dell’ignoranza e dell’irrazionalità , o anche più indietro.
Forse nelle sue fantasie di onnipotenza ci vede come sudditi da lasciar manipolare ai giullari e ciarlatani che ronzano intorno questuando prebende, cioè ai bravi narratori del vuoto che sembran dei cloni (altro che biodiversità ).
Quando mi capita di ascoltare o leggere Farinetti o simili capisco perchè molti fra i giovani migliori a cui ho insegnato non sono più in Italia e perchè, se non cambia rapidamente qualcosa, probabilmente molti altri non vorranno trascorrere qui la loro vita.

Gilberto Corbellini
(da “il Sole24ore”)

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