Aprile 21st, 2015 Riccardo Fucile
“LASCIAMO CHE IL PD DELLE PURGHE SE LO APPROVI DA SOLO”
Dopo il Movimento 5 Stelle, anche Forza Italia e Sinistra Ecologia e Libertà annunciano l’Aventino
sull’Italicum.
In Commissione Affari costituzionali “dichiareremo l’inaccettabilità della posizione del Partito democratico, che evidentemente vuole eliminare qualsiasi dibattito in qualsiasi senso — ha detto Renato Brunetta a Montecitorio — quindi di fronte a questo loro atteggiamento noi lasceremo al Pd tutta la responsabilità di approvarsi in Commissione l’Italicum blindato, a disonore del Partito democratico stesso”, ha spiegato ancora il capogruppo azzurro alla Camera, che ha confermato ai cronisti che Forza Italia abbandonerà i lavori della commissione.
“Non siamo abituati alle farse, è un fatto senza precedenti, è evidente che Renzi tratta la commissione come una sezione del Pd”, sottolinea da parte sua il capogruppo Sel Arturo Scotto.
Alla base della decisione di FI e Sel la sostituzione di dieci membri del Pd in Commissione decisa dai vertici del partito.
Scelta Civica, che lunedì aveva fatto capire che avrebbe disertato i lavori, ci ripensa: resterà in commissione e “difenderà gli emendamenti” presentati all’Italicum, sottolineano fonti parlamentari di Sc osservando come “la legge elettorale sia migliorabile ma non invotabile” soprattutto per una forza di maggioranza quale è Scelta Civica.
Sulla legge elettorale la minoranza ha deciso per la linea dura e Matteo Renzi è andato allo scontro: dieci deputati della minoranza dem in commissione Affari Costituzionali sono stati “tutti sostituiti” dall’ufficio di presidenza del gruppo, che si è riunito in serata.
Si tratta, sottolineavano in serata fonti Pd, di una sostituzione ‘ad hoc’ e non definitiva, valida quindi solo per l’esame dell’Italicum e in linea con quanto deciso nell’assemblea dei deputati Pd. Ad essere sostituiti sono Pier Luigi Bersani, Gianni Cuperlo, Rosy Bindi, Andrea Giorgis, Enzo Lattuca, Alfredo D’Attorre, Barbara Pollastrini, Marilena Fabbri, Roberta Agostini e Marco Meloni mentre i nomi dei deputati che subentreranno saranno resi noti prima dell’inizio delle votazioni sugli emendamenti, previsto per il pomeriggio dalle 14.30.
“E’ un episodio che credo abbia pochi precedenti nella cronaca parlamentare — ha detto questa mattina Gianni Cuperlo, esponente della minoranza sostituito — è successo in passato che un singolo parlamentare sia stato sostituito in commissione, ma qua siamo di fronte a una sostituzione di massa. E’ un precedente che forse dovrebbe fare riflettere”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 21st, 2015 Riccardo Fucile
GLI SCHIAVISTI DEI BARCONI SONO I NUOVI NEMICI…“MA UN INTERVENTO MILITARE È ESCLUSO”
“Quello che avviene in queste ore nel Mediterraneo è molto più di un naufragio: siamo in presenza di un grave momento di crisi umanitaria che va affrontato come tale”.
In conferenza stampa con il primo ministro maltese, Joseph Muscat, Matteo Renzi su quello che sta succedendo sembra avere le idee chiare. Non per niente sono due mesi che in tutte le sedi possibili si affanna ad avvertire che la Libia deve essere una priorità europea, e poi mondiale. Ma da quello che dice è altrettanto evidente che le operazioni allo studio non sono all’altezza della situazione.
“Il fatto che in queste ore vi sia un’escalation di spedizioni è il segno che siamo in presenza di un’organizzazione criminale che sta facendo tanti soldi”, spiega Renzi.
E dunque, “prenderemo i criminali”. Perchè “continuare a pensare di lasciarli partire e poi andare a rincorrerli significa mettere a rischio le vite umane non per colpa dell’Italia o di Malta o dell’Ue, ma degli schiavisti-scafisti”.
Ecco che il premier individua i nemici: “Dire che gli scafisti sono i nuovi schiavisti non è un’espressione a effetto”. E intanto, “l’intervento militare è un’ipotesi che non è sul tappeto”.
Sta a Muscat, allora, chiarire che si farà una missione sul modello di quella Atalanta in Somalia “per andare a prendere gli schiavisti”.
Al dunque, quello che Renzi chiederà al consiglio Ue (che alla fine Donald Tusk ha convocato per giovedì) sono delle azioni mirate contro il racket dei migranti, una sorta di operazione di polizia, sul modello di quella già fatta in Somalia contro i pirati.
Ancora non è chiaro con quanti uomini e con quanti soldi.
Di più. Non è chiaro neanche dove si farà : perchè non è possibile operare dentro le acque territoriali di un Paese senza che il governo interessato te lo chieda. E in Libia non c’è un governo.
E se il mandato viene chiesto solo a una delle due parti (Tobruk e Tripoli) è quasi certo il no. Peraltro, “l’operazione mirata”, come a Palazzo Chigi sanno bene, è assolutamente insufficiente a dare una soluzione alla questione: bisognerebbe costringere la Libia a fare la pace.
Ma d’altra parte a Palazzo Chigi hanno chiaro sempre anche un altro ordine di problemi: un Paese deve individuare un obiettivo, tenendo conto dell’opinione pubblica.
E allora Renzi ieri ha trasmesso due messaggi fondamentali: la necessità di tenere ferma
l’accoglienza e la determinazione a un’azione di contrasto ai criminali.
Risposta populista ai populisti che in questi giorni debordano.
Anche perchè opzioni più efficaci non sono praticabili. E, dunque, si lavora a una missione Ue, che coinvolga in prospettiva il Nord Africa.
L’egida Onu è auspicabile, non indispensabile. Il rafforzamento di Triton che la Ue ha già messo sul piatto e il mandato nel suo complesso che giovedì si appresta a dare sarà comunque insufficiente.
Oltre al rafforzamento di Triton e all’operazione di polizia (che includerà l’azione di intelligence anche con l’uso di mezzi come i droni spia), il governo pensa alla creazione di centri di raccolta in loco, nei Paesi da cui i migranti partono.
E alla richiesta di modificare le regole di “Dublino 3”, che prevedono che i richiedenti asilo siano registrati nel Paese di primo approdo, a prescindere dal Paese cui sono diretti.
Ma quello che bisognerebbe davvero fare, e Palazzo Chigi lo sa, è risolvere la questione sul piano politico. Costringendo i governi di Tobruke Tripoli a mettersi d’accordo.
E dunque, stabilizzare la Libia.
Fino adesso l’Europa non si è compattata su questo e neanche l’America. Almeno è la motivazione che il premier e i suoi portano avanti di fronte all’impossibilità di mettere in campo le azioni necessarie.
Diceva ieri lady Pesc, Federica Mogherini: “C’è un nuovo livello di consapevolezza nell’Ue del problema” e “c’è finalmente l’idea di un nuovo senso d’urgenza e di volontà politica per affrontare la questione dell’immigrazione e del traffico di esseri umani”.
Si vedrà fino a che punto è davvero così.
E poi ci sono gli Usa. Obama a Renzi venerdì scorso alla Casa Bianca avrebbe detto: “Siamo con te. Tu svolgi un ruolo guida in Libia”. Ma chiarendo pure: “Noi all’intervento militare non ci pensiamo proprio”.
Insomma, detta in altri termini, l’invito è stato a cavarsela da solo.
E allora, tradotto, su che tipo di appoggio potrebbe contare il premier? Un aiuto politico, una sorta di investitura. Insomma, un’azione di influenza.
Ieri gli Stati Uniti ci tenevano a far sapere che prevedono di continuare a collaborare con l’Europa sulla crisi degli immigrati nel Mediterraneo: “I tragici eventi di questi giorni mostrano quanto è importante cooperare” affermava il portavoce del Dipartimento di Stato, Marie Harf. Mentre Renzi conquistava la prima del New York Times.
Come? Anche qui, tutto da vedere quali fatti seguiranno alle parole.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 21st, 2015 Riccardo Fucile
PER LA PRIMA VOLTA NON CI SARA’ L’EX SEGRETARIO ALLA SETTANTESIMA EDIZIONE DELLA FESTA…”OSCURATI”, DENUNCIA LA PARLAMENTARE EMILIANA FABBRI
Non ci saranno nè Pierluigi Bersani nè Gianni Cuperlo alla Festa nazionale dell’Unità che parte domani
a Bologna.
Un evento eccezionale per festeggiare i 70anni della celebre kermesse che si terrà nel giorno in cui la città festeggia la liberazione di Bologna, avvenuta quattro giorni prima del 25 aprile.
I due principali esponenti della minoranza dem non sono stati invitati.
A stilare l’elenco dei dibattiti — precisano dalla federazione di Bologna, onde evitare equivoci — è stato il Pd nazionale.
Sarà strano per gli emiliani, abituati a vedere Bersani a tutte le feste dell’Unità , non ascoltarlo in quest’anniversario.
Emiliano-romagnolo (di Bettola-Pc) l’ex segretario è particolarmente popolare in Emilia e presso i volontari senza i quali la Festa non potrebbe essere organizzata. Sono lontani (ma non tanto) i tempi in cui a non essere invitato alla Festa dell’Unità bolognese era stato l’attuale premier Matteo Renzi. Era il 2012 e tutta l’Emilia era bersaniana a eccezione di pochi pionieri come il parlamentare Matteo Richetti.
Alla fine il partito locale, dopo molte pressioni, aveva fatto dietrofont e ospitato Renzi che aveva ricevuto un’accoglienza gelida da dirigenti e volontari ed era arrivato con la sua claque distribuita in alcuni pulmann, come alcuni del Pd avevano fatto notare.
Dal partito, in ogni caso fanno sapere che non c’è nulla di personale nel non aver invitato Bersani e Cuperlo.
I dibattiti — dicono — sono organizzati per aree tematiche, perciò sono stati chiamati degli esperti per ogni campo.
In realtà , nella prima bozza del programma era stato invitato anche il capogruppo dimissionario, il bersaniano Roberto Speranza, poi il suo nome è stato tolto.
Figura invece quello di Gennaro Migliore, ex deputato di Sel, che interverrà ad un dibattito sulla riforma elettorale, il 23 aprile, insieme agli onorevoli Nico Stumpo, Roberto Giachetti e Lucrezia Ricchiuti.
La minoranza dem intanto insorge. Chi alla luce del sole e chi fuori taccuino.
“Il fatto che ci siano idee diverse non giustifica l’oscuramento della minoranza” scandisce la parlamentare bolognese Marilena Fabbri che oggi è stata invitata a lasciare la commissione Affari costituzionali perchè — spiega — “ci è stato chiesto se intendevamo attenerci alla disciplina di partito e non presentare emendamenti all’Italicum votandolo così com’è’”.
E c’è anche chi definisce l’esclusione dei due leader “vergognosa”.
La festa si terrà nel parco della Montagnola a Bologna, nello stesso luogo dove si svolse nel 1951 la prima Festa nazionale dell’Unità . Durerà fino al 3 maggio.
A presentare la kermesse, il tesoriere nazionale del Partito Democratico Francesco Bonifazi, il segretario del Pd di Bologna Francesco Critelli e il responsabile Feste e autofinanziamento del Pd provinciale Fabio Querci.
La festa come sempre coniugherà politica, cultura ed eccellenze culinarie.
Ad inaugurarla, domani, Lorenzo Guerini, vicesegretario nazionale; Paolo Calvano, coordinatore dei segretari provinciali dell’Emilia Romagna e segretario regionale in pectore e Francesco Critelli, segretario Pd Bologna.
Il 22 si affronterà il tema delle “sfide dei Governi locali”, con Piero Fassino sindaco di Torino e presidente Anci; Virginio Merola sindaco di Bologna; Matteo Biffoni Sindaco di Prato; Andrea Gnassi sindaco di Rimini e la deputataValentina Paris, responsabile nazionale Pd Enti Locali.
Molti i nomi di rilievo del Pd che parteciperanno, tra cui anche pochi rappresentanti della minoranza dem, come Donata Lenzi, capogruppo Pd in Commissione Affari Sociali; Andrea De Maria, responsabile nazionale Pd della Formazione Politica e civatiani come Sergio Lo Giudice e l’europarlamentare Elly Schlein.
Ci saranno anche Debora Serracchiani, vicesegretario Pd; Matteo Orfini, presidente Pd e il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini.
Vasto il parterre di ministri: Stefania Giannini dell’Istruzione; Andrea Orlando della Giustizia; Maurizio Martina delle Politiche Agricole Ambientali e Forestali e Giuliano Poletti del Lavoro e delle Politiche sociali.
A chiudere la kermesse il 3 maggio sarà il premier Matteo Renzi.
Paola Benedetta Manca
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 21st, 2015 Riccardo Fucile
CON CHE FACCIA CHI AFFOSSO’ MARINI NEL SEGRETO DELL’URNA OGGI VUOL NEGARE ALLA MINORANZA INTERNA IL DIRITTO AL DISSENSO?
Era già accaduto al Senato nel giugno 2014, con la sostituzione- destituzione dalla commissione Affari costituzionali di tre senatori del Pd (Mineo e Chiti) e di Scelta civica (Mauro), rei di dissentire sulla controriforma costituzionale di Renzi.
E siccome nessun’autorità , tantomeno Napolitano, fece una piega per difendere la Costituzione contro quella scandalosa purga ordinata dal capo del governo, ora la scena si ripete pari pari alla Camera, con la cacciata dalla commissione gemella di 10 deputati Pd colpevoli di dissenso sull’Italicum: Bersani, Cuperlo, Bindi, D’Attorre eccetera.
Ma solo per 10 giorni: giusto il tempo di far votare i 10 sostituti come soldatini obbedienti sull’Italicum, poi, a missione compiuta, torneranno i titolari.
E naturalmente anche stavolta nessuno fa un plissè, nemmeno gli epurati.
Eppure l’articolo 67 della Costituzione afferma: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
Si può contestarlo (Grillo vorrebbe abolirlo, e secondo noi sbaglia), ma intanto la regola è quella.
Poi ci sono i regolamenti parlamentari: i membri delle commissioni sono nominati dai presidenti delle due Camere su indicazione dei gruppi e possano essere sostituiti se si dimettono o assumono altre cariche elettive o di governo.
Non certo perchè non s’inchinano agli ordini di scuderia, per giunta del governo.
E poi qui non si tratta di un singolo deputato, ma di 10: tutti quelli che dissentono dal governo che — altro fatto inaudito — pretende di cambiare la legge elettorale a colpi di maggioranza (che poi -ennesima anomalia- è minoranza, senza il premio del Porcellum cancellato dalla Consulta).
Inoltre — paradosso dei paradossi — Renzi invoca il vincolo di mandato dimenticando che il mandato elettorale del Pd è esattamente l’opposto dell’Italicum: i suoi parlamentari sono stati eletti nel 2013 promettendo agli elettori di cancellare il Porcellum per restituire ai cittadini il diritto di scegliersi i propri rappresentanti, non per perpetuare il potere dei capi di nominarseli col trucco delle liste o dei capilista bloccati.
Quindi a tradire il mandato (peraltro mai ricevuto, essendo stato eletto per fare il sindaco di Firenze) è Renzi, non i “dissenzienti”.
E, come ricorda Pippo Civati, il programma elettorale Pd diceva: “Dobbiamo sconfiggere l’ideologia della fine della politica e delle virtù prodigiose di un uomo solo al comando. È una strada che l’Italia ha già percorso, e sempre con esiti disastrosi”.
Poi ci sarebbe lo Statuto del gruppo Pd alla Camera, che recita: “Il pluralismo è elemento fondante del Gruppo e suo principio costitutivo. Esso si basa sul rispetto e la valorizzazione del contributo personale di ogni parlamentare alla vita del Gruppo, nel quadro di una leale collaborazione e nel rispetto delle norme del presente Statuto”. Quello del gruppo al Senato addirittura “riconosce e valorizza il pluralismo interno nella convinzione che il continuo confronto tra ispirazioni diverse sia fattore di arricchimento del comune progetto politico… Il Gruppo riconosce e garantisce la libertà di coscienza dei senatori… Su questioni che riguardano i principi fondamentali della Costituzione e le condizioni etiche di ciascuno, i singoli senatori possono votare in modo difforme dalle deliberazioni dell’Assemblea del Gruppo…”.
Ma che pluralismo è quello che rimuove i deputati che non s’inchinano supinamente agli ordini di scuderia, per giunta del governo, per giunta sulla riforma costituzionale ed elettorale, cioè sulle regole fondamentali del gioco democratico?
Sentite queste parole: “La sostituzione in commissione di Vigilanza del senatore Paolo Amato è del tutto illegittima. Il Regolamento prevede la sostituzione di un commissario solo in caso di sue dimissioni, incarico di governo o cessazione per mandato elettorale. Checchè ne dica il presidente Schifani, che sta esercitando le funzioni di presidente del Senato con modalità che vanno totalmente censurate sotto ogni profilo, istituzionale e regolamentare. Modalità più da giocoliere che da interprete del diritto”.
Così parlò il 4 luglio 2012 Luigi Zanda, allora vice e ora capogruppo del Pd al Senato, sdegnato perchè Schifani aveva epurato l’azzurro dissidente Amato.
E invocava l’art.67, che ai vertici del Pd piace molto quando c’è da sbatterlo in faccia a Grillo (che non lo vuole) e molto meno quando c’è da rispettarlo in casa propria. Cos’è cambiato da allora a oggi, a parte il colore degli epuratori e degli epurati?
La Costituzione e il Regolamento per i nemici si applicano e per gli amici si interpretano, anzi si calpestano.
Il refrain del Politburo Renziano, graziosamente detto Giglio Magico, è che l’assemblea del gruppo ha votato a maggioranza pro Italicum, quindi ora tutti devono adeguarsi per disciplina di partito.
Ma questo può valere per le leggi di ordinaria amministrazione, non certo per le regole e i passaggi fondamentali della vita democratica.
Altrimenti, di grazia, perchè il 18 aprile 2013, quando l’assemblea dei grandi elettori Pd scelse Franco Marini per il Quirinale, Renzi e la sua minoranza si ribellarono alla maggioranza votando Chiamparino?
Con che faccia, oggi che sono maggioranza, vogliono negare alla minoranza il diritto al dissenso?
Ps. Siccome è già partita la black propaganda per squalificare i dissenzienti come conservatori del Partito No Tutto, perfetto corollario del refrain “meglio l’Italicum che nessuna legge elettorale”, sarebbe cosa buona e giusta se la minoranza Pd, M5S, Sel e chi ci sta presentassero subito in Parlamento un ddl di una riga: “È ripristinato il Mattarellum”.
Chissà che ne pensa il capo dello Stato.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 21st, 2015 Riccardo Fucile
LA SOSTITUZIONE DEI DIECI COMMISSARI PD NON HA PRECEDENTI IN PARLAMENTO
Stazza robusta e spalle coperte, i guardiani dell’Italicum — Emanuele Fiano e Gennaro Migliore —
cercano un po’ di adrenalina in un caffè alla buvette di Montecitorio.
Sono appena usciti dall’ennesima seduta della commissione Affari Costituzionali, ma lì dentro, ammettono “non si è avvertita nessuna tensione”.
La truppa dei dieci dissidenti che ha annunciato il no alla riforma elettorale ha già posato le armi. E ieri, a poche ore dalla loro defenestrazione d’ufficio, hanno pensato bene di portarsi avanti, sparendo in anticipo.
Solo Alfredo d’Attorre si è presentato nell’auletta: ha illustrato i suoi emendamenti, ultima fiammata prima di finire nel congelatore.
Ieri sera, come previsto, l’ufficio di presidenza del gruppo (alla guida Ettore Rosato, reggente dopo le dimissioni di Roberto Speranza) ha messo nero su bianco la “sostituzione ad rem ” di dieci esponenti democratici fuori sincrono con il cronoprogramma di Matteo Renzi.
Pier Luigi Bersani, Gianni Cuperlo (la frattura con la “ditta” è tale, che nessuno dei due parteciperà alla Festa nazionale dell’Unità che si inaugura oggi a Bologna), Rosy Bindi, Andrea Giorgis, Enzo Lattuca, Alfredo D’Attorre, Barbara Pollastrini, Marilena Fabbri, Roberta Agostini, Marco Meloni: tutti chiedevano modifiche che avrebbero inevitabilmente rallentato la corsa dell’Italicum.
Tanto nel calendario di quella commissione, di cose importanti non ce ne sono più.
La sostituzione di dieci commissari non ha precedenti nella storia recente del Parlamento. In passato, accadde per la valutazione di questioni regionali, in cui si era ritenuto utile affidarsi a deputati territorialmente competenti (e il presidente Pertini bollò pure quell’uso come rischioso, perchè foriero di “visioni parziali”).
Ma un “utilizzo politico” dell’istituto della sostituzione, ricorda il presidente del gruppo Misto Pino Pisicchio, “non c’è mai stato”.
E perfino alcuni sopravvissuti in commissione osano definire la scelta della dirigenza Pd come“antiestetica”.
La tesi della maggioranza democratica è che in commissione il parlamentare rappresenta il gruppo, dunque non può appellarsi all’articolo 67 della Costituzione che lo libera dal vincolo di mandato.
Crinale avventuroso, che ieri ha già provocato una serie di reazioni a catena.
Scelta Civica e Cinque Stelle (che, per la verità , dell’autonomia del parlamentare non hanno mai fatto una bandiera) minacciano di abbandonare i lavori della commissione, Sel e Forza Italia criticano la decisione di Renzi ma ricordano che l’esame
dell’Italicum proseguirebbe anche se rimanesse in Affari Costituzionali anche solo un quarto dei suoi componenti.
Ma ormai, quella della commissione, è acqua passata. E in aula, non potendo sostituire il centinaio di allergici all’Italicum, si fa strada l’ipotesi della fiducia.
Gianni Cuperlo ieri è partito in quarta dicendo che sarebbe “uno strappo” che “metterebbe seriamente a rischio il proseguimento della legislatura”.
Ma, tranquilli: stamattina ci sarà una riunione tra Sinistra dem e Area riformista per ricucire anche questo.
Paola Zanca
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Aprile 21st, 2015 Riccardo Fucile
IL PRESSING DI CONFALONIERI E DORIS…. LA SVOLTA DOPO LA TRAGEDIA AL LARGO DELLA LIBIA
«Guarda, Silvio, che tu devi riprendere il rapporto con Renzi, devi mettere da parte i toni di queste settimane, così non si va da nessuna parte».
Berlusconi ascolta in silenzio, al tavolo con lui, ad Arcore, siedono i compagni d’avventura di una vita, due delle pochissime persone delle quali il leader si fidi per davvero.
Fedele Confalonieri, presidente Mediaset, Ennio Doris, presidente di Banca Mediolanum
Ultimo fine settimana, a Villa San Martino non si parla solo di cessione del Milan al thailandese Mr Bee, non solo dell’operazione Mondadori-Rcs libri, ma anche del futuro politico dell’ex Cavaliere.
Ora che la pena è stata espiata e che Forza Italia dal primo giugno si prepara ad essere pressochè rasa al suolo e rifondata.
Ma secondo i due vecchi consiglieri del capo, al restyling andrà affiancato un cambio di strategia. Fare un’immediata inversione a “U” sul patto del Nazareno non è possibile.
L’Italicum che andrà al voto la prossima settimana alla Camera, non sarà ancora un test probante dei dubbi emersi a Villa San Martino. Certo, a voto segreto qualcuno dei “verdiniani” non mancherà di lanciare un segnale
Quando invece la riforma del bipolarismo tornerà all’esame del Senato, allora sì che i giochi potranno riaprirsi.
Berlusconi non ne farà cenno di certo nelle prossime cinque settimane: con le regionali alle porte (il 31 maggio) l’esigenza è marcare Renzi, criticarlo semmai sull’attività di governo, ed evitare di lasciare lo scettro dell’opposizione a Salvini.
Il quadro tuttavia è destinato a cambiare a urne chiuse. Ne sono convinti Raffaele Fitto e i suoi trenta parlamentari che, dopo lo strappo in Puglia e l’imminente battaglia legale sull’uso del simbolo, si preparano allo strappo e alla creazione di nuovi gruppi parlamentari.
Si preparano a fare altrettanto Verdini e i suoi, per opposti motivi: se la linea non cambierà appunto sulle riforme che pure Fi ha sostenuto finora.
Del resto dopo il brusco faccia a faccia della scorsa settimana, tra Silvio e Denis il gelo è pressochè totale.
La situazione ad ogni modo è fluida.
Domenica sera, dopo la tragedia del Mediterraneo, la mano tesa da Berlusconi a Renzi in nome dell’emergenza.
Quel «basta alle accuse e alle contrapposizioni» e la proposta di un immediato «tavolo tra tutti i protagonisti dei governi passati e presenti». Sottolineata e apprezzata non poco, ieri mattina, dal presidente del Consiglio («Ha detto cose più sagge di Salvini »).
Premessa di una svolta da qui a un paio di mesi?
Quel che è certo è che i sondaggi commissionati negli ultimi giorni dall’ex Cavaliere sulle aspettative degli elettori moderati gli hanno confermato quel che aveva previsto.
E così lo ha spiegato in queste ore ai dirigenti di prima fascia di Forza Italia: «La nostra gente si aspetta da noi buon senso. Dunque, da questo momento in poi, i toni devono essere più sfumati, moderati, meno urlati e i contenuti più ispirati alla linea del Ppe».
Anche perchè – ha continuato – «se copiamo i contenuti e i metodi della Lega, è chiaro che gli elettori preferiranno Salvini. Da lui invece dobbiamo prendere sempre più le distanze». Convinto che così potrà recuperare l’elettorato moderato in fuga da Fi anche perchè impaurito dal mood barricadero.
Con questa operazione, dai contorni ancora poco definitivi, Berlusconi innanzitutto punta a riaccreditarsi e a recuperare centralità sul piano nazionale: unico interlocutore di Renzi in una fase di emergenza, anche se per il momento non più seduto al tavolo delle riforme.
E in secondo luogo, l’ex premier vuole confermare la sua leadership italiana del Ppe, frontman dei leader popolari europei.
E la dichiarazione di domenica, al di sopra delle parti, è stato un biglietto da visita in vista dell’appuntamento Ppe di Milano di giovedì e venerdì centrato proprio sull’immigrazione.
Intanto, la rifondazione del partito è iniziata.
Ancora prima di sbarcare oggi a Roma, ieri da Arcore ha nominato Marcello Fiori (già coordinatore dei club Forza Silvio) responsabile degli Enti locali.
Non ha ricevuto investitura ufficiale invece Andrea Ruggieri, ex avvocato e autore tv, nonchè nipote di Bruno Vespa, inserito nello staff comunicazione con delega alle presenze tv, al fianco di Deborah Bergamini.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Aprile 21st, 2015 Riccardo Fucile
IL CALL CENTER DI CINISELLO BALSAMO LAVORA PER TRE IMPORTANTI SOCIETA’ FINANZIARIE E BANCARIE
Chiudere lo stabilimento alle porte di Milano, mandare a casa 186 persone e nel frattempo assumerne
altre fra Roma e la Calabria approfittando delle agevolazioni previste dalle nuove norme inserite nel Jobs act.
Ottenendo così un doppio risultato: prendere giovani con contratti meno costosi e più flessibili e ottenere gli sgravi fiscali del governo.
La storia arriva da Cinisello Balsamo e l’azienda è la Call&Call Milano srl, un call center che si occupa dei servizi di customer care per tre importanti società finanziarie e bancarie italiane: Ing Direct, Agos Ducato e Fiditalia.
Il gruppo Call&Call nasce nel 2002 proprio a Cinisello (dove tuttora risiede la holding): da qui la società si espande su tutto il territorio nazionale e oggi ha in tutto 2.500 dipendenti e fattura 57 milioni all’anno, come si legge sul sito della stessa società .
Solo che il 10 aprile scorso il consiglio di amministrazione dell’azienda ha aperto la procedura di licenziamento collettivo per la chiusura del sito.
Già da luglio il personale di Cinisello era in contratto di solidarietà di tipo difensivo, riuscendo così a evitare il licenziamento di 41 persone.
«Ma con una mossa spregiudicata – dice Sara Rubino (Slc Cgil) – la proprietà , senza aver mai comunicato le difficoltà legate alla gestione del contratto di solidarietà , ha dirottato parte del flusso di lavoro su altre sedi del gruppo, anche assumendo nuovo personale con il contratto a tutele crescenti e senza averci dato risposte rispetto a ciò che già vedevamo e di cui chiedevamo informazioni».
Ma come fa un’impresa che attiva la legge 223, cioè la procedura per i licenziamenti collettivi, ad assumere contemporaneamente nuovi lavoratori in altre zone d’Italia?
«Il sistema sta in piedi perchè Call&Call ha costituito più società , come in un gioco di scatole cinesi: c’è Call&Call Milano srl, Call&Call La Spezia srl, Call&Call Lokroi srl», spiega Adriano Gnani (Uilcom Uil). Quindi quella milanese può risultare effettivamente in crisi, a differenza di quella di Roma, o di Locri, o della Spezia. La perdita annuale su Cinisello sarebbe di 500mila euro: «Colpa dei costi eccessivi del lavoro, secondo l’azienda. Questo nonostante lo stipendio medio degli operatori sia sui 1.200 euro mensili, che però con i nuovi assunti possono scendere a 1.000».La versione della holding è che «negli ultimi anni ci sono state perdite di esercizio significative non più sostenibili a seguito di un calo delle commesse e in presenza di costi generali incompatibili con il nuovo contesto di mercato, soprattutto per una fra le pochissime imprese del settore che ha scelto di non spostare lavoro italiano in offshoring e, dunque, non ha potuto mediare l’incidenza del costo del lavoro ricorrendo alla delocalizzazione. Da qui la necessità non più rinviabile di attivare la procedura di mobilità , trattandosi di una situazione strutturale e non congiunturale». Già lo scorso 10 aprile i lavoratori avevano reagito alla comunicazione con uno sciopero: adesso l’intenzione è trasformare una vertenza locale in una questione che riguardi nel complesso la società .
Matteo Pucciarelli
(da “La Repubblica”)
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