Destra di Popolo.net

“VOLEVANO PASSARE SUL CADAVERE”: RAGAZZA MORTA SULL’ASFALTO, GLI AUTOMOBILISTI INSULTANO I VIGILI PER IL TRAFFICO BLOCCATO

Settembre 4th, 2015 Riccardo Fucile

A SALO’ INSULTI, BESTEMMIE E AGGRESSIONE AI VIGILI: CHE BELLA LEZIONE DI CIVILTA’ … SONO QUESTE LE IDENTITA’ DA DIFENDERE?

La barbarie corre sull’asfalto. E non si arresta davanti a nulla.
Nemmeno di fronte al corpo di una ragazza distesa sulla strada. Morta. Coperta da un lenzuolo bianco.
«Ho assistito a scene incredibili – racconta ancora turbato Marco Bergognini, 45 anni, agente della Polizia locale di Salò, insieme ad altri colleghi domenica sera a Barbarano per rilevare l’incidente in cui ha perso la vita la passeggera di una moto, Angelica Caironi vent’anni di Palazzolo – gente che urlava, automobilisti in coda che volevano passare assolutamente.Insulti, bestemmie, parolacce. Incuranti del corpo senza vita della ragazza. A terra a pochi metri di distanza».
In tanti si erano messi in auto domenica per raggiungere Salò per assistere allo spettacolo pirotecnico di fine estate.
Poco prima delle 23 lo schianto tra una moto e un’auto.
Ad avere la peggio la ventenne che rimane sull’asfalto priva di vita, nonostante i tentativi di rianimarla. La gardesana viene chiusa. Il traffico deviato, ma all’inizio è il caos.
Il corpo rimane sulla strada, in attesa del carro funebre.
Gli automobilisti, inferociti, vogliono passare. Ad ogni costo.
«Uno – racconta ancora Bergognini che ha ‘postato’ il suo sfogo su facebook – è schizzato via con una gimkana tra il corpo, la vettura incidentata, i soccorsi. Mi ha urlato: ‘Io devo andare a casa’. Un altro ha strappato il nastro che usiamo per delimitare la zona dell’incidente. Alcuni ciclisti gridavano come pazzi. Ne ho portato uno davanti al corpo della ragazza e gli ho detto ‘Vuoi urlare ancora, non pensi a questa famiglia?’ Assurdo».
Marco Bergognini è di Toscolano, ha due figlie, una di 14 e una di 11 anni. Quella sera è sempre nella sua mente. Da allora fa fatica a prendere sonno.
«Penso sempre a quella povera ragazza. Come si fa ad essere così insensibili, così disumani? Come polizia locale abbiamo fatto il possibile, abbiamo deviato il traffico da San Michele. La collega di Gardone Riviera spiegava che si trattava di un incidente mortale. È stata aggredita fisicamente da un automobilista».
Gli insulti lanciati all’indirizzo dei vigili purtroppo non sono infrequenti…
«In tanti se la prendono con noi – sottolinea Stefano Traverso, comandante a Salò – dall’inizio dell’anno abbiamo rilevato 60 incidenti stradali. Facciamo tutto il possibile, ma la gente ci copre di insulti. Questa volta però siamo andati davvero oltre».

Maria Paola Pasini
(da “il Corriere della Sera”)

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LA BUSTA PAGA DELLA BRACCIANTE: “PAOLA E’ MORTA PER 27 EURO AL GIORNO”

Settembre 4th, 2015 Riccardo Fucile

BUSTA PAGA IRREGOLARE, E’ LA META’ DEL DOVUTO… LA MAGISTRATURA APRE UN FASCICOLO SUL DECESSO DI ANDRIA

«Tra i mille interrogativi che mi pongo e ai quali non riesco a dare risposta, ritengo che sia un’assurdità , nel 2015, morire sul posto di lavoro per guadagnare a malapena 27 euro al giorno».
Far luce su come ciò sia stato possibile è la richiesta che Stefano Arcuri, marito di Paola Clemente, bracciante agricola 49enne morta il 13 luglio scorso nelle campagne di Andria, pone al procuratore del tribunale di Trani.
Ventisette euro al giorno che, per i sindacati, «sono circa la metà  di quanto dovuto per il lavoro che stava facendo Paola – spiega Giuseppe Deleonardis, segretario Flai Cgil Puglia – perchè per il cosiddetto acinino dell’uva la paga è 49 euro».
Su questa differenza si stanno interrogando in procura, a Trani, cercando anche di far luce sul gioco degli acconti e dei saldi contabilizzati in busta paga dalle agenzie interinali alle migliaia di braccianti che – in Puglia e non solo – lavorano come la sfortunata donna tarantina un’intera giornata nei campi per portare a casa poche decine di euro.
Paola, come si legge nella sua busta paga, nello scorso mese di novembre ha visto contabilizzare a saldo appena 257,38 euro.
Perchè nella parte alta dello stesso cedolino sono evidenziate trattenute per acconto stipendi pari a 727 euro che portano il totale trattenute a 829 euro e il saldo finale a 257 euro dai 1.489 euro lordi.
La busta paga di dieci mesi fa era a carico dell’agenzia per il lavoro Quanta.
«Ma quando la signora Clemente è morta – specifica l’avvocato Vito Miccolis che assiste il marito di Paola – lavorava per Inforgroup: abbiamo fiducia che anche in tal caso la procura farà  piena luce su eventuali meccanismi di acconti e saldi».
Per intanto vogliono vederci chiaro i sindacati: «Sollevammo il problema lo scorso 8 luglio – spiega Deleonardis – quindi prima ancora della morte di Paola, perchè diversi lavoratori, una sessantina, vantano crediti di circa 500 euro che, pur presenti in busta paga, non sono mai stati corrisposti».
E nei giorni scorsi, il primo settembre, la Flai Cgil ha dato l’ultimatum a Quanta: «Premesso che l’aspetto retributivo e relativi conguagli dei lavoratori assunti è in capo all’agenzia e non alle aziende utilizzatrici – si legge nella lettera inviata all’agenzia interinale con sede a Milano – che, come da voi comunicatoci, si erano assunte l’onere di conguagliare ai lavoratori il dovuto, non avendo i lavoratori a tutt’oggi ricevuto alcun rimborso, se entro 5 giorni non avremo notizie positive in merito, ci vedremo nostro malgrado costretti ad adire le vie legali e a segnalare le inadempienze alla Guardia di finanza».
Tra acconti e saldi, oneri in capo alle agenzie interinali o alle aziende utilizzatrici, il caporalato moderno sembra così nascondersi tra le pieghe di una somministrazione del lavoro apparentemente regolare.
«Non solo apparentemente – spiega il vice presidente di Quanta Vincenzo Mattina – ma anche nella realtà . Se dobbiamo dare qualcosa ai lavoratori, la daremo, chiariremo tutto. Come abbiamo già  fatto nel 2014 dopo le segnalazioni dell’ispettorato del lavoro: abbiamo chiesto all’Inps di normalizzare tutte le posizioni non regolari, in gran parte sottoinquadramenti dei lavoratori. Il ravvedimento, per la sola Puglia, ci è già  costato 120 mila euro per la prima tranche e complessivamente ce ne costerà  400 mila».
A dimostrazione che qualcosa, nelle campagne del Tavoliere, non quadra.
«Sì – spiega ancora Mattina – e ne avemmo la percezione nel 2013, due anni dopo la nostra decisione di entrare nel settore agricolo, prevalentemente in Puglia ma anche in Sicilia e Lazio. Inviammo subito tre persone da Milano a Rutigliano e alla fine del nostro screening , due dipendenti, denunciati anche per concorrenza sleale perchè avevano preso contati con altre agenzie, andarono a casa».
Mai pensato che agissero da caporali?
«Sì, il dubbio ci è sorto – conclude Mattina – in particolare che utilizzassero la cosiddetta “paga di piazza”».
Che non è il salario contrattuale (applicato in Puglia dal 20% delle aziende, secondo la Flai) ma la consuetudine che prevede il sottosalario per immigrati e donne, tanto più basso quanto più a Sud si va.
La risposta alla domanda di Stefano – perchè morire per 27 euro – è in questa amara verità .

Michelangelo Borrillo
(da “il Corriere della Sera“)

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LA RESA DI ORBAN: ORA L’UNGHERIA OFFRE I BUS AI PROFUGHI PER RAGGIUNGERE L’AUSTRIA

Settembre 4th, 2015 Riccardo Fucile

LA DESTRA CIVILE METTE ALL’ANGOLO I DELIRI DI BUDAPEST: MERKEL E CAMERON IMPONGONO LA SVOLTA, LA DESTRA XENOFOBA RIMANE IMPIGLIATA NEL SUO FILO SPINATO

Resta altissima la tensione in Ungheria: centinaia di migranti si stanno dirigendo al confine austriaco, dopo essere partiti dalla stazione di Budapest, a piedi, visto che le autorità  hanno bloccato i treni.
Il gruppo ha attraversato il Danubio e sta percorrendo l’autostrada Budapest-Vienna. Si tratta di 240 chilometri e ci vorranno dei giorni.
Ma il serata è arrivata la svolta: al Parlamento ungherese non passa la proposta dell’esercito schierato al confine.
E’ la resa di Orban:   arriva la notizia che Budapest offrirà  bus ai migranti per raggiungere l’Austria.
“Questo non vuol dire che automaticamente potranno lasciare il Paese, stiamo aspettando la risposta del governo austriaco”, cerca di giustificare il voltafaccia l’imbarazzato ministro Janos Lazar, sottolineando che i pullman potrebbero portare i migranti al confine austriaco già  nelle prossime ore.
Porte aperte ormai in Germania e Gran Bretagna.
La Germania si è detta pronta ad accogliere 800mila richiedenti asilo nel 2015, quattro volte in più rispetto allo scorso anno e anche Cameron ha detto che accoglierà  altri migranti e che donerà  altri 130 milioni di euro.
Cameron, che si trova a Lisbona per parlare con il primo ministro portoghese, ha poi sottolineato che il suo Paese agirà  “con la testa e con il cuore”, impegnandosi a trovare soluzioni a lungo termine alla crisi. Londra, ha detto, ha già  “fornito rifugio” a circa 5mila rifugiati dei campi siriani, oltre a 900 milioni di sterline di aiuti, più di qualsiasi altro Paese europeo.
Per il premier, il suo Paese ha “la responsabilità  morale” di aiutare i rifugiati.
Intanto i governi di Praga e Bratislava intendono creare un corridoio per i rifugiati che consenta loro di passare dall’Ungheria alla Germania attraverso la Slovacchia e la Repubblica Ceca, in alternativa al passaggio attraverso l’Austria.
I ministri degli Interni ceco e slovacco hanno detto che si tratterebbe di un corridoio ferroviario per rifugiati siriani tra l’Ungheria e la Germania, se i governi di questi due paesi saranno d’accordo.
“La Repubblica Ceca e la sSovacchia potranno creare un corridoio ferroviario per i rifugiati siriani che si vogliono recare dall’Ungheria in Germania, se Berlino e Budapest si mettono d’accordo in proposito”, ha dichiarato il ministro degli Interni ceco, Milan Chovanec, in una conferenza stampa congiunta.
“Lasceremo passare questi treni senza controllare ulteriormente i migranti, li accompagneremo soltanto”, ha aggiunto.

(da agenzie)

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PROFUGHI, DUEMILA FAMIGLIE ITALIANE PRONTE A OSPITARE I BAMBINI RIMASTI SOLI: “SEMPLIFICARE REGOLE PER AFFIDO”

Settembre 4th, 2015 Riccardo Fucile

CORSA ALLA SOLIDARIETA’: A SAN GIULIANO MILANESE LA ONLUS “AMICI DEI BAMBINI” RACCOGLIE LE DISPONIBILITA’

È una corsa alla solidarietà  quella che è scattata dopo che sono circolate le fotografie del piccolo Aylan, 3 anni, siriano, trovato morto sulle spiagge di Bodrum in Turchia. Nella sede della onlus “Amici dei bambini”, di San Giuliano Milanese, i telefoni hanno cominciato a squillare frenetici: dall’altra parte c’erano centinaia di famiglie che si sono dichiarate disponibili ad accogliere bambini profughi arrivati in Italia.
Da Milano sono arrivate circa 100 offerte di ospitalità , da tutta la Lombardia (la regione con il maggior numero di disponibilità ) 256.
In totale, la onlus ha raccolto sul territorio nazionale quasi 1800 proposte di famiglie pronte a ospitare piccoli rimasti soli durante il lungo viaggio per fuggire dalla guerra.
Per molti il meccanismo è stato immediato: “Cercando su Google uno dei primi risultati su queste tematiche rimanda al nostro sito   –   spiega Diego Moretti, dell’associazione   –   motivo per cui in moltissimi ci hanno chiamato per dare una mano”.
Un’ondata di solidarietà  che va oltre i timori e le paure di chi fa le barricate contro i profughi, e che ricorda molto la reazione dei 12mila islandesi che si sono dichiarati pronti ad accogliere i profughi nelle proprie case.
Ma è uno slancio che purtroppo rischia di scontrarsi con una realtà  burocratica complessa e che difficilmente porterà  a dei risultati.
“Il sistema dell’accoglienza sull’affido familiare di un minore funziona a livello territoriale   –   spiegano dalla onlus   –   ed è lo stesso sia per i bambini italiani che vengono allontanati dal nucleo familiare per una questione di tutela sia per i minori stranieri non accompagnati. Il punto è che ci vorrebbe un progetto su scala nazionale. Penso ad esempio a un albo delle famiglie affidatarie dove poi, al momento dello sbarco, un servizio centrale va ad individuare nelle varie località  dove è presente la famiglia che ha le caratteristiche idonee per accogliere il minore”.
Cosa che però al momento non esiste, per cui si deve sottostare anche in questo caso alle lunghe trafile per l’affidamento.
Un altro ostacolo dipende poi dall’età  dei bambini.
Il 90 per cento delle famiglie che hanno dato la propria disponibilità , si sono dette pronte ad ospitare piccoli fino a un massimo di dieci anni, quando in realtà  molti dei minori non accompagnati che arrivano sul territorio italiano sono ragazzi adolescenti di 16 e 17 anni.
“Ovviamente la fotografia del bambino di pochi anni sulla spiaggia smuove una sensibilità  maggiore   –   aggiunge Moretti   –   molti però, quando vengono invitati ai nostri corsi informativi, poi non proseguono il percorso”.
Resta comunque il dato di molte persone che si sono dichiarate pronte a ospitare e il messaggio politico che c’è dietro.
Lo stesso lanciato dal cardinale Angelo Scola due giorni fa, che ha chiesto leggi e regolamenti più elastici per quanto riguarda la sistemazione dei profughi.
“In questo caso   –   conclude Moretti   –   l’obbiettivo dovrebbe essere quello di dare un supporto all’accoglienza diffusa in famiglia”.

Luca De Vito
(da “La Repubblica“)

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PORTOGRUARO: LA “PALESTRA DELLA DISCORDIA” DIVENTA ESEMPIO DI INTEGRAZIONE

Settembre 4th, 2015 Riccardo Fucile

DA DUE MESI 54 PROFUGHI ACCOLTI DAI CITTADINI IN UNA GARA DI SOLIDARIETA’… ALLA FINE SONO RIMASTI ISOLATI I POLITICI CHE NON LI VOLEVANO

Teddy è categorico: “Non mi piace questo cibo”. Sai, gli dico, c’è un detto da noi: “A caval donato non si guarda in bocca”. “E cosa vuol dire?”, chiede lui. Che quando ricevi qualcosa in dono, non dovresti mai lamentarti. “Ah. Ok. Però mi manca la zuppetta da tirare su con il pane e mangiare con le mani”. È uno dei pochi, lì, che parla inglese.
Di fronte ha del riso al tonno, un pesce bianco (non molto saporito) e dei piselli. Così anche gli “ospiti” musulmani possono mangiare. E anche volontari e avventori. Commestibile, ma ben lontano dalle cinque stelle di cui parla qualcuno.
Che evidentemente non è mai stato a pranzo lì.
Teddy e altre 53 storie. Teddy è nigeriano. Il gruppo terrorista affiliato ad Al Qaeda, Boko Haram, gli ha raso al suolo la casa. Sua madre è morta. Lui fa lo sbruffone e scherza su tutto, a partire dalla mia telecamera, “sequestrata” da uno di loro che ci gioca. Scherza anche su di lui, Teddy. Poi però prende il cellulare e digita un numero che squilla a vuoto. “Non risponde. Non c’è più”, dice. Sua madre non c’è più.
Lui è uno dei 54 migranti ospitati dall’istituto scolastico Gino Luzzatto a Portogruaro, in provincia di Venezia, da inizio luglio, ma sono più di 200 le persone distribuite tra Eraclea e San Donà  di Piave: dentro questa palestra ci sono 54 persone, 54 storie.
Ognuna delle quali meriterebbe di essere raccontata. Molti sono minori; sono originari per lo più dell’Africa subsahariana, ma c’è anche un gruppetto proveniente dal Bangladesh. Quasi tutti hanno attraversato il deserto. Basta nominare Agadez e i loro occhi si fanno bui.
Quasi tutti hanno guardato la morte da vicino, mentre erano sopra i barconi nel Mediterraneo. Quasi tutti partiti dalla Libia verso “Lampa Lampa”, la salvezza, così come viene chiamata Lampedusa.
Il prefetto li ha mandati lì, ma adesso che iniziano le scuole devono essere trasferiti tutti. Non si sa quando, non si sa dove. Il gruppo dei 14 originari del Bangladesh sono arrivati a Annone veneto, altri sono in partenza per Marghera e la riviera del Brenta in appartamenti privati convenzionati con la cooperativa e i ghaniani sono ospiti alla Croce Rossa di Jesolo.
Finalmente una stanza, un po’ di privacy, sogno di ogni notte di una estate intera.
Nord sud ovest est. Accade a Portogruaro, a pochi chilometri dal red carpet della Mostra del cinema al Lido di Venezia che ospiterà  una marcia scalza venerdì alle 17, a molti di più dal festival delle migrazioni di Acquaformosa, piccolo paesino di mille abitanti nel cuore del Pollino nel quale in cinque anni sono passati oltre 600 migranti.
Così, mentre la foto choc del bimbo sulla spiaggia di Bodrum fa il giro del mondo e l’emergenza migranti continua in tutta Europa, la punta più a est del Veneto e quella più a ovest della Calabria vantano due esempi concreti di solidarietà , integrazione, accoglienza.
Dal basso, dalla comunità .
Veneto solidale.
“La preside dell’istituto Luzzatto, di competenza provinciale, è stata molto disponibile”, come spiegano i volontari. Del resto, così ha deciso il prefetto. I parroci della zona avevano fatto un sopralluogo in alcune strutture della Chiesa, ma erano già  occupate da altre attività  o in condizioni non adatte ad ospitare le persone.
“Il Comune se ne è chiamato fuori e, anzi, ha cavalcato le polemiche a livello regionale e la “furia” di Zaia. Il sindaco non si è mai fatto vedere”, dicono i volontari. E a noi non risponde. Però in Veneto ci sono attualmente 5.184 profughi, il 6% dei presenti in Italia (si dovrebbe raggiungere quota 8%) e 1 su mille in relazione ai 5 milioni di abitanti (in Germania sono 2, in Francia 4, in Svezia 14, tanto per fare degli esempi).
Incaricata dell’accoglienza per questa emergenza estiva nel nordest, su delega del prefetto, una cooperativa di Carpi, la Solaris.
Solo contusioni.
Non è così facile entrare nella palestra. All’ingresso c’è Florica, infermiera specializzata della cooperativa. Capelli rossi e occhi verdi come il camice che indossa. Sguardo severo. Un vero Cerbero. E non c’è pagnotta che tenga. Protegge questi ragazzi come fossero suoi.
Di origini romene, lavora in Italia dal 2007: è lei che si occupa della loro igiene. Sono in salute. Non c’è nessun rischio sanitario. Gli unici problemi che hanno sono le stirature e le contusioni che li costringono a consumare tubetti interi di pomate. Se le fanno giocando a calcio. Unica tentazione a cui non resistono. Si sono divisi in due squadre e hanno organizzato un torneo, con coppa. Teddy è il capitano. A parte le attività  sportiva e qualche dvd a disposizione per guardare la tv, i ragazzi hanno potuto anche frequentare un corso di italiano grazie alle associazioni locali e ai volontari che si sono dati da fare.
Paola, la maestra, è rimasta sorpresa dalla loro “volontà  di imparare. Sono volenterosi, disposti a fare qualsiasi lavoro. Alcuni assorbono con una velocità  incredibile. Sono pieni di vita, stanno dentro la vita come oramai non ci si sta più, in questa Italia vecchia e spenta”.
Siamo in cima.
“La cooperativa fa quel che può. Ma i cittadini stanno dando un grande contributo”, dice Damiano Nonis, 30 anni, insegnante di educazione fisica.
Gli abitanti del quartiere e i volontari di oltre venti associazioni che si sono impegnate nell’accoglienza portano di tutto in palestra: vestiti, cose da bagno, cibo.
E soprattutto, loro stessi. Il loro tempo, i loro giorni di vacanza, o il primo giorno di pensione, come per Valentino.
Damiano non si preoccupa della destinazione scolastica, ha passato le sue ferie qui. Va in montagna abitualmente e ha deciso di portare un gruppetto di loro con sè. “Abbiamo dormito fuori, in un bivacco. Erano così felici di vedere le montagne. Telefonavano agli amici qui: “Top of the mountain, top of the mountain”, dicevano “Siamo in cima”. Hanno grande resistenza, mangiano pochissimo”.
Con lui i “ragazzi della palestra” hanno risistemato il campetto da basket e quello da calcio che ci sono lì vicino: “Abbiamo messo le porte nuove, aggiustato i canestri. È stato bellissimo”.
Si è creato un rapporto molto stretto tra volontari e migranti.
Mama.
“Mama, Mama, vieni”. In coro la chiamano. Non è chiaro all’istante a chi si rivolgano perchè “mama” è un appellativo affettuoso che i ragazzi usano per attirare l’attenzione dell’inflessibile infermiera Florica, che distribuisce cibo, medicine e ordini militareschi, ma anche altre “mamme”: le volontarie che vanno lì a dare una mano.
Tutte mamme “adottive” di molti di questi giovani che quella vera non ce l’hanno più. Alida fa parte dell’associazione pensionati della Cgil. È lei che chiamano adesso perchè qualcuno le ha fatto un dono: un disegno, con dedica. L’autore è un decoratore.
Era il suo lavoro in Bangladesh. “Abito qui vicino e sono venuta dal primo giorno, quando ho visto che c’erano persone che avevano bisogno di aiuto. Non voglio pensare a quando andranno via. Mi mancheranno così tanto. Sono come figli miei. E loro mi chiamano mamma. Penso a cosa accadrebbe se fossero i nostri figli, nipoti ad avere bisogno di accoglienza da qualche parte, nel mondo”.
Il loro arrivo irrompe nella vita di Alida, come in quella di tutti coloro che abitano nei dintorni della palestra. Li vedono. Non più solo in tv o sui giornali. Proprio davanti alle loro finestre. Alle loro cene in famiglia. Non sono rimasti indifferenti.
“Li ho invitati a cena, hanno pescato i pesci nei fossi qui vicino e hanno cucinato”. Pesce, ma anche carne di pollo. Ne vanno ghiotti. “Ho visto sparire in mezzora 30 polli e 10 litri di sugo. Incredibile la fame che devono avere sofferto”, racconta un volontario.
Vita sopra il materassino.
I ragazzi impacchettano le loro cose. Riordinano le coperte, le lenzuola. Piegano le loro magliette con cura maniacale. Si fanno la barba, i capelli. Sanno di non poter restare lì perchè a giorni altri ragazzi frequenteranno quella palestra. Anche loro sui materassi. Non per dormirci, però, solo per fare gli esercizi di educazione fisica. Gli studenti. Anche loro scherzeranno, giocheranno, si isseranno sul quadro svedese.
Un’ora o due alla settimana, non di più, forse ignari dei loro precedenti coinquilini che, nonostante le preoccupazioni di qualche genitore, non lasciano sporcizia, ma solo un altro pezzettino della loro vita e del loro viaggio.
“Abbiamo trovato pulito e lasceremo pulito”, dice Teddy mentre raccoglie le foglie in giardino e sistema i piatti del pranzo nei bidoni, rigorosamente differenziati.
Honorè de Balzac.
In teoria sono liberi di muoversi, alcuni hanno paura della polizia. Spunta un libro dalla mensola. È Balzac. “Mi piace leggere. Soprattutto storie vere, documentari, ma anche qualche romanzo”. A Emmanuel David piace andare in biblioteca. Sfuggito dalla guerra in Sierra Leone e dai soldati che lo avrebbero arruolato a soli 14 anni, poi dalla dittatura del Gambia, dai trafficanti del deserto e dalle sevizie dei libici.
Sfuggito al mare del Mediterraneo e anche al suo sogno: “Studiare computer” o qualsiasi cosa possa dare “un senso alla mia vita”.
Nessuno di loro ha ancora presentato i documenti per la loro tutela giuridica e la richiesta di asilo. Migranti economici o rifugiati di guerra. Sembra l’unica, sottile, linea rossa tra la disperazione e la salvezza. “Sapevo che era pericoloso, ma non avevo scelta. Era la mia unica opportunità  di una vita migliore”. Sono parole piene di vita e di speranza. Che spinge ad infilarsi dentro il cofano di una macchina, o in un trolley.
Noi accettiamo.
C’è un biglietto nella mia borsa, lasciata per tutto il tempo incustodita, appoggiata a terra. È scritto a penna. “In Libia, quando lavoravo, alcune persone pagavano altre persone non pagavano. Perchè alcune persone non erano gentili”. Un italiano perfetto. Sotto c’è scritto: “Accettare. Io accetto, tu accetti, lui/lei accetta, noi accettiamo, voi accettate, loro accettano”. L’ultima “t” è stata aggiunta dopo, una correzione. In fondo al foglietto: “Noi accettiamo”. Una scelta verbale.
Una lezione a chi dimentica che un giorno potremmo tutti essere migranti: loro “accettano”.
Noi ancora no.

Alessandra Borrella
(da “La Repubblica”)

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IO, UNGHERESE IN FUGA, FUI SALVATO DAI CONTADINI: QUANDO I PROFUGHI ERAVAMO NOI

Settembre 4th, 2015 Riccardo Fucile

DOPO YALTA IL NUMERO DEI PROFUGHI E DEGLI ESILIATI E’ ENORMEMENTE CRESCIUTO

Sono nato in Ungheria e ho vissuto lì l’intera mia adolescenza.
A 19 anni ho intrapreso un viaggio clandestino verso l’Italia a bordo di un camion su cui eravamo circa trenta passeggeri, tra cui tre o quattro ragazzi meno che ventenni. Ero uno di questi.
Repressa la rivolta ungherese della fine del 1956, l’esercito sovietico aveva invaso il mio Paese natale con carri armati e altri mezzi corazzati.
Molti studenti, approfittando della momentanea apertura dei confini fuggirono verso l’Occidente, parte interdetta del globo per gli abitanti dei cosiddetti Paesi comunisti. Chi non ha vissuto quegli anni non sa quanto severa fosse la separazione tra i due «blocchi» e che cosa significasse la sensazione di vivere solo a metà .
Tutto del blocco opposto era infetto, ignobile, contagioso, malvagio, da non conoscere minimamente. L’inferno.
Quando l’Armata Rossa occupò l’Ungheria, eravamo convinti che gli studenti sarebbero stati presi di mira per primi e che trattamento avrebbero subito era un’incognita minacciosa e terrificante.
Perciò, mio padre individuò un trasportatore con camion che faceva la spola tra Budapest e i paesini del confine con l’Austria.
Sì, l’Austria, come accade anche oggi.
Era già  inverno benchè fossimo all’inizio di novembre. C’era neve e gelo. Il camion individuato da mio padre partiva alle sette del mattino. Ci aspettava sotto casa. Io non avevo la più pallida idea di che cosa sarebbe successo di me: volevo solo scampare all’arresto, alle false accuse, a tutta l’ignominia che immaginavo si sarebbe scatenata. E volevo conoscere l’Occidente, quella parte del mondo la cui letteratura, musica e arte cominciavo a conoscere e amare quanto quella dei nostri Paesi.
Nel momento in cui salii a bordo del camion all’angolo di una viuzza, mia madre si aggrappò a quella vecchia vettura, quasi volesse farsi trascinare.
Era disperata, come ero anch’io, ma io avevo l’incoscienza e la fiducia della mia età . Ero pronto a fronteggiare quel vuoto che vedevo davanti a me. A ogni via che imboccavamo dicevo un addio, dentro di me, e con sorda amarezza. Ero però sicuro di poter tornare presto.
Passarono quindici anni, fino a quella data.
Al confine fummo fatti scendere, una «guida» ci fece entrare in una casa di contadini, ci diedero del tè, qualche biscotto, venne il tramonto e noi affrontammo la foresta di confine con l’Austria condotti avanti dall’ignota guida.
Che nel mezzo della foresta, a un certo punto, si fermò, spense la sua lampada e ci disse che se non gli avessimo consegnato tutto ciò che possedevamo ci avrebbe lasciati lì.
Sarebbero venuti i carri armati russi e ci avrebbero presi tutti. Tutti vuotarono le borse, le tasche, cominciarono a imprecare e aspettarono cosa sarebbe successo. Qualcuno pregava in ginocchio dietro a un albero spoglio.
Dopo venti minuti la guida ci disse di rimetterci in cammino. Fatti cinquanta passi, enormi riflettori si accesero di colpo, militari cominciarono a gridare di fermarci e non muoverci: erano le guardie di confine.
Ci allinearono lungo il fianco di un edificio, ci ingiunsero anche loro di consegnare tutti i nostri rimanenti averi se no ci avrebbero consegnato ai russi.
Tutti ubbidirono senza fiatare. Solo qualche bambino piccolo piangeva a squarciagola. Finita la spoliazione mandarono a casa la guida, ci fecero alzare, diedero qualche spiegazione di come proseguire il cammino, ci dissero: «Siete cittadini americani. Buona fortuna!». E spensero tutte le luci, anche le più piccole.
Camminammo tutta la notte senza sapere dove stessimo andando. Una muta marcia nell’inferno. Improvvisamente due occhi luminosi si piantarono addosso a noi: un autobus austriaco mandato per raccoglierci.
Ci gridarono in tedesco di aspettarli senza paura, si fermarono, ci abbracciarono e ci fecero salire.
Cinque minuti dopo eravamo in Austria, in un paesino del Burgenland. Fummo ospitati da famiglie contadine del luogo. Io dormii insieme a un nonno ultraottantenne. Il giorno dopo ci portarono alla polizia dove venimmo identificati e indirizzati, ciascuno dove era diretto.
A me diedero un passaggio in autostop per Vienna, all’ambasciata italiana. Lì speravo di ritrovare mio fratello gemello.
Noi, mio fratello gemello e io, avevamo studiato italiano al liceo e così riuscimmo a comunicare con la gente dell’ambasciata.
Ci promisero di portarci in Italia, e due giorni dopo partì un pullman con una cinquantina di profughi ungheresi che varcarono così le Alpi.
Cominciò la fase più emozionante della mia vita: la conoscenza dell’Italia e degli italiani, di tutto ciò che potevo ricevere da questo Paese e dai suoi abitanti. Quarant’anni più tardi riuscii a fare ciò di cui non potevo desiderare nulla di meglio. Fare da collegamento tra ungheresi e italiani, come direttore dell’Istituto italiano di cultura di Budapest.
In mezzo ci furono lutti, malattie, morti, e grandi soddisfazioni: oggi restano vivi soo dei parenti lontanissimi, da me quasi mai frequentati.
Lutti e lontananza, è un grande dolore che tocca a tutti i fuggiaschi.
La solitudine, la povertà  sono altri capitoli. Ma la solidarietà  di cui i miei conoscenti italiani mi hanno onorato resta al di sopra di tutto.
Lo dico perchè si sappia, si conosca come esempio.
Spero che questo racconto serva a muovere nuove solidarietà , nuove unioni, sia utile a chi ospita e a chi è ospitato.

Giorgio Pressburger
(da “il Corriere della Sera”)

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INTERVISTA AL SOCIOLOGO TOURAINE: “I PROFUGHI SCAPPANO DA GUERRE CHE L’EUROPA NON SA FERMARE”

Settembre 4th, 2015 Riccardo Fucile

“AIUTARE CHI FUGGE E’ UN DOVERE: ALTRO CHE BUONISMO QUA SI PARLA DI TUTELA DEI DIRITTI FONDAMENTALI”… “L’UNGHERIA ANDREBBE CACCIATA DALL’EUROPA”

«Non stiamo parlando di buoni sentimenti, ma di diritti fondamentali».
Il sociologo Alain Touraine sta sorseggiando un caffè in una brasserie parigina. Quando gli si chiede cosa pensa dell’Ue che avanza divisa sulla questione dei profughi quasi si strozza per la rabbia.
«È ignobile il comportamento dei paesi dell’Est, soprattutto pensando a tutto quello che noi dell’Europa centrale abbiamo fatto per loro», osserva il novantenne Touraine. «Le dichiarazioni di Viktor Orbà¡n sono scandalose. Dovrebbe essere espulso immediatamente dall’Unione europea».
Solo Angela Merkel è all’altezza dell’urgenza?
«Oltre ai gesti, mi colpiscono le parole. Ha ragione la Cancelliera quando parla di diritti universali. Siamo entrati in un tipo di società  in cui ciò che conta è la moralità , l’etica. Per l’Occidente è un dovere accogliere i rifugiati. Aiutando loro, in fondo difendiamo anche la nostra identità  profonda. Se non lo faremo, ci saremo smarriti»
La Germania accoglierà  800mila rifugiati, la Francia dieci volte meno. È egoismo?
«Non è una questione umanitaria ma di democrazia, di diritti fondamentali. La Francia, come altri paesi, è un’ex potenza coloniale e dovrebbe avere almeno un maggiore senso di responsabilità  e della Storia. Hollande ha sbagliato quando mette la frontiera a Mentone oppure accetta di far vivere al freddo e in mezzo al fango i migranti di Calais».
Il dibattito è ormai dominato dagli argomenti del Front National?
«Il governo è in cerca di voti. Ma non li avrà  facendo così. Sono sempre più convinto, attraverso gli studi che faccio, che la più grande differenza tra destra e sinistra è la ricerca di una certa moralità . La gauche tradisce se stessa in questo momento. E va verso la rovina».
Perchè allora tutto diventa così difficile quando si parla di immigrazione?
«Bisogna dire la verità . I rifugiati hanno il diritto di venire da noi, visto che sono perseguitati e non possono vivere nel loro paese, spesso anche a causa di guerre che noi non abbiamo saputo fermare. Inoltre, queste persone non sono per forza un fardello per le nostre economie».
La Francia ha smarrito i suoi valori?
«Uno in particolare: la fraternitè. La fratellanza dovrebbe essere parte della nostra identità . I francesi leggono sui banchi di scuola i Miserabili di Victor Hugo in cui il vescovo di Digne offre rifugio al ladro Valjean, senza consegnarlo alla polizia. Il dovere d’accoglienza fa parte della nostra cultura: dovrebbe essere un comandamento non solo per credenti ma anche per chi fa parte della Rèpublique. Io farei addirittura una legge al contrario: punirei chi non offre riparo ai bisognosi ».
È una provocazione?
«Non solo. Bisogna capire che il tema dei rifugiati è centrale. Trovare una soluzione decente per i rifugiati è un nostro dovere».

Anais Ginori
(da “La Repubblica”)

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CONVOGLIO VIENNA-BUDAPEST: “LI PORTIAMO NOI IN MACCHINA IN GERMANIA, ORBAN PER FERMARCI DOVRA’ FAR INTERVENIRE L’ESERCITO”

Settembre 4th, 2015 Riccardo Fucile

NASCE DAL WEB L’INIZIATIVA DI CITTADINI COMUNI: DOMENICA DALL’AUSTRIA PARTE LA CAROVANA VERSO IL CONFINE CON L’UNGHERIA… RISCHIANO L’ARRESTO IN TERRITORIO UNGHERESE

Hanno paura che sia illegale, ma lo faranno lo stesso. Un convoglio di auto di cittadini comuni domenica mattina partirà  dal Praterstadium di Vienna, destinazione Budapest. Obiettivo: dare un passaggio a migliaia di rifugiati verso la “libertà “, verso l’Austria e poi la Germania.
Se nel frattempo non si sarà  sbloccata la situazione a livello politico è anche già  fissato l’orario: alle 11 tutti in marcia sull’asfalto.
Come l’appello della professoressa islandese per chiedere al suo paese di ospitare più rifugiati, anche questa iniziativa (rischiosa) è nata su Facebook.
Si chiama “Convoglio Vienna-Budapest” e ha già  raccolto più di 2000 partecipanti.
Auto, camioncini, furgoni, ogni mezzo. E inoltre cibo e medicinali.
“Vogliamo evitare altre morti di rifugiati dentro ai camion” spiegano dopo la notizia dei 71 cadaveri di profughi trovati in Austria la scorsa settimana.
Vogliono aiutare e lo faranno a ogni costo: rischiano a dare un passaggio ai rifugiati bloccati a Budapest, a cui oggi se ne sono aggiunti – cifra record per flusso migratorio in una sola giornata – altri 3.313. Vengono da Siria, Afghanistan, Pakistan.
Hanno paura soprattutto per quel che potrà  accadere in Ungheria.
Oggi sono stati arrestati 4 attivisti, portati poi nella stazione di polizia di Budapest in stato di fermo, con l’accusa di “contrabbando di persone”.
Stavano per far salire sulle loro auto dei profughi con lo scopo di portarli fuori dal paese. Sulla vicenda è intervenuto anche il governo che sta prendendo decisioni.
Rischiano perchè trasportare persone senza documenti e senza offrire un servizio a pagamento (come taxi, per intenderci) in Ungheria potrebbe costare il carcere e in Austria multe di migliaia di euro.
Rischiano perchè, scrivono sul gruppo che ha comunque già  contattato dei legali per provare a tutelarsi (e che ha sconsigliato l’operazione), “ci saranno diversi posti di blocco”. Si aggiorneranno al telefono o con Whatsupp l’un l’altro.
Da Vienna a Budapest ci sono almeno 250 km, 500 a fare andata e ritorno.
Passeranno l’intera giornata sulla strada: l’idea – perlomeno annunciata – è quella di chiedere al governo austriaco un “lasciapassare”, che la polizia non intervenga. “Leader politici non ci ostacolate, stiamo salvando vite umane!” scrivono.
Ma agli animi, sia quello dell’esecutivo austriaco sia quello ungherese (più rigido sulla vicenda), per ora sono orientati a non dare la minima autorizzazione all’evento.
“Se vorrà  fermarci, Orban si prepari a muovere l’esercito” chiosano cinicamente su Facebook.

(da “Huffingtonpost”)

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AI PARTITI IL 2XMILLE NON BASTA PER SANARE I BUCHI

Settembre 4th, 2015 Riccardo Fucile

NEL 2015 GIA’ ESAURITO IL FONDO DA 9,6 MILIONI

Il festoso annuncio con cui Matteo Renzie il tesoriere del Pd, Francesco Bonifazi, hanno festeggiato l’esplosione degli introiti dal 2 x mille che i contribuenti possono devolvere ai partiti nella dichiarazione dei redditi (5,5 milioni quest’anno) riporta l’attenzione sui bilanci dei partiti.
A guardarli coi nuovi numeri si scopre che “spese fiscali”e“erogazioni liberali” non stanno affatto colmando il buco della morte progressiva del finanziamento pubblico(0 euro dal 2017).I partiti dovranno dimagrire e molto: forse l’unico che potrà  permettersi una qualche forma di struttura è il Pd, per il resto rimarranno in piedi comitati elettorali molto snelli, i partiti sul territorio saranno i loro eletti, i funzionari solo fundraiser. Il 900 e il suo partito di massa sono storia.
Le cifre sul 2xmille che Il Fatto rivela in questa pagina non sono ufficiali: il Tesoro non le ha rese pubbliche, perchè non ha quelle definitive.
Si tratta di proiezioni sull’acconto del 30% arrivato ai partiti in questi giorni e basate sui modelli 730 (chi presenta Unico ha tempo fino al 31 settembre).
Il Tesoro ha peraltro fatto sapere ai partiti (tranne M5S, che rifiuta il 2xmille) che il plafond 2015 da 9,6 milioni è già  esaurito: tutti avranno un taglio del 10% circa rispetto alle scelte totali.
PD
Il 2xmille fa il botto: si passa dai 199 mila euro da 10.157 donatori del 2014 ai 5,5 milioni presunti per quest’anno (da 549.196 donatori).
Cifra notevole — merito anche del lavoro di uno staff apposito di quattro persone che ha sollecitato iscritti e simpatizzanti- che però non riuscirà  a compensare il calo del finanziamento pubblico: si passerà  dai 14 milioni dello scorso anno ai circa 8 del 2015 per scendere attorno ai 2 l’anno prossimo (zero dal 2017).
Il Partito democratico ha chiuso il bilancio 2014 in sostanziale equilibrio grazie ai soldi pubblici, a tagli dolorosi e al fatto di aver potuto “scaricare”temporaneamente molti dipendenti nelle istituzioni o al governo.
Dice l’ex tesoriere del Pds Ugo Sposetti: “Finchè hai il premier segretario che sta in tutti i Tg è facile. Puoi risparmiare sulla propaganda”.
NCD
Nel 2014 non ha avuto accesso al 2à—1000 (ritardo nel presentare i documenti), la cifra comunicata ieri è 140 mila euro da 14.500 donatori.
Il totale , in realtà , era 164 mila euro, ma il Tesoro ha già  comunicato la decurtazione del 10%. Il partito è un po’ come una srl messa male: 7 dipendenti e un passivo da 900 mila euro e più.
Il bilancio di previsione 2015, redatto da poco, stimava entrate per 3 milioni, già  riviste al ribasso: non si andrà  oltre i due,che sommati ai 2,7 milioni di donazioni non compensano le uscite (oltre 5 milioni nel 2014).
SCELTA CIVICA
L’incremento del 2à—1000 vale anche per quel che resta del partito che fu di Mario Monti: 92 mila euro in tutto (da 8mila donatori) contro i 7.000 (da 156 donatori) del 2014.
Il partito ha chiuso il bilancio dell’anno scorso in attivo, seppur di poco , ma quest’anno dovrà  fare i conti col dimezzamento del contributo elettorale: da 2 milioni a 1,1 (nel 2016 si scenderà  a 500 mila). Si spera nelle donazioni.
LEGA
Silenzio sul 2xmille da via Bellerio. Anche qui, però, la cifra è prevista in crescita rispetto ai 28.140 euro (versati da 1.839 persone) dello scorso anno.
Il partito ha chiuso il bilancio 2014 con un deficit di 8 milioni di euro (nel 2013, superava i 15).
Per coprire le perdite sono stati intaccati i depositi (sia bancari che postali) e da quest’anno i lumbard cominceranno a vendersi il patrimonio immobiliare visto che i soldi pubblici scenderanno da 2,6 a 1,1 milioni (600 mila euro nel 2016).
Per evitare il dissesto la Lega ha tagliato brutalmente i costi, a partire dal personale: 71 gli esuberi.
FORZA ITALIA
Se fosse un’azienda avrebbe già  portato i libri in tribunale. I dati sul 2xmille non sono stati comunicati, ma nessuno si aspetta granchè: “Non abbiamo fatto nessuna campagna”, spiega una fonte al Fatto. I bilanci sono da dissesto. Solo l’intervento di Berlusconi ha evitato il crac: 90 milioni per azzerare gli “oneri finanziari verso le banche”, ma nonostante il soccorso dell’uomo di Arcore, il disavanzo complessivo è aumentato da 83,5 milioni nel 2013 a 95 lo scorso anno. I contributi elettorali passeranno da 15 milioni a quasi niente.
SEL
È l’altro partito che festeggia un numero insperato proveniente dal 2xmille: 900 mila euro. La struttura del partito di Vendola, peraltro, è leggerissima e il bilancio è in attivo nonostante i contributi passeranno da 1,3 milioni a circa 700 mila euro quest’anno.

Carlo Di Foggia e Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano“)

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