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ITALICUM SOMMERSO DI RICORSI IN CORTE D’APPELLO SU PREMIO MAGGIORANZA E BALLOTTAGGIO

Ottobre 26th, 2015 Riccardo Fucile

LA LEGGE ELETTORALE E’ STATA IMPUGNATA DAVANTI A 15 SEDI… TRA I RICORSI ANCHE QUELLO DELL’AVV. BESOSTRI CHE FECE BOCCIARE IL PORCELLUM

Premio di maggioranza alla lista che supera il 40 per cento, il ballottaggio e le norme sulle minoranze linguistiche.
Sono questi alcuni dei punti dell’Italicum contestati davanti a una quindicina di Corti d’appello, tra cui Roma, Milano e Napoli.
A promuovere l’iniziativa è il Coordinamento democrazia costituzionale, a cui aderiscono numerosi giuristi e diversi comitati locali.
Tra i nomi che compaiono nella lunga lista ci sono diversi esponenti della minoranza Pd (Vannino Chiti, Alfredo D’Attorre, Paolo Corsini, Lucrezia Ricchiuti, Corradino Mineo, Felice Casson e Walter Tocci), ma anche Felice Besostri, l’avvocato da cui partì l’iter giudiziario che portò alla bocciatura della precedente legge elettorale (il “Porcellum”) davanti alla Consulta.
Poi i giuristi Gustavo Zagrebelsky, Nadia Urbinati e Sandra Bonsanti e rappresentanti dell’opposizione in Parlamento: l’ex Pd Stefano Fassina, gli esponenti Sel Loredana De Petris e Giorgio Airaudo. Il Movimento 5 Stelle ha annunciato di volersi accodare all’iniziativa.
Tra le previsioni della legge che sono state impugnate, figurano il premio di maggioranza assegnato alla lista che supera il 40%; il ballottaggio senza soglia previsto invece tra i due partiti più votati se nessuno supera quota 40%; la contraddizione ravvisata nel fatto che chi raggiunga, per ipotesi il 39,9 per cento dei voti deve comunque andare a ballottaggio; le norme sulle minoranze linguistiche che non consentono — secondo i ricorrenti — la rappresentanza di tutte le minoranze riconosciute, ma solo di alcune.
L’Italicum è stato approvato dal Parlamento il 4 maggio scorso e la sua entrata in vigore è prevista per luglio 2016.
La nuova legge elettorale è stata impugnata con una serie di ricorsi analoghi, depositati in contemporanea, tra cui compaiono anche le sedi di Venezia, Firenze, Genova, Catania, Torino, Bari, Trieste, Perugia. Ora spetta ai giudici valutare se accogliere le istanze.
La vicenda ricorda quello che successe solo due anni fa con la precedente legge elettorale. La Consulta infatti a dicembre 2014 stabilì che il “Porcellum” era incostituzionale.
I giudici hanno bocciato il premio di maggioranza del vecchio sistema perchè, come si legge nelle motivazioni della sentenza, “foriero di una eccessiva sovra-rappresentazione e può produrre una distorsione, perchè non impone il raggiungimento di una soglia minima di voti alla lista”.
Ma nel mirino c’erano anche le liste bloccate “lunghe“, senza però escludere la possibilità  di fare ricorso a delle liste “corte” che prevedono un “numero dei candidati talmente esiguo da garantire l’effettiva conoscibilità  degli stessi”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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CASO MARINO, SOLO LA META’ DEI 19 DEM PRONTI A FIRMARE L’ADDIO AL SEGGIO

Ottobre 26th, 2015 Riccardo Fucile

IERI E’   SALTATA LA RIUNIONE CHE DOVEVA SANCIRE LO SFRATTO E MARINO SI DIVERTE… E UNA VOTAZIONE ERA FINITA 10-9 PER MARINO

Quella promessa gridata dalla scalinata del Campidoglio alla folla che gli chiedeva di ripensarci, “Non vi deluderò” – una promessa ripetuta tre volte come un grido di battaglia, fino a scandirla per non lasciare dubbi, “Non-vi-de-lu-de-rò!” – lascia davvero pochi dubbi: Ignazio Marino non ha proprio nessuna voglia di confermare le sue dimissioni.
Vuole restare sindaco di Roma, piaccia o no a Renzi e a Orfini che hanno deciso di staccagli la spina: il Marziano va avanti lo stesso, come se avesse delle batterie spaziali che si ricaricano con energie alternative che si chiamano petizioni online e manifestazioni autoconvocate.
“Non vi deluderò” ha garantito il sindaco.
Ma come farà ? Cos’ha in mente Marino? Quale mossa sta preparando? Qual è il suo piano?
Chi lo ha sentito in questi giorni, chi è andato a trovarlo, chi ha raccolto le sue confidenze risponde senza esitazioni: “Lui decide giorno dopo giorno”.
Eppure, giorno dopo giorno, la strategia del Marziano si va delineando sempre più nitidamente.
Con un obiettivo preciso: disinnescare il count-down delle dimissioni senza aspettare la vigilia dell’ora X.
Può davvero farcela? Facciamo un passo indietro.
Annunciando il suo gesto, Marino avvertì che avrebbe utilizzato i 20 giorni di tempo previsti dalla legge per fare “una verifica seria”.
E nella sua intervista a Repubblica ha precisato: “Tocca agli eletti dal popolo, ai consiglieri della mia maggioranza, dirmi se questa esperienza deve proseguire o deve essere interrotta”. La parola passava dunque ai 27 consiglieri comunali che lo sostengono in Campidoglio: 19 del Partito democratico, 4 di Sel e 4 della Lista Marino.
Sulla carta, non ci sarebbe storia, perchè sia Renzi che Vendola hanno preso le distanze dal sindaco, e dunque la verifica dovrebbe essere una formalità  dall’esito scontato.
In realtà  la situazione è assai più complicata. E si sta complicando sempre di più. Perchè il commissario del Pd romano, Orfini, non è finora riuscito a far ripetere il suo “no” ai 19 rappresentanti del partito in Campidoglio. Molti frenano. Obiettano. E resistono.
Quando il commissario ha convocato i consiglieri del Pd chiedendo loro da che parte stavano, il gruppo si è spaccato: la maggioranza   –   10 contro 9   –   si è schierata con Marino.
Il clima si è fatto così rovente che giovedì il gruppo si è riunito lontano dalla capitale (e dal Nazareno), nella casa di campagna di un consigliere.
Venerdì, dopo l’intervista di Marino, il capogruppo Fabrizio Panecaldo ha sottoposto ai suoi una lettera concordata con Orfini che dava lo sfratto definitivo al sindaco. Nessuno l’ha firmata.
“Riparliamone domenica” hanno risposto i più. E nel “gruppo chiuso” su Whatsapp è stato fissato anche un orario: “Ci vediamo alle 16”. Ieri, però, dopo aver sentito le parole del sindaco, nessuno si è più fatto vivo. La riunione, forse, si farà  oggi.
Ed è proprio tra oggi e domani che potrebbe arrivare la mossa a sorpresa del Marziano: chiedere lui di fare “comunicazioni urgenti” nell’aula di Giulio Cesare, per esempio giovedì o venerdì.
Rivendicare a voce alta il proprio diritto a realizzare il programma per il quale è stato eletto e, una volta messa da parte la questione degli scontrini, annunciare che si va avanti con nuovi e ambiziosi obiettivi.
Ritirando pubblicamente, davanti al Consiglio comuna- le, le sue dimissioni.
Una mossa simile spiazzerebbe il Pd romano. Perchè Marino, al contrario di chi vuole sfrattarlo, non ha bisogno di chiedere un voto del Consiglio.
E dunque, se il partito volesse andare fino in fondo dovrebbe presentare una mozione di sfiducia o depositare le dimissioni contestuali di tutti i suoi consiglieri.
E in entrambi i casi dovrebbe stringere un accordo con l’opposizione ovvero con Alemanno, i grillini e Marchini perchè senza quei voti la sfiducia non passerebbe e le dimissioni non basterebbero a provocare lo scioglimento del Consiglio.
Una prospettiva che, si capisce, non entusiasma affatto il Nazareno.
Ecco perchè il sindaco non si sta affannando a cercare consensi tra i suoi consiglieri: ha capito che la confusione che regna nel Pd gioca a suo favore.
Il vero problema, a questo punto, ce l’ha Matteo Orfini: o riesce in 48 ore a convincere il gruppo, tutto il gruppo Pd, che è meglio tornare alle urne, o l’assedio a Marino rischia di trasformarsi nella rivincita di Marino.

Sebastiano Messina
(da “La Repubblica“)

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SE QUESTA E’ UNA (VERA) CAPITALE

Ottobre 26th, 2015 Riccardo Fucile

LA CITTA’ DI FELLINI E SORRENTINO SPOGLIATA DA MAFIE E POLITICI DI OGNI COLORE

Se una notte d’inverno un viaggiatore… Ma qui Italo Calvino c’entra poco. È autunno e piove.
Roma un giorno qualsiasi, aeroporto di Fiumicino, area arrivi. È passata la mezzanotte e insieme al professore londinese conosciuto in aereo siamo alla ricerca di un taxi. Il professore è innamorato della Città  eterna ed è curioso.
Negli occhi ha le belle immagini in bianco e nero de La dolce vita e quelle a colori de La grande bellezza.
Il grigio di questa sera lo colpisce. “Taxi, taxi…”. Il signore vestito tutto di nero ci avvicina per proporci il suo personalissimo servizio. “Perchè gli ha detto di no?”, mi chiede il professore. “È un abusivo, non ha licenza e ci spellerà  vivi”. Commento: “Incredible”.
Passiamo alla fila dei taxi regolari, quelli bianchi. Siamo tra i primi eppure nessuno ci fa salire. I tassisti preferiscono i gruppi di turisti in attesa. Solo dopo qualche protesta uno di loro ci prende finalmente a bordo.
“Dottò a quest’ora è sempre così, alcuni colleghi preferiscono i gruppi, se guadagna di più”. Replica: “Ma come? E il tassametro, le tariffe, i controlli?”. Risposta: “Vabbè lassamo perde. Fanno così, io so un cojone ho scelto di guadagnarmi il pane onestamente”.
È Roma, caro professore. Il mio interlocutore si illumina. “Già , ho letto la storia del vostro mayor, Marino, e degli scontrini per le cene. Incredible!”.
“Caro professore, fossero solo cene e scontrini. La realtà  è che Roma l’hanno sbranata lupi famelici”. A questo punto la curiosità  del viaggiatore lievita. Siamo arrivati, ma lui vuole saperne di più.
“Voglio capire come una città  così bella, simbolo mondiale della vostra storia e dell’arte, abbia potuto ridursi così. Cosa è successo?”.
Lo accontento e ci diamo appuntamento l’indomani mattina per fare il nostro tour nella Roma degli affari e degli imbrogli, quella che non c’è nei pacchetti all inclusive dei tour operator.
Il tour tra gli imbrogli
Ore 9, capolinea di piazza Zama. Aspettiamo il mitico 360, un pullman chiamato desiderio. Non arriva mai. Sul piazzale due bus fermi, gli autisti a terra, la gente senza alcuna informazione. Sono rotti, cadono a pezzi. La pensilina è troppo stretta per riparare tutti dalla pioggia.
“Professore, la vede quella scritta sui pullman, Atac, è il simbolo di uno scandalo infinito. Stiamo parlando di un colosso pubblico dei trasporti. Un colabrodo che ha chiuso il bilancio 2014 con 141 milioni di perdite, qualcosa come 386mila euro al giorno, 20mila ogni ora che passa. Gli autobus? Li vede in che condizioni sono, 900 mezzi su 2300 sono fermi. E non è finita nell’azienda dove ogni politico ha sistemato nani e ballerine di lap dance, manager inventati e amici degli amici, si sono appaltati lavori a trattativa privata per due miliardi di euro. Per essere chiari, caro professore , basta leggere i dati dell’Autorità  anticorruzione: nel solo 2011 è stato affidato a trattativa privata il 99,94% degli appalti per forniture, il 93 di quelli per lavori e il 98,84% per i servizi.     Ora capisce perchè i bus sono fermi?
Allora prendete la metro.
Facile a dirsi. Ma lo sa che la metro C, eterna incompiuta, è già  costata 3,7 miliardi di euro, 700 milioni più del previsto? Una grande opera con dentro i colossi delle costruzioni italiane, Ansaldi, Vianini, Finmeccanica e il Consorzio costruttori cooperative. Ma ci sono ben 5mila subappalti, ed è qui — dicono i magistrati — che si infiltrano mafia e ‘ndrangheta”.
“Incredible, quindi si pagavano quelle che voi chiamate mazzette?”.
“Esatto professore, perchè la filosofia di come si vive a Roma l’ha descritta bene Salvatore Buzzi: “Per mungerla la vacca la devi fa magnà ”.
Divorati dal cancro
Ora il professore chiede chi è Salvatore Buzzi, e chi Massimo Carminati, ed è veramente arduo spiegargli in poche parole il cancro che ha divorato Roma. L’impasto di fascistume e politici di sinistra, cooperative e imprese, mazzette e soldi pubblici che è Mafia Capitale.
Gli facciamo vedere la famosa foto della cena della vergogna, quella con Alemanno, consiglieri e politici del Pd, Buzzi, il ministro Po-letti, quando era capo della Lega Coop, e sullo sfondo uno dei Casamonica con panza ben in vista.
“Non è possibile, ma il ministro ha mai smentito questa foto, si è giustificato?”.
“No — replico     — il ministro se l’è presa con i giornali e ha minacciato querele”. “Incredible”.
Vuole sapere chi era Buzzi, il professore. Va accontentato: ex galeotto, si laurea in carcere, commuove le anime candide della sinistra, fonda cooperative per i detenuti ed esce. A Roma è una potenza. La sua Coop “29 giugno” fattura 60 milioni l’anno, lui è nel cda di 12 società , ogni mese spende per mazzette ai politici amici 27500 euro, più il 2,5% di stecca sul valore degli appalti che la coop riesce a prendere grazie al loro appoggio .
Il professore ascolta e si tura il naso, non solo per le notizie nauseabonde, ma per quel cassonetto traboccante monnezza che ammorba l’aria.
“Professore l’azienda per l’igiene pubblica della Capitale si chiama Ama. Bello, vero? Ama, richiama l’amore, ma questi la città  la odiavano.
Mangiatoie per porci     L’Ama c’est moi, diceva Buzzi all’epoca di Franco Panzironi, Ad dell’azienda. Ai tempi suoi l’Ama era il regno di Bengodi, 841 assunzioni sospette in un solo anno, più una serie di mazzette pagate da Buzzi.
Per i magistrati l’uomo, un fedelissimo del sindaco Alemanno, era “l’espressione di una rara capacità  a delinquere”.
Il professore è estasiato. Prende appunti. “Quindi — mi chiede — lo scandalo è tutto della destra e dell’ex sindaco”. “No, professore, e le rispondo con una frase del procuratore capo Giuseppe Pignatone. Alcuni uomini vicini all’ex sindaco Alemanno sono componenti a pieno titolo dell’organizzazione mafiosa, ma Buzzi e Carminati erano tranquilli chiunque vincesse le elezioni”.
Ha capito ora? Se non le basta le faccio sentire cosa diceva Buzzi alla vigilia delle elezioni comunali del 2013: “L’avevamo comprati tutti, se vinceva Alemanno ce l’avevamo tutti comprati…che cazzo voi di più?”.
“Incredible”.     Il colore non importa     Non tanto. Perchè ora, ed è la parte più difficile del tour, bisogna spiegare al nostro curiosissimo e insaziabile interlocutore, come potessero convivere fascisti e mafiosi, politici di destra e politici di sinistra. Cito a memoria la “teoria” di Carminati: “Ci sono i vivi sopra e i morti sotto, e noi in mezzo. C’è un mondo in cui tutti si incontrano. Il mondo di mezzo, ed è quello dove è anche possibile che io mi trovi a cena con un politico”.
Ora, al prof londinese le cose sono più chiare.     Siamo al centro, Piazza Venezia, direzione Campidoglio. Traffico bloccato da una manifestazione. Le periferie esasperate contro i campi rom.
“Professore, non vorrei deluderla, ma è una farsa, una finta, una recita. Perchè anche sui campi rom, sui profughi e sulla disperazione delle periferie, questi hanno mangiato a quattro ganasce”.
E racconto di Luca Odevaine, uomo potente ai tempi del sindaco Veltroni, potentissimo con tutti i ministri dell’Interno.
“Abbiamo chiuso con 40 milioni di fatturato — si esaltava Buzzi -, gli utili li facciamo sugli zingari, sull’emergenza abitativa e sugli immigrati, quelli fruttano più della droga”.
“Professore, funzionava così: Odevaine orientava le scelte dei vari tavoli ministeriali di cui faceva parte, in modo da assegnare i flussi degli immigrati alle strutture gestite da soggetti vicini a Buzzi e Carminati, per questo — lo scrivono i pubblici ministeri — riceveva 5mila euro al mese di mazzette. Quando le cose si mettevano male, politici della destra organizzavano le proteste delle periferie che ospitavano queste strutture. I talk show mandavano le loro telecamere, il Comune tremava e accettava la proposta di Buzzi di aprire nuovi centri. Quindi altri finanziamenti, altre assunzioni, altro potere per mafia capitale. Stiamo parlando di un grande business, pensi che nel 2014 solo per ospitare 2581 profughi nella Capitale, lo Stato ha speso 35 milioni, più altri 7 investiti dal Comune. Una miniera d’oro”.

Enrico Fierro
(da “il Fatto Quotidiano”)

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DAVIGO FRUSTA I POLITICI: “QUANDO FANNO PULIZIA?”

Ottobre 26th, 2015 Riccardo Fucile

“OCCORRONO PENTITI E AGENTI SOTTO COPERTURA, MA IL PARLAMENTO OPPONE RESISTENZA”

Non è bastato il sorriso di Maria Elena Boschi, con gli elogi e la mano tesa ai magistrati, per archiviare la tensione che si era creata nei giorni scorsi dopo che da Bari, al Congresso dell’Anm (Associazione Nazionale Magistrati), erano partiti gli attacchi al governo e alla maggioranza, accusati di occuparsi più di combattere le intercettazioni che il malaffare.
Dopo che il ministro Andrea Orlando aveva provato sabato a fare l’occhiolino all’Anm (“interlocutore essenziale del governo”), la squadra renziana ha giocato un’altra carta: l’intervento suadente della ministra delle Riforme .
Giacca salmone e capelli sciolti, la Boschi si affida a Niccolò Machivelli: “Non ci può essere una città  libera dove anche un solo cittadino è temuto da un magistrato”.
L’intento è elogiare l’indipendenza della magistratura.
Qualcuno in sala resta perplesso, altri non si fanno convincere. Come l’ex pm di Mani Pulite Piercamillo Davigo, ora giudice di Cassazione.
“È stata data — dice Davigo — una delega totale alla magistratura per ripulire la classe dirigente del Paese, ma questo non compete a noi”.
Ci dovrebbe essere “una selezione precedente”, basata sull’idea “che non tutto quello che non è reato può essere accettabile”, sottolinea il magistrato tra gli applausi. Insomma deve essere la politica a“ripulire” la classe dirigente; così finirebbero la“gran parte delle tensioni” con la magistratura, che   processerebbe soltanto “ ex” , cioè politici già  allontanati.
Secondo Davigo, poi, “l’unico strumento” che permetterebbe di sradicare la corruzione sono le “operazioni sotto copertura”: l’uso, cioè, di agenti provocatori che, come già  avviene negli Usa e in altri paesi, offrono tangenti a politici e pubblici amministratori per saggiarne la correttezza.
Un’altra arma indispensabile è quella dei “pentiti”, come per la mafia e il terrorismo: “Ci vuole una forte normativa premiale: si potrebbe arrivare alla non punibilità  del primo che parla fra corrotto e corruttore”, purchè dica tutto ciò he sa: “Chi volete che dia soldi a un funzionario pubblico che, una volta preso, potrebbe fare i nomi perchè gli conviene?”.
Purtroppo, osserva il magistrato, c’è una forte “resistenza” in Parlamento, che “si rifiuta di approvare” interventi così semplici ed efficaci.
E si domanda provocatoriamente perchè.
Forse la risposta è nella fotografia del Parlamento,dove siedono 80 fra indagati, imputati e condannati, numero raddoppiato negli ultimi due anni.

Valeria Pacelli
(da “il Fatto Quotidiano”)

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NUOVE NOMINE IN CURIA E RILANCIO SUI DIVORZIATI

Ottobre 26th, 2015 Riccardo Fucile

COSI’ PAPA FRANCESCO APRE LA FASE 2 DEL PONTIFICATO

Un complotto non riuscito. Un tentativo di indebolire il Papa e bloccare gli sforzi innovativi del Sinodo. Un’operazione fallita per provare a tenere una sorta di referendum sul Pontefice argentino.
Chiusi i lavori dei padri sinodali, le persone più vicine a Francesco tracciano un primo bilancio di quel che è avvenuto nelle ultime tre settimane. E nel quadro, nonostante l’esito finale che il Santo Padre considera sufficientemente positivo, non mancano le pennellate con le tinte più oscure. «Ora però – spiega chi ha consuetudine con le stanze più riservate del Vaticano – si apre la fase due».
A cominciare dai temi discussi in questi giorni, come la famiglia e i divorziati, appunto. Il Sinodo propone ma poi decide il Papa.
E l”Esortazione apostolica”, che generalmente segue l’adunanza, non sarà  una sintesi pedissequa di quel che è avvenuto in queste tre settimane. Ma conterrà  uno sforzo ulteriore. Insomma, “cum” ma anche “sub” Petro
Anche perchè, dopo gli eventi traumatici di queste due settimane, Francesco non ha nascosto ai suoi interlocutori e ai suoi collaboratori di essere rimasto piuttosto dispiaciuto, anche se non sorpreso, di alcuni comportamenti nel perimetro curiale.
Ha temuto fin dall’inizio che il messaggio teologico del Sinodo non fosse in grado di tracciare un nuovo orizzonte per la Chiesa.
E allora, quel principio noto a tutti i padri sinodali, diventerà  pratica per il Pontefice: deciderà  lui, nell’anno giubilare, cosa può e deve cambiare. Nella sua autonomia.
Con un modello ben chiaro ai vescovi: quello con il quale il Santo Padre ha riformato l’iter per l’annullamento del matrimonio.
Due leggi che hanno rivisto completamente la procedura rotale. «Il Sinodo non è un parlamento, dove per raggiungere un consenso si patteggia, si negozia e si cerca un compromesso», aveva avvertito nei primi giorni di ottobre.
Un modo per dire che non si poteva risolvere tutto in una semplice sintesi in grado solo di non scontentare i sedicenti conservatori e progressisti. «L’unico metodo è quello di aprirsi allo Spirito Santo». E la relazione introduttiva del cardinale ungherese Erdo non rappresentava certo un buon viatico
Anzi, il Papa aveva previsto che prima e durante il Sinodo si sarebbero consumati diversi tentativi di inquinamento e provocazione per bloccarne l’esito sperato.
Dalle “lettere segrete” al suo stato di salute. Lettere di cui si è data notizia solo in parte.
Da tempo, erano state individuate le diverse filiere di attacco.
L’esempio che viene citato è quello di monsignor Charamsa che prima dello scandalo alla vigilia del Sinodo, era stato addirittura inserito tra le ipotesi di nomina a sottosegretario della Congregazione della Dottrina della Fede.
E fu proprio Francesco, evidentemente ben informato, a bloccarla. Anche perchè il Papa, memore delle vecchie guerre tra “corvi”, ha iniziato a servirsi in autonomia di tante persone che offrono informazioni e riflessioni al di là  dei canali ufficiali.
Riferiscono direttamente a lui e agiscono in perfetta lealtà  e riservatezza. Lui sente chi vuole senza filtri, ed è lui a governare la sua “sicurezza” e la sua “salute”.
Non è privo di significato il cambiamento del suo medico personale e basti pensare che la Santa Sede era a conoscenza martedì scorso della possibilità  che un giornale pubblicasse notizie sulla salute di Francesco. E il portavoce dalla Sala stampa vaticana, padre Lombardi, ha aspettato la prima edizione per smentire con una tempestività  inedita per quel mondo
Da mesi molti uomini vicini al Santo Padre erano convinti che una parte dei padri sinodali, e non solo, puntava a creare un clima di sfiducia.
Per dimostrare che la “maggioranza” formatasi nel conclave del 2013 era svanita. Un messaggio che molti, speravano di far rimbalzare “intra ed extra” la Santa Sede. Francesco ha allora capovolto il tavolo: il Sinodo non era un voto sul suo pontificato, ma un orientamento messo a sua disposizione per la Chiesa universale.
Nel Sinodo dello scorso anno quello stesso gruppo aveva provato senza riuscirci anche a coinvolgere il Papa emerito Benedetto XVI.
Ma sul soglio pietrino tutti erano convinti che anche in questa occasione Ratzinger non avrebbe mai acconsentito ad alcuno di appropriarsi della sua autorevolezza teologica per scalfire l’approccio pastorale del successore.
Non si è fatto usare prima, non si farà  usare mai.
Benedetto del resto rappresenta un punto di gravità  e un riferimento per lo stesso Francesco. Tra gli interlocutori sta crescendo la sensazione che gli attuali nemici di Francesco siano gli stessi di Benedetto. Quelli che tre anni fa rimarcavano l’anzianità  del Papa e la conseguente incapacità  di governare la Curia.
Non a caso Bergoglio ha definito le dimissioni del suo predecessore Benedetto non una scelta, ma una “istituzione”.
E proprio per questo motivo non ha mai anticipato la volontà  di dimettersi, ma ha sempre sottolineato che di fronte a quel precedente è necessario comunque interrogarsi.Anche da parte sua.
Per fermare gli avversari, allora, il Papa ha utilizzato la struttura del Concilio Vaticano II.
I tempi e gli spazi tra una sessione e l’altra, quelli intermedi.

Claudio Tito
(da “La Repubblica”)

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NUOVE MINACCE A DON LUIGI MEROLA: “LO STATO MI HA LASCIATO SOLO”

Ottobre 26th, 2015 Riccardo Fucile

“MI HANNO TOLTO LA SCORTA PERCHE’ NON SAREI IN IMMINENTE PERICOLO DI VITA”…. “POSSO AVERE LA PROTEZIONE SOLO SE MI DEVO SPOSTARE E AVVISANDO UN GIORNO PRIMA

“Sono un perseguitato dallo Stato. Che mi ha lasciato senza la scorta perchè non sarei in imminente pericolo di vita”. Dietro queste parole l’amarezza di don Luigi Merola, prete anticamorra ed ex parroco di Forcella (Napoli), che la sera del 24 ottobre è stato protagonista di un episodio inquietante avvenuto mentre rientrava a casa, a Marano, dopo aver partecipato alla Notte Bianca della legalità , nell’ambito del quale era intervenuto in un dibattito alla libreria Mondadori del quartiere Vomero.
Il prete ha denunciato di essere stato avvicinato da un’auto con a bordo due uomini che, con fare minaccioso, gli hanno chiesto di fermarsi. Dopo i primi istanti di sconcerto, il sacerdote è riuscito a fuggire.
Ora se la prende con le istituzioni che, a suo dire, lo hanno abbandonato: “Ho trovato il coraggio di denunciare questo episodio perchè è stato ripreso tutto dalle telecamere, quindi nessuno può dire che ho inventato tutto”.
Il racconto del prete anticamorra
Cosa è accaduto al rientro della Notte Bianca?
“Ero solo a bordo del mio scooter — racconta il sacerdote a ilfattoquotidiano.it — e due ragazzi mi hanno seguito in auto, si sono affiancati e, con un tono minaccioso, mi hanno chiesto di fermarmi. In un primo momento sono rimasto quasi impietrito, poi ho visto che uno dei due stava scendendo e sono fuggito”.
L’episodio è avvenuto a pochi passi dalla caserma dei carabinieri, dove don Merola ha trovato rifugio.
Dopo aver ascoltato il racconto del prete e raccolto la sua denuncia, i militari lo hanno riaccompagnato a casa. La scena è stata ripresa dalle telecamere presenti in zona.
Questi i fatti narrati dal parroco, che ora ne ha per tutti: “Sono stanco di essere additato come il parroco che cerca la ribalta sui media. Se non ci fossero state le telecamere non so se avrei denunciato ciò che mi era accaduto”.
Don Merola divenne il simbolo della lotta alla camorra quando accusò pubblicamente i clan di Forcella, dopo la morte di Annalisa Durante, la 14enne uccisa per errore il 27 marzo 2004. Oggi critica la scelta di togliergli la scorta, che non ha più da settembre scorso.
“Dopo una decina di anni di intensa attività  — racconta — i miei rapporti con la Procura si sono incrinati fino ad arrivare alla revoca della protezione. È accaduto a causa di alcune dichiarazioni che ho reso e che sono state mal interpretate”.
Le minacce agli educatori
“Non è la prima volta che ricevo intimidazioni per la mia attività ”, dice il prete.
L’ultimo episodio risalirebbe a pochi giorni fa. “Due ragazzi che lavorano con me alla Fondazione sono stati minacciati da una donna appena uscita dal carcere — spiega — la quale non voleva assolutamente che il figlio stesse con noi in una delle strutture sottratte alla camorra che gestiamo. Il figlio doveva fare il camorrista. Questo episodio non è stato denunciato, ma uno dei due educatori ha rinunciato al servizio civile. Nelle prossime ore ho intenzione di denunciare l’accaduto alle autorità ”.
L’attività  dopo l’allontanamento da Forcella
Don Luigi Merola è da sempre in prima linea nella lotta alla camorra. Dopo il suo allontanamento dal quartiere Forcella di Napoli, il sacerdote si era dedicato all’insegnamento — è docente di religione nella scuola media Fava-Gioia di salita San Raffaele, al rione Sanità  — e all’attività  svolta con la Fondazione ‘A Voce d’è creature all’Arenaccia’.
Proprio in quest’ambito gestisce alcune strutture confiscate alla camorra.
Si tratta della villa chiamata ‘Bambù’ dove aveva vissuto insieme alla famiglia il re dei videopoker Raffaele Brancaccio, luogotenente del capoclan Edoardo Contini, con all’interno un autentico zoo di animali esotici.
Poi c’è la villa confiscata al clan dei Cesarano all’estrema periferia di Pompei per la quale solo nei giorni scorsi si è raggiunto un accordo con l’amministrazione comunale guidata dal sindaco Nando Uliano.
Fino allo scorso anno il Comune ha sempre elargito un contributo di 8mila euro alla Fondazione. Infine ci sono i terreni che si trovano a Marano confiscati ai titolari della Sime costruzioni, gli imprenditori edili finiti agli arresti nell’ottobre del 2013 poichè ritenuti affiliati al clan Polverino, gestiti dal Consorzio Sole.
L’amarezza per l’abbandono delle istituzioni
“Oggi non ho più la scorta — dice don Merola — ma posso avere protezione se mi devo spostare, avvisando la Procura il giorno prima. Non serve a nulla questa opzione, se poi possono farmi fuori tutti i giorni”.
Le cose sono evidentemente cambiate rispetto a qualche anno fa. “Eppure io non sono andato in pensione — spiega — e continuo nella mia attività , tanto che gestisco tre beni confiscati alla Camorra, tolgo i bambini dalla strada e sono obiettivamente in prima linea nella lotta ai clan. Ecco perchè provo amarezza, non tanto per le intimidazioni della camorra, quanto per l’abbandono dello Stato che, se mi chiede di combattere contro i clan, dovrebbe anche sostenermi in questa battaglia”.

Luisiana Gaita
(da “il Fatto Quotidiano”)

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