Gennaio 9th, 2016 Riccardo Fucile
SPRECHI E FAVORI: LE DODICI ACCUSE AGLI EX VERTICI E AL PADRE DEL MINISTRO
La quantificazione delle nuove sanzioni si conoscerà entro due mesi. Ma l’atto di incolpazione di
Bankitalia contro i vertici del consiglio di amministrazione di Banca Etruria e cinque componenti dell’organismo, fa ben comprendere quali siano «le carenze nel governo, gestione e controllo dei rischi e connessi riflessi sulla situazione patrimoniale» che hanno portato l’istituto di credito all’insolvenza.
Dodici punti di contestazione che chiamano direttamente in causa l’ex presidente Lorenzo Rosi, i due ex vicepresidenti Alfredo Berni e Pierluigi Boschi – padre del ministro delle Riforme Maria Elena – e i componenti del Cda Claudia Bugno, Andrea Orlandi, Luciano Nataloni, Luigi Nannipieri e Claudio Salini.
Tutti accusati dai funzionari di Palazzo Koch di «inerzia nell’attivare adeguate misure correttive per risanare la gestione, provocando un ulteriore peggioramento della situazione tecnica, già gravemente deteriorata. Comportamento che ha provocato una significativa erosione delle esigue risorse patrimoniali, da tempo non in grado di soddisfare il previsto “capital conservation buffer” del 2,5 per cento».
Tutti chiamati a difendersi dall’accusa di non aver «pianificato interventi idonei a ristabilire l’equipaggio reddituale del gruppo, per di più necessari in considerazione dell’elevato ammontare degli attivi infruttiferi e dei vincoli in termini di patrimonio e redditività ».
Nella relazione già notificata agli interessati per le controdeduzioni, sono elencati gli sprechi, gli abusi, e gli atti omissivi che hanno svuotato le casse di Etruria e – dopo il decreto del 22 novembre varato dal governo – causato perdite enormi per azionisti e obbligazionisti. Tra loro anche piccoli risparmiatori convinti di aver messo al sicuro i propri soldi e invece travolti da un fallimento che ha reso il loro investimento carta straccia.
Persi 517 milioni in un anno
I primi due «capi di incolpazione» riguardano le politiche messe in atto dai vertici e si concentrano su quanto accaduto nel 2014, che avrebbe dovuto rappresentare il momento di svolta, visto quanto era già stato eccepito nel corso delle precedenti ispezioni.
Per questo stigmatizzano «le esigenze di accantonamento sul portafoglio crediti deteriorati che hanno portato a rettifiche su crediti per 622 milioni di euro e hanno concorso a generare la perdita di esercizio di 517 milioni di euro».
Un’enorme massa di denaro persa concedendo finanziamenti anche a chi non forniva adeguate garanzie, firmando contratti di consulenza per incarichi inutili e soprattutto «non in linea con la normativa interna sul ciclo passivo di spesa», gli sprechi nella gestione degli immobili.
Tra i principali addebiti al presidente e ai due vice c’è poi il mancato rispetto della delibera sulla riduzione degli emolumenti, ma pure la scelta di non proporre ai soci «l’unica offerta giuridicamente rilevante presentata dalla Popolare di Vicenza di un euro per azione, estesa al 90 per cento del pacchetto azionario».
Secondo gli ispettori ciò «ha lasciato inevasa la richiesta della Vigilanza di realizzare un processo di integrazione con un partner di elevato “standing” e non ha portato a tempestive ed efficaci iniziative per una soluzione alternativa».
Stipendi, premi, buonuscite
I conti erano in profondo rosso ma questo non ha impedito al consiglio di amministrazione di autorizzare pagamenti faraonici ai manager, nonostante ci fosse un esplicito divieto.
Al punto 6 delle contestazioni gli ispettori scrivono: «Non si è tenuto conto del “documento sulle politiche di remunerazione e incentivazione” approvato dall’assemblea dei soci nel maggio 2014 che non consentiva la corresponsione di alcuna forma di incentivazione al “personale più rilevante”».
Ancor più grave è la denuncia contenuta al punto 8 dove fra l’altro si rimarca l’esito di un audit concluso il 28 gennaio 2015 sui contratti consulenza che evidenziava proprio i «comportamenti anomali» degli organi amministrativi.
Il quadro delineato da Bankitalia mostra come in tutti i settori non si sia intervenuto in maniera adeguata e sottolinea quanto grave sia il fatto che queste mancanze abbiano riguardato in modo particolare «le strutture deputate alla gestione del credito deteriorato che non hanno fronteggiato l’imponente crescita delle partite anomale». Tra gli esempi più clamorosi citati nell’atto di incolpazione c’è quello degli «indicatori di performance» relativi alle sofferenze «risultati ampiamente al di sotto degli standard di mercato in particolare per i tassi di recupero del credito che nel giugno 2014 erano pari a 1,3 per cento anzichè 3,5 per cento».
Le fidejussioni «scoperte»
Accusano gli ispettori: «Dall’analisi di un campione di 103 “sofferenze” classificate tra settembre 2013 e lo stesso mese del 2014 emergono le seguenti anomalie: le garanzie consortili sono risultate non attivabili nel 23 per cento dei casi a motivo del mancato pagamento delle commissioni o del mancato invio di lettere di messa in mora; le fidejussioni rilasciate dai garanti, nel 91 per cento dei casi erano prive di efficacia ai fini del recupero, anche a causa della mancanza di monitoraggio sui beni degli stessi».
Mancavano i controlli, mancava pure la volontà di recuperare – nei pochi casi in cui ciò era possibile – il denaro uscito dalle casse di Etruria.
E così, anche per quanto riguardava “le cause di minor importo”, «nonostante l’assegnazione a un ufficio che avrebbe dovuto garantire una maggiore tempestività nelle azioni di recupero, ha fatto registrare invece un ritardo medio di circa tre mesi nella lavorazione delle pratiche dal momento della classificazione».
Fiorenza Sarzanini
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: Giustizia | Commenta »
Gennaio 9th, 2016 Riccardo Fucile
IL TIMORE PER LE ALTRE CARTE DI WOODCOCK
La chiave è nel post scritto da Beppe Grillo, sul far della sera. Dove il sindaco di Quarto, Rosa Capuozzo, non è neanche nominata.
Nè viene investita di un messaggio di fiducia del tipo “vai avanti”, “il Movimento scommette sulla correttezza del sindaco”.
Al netto di qualche bordata al Pd e di un’articolazione del messaggio in modo meno goffo rispetto al giorno precedente, la notizia non è ciò è scritto ma ciò che non è scritto (la copertura politica del sindaco).
E significa, spiegano dalle parti della Casaleggio associati, che le “dimissioni” del sindaco di Quarto Rosa Capuozzo il primo punto all’ordine del giorno delle ormai frenetiche sedute del direttorio grillino, convocato praticamente in modo permanente.
Un primo approfondimento del caso si è svolto giovedì a Milano, poi venerdì.
Il ragionamento sulle dimissioni è tutt’uno con una data, l’11 gennaio, ovvero lunedì prossimo, quando si terrà il Riesame sull’inchiesta napoletana di Woodcock e si annunciano sviluppi clamorosi: “Se c’è un ricatto — dice una fonte pentastellata di rango — c’è anche una ricattata. Nel caso di un sindaco se c’è un ricatto c’è una concussa”.
Ecco, la grande paura che aleggia nelle riunioni del direttorio pentastellato: che a quel punto la fragile e poco convinta difesa approntata in questi giorni, basata sulla rivendicazione dell’espulsione del presunto mediatore con la camorra, possa non reggere più.
Gli scricchiolii sono già evidenti in questo venerdì nero dei grillini: le lacrime della Capuozzo, le urla “onestà , onestà ” nel corso del consiglio comunale, le inchieste giornalistiche che raccontano di un cedimento sulla legalità della giunta pentastellata.
Proprio il sindaco, il suo atteggiamento emotivo è un problema nel problema, perchè la Capuozzo non vuole mollare.
Ma la domanda è: quanto può durare? Il timore, all’interno del direttivo, è che il sindaco sarà travolta e che, se non fa un passo indietro prima, possa essere infangata l’immagine del movimento.
Ci sono parecchie intercettazioni di De Robbio, nelle carte dell’inchiesta, che secondo gli inquirenti non solo aveva stretto un patto con Alfonso Cesarano, imprenditore legato ai clan e titolare dell’impresa di pompe funebri che aveva curato i funerali dei Casamonica. La vicenda di De Robbio non si è chiusa con l’espulsione, perchè proprio i suoi rapporti col sindaco potrebbero portare agli sviluppi clamorosi.
In questo senso: perchè solo il 22 dicembre il sindaco decide di denunciare le minacce subite da De Robbio e non al primo tentativo di ricatto?
Il mister preferenze che per mesi ha avuto il ruolo di king maker sugli appalti era protetto da qualcuno in alto tra i Cinque stelle o semplicemente il sindaco lo subiva? E quali possono essere le mosse della procura davanti a un verbale del sindaco che dice: “È evidente che De Robbio facendomi vedere la casa di mio marito (con evidente abuso edilizio, ndr) intendeva controllarmi”.
Adesso immaginatevi la scena che nel direttorio è stata ipotizzata con un brivido lungo la schiena: il primo sindaco a Cinque Stelle in Campania, che vive in una casa con abusi edilizi non denuncia uno che nelle carte dell’inchiesta è accusato di avere rapporti coi clan, perchè si sente ricattata.
Casa dove, tra l’altro, il marito al piano terra ha una tipografia che lavora col comune amministrato dalla moglie.
Se il sindaco fosse stato del Pd o di Forza Italia le urla di Grillo si sarebbero già sentite a Quarto.
In parecchi pensano che, avanti così, il Comune campano rischia di diventare una Waterloo pentastellata, perchè ormai è chiaro che — con gli elementi emersi — questa storia finirà con l’insediamento di una commissione di accesso e lo scioglimento del comune.
La linea maggioritaria è quella che, giovedì, ha illustrato Nicola Morra, influente senatore e di fatto un “sesto aggiunto” di un direttivo composto solo da deputati: “A Quarto come altrove non abbiamo poltrone da difendere, aziende partecipati o appalti ai quali rimanere aggrappati. Questa è la differenza tra noi e i partiti. E quando necessario siamo disposti ben volentieri a ridare la parola ai cittadini”.
Sindaco permettendo, perchè al momento la Capuozzo non ha alcuna intenzione di mollare.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Grillo | Commenta »
Gennaio 9th, 2016 Riccardo Fucile
“BISOGNA STARE ATTENTI A NON PERDERE VOTI” LA NOBILE MOTIVAZIONE… QUANDO BASTEREBBE FAR CAPIRE AGLI ITALIANI CHE NON SERVE A NULLA E PEGGIORA LA SITUAZIONE
I fatti di Colonia sparigliano le carte e consigliano prudenza. Mentre in tutta Europa monta la polemica
politica intorno alla vicenda delle donne aggredite e molestate la notte di Capodanno, il governo Renzi invoca “valutazioni di opportunità politica” per fare di nuovo marcia indietro sulla cancellazione del reato di clandestinità .
Così l’approvazione in Consiglio dei ministri della versione definitiva del decreto legislativo che riduce al rango di illeciti amministrativi alcuni reati, attesa per venerdì, slitta di una settimana.
E l’abolizione dell’articolo 10 bis del Testo unico sull’immigrazione introdotto dalla legge Bossi-Fini rischia di essere ancora una volta archiviata, nonostante siano passati 20 mesi dal varo della legge delega che ne prevede espressamente l’abolizione.
E nonostante le Camere, a cui il testo provvisorio era stato passato per le osservazioni, abbiano dato parere favorevole su quel punto.
Fu per catturare voti che, nel 2009, il governo Berlusconi gettò nella mischia il reato di clandestinità . Adesso, a palazzo Chigi, soppesando le 15 righe che potrebbero cancellarlo firmate dal Guardasigilli Andrea Orlando, si agita un sentimento simile, ovviamente capovolto.
Con le elezioni amministrative alle porte, diventa protagonista la paura di perdere i voti di chi non capirebbe perchè, con il terrorismo islamico ormai in casa, il governo si avventuri sull’impervia via della cancellazione del reato.
Effetto dunque, più che sostanza, visto che il reato, già adesso, non manda in galera nessuno, nè tanto meno comporta un’espulsione immediata.
Ma ieri, quando Renzi ha letto Repubblica con la notizia che il reato stava per sparire proprio ad opera del suo governo, ha cominciato a interrogarsi se questa fosse proprio la mossa giusta da fare. Perchè, è opinione del premier, la depenalizzazione in sè ci può stare, ma non si può prescindere dagli effetti che può produrre sulla «percezione della sicurezza».
Come prima cosa, Renzi ha preso tempo. In consiglio dei ministri s’è trovato di fronte sia Orlando che Alfano. Hanno scambiato qualche idea. Quella di Renzi esplicita: nell’anniversario di Charlie Hebdo, dopo Parigi e Colonia, l’Italia non può prendere decisioni che possano essere interpretate come un segnale di lassismo contro il terrorismo. Alfano, ovviamente, concorda.
Proprio lui che questo reato lo ha sottoscritto da ministro e in queste ore lo ha difeso strenuamente. Orlando resta freddo. Chi lo ha sentito, poco prima di Natale, in una conferenza stampa in via Arenula col procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Franco Roberti, lo ha visto fare sì con la testa quando il magistrato spiegava perchè il reato è un ostacolo ad acchiappare i trafficanti, quindi anzichè bloccare l’arrivo dei migranti, per assurdo lo agevola.
Se fosse per Orlando il reato potrebbe tranquillamente essere abolito, per la semplice ragione che è inutile, non viene applicato, la Cassazione lo ha ridimensionato proprio per le stesse ragioni per cui la Ue lo ha bocciato, in quanto non punisce un comportamento criminale, ma uno stato, l’essere un migrante clandestino
Ma adesso è Renzi a decidere. E certo le sue paure non calano dopo il tam tam di Ncd e della Lega. Dice ai suoi il premier: ma perchè dobbiamo regalare a Salvini e alla destra su un piatto d’argento questa occasione? Che facciamo, gli mettiamo in mano uno strumento contro di noi? Piglia piede così l’idea di non buttare a mare del tutto l’abolizione del reato di clandestinità , ma di arrivarci per un’altra strada, che non impegni direttamente il governo.
Il nuovo protagonista del colpo di spugna sulla norma voluta, e tuttora sponsorizzata, da Maroni e dalla Lega, potrebbe essere il Parlamento. Che potrebbe fare una legge ad hoc oppure piazzare la norma in una legge già esistente. Una mossa che otterrebbe ben tre risultati.
Il governo, secondo Renzi e le sue teste d’uovo, non avrebbe un ritorno negativo sul piano dell’immagine. Il Parlamento confermerebbe la scelta già fatta nel 2014, quando fu approvata la legge sulla messa alla prova che conteneva già la previsione di abolire il reato di clandestinità . In secondo luogo si placherebbe subito il conflitto con Ncd, col quale ci sono già altri fronti aperti, come le adozioni e la prescrizione. In terzo luogo i magistrati otterrebbero comunque quello che vogliono, cancellare il reato, ma con tempi più lunghi, ben oltre il voto di fine primavera.
È il responsabile Giustizia del Pd David Ermini, notoriamente un renziano doc, a far intravvedere quella possibilità : «Intanto da qui al 15 gennaio c’è tempo, e poi non si può escludere affatto che, se il governo non cancella il reato, a farlo non possa essere il Parlamento che peraltro ha chiesto al governo di abolirlo».
Perchè è stata proprio la commissione Giustizia della Camera, presieduta dalla Pd Donatella Ferranti a suggerire a palazzo Chigi di tirar via il reato di clandestinità .
“La logica vorrebbe la scelta della depenalizzazione”, ammettono fonti renziane “ma nella componente sicurezza l’elemento psicologico e di percezione è molto importante”.
Morale: in questo momento la percezione degli elettori fa propendere per un nuovo rinvio.
Come se l’alternativa non fosse quella di spiegare giuridicamente come stanno realmente le cose.
(da agenzie)
argomento: denuncia | Commenta »
Gennaio 9th, 2016 Riccardo Fucile
L’ESPONENTE DI CONSERVATORI E RIFORMISTI DENUNCIA L’INCOERENZA DEL PARTITO DI BERLUSCONI
“E’ inaccettabile che chi volle a gran voce l’abolizione del reato di immigrazione clandestina, sia al Senato che alla Camera, costringendo me e un altro pugno di parlamentari a dichiarazioni e voti in dissenso dal gruppo, oggi si scagli contro il Governo che dovrebbe applicare proprio quel voto per il quale si sono espressi a favore”.
Maurizio Bianconi dei Conservatori e Riformisti non ci sta a questi cambi di rotta del partito in cui ha militato per anni e ne denuncia le contraddizioni, invocando coerenza politica e non posizionamenti diversi a seconda dei momenti e della convenienza.
Bianconi sottolinea: “Continua cosi’ la truffa di Forza Italia, che nel sostegno sostanziale a Renzi e alle sue scelte, tenta di spacciarsi per compagine di centrodestra e di affibbiarci ancora un capo che per i suoi interessi, come ci ricorda il suo ex aedo il senatore Bondi, ha gia’ massacrato il centrodestra italiano.”
L’esponente del partito di Fitto conclude: “Ecco perche’ con Corsaro e con l’intero gruppo di Conservatori e Riformisti italiani, chiediamo che vi siamo prima programmi condivisi e poi la scelta del leader dal basso e non viceversa. Lo scenario non consente ulteriori imbrogli a noi stessi e a quegli italiani che al centrodestra vorrebbero dare ancora e di nuovo il proprio sostegno”.
(da agenzie)
argomento: Fitto | Commenta »
Gennaio 9th, 2016 Riccardo Fucile
BOCCIATI DAL “QUIZZONE”, VENGONO RIPESCATI COME DIRETTORI SOCIO-SANITARI E LOTTIZZATI: TRE ALLA LEGA E TRE A FORZA ITALIA
Fuori dalla porta, dentro dalla finestra. 
Alle 15 nell’aula Biagi di Palazzo Lombardia saranno in molti a riconoscersi. Anche tra la vecchia guardia.
La riunione è convocata per i manager ospedalieri, nominati sotto Natale al motto: «Meno politica nella Sanità ».
Ma all’incontro saranno presenti anche gli esclusi eccellenti. Loro, i bocciati al quizzone utilizzato per la prima volta dalla Regione per selezionare gli uomini che devono fare funzionare i nostri ospedali.
Eliminati dalla prima linea, i generali dell’epoca di Roberto Formigoni ricompaiono in seconda fila. Sempre in pista. Comunque. Non tutti, ma numerosi.
E l’interrogativo che si pone adesso è uno: sul ripescaggio ha prevalso la capacità di figure che per anni sono state in grado di offrire buone cure e mantenere i conti degli ospedali in ordine oppure alla fine hanno contato le solite logiche politiche?
Il dubbio è legittimo visto che la lottizzazione per decenni ha governato la Sanità .
E il sistema degli amici degli amici è duro a morire.
Gli elenchi con i nomi dei direttori sanitari, amministrativi e sociosanitari appena scelti sono infarciti di bocciati eccellenti.
Armando Gozzini, già medico sociale del Milan e assessore di Forza Italia al Comune di Segrate, ha dovuto rinunciare alla poltrona da direttore generale dell’ospedale di Busto Arsizio per sedersi su quella da direttore sociosanitario dell’azienda ospedaliera di Pavia. Angelo Cordone, un pezzo da novanta nel Pavese del Faraone Giancarlo Abelli, è il nuovo direttore sociosanitario dell’ortopedico Pini-Cto.
Roberto Bollina, sempre in quota Forza Italia, è stato defenestrato da direttore generale dell’Asl di Como, ma rientra come direttore sanitario di Garbagnate.
Ermenegildo Maltagliati, uomo vicino alla Lega, passa dai vertici dell’ospedale di Garbagnate alla direzione sanitaria di Vimercate.
Enzo Brusini, altro manager in quota Lega, ha lasciato la spinosissima guida del San Paolo per diventare direttore sociosanitario a Busto Arsizio-Gallarate.
Stesso partito per Simona Bettelini, altro riciclo: dal San Gerardo di Monza passa alla direzione sanitaria dell’Asl Mantova-Cremona (trasformata dalla riforma in Agenzia per la tutela della Salute, Ats; così come gli ospedali sono diventati Aziende sociosanitarie territoriali, Asst).
In base alla situazione attuale, i ripescaggi ufficiali sono tre a testa, divisi tra Forza Italia e Lega.
Per ora gli esclusi eccellenti che non risultano ricollocati sono Giorgio Scivoletto, indagato nell’inchiesta che ha portato in carcere l’ex assessore Mario Mantovani; Daniela Troiano, coinvolta nella stessa indagine ma senza risultare indagata; eppoi Giovanni Michiara, Danilo Gariboldi, Marco Votta e Cesare Ercole, però tutti praticamente al termine della carriera per età .
Ma le nomine sono ancora in corso e non sono da escludere colpi di scena dell’ultimo minuto.
Simona Ravizza
(da “il Corriere della Sera“)
argomento: Maroni | Commenta »