Gennaio 15th, 2016 Riccardo Fucile
BISCEGLIE: IL RIFUGIATO NIGERIANO RISCHIA LE COLTELLATE E DISARMA IL MALVIVENTE
Appena ha capito quanto stava accadendo non ha esitato a intervenire. 
Il protagonista è un coraggioso cittadino nigeriano di 22 anni che stava chiedendo l’elemosina fuori a un supermercato di via Capitan Gentile, a Bisceglie, in provincia di Trani, quando un rapinatore solitario è entrato in azione.
A volto coperto, il bandito ha minacciato la commessa con un coltello e dopo aver portato via la cassa con i soldi è fuggito a bordo di un motorino.
Il migrante, richiedente asilo politico in Italia, non c’ha pensato due volte e ha rincorso e raggiunto il rapinatore.
Quest’ultimo ha cercato di colpirlo con il coltello ma è stato disarmato dal giovane straniero che è riuscito a scoprirgli il volto prima che riuscisse a fuggire.
La scena è stata ripresa dalle telecamere di videosorveglianza: grazie al suo gesto, il migrante ha permesso ai carabinieri di identificare e arrestare il rapinatore, 31enne già noto, e di recuperare parte del bottino.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 15th, 2016 Riccardo Fucile
SIEDONO NEL CDA MA SONO GIA’ IN PENSIONE, MA A LORO NON BASTA: VOGLIONO ANCHE I GETTONI RAI
Siedono in un Cda dove i consiglieri giovani sono retribuiti e loro invece no perchè più anziani e già pensionati. Per questo si sentono penalizzati, discriminati. Ed ora presentano un ricorso al Tar del Lazio contro il ministero dell’Economia che li costringe a lavorare gratis.
Arturo Diaconale e Giancarlo Mazzuca, giornalisti professionisti in pensione e da agosto 2015 consiglieri della Rai, hanno saputo il 5 novembre che il ministero per l’Economia negava loro il diritto a un compenso.
Quel giorno, il ministero ha confermato al presidente Maggioni che i consiglieri della tv di Stato, se pensionati, rientravano nel perimetro di azione della legge 114 del 2014.
Dunque potevano sedere nel Cda, certo, e per tutti e tre anni del mandato; ma solo a titolo gratuito. Come qualsiasi altra persona che riceve un incarico “dirigenziale o direttivo” nella Pubblica Amministrazione quando è già in pensione.
Ma l’avvocato Federico Tedeschini – che assiste Diaconale e Mazzuca – batte proprio su questo tasto.
Nel suo ricorso, sostiene che la Rai non è parte della Pubblica Amministrazione. Come la giurisprudenza anche costituzionale afferma, l’emittente fa capo a una società per azioni che risponde a regole e logiche privatistiche.
Dunque tutti i suoi consiglieri devono essere compensati in modo uguale, inclusi i pensionati. La stessa fonte di nomina (che è la Commissione parlamentare di Vigilanza) metterebbe i consiglieri fuori dai confini della Pubblica Amministrazione. Peraltro il loro lavoro – altra argomentazione del ricorso – sarebbe di tipo gestionale mentre la gratuità riguarda soltanto i ruoli “dirigenziali e direttivi”.
Il legale nota anche che i due consiglieri della Rai hanno accettato l’incarico nella convinzione di ricevere uno stipendio sia pure modesto (66 mila euro lordi l’anno), invece ora la loro legittima aspettativa viene delusa.
Niente impedisce a Diaconale e Mazzuca di dimettersi – può obiettare qualcuno – se arrabbiati per la gratuità del lavoro. Ma le dimissioni, sostiene il ricorso, priverebbero il Cda di figure esperte che rappresentano una risorsa per l’azienda.
La stessa televisione di Stato, nel suo Codice di autodisciplina, si impegna a garantire sempre un compenso proporzionato per legare a sè professionisti collaudati.
L’avvocato Tedeschini chiede dunque che siano sospesi tutti gli atti ministeriali che costringono Diaconale e Mazzuca a lavorare senza compenso; e che sia dichiarata “nel merito” la illegittimità della linea del ministero.
Ministero che – ultima bordata del ricorso – ha preso le sue decisioni sulle retribuzioni senza mai ascoltare i due consiglieri della Rai, come invece avrebbe imposto una procedura amministrativa corretta.
Aldo Fontanarosa
(da “la Repubblica”)
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Gennaio 15th, 2016 Riccardo Fucile
AVEVA COMMOSSO FAVIGNANA DOPO CHE ERA RIMASTO VICINO ALLA BARA DEL PADRONE DURANTE I FUNERALI… SALVATO DAI VETERINARI, IL SINDACO HA PAGATO L’OPERAZIONE
Si regge sulle zampe a fatica, non mangia, beve poco, guaisce. 
«Se la caverà , ma è molto depresso», dicono i veterinari che l’altro ieri lo hanno strappato alla morte con un intervento chirurgico durato oltre due ore.
Tre proiettili aveva in corpo Leo, il cane che due mesi fa aveva partecipato al funerale del suo padrone – accovacciato accanto alla bara, ai piedi dell’altare – e lo aveva poi seguito fino al cimitero, a leccare la tomba e la fotografia.
«Povero Leo, povero Leo» dicevano qui a Favignana, la più grande delle Egadi, l’isola a forma di farfalla poggiata su un mare cristallino.
Peccato che il povero Leo, sette anni, nero come la pece, piangesse e si disperasse da mattina a sera, straziato dalla solitudine e dell’assenza di quell’uomo con cui passava giorni e notti, a dormire nello stesso letto, sotto la stessa coperta, a mangiare insieme, a girare per i vicoli solitari nelle sere d’inverno.
Solo l’uno, vedovo e senza amici, e solo l’altro.
Ma, morto l’uomo, Leo da domestico era diventato randagio, con il solo conforto di dormire nella stessa vecchia casa in cui le figlie del vecchio padrone gli consentivano di entrare.
Solo, a piangere per le strade sterrate di Favignana, a cercare cibo, ad abbaiare alla luna, a farsi dare del cane rognoso per un’innocua forma di allergia che gli aveva fatto perdere un po’ di pelo.
Finchè qualcuno, più infastidito degli altri, ha imbracciato il fucile e gli ha sparato.
Un proiettile è finito in un polmone, un altro vicino alla spina dorsale, il terzo non lontano dalla milza.
«L’ho trovato in piazza, accasciato, incapace di reggersi in piedi», racconta Cristina Mostacci, la volontaria dell’associazione Saie, Soccorso animali isole Egadi.
Da lì è partita una corsa contro il tempo. «Lo abbiamo messo in una gabbia e accompagnato in aliscafo sulla terraferma, a Trapani, dove il veterinario si è accorto che aveva un proiettile vicino al cuore e il pericardio spaventosamente ingrossato. Ha estratto quasi mezzo litro di liquido, finchè mercoledì abbiamo deciso di portarlo in una clinica specializzata», aggiunge la volontaria.
Leo, l’ultimo dei cani, è finito alla clinica Animal Care di Marsala, a zampe all’aria, sotto anestesia, mentre un’èquipe di cinque medici guidati dal cardiochirurgo veterinario Ignazio Pumilia cercava di togliergli dal corpo quei tre proiettili.
Gliene ha tolto uno, quello vicino alla milza, «che è stato consegnato alle forze dell’ordine per le indagini», assicura il sindaco dell’isola Giuseppe Pagato che ha sostenuto tutte le spese mediche e che su questa storia vuole andare a fondo.
Adesso i volontari sono alla ricerca di qualcuno che possa tornare ad amarlo. Qualcuno che lo prenda con sè. «Meglio fuori dall’isola», dicono.
Leo aspetta. E forse non spera.
Laura Anello
(da “La Stampa”)
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Gennaio 15th, 2016 Riccardo Fucile
MILLE POSTI A RISCHIO… DIECI GIORNI FA ACCORDATI ANCHE 10.000 EURO IN PIU’ AI DIRIGENTI
Il Cnr le stava lasciando a casa. Paola, Rita, Sonia e Chiara, quattro precarie storiche della sede di Pisa, una delle quali incinta.
Le prime di un migliaio di ricercatori che da qui a pochi mesi potrebbero perdere il posto. “Non ci sono fondi”, dicono a Roma, per garantire loro uno stipendio da 20mila euro l’anno.
Ma pochi giorni prima del benservito il cda dell’ente ha stanziato 1,2 milioni di euro per le “indennità di responsabilità ” ai dirigenti che un posto ce l’hanno e ben remunerato. E prima ancora molti altri soldi spesi in vario modo: dallo shopping immobiliare alle auto di servizio e fino al catering.
Contraddizioni riemerse ieri durante la protesta delle ricercatrici di Pisa che, insieme all’Unione sindacale di base, hanno manifestato davanti alla sede di Piazzale Aldo Moro nella speranza di un ravvedimento nei confronti delle ricercatrici dell’Istituto di Fisiologia clinica, il dipartimento finito nel mirino della Procura per un buco tra i 4 e i 10 milioni di euro frutto di una mala gestione che si è protratta per anni. Sonia e le altre ne sono le prime vittime, ma non le sole.
A fine giornata otterranno una proroga fino al 31 di marzo ma nessuna prospettiva oltre quella data, così come per molte centinaia di colleghi che presto potrebbero finire a spasso per la mancanza di fondi dichiarata dall’ente.
“Il numero ancora non è stato precisato ma potrebbero essere più di un migliaio”, spiega Cinzia Della Porta dell’Usb che ha sostenuto la protesta e incontrato i responsabili del personale e delle relazioni sindacali.
“Abbiamo ribadito che nel caso specifico si tratta di lavoratrici con almeno dieci anni, anche più, di lavoro esclusivo per l’ente, sempre con contratti a termine. Di fatto sono dipendenti. La risposta è stata che non ci sono risorse e questo vale purtroppo anche per gli altri contratti in scadenza al 31 marzo, che siano assegni di ricerca o tempi determinati”.
Quanti rischiano il posto?
“Al Cnr si contano 8mila dipendenti, 1.400 tempi determinati e 2.550 atipici cioè assegni di ricerca co.co.co. Quindi i precari sono circa 4mila. Il Cnr ci ha detto che solo i contratti che fanno direttamente capo all’ente centrale in scadenza sono 300, per i quali non c’è copertura. Però ci sono anche gli istituti periferici dove ogni ente procede direttamente alle assunzioni. Il numero effettivo verrà fuori nel corso delle prossime settimane e sarà molto più consistente. Loro stessi fanno riferimento a migliaia di lavoratori che sono a rischio di perdere il poso”.
Che dire, se proprio i soldi non ci sono… Ma è davvero così?
Il 31 dicembre le ricercatrici scoprono che non saranno rinnovate causa zero soldi. E che saranno le prima di una serie. Ma giusto 10 giorni prima, il consiglio di amministrazione del Cnr “senza soldi” fa un bel regalo di Natale a chi forse ne ha meno bisogno: il 21 dicembre sottoscrive con i sindacati (Cisl e Uil, la Cgil non firma) un assegno d’indennità da 1,2 milioni di euro per i dirigenti a copertura delle loro “responsabilità ”: una cifra variabile da 4 a 10 mila euro ciascuno. Non solo.
Lo stesso giorno la direzione generale decreta di affidare in concessione i servizi di bar, ristorazione, catering presso tutte le sedi dell’ente con una gara del valore di 60 milioni di euro in cinque anni.
Nel lotto II c’è Pisa, la sede che ha in capo le quattro precarie, la voce mensa e bar peserà sul bilancio di quella sede per oltre un milione di euro l’anno. Insomma, i soldi non mancano.
Tanti altri esempi si potrebbero fare. Alcuni li ha fatti la Corte dei Conti a luglio, nella sua relazione sulla gestione dell’ente, rilevando tra gli altri costi in aumento per l’acquisto di autovetture (da 175 a 288mila euro) e per spese di pubblicità .
Bacchettate arrivano anche per la politica immobiliare dell’ente che pur dichiarandosi “povero” continua ad acquistare sedi.
La consistenza del patrimonio (65 immobili) supera i 730 milioni di euro ma la foga del mattone non si è ancora fermata, a differenza di quella necessaria a garantire un posto ai ricercatori.
Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 15th, 2016 Riccardo Fucile
DURISSIMO ATTACCO: “LA FLESSIBILITA’ L’HO INVENTATA IO, NON LUI”
Fondi alla Turchia e flessibilità . Jean-Claude Juncker attacca Matteo Renzi. 
“Ritengo che il primo ministro italiano, che amo molto, abbia torto a vilipendere la Commissione a ogni occasione — ha detto il presidente della Commissione Europea nella conferenza di inizio anno — non vedo perchè lo faccia”.
“L’Italia a dir la verità non dovrebbe criticarla troppo — ha affondato il numero uno dell’esecutivo di Bruxelles — noi abbiamo introdotto flessibilità contro la volontà di alcuni Stati membri che molti dicono dominare l’Europa”.
Ed è proprio sulla flessibilità che Juncker affonda il colpo più duro: “Sono stato molto sorpreso che alla fine del semestre di presidenza italiana Renzi abbia detto davanti al Parlamento che è stato lui ad aver introdotto la flessibilità , perchè sono stato io, io sono stato“, ha sibilato sottolineando che “su questo voglio che ci si attenga alla realtà . Io mi tengo il mio rancore in tasca, ma non crediate che sia ingenuo”.
Probabilmente “a fine febbraio mi recherò in Italia, perchè l’atmosfera tra l’Italia e la Commissione non è delle migliori — ha detto ancora Juncker — Renzi si lamenta sempre che non sono mai stato in Italia da quando sono diventato presidente della Commissione”.
Il secondo fronte di lamentela nei confronti di Roma Juncker lo apre sul tema dei 3 miliardi di euro accordati da Bruxelles alla Turchia per contenere il flusso migratorio proveniente dal Medio Oriente.
“Ho difficoltà a capire la riserva stupefacente dell’Italia a finanziare i 3 miliardi alla Turchia, perchè questi non vanno alla Turchia stessa ma per i rifugiati siriani in Turchia”, ha spiegato il presidente della Commissione, sottolineando che “questi 3 miliardi sono una questione di credibilità per l’Ue”.
Come è una questione di credibilità quella dei ricollocamenti dei richiedenti asilo. E qui il richiamo è agli Stati che avevano preso l’impegno di ospitare i migranti arrivati in Grecia e in Italia e poi non li hanno rispettati: “Sono stufo che si accusi la Commissione Ue e l’Europa di non fare abbastanza, perchè la Commissione ha fatto tutto quello che era in suo potere ma sono alcuni stati membri che hanno difficoltà ad applicare le decisioni che sono state adottate — continua Juncker — ci danneggiamo da soli se non mettiamo in pratica quello che abbiamo deciso”.
“Non è possibile”, ha tuonato Juncker, “che una proposta adottata da Consiglio e Parlamento sui ricollocamenti non sia attuata, ma io non abbandono”.
In ogni caso, ha avvertito, “noi non aspetteremo gli Stati membri” e “faremo il necessario là dove bisognerà ”.
In mattinata era stato Jeroen Dijsselbloem a stigmatizzare il no dell’Italia sui fondi da destinare ad Ankara: “L’Unione europea deve raggiungere velocemente un’intesa definitivo sul finanziamento di tre miliardi di euro alla Turchia perchè fermi il flusso di rifugiati verso l’Europa — ha dichiarato il presidente dell’Eurogruppo — mi concentrerò sul tentare di spingere il fondo e ottenere un accordo sui 3 miliardi, di cui abbiamo bisogno”, ha detto in vista della rinione dei ministri delle Finanze Ue.
Ieri fonti europee hanno dichiarato che a bloccare l’accordo sul finanziamento è l’Italia e oggi Dijsselbloem ha detto che parlerà di questo con il ministro Pier Carlo Padoan.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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