Destra di Popolo.net

BUSTO ARSIZIO, LEGHISTI VOTANO CANDIDATO PD PER FAR DISPETTO A FORZA ITALIA, SALVINI SOSPENDE TUTTI

Luglio 13th, 2016 Riccardo Fucile

MANICOMIO PADANO: C’E GIA’ ARIA DI CRISI NEL VARESOTTO, IL CENTRODESTRA IMPLODE… IN UN MUNICIPIO DI MILANO LA LEGA FA LO SGAMBETTO A UN ESPONENTE DI FRATELLI D’ITALIA

Giunta di centrodestra a Busto Arsizio appena eletta e già  in bilico.
Il neo sindaco forzista Emaunele Antonelli rischia di dimettersi dopo la dèbacle in Consiglio comunale, vittima della guerra interna tra Lega e Forza Italia.
Con un’imboscata, infatti, il gruppo del Carroccio ha impallinato il candidato azzurro alla presidenza del Consiglio comunale, l’ex sindaco Gigi Farioli, e favorito la vittoria di un esponente del Pd, Valerio Mariani, che è stato eletto nuovo presidente dell’aula.
L’esito del voto e il tradimento leghista ha mandato su tutte le furie Forza Italia che ha minacciato di aprire formalmente la crisi di giunta.
Immediata e clamorosa la reazione del leader della Lega Matteo Salvini che ha annunciato la sospensione dell’intero gruppo del suo partito in consiglio comunale e ha dato mandato al segretario provinciale Matteo Bianchi di trovare i colpevoli.
La sezione di Busto del Carroccio è stata addirittura commissariata.
A Busto Arsizio, però, si sente aria di crisi.
Il sindaco appena eletto Antonelli ha convocato per il pomeriggio una riunione di giunta alla quale potrebbe presentarsi dimissionario. Un vero smacco per la coalizione di centrodestra che a Busto ha vinto le elezioni al primo turno il 5 giugno scorso con il 50,3 per cento dei voti.
Si tratta in extremis per evitare un’altra figuraccia. Riunione tra i segretari provinciali della Lega e di Forza Italia, mentre il candidato sconfitto Farioli potrebbe rivolgersi al sindaco e alla città  con una lettera aperta per invitare tutti ad andare avanti ed evitare la crisi.
Certo l’episodio di Busto Arsizio non è un caso isolato.
Anche a Milano, in occasione dell’elezione del presidente del consiglio del municipio 2 ieri sera, Lega e Forza Italia si sono fatte lo sgambetto.
Con il risultato che il centrosinistra all’opposizione, approfittando delle divisioni interna alla maggioranza ha fatto eleggere a sorpresa come presidente, Carlo Sorrentino. Leghista dissidente che è stato subito disconosciuto dal partito.
Mentre il candidato scelto dal centrodestra era il consigliere Truppo di Fratelli d’Italia. Anche in questo caso si parla di vendette e veleni.
Tra i sospettati dell’imboscata ancora una volta i consiglieri leghisti.
C’è chi racconta che ieri il Carroccio avesse chiesto perfino ai propri consiglieri di fotografare le schede per controllare i voti.
Il   segretario cittadino del Carroccio Davide Boni, però, respinge le accuse: “Io i nostri li controllo, ma è evidente che c’è un problema nella coalizione. E questo è molto preoccupante”.

(da “La Repubblica”)

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PARENTOPOLI GRILLINA AL CAMPIDOGLIO: PIAZZATI MARITI, FIDANZATE E AMICI DEGLI AMICI

Luglio 13th, 2016 Riccardo Fucile

INCARICHI DI SOTTOGOVERNO DISTRIBUITI “IN FAMIGLIA” E TRUCCHI PER AGGIRARE IL VINCOLO DEI DUE MANDATI

Il Movimento di lotta si fa di governo e i vizi della vecchia politica, che a parole si dice di voler combattere, tornano puntuali come un orologio svizzero.
Basta guardare cosa sta accadendo a Roma: non solo la rissa fra correnti, ma pure incarichi di sottogoverno distribuiti a go-go a mogli, fidanzate, portaborse.
Il peggio del familismo amorale sempre denunciato dai grillini, ora applicato in Campidoglio con metodo scientifico.
Antipasto del banchetto che verrà , visto che le nomine più pesanti, circa 300, a cominciare dallo staff della neosindaca, devono ancora venire.
L’inizio non fa ben sperare.
I primi passi dei pentastellati seguono liturgie da prima Repubblica: legami di sangue, d’amore o d’amicizia trasformati in poltrone, dunque in stipendi.
Specie alla periferia dell’impero, dove è più facile sfuggire ai controlli.
Accade allora nel popoloso III municipio che Giovanna Teodonio, moglie di Marcello De Vito, protegè della deputata Roberta Lombardi, il più votato in assemblea capitolina di cui è diventato presidente, venga reclutata come assessore alla Sicurezza del personale e Polizia locale.
Una parentela da lei stessa rivendicata su Fb.
Mentre per favorire la fidanzata del bis-consigliere comunale Enrico Stefà no si è dovuto ricorrere a un escamotage: la 27enne Veronica Mammì, uscente in VI municipio, è stata traslocata in VII, dove ha ricevuto la delega al Sociale.
Uno spostamento tattico, raccontano fonti interne al Movimento, necessario per aggirare il tetto dei due mandati consecutivi.
Così si salta un giro, ma si riscuote comunque un incarico, in attesa delle prossime consultazioni. Che, per la Mammì, già  portaborse della deputata Daga, potrebbero essere le Politiche o le Regionali, fra un anno o due.
Una strategia molto in voga fra i grillini. Alla faccia della sbandierata diversità  a 5 stelle. I quali, per selezionare la classe dirigente, usano ormai lo stesso criterio degli altri partiti: la fedeltà .
Alle persone che contano, prima che ai principi.
Capita perciò che l’assistente alla comunicazione del deputato Enrico Baroni, Mario Podeschi, venga nominato assessore al Sociale in V municipio.
Mentre l’architetto Giacomo Giujusa – consulente per le tematiche ambientali dell’onorevole Vignaroli, compagno della senatrice Taverna – conquisti la delega all’Ambiente e Lavori pubblici in XI.
Con il dipendente Atac Alfredo Compagna, appena eletto presidente in XIV, a suo tempo candidato per aver condiviso i banchi di scuola con Andrea Severini, marito separato di Virginia Raggi, che proprio in quel territorio risiede.
Dove è risultato eletto pure il suo avvocato, che però poi ha rinunciato.
È infatti la famiglia il canale privilegiato dei 5 stelle per entrare nelle istituzioni.
La prova è l’VIII municipio: in consiglio siedono Teresa Leonardi (40 preferenze) ed Eleonora Chisena (91), madre e figlia; Giuseppe Morazzano (41 voti) e Luca Morazzano (34), padre e figlio.
Basta una vasta parentela, un po’ di organizzazione e il seggio è assicurato.
Da declinare nella “variante Mastella”, ovvero le coppie che fanno carriera insieme. Daniele Diaco e Silvia Crescimanno erano fidanzati quando, nel 2013, approfittando della doppia preferenza di genere, divennero entrambi consiglieri in XII.
Nel frattempo si sono sposati: oggi lei è presidente del municipio, lui ha preso uno scranno in Campidoglio.
Dove, nello staff della neosindaca, sta per entrare Francesco Silvestri, ex collaboratore del senatore Endrizzi, già  fidanzato di Ilaria Loquenzi, capo comunicazione alla Camera.
In ossequi alla teoria Nugnes, verace senatrice partenopea: “Quando scegliamo il nostro esercito, i soldati devono essere fedeli”.

Giovanna Vitale
(da “La Repubblica”)

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LA PROCURA DI ROMA PRONTA A ISCRIVERE LA RAGGI NEL REGISTRO DEGLI INDAGATI

Luglio 13th, 2016 Riccardo Fucile

“FALSITA’ IDEOLOGICA IN ATTO PUBBLICO”… I PM PUNTANO A TEMPI RAPIDI

Atteso e temuto per i possibili sviluppi che potrebbe innescare, come anticipato da La Stampa, la documentazione dell’Autorità  nazionale anticorruzione sul caso delle consulenze alla Asl di Civitavecchia della neo sindaca della capitale Virginia Raggi alla fine è arrivata a destinazione.
Negli uffici della Procura di Roma, guidata da Giuseppe Pignatone, che aprirà  un fascicolo nel quale il nome della prima cittadina figurerà  come indagata.
L’ipotesi di reato formulata sarebbe, secondo quanto filtra da Piazzale Clodio, quella contemplata dall’articolo 483 del codice penale: «Falsità  ideologica commessa dal privato in atto pubblico».
Pena massima prevista 2 anni di reclusione.
I magistrati puntano a chiudere l’inchiesta, qualunque dovesse essere l’esito (archiviazione o richiesta di rinvio a giudizio), in tempi rapidi.
Per evitare che lo scontato clamore delle indagini nei confronti della prima carica istituzionale della Capitale possa condizionare, oltre ragionevoli termini di durata, l’azione della nuova Giunta capitolina alle prese con la delicatissima situazione della città . A cominciare dall’emergenza rifiuti.
Il caso era esploso alla vigilia del ballottaggio che ha visto la Raggi spuntarla sullo sfidante del Pd Roberto Giachetti.
Aperto da un articolo del Fatto che dava conto delle consulenze legali ottenute dall’avvocato Raggi per il recupero crediti della Asl Rm-F di Civitavecchia. Tra il giornale e l’allora candidata sindaca si innescò un acceso botta e risposta.
Il 13 luglio 2012, sostiene il quotidiano, la Raggi ha ottenuto un primo incarico legale (per 8 mila euro lordi) dall’azienda sanitaria locale. E nel 2014 un secondo per altri 5 mila euro.
L’attuale sindaca dichiara nel 2015 1.878 euro a titolo di «acconto e rimborso» della consulenza da lei fatturata nel 2014 e pagata l’anno successivo. Nient’altro.
Per legge chi riveste incarichi politici e amministrativi (nel 2014 la Raggi era consigliera comunale) è tenuto a dichiarare «i dati relativi all’assunzione di altre cariche, presso enti pubblici e privati, e i relativi compensi a qualsiasi titolo corrisposti».
E «altri eventuali incarichi con oneri a carico della finanza pubblica e indicazione dei compensi spettanti».
Compensi «corrisposti», quindi, manche quelli solo «spettanti».
La Raggi si difende tramite il suo avvocato, secondo il quale l’«incarico di recupero credito» era stato «regolarmente comunicato» al Comune di Roma e all’Asl. Ed entrambi gli enti ne avevano dato conto sui rispettivi siti.
Quanto all’incarico di circa 8 mila euro, aggiunge il legale, «Raggi ha emesso fattura nel 2014 per euro 1.878,00 a titolo di acconto, fattura pagata solo nel 2015, ragione per cui la somma entra nella dichiarazione dei redditi del 2016».
Se sia o meno tutto regolare saranno, a questo punto, i magistrati ad accertarlo.

Antonio Pitoni
(da “La Stampa”)

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“C’E’ UNA SOLA SPECIE UMANA E VI APPARTENIAMO TUTTI”: FERMO, IN TANTI IN PIAZZA PER EMMANUEL

Luglio 13th, 2016 Riccardo Fucile

DON ALBANESI: “PORTE DELLA COMUNITA’ APERTE PER AMEDEO”

“C’è una sola specie umana e vi apparteniamo tutti. Le differenze tra di noi come colore della pelle, colore degli occhi, struttura del viso sono accessorie, non hanno nessuna influenza sulla natura dell’essere umano”.
Parla tra gli applausi nella manifestazione che chiude la giornata di lutto per Emmanuel Chidi Namdi, morto a Fermo.
Ovadia chiede di stringersi tutti insieme non solo per la morte di un uomo, ma per quella “zona grigia della società , una sottovalutazione, una volontà  di autoassolversi”. “Questo – dice – non serve al nostro paese, non serve al nostro futuro. Un paese è tanto più alto quando riconosce le proprie responsabilità  e le affronta per diventare migliore”. “E vorrei fosse chiaro una volta per tutte — conclude –   che non esiste una civiltà  degna di questa nome che non sia anche una civiltà  dell’accoglienza”.
Quello di Moni Ovadia è uno dei tanti interventi, tra musica e parole, che si susseguono sul palco, moderati dalla grazia di Claudia Koll.
In tanti portano la propria voce di denuncia e insieme speranza.
Il primo a intervenire è il sindaco della Città , Paolo Calcinaro che chiede scusa per una vita che non si è riusciti a difendere, ma chiede anche di ripartire.
Nel cuore e nelle parole la voglia di ricominciare e riaffermare la natura ospitale e non razzista della sua città , il desiderio di rimetterla città  al centro di un progetto che costruisce integrazione, rispetto e armonia.
“Lavoriamo per questa città . Ci vuole tanta forza, anche per me”. “Ripartiamo dalla scuola, – dice –   entriamo nelle classi”.
Sul palco salgono anche don Vinicio Albanesi e Chinyeri,   a compagna di Emmanuel, che ringrazia tutti i presenti e chiede di pregare; poi viene soccorsa per un malore. Don Albanesi annuncia che desidera andare a trovare, in carcere, Amedeo Mancini, accusato della morte di Emmanuel. “Se vorrà  ricominciare la sua vita, avrà  le porte della comunità  aperte”.
Ma il cuore della serata è quel lungo corteo che dalle 21,30 si snoda da Piazza del Popolo lungo Via Veneto per dire no al razzismo: tante famiglie, bambini, associazioni, sigle sindacali, scout, cittadini, i migranti che aprono il corteo tutti insieme.
Tanti i palloncini colorati lasciati nel luogo in cui Emmanuel ha trovato la morte. Tante le persone arrivate da ogni parte della regione e qualcuno anche da fuori.
Una grande bandiera arcobaleno accompagna il corteo, tanti striscioni e cartelli: “Sono fermo contro il razzismo”.
E poi c’è la musica che parla il linguaggio di tutti e arriva dritta al cuore.
Sul palco il cantautore Federico D’Annunzio e gli Insilenzio, Enrico Capuano e i Turkish Cafè.
Immancabile “Imagine” di John Lennon ma tocca anche l’interpretazione di “Le Traiettorie delle mongolfiere” di Gianmaria Testa.
“Anche noi, anche noi con gli occhi controvento al cielo abbiamo cercato e perso le tracce del loro volo dentro le nuvole del pomeriggio, nei pomeriggi delle città , ma chissà  dove è incominciato tutto. Chissà ”.

(da “Redattore sociale”)

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PUGLIA, ANCHE I MUSULMANI IN CODA PER DONARE SANGUE

Luglio 13th, 2016 Riccardo Fucile

LA MOBILITAZIONE DEL CENTRO ISLAMICO DI BARI: “CI SENTIAMO COLPITI ANCHE NOI PUGLIESI MUSULMANI, ABBIAMO APERTO UNA SOTTOSCRIZIONE”

Tra le centinaia di pugliesi che anche mercoledì stanno in coda per donare il sangue dopo il disastroso incidente ferroviario hanno voluto esserci anche fedeli della comunità  islamica
“Una ventina di fratelli del Centro islamico di Bari hanno deciso di donare il sangue per contribuire alla grande gara di solidarietà  partita già  da ieri pomeriggio negli ospedali di Bari e provincia”, è scritto in un comunicato.
“Dalle 7 di oggi sono in coda nel centro trasfusionale di Bari uno dei due imam della Comunità  Shwandy Gazi, il responsabile organizzativo del Centro Islamico Alì Pagliara, e una decina di musulmani per donare il sangue a chiunque ne abbia bisogno. Nel corso della giornata altri fratelli raggiungeranno il Policlinico per contribuire alla raccolta di sangue”.
“Ci sentiamo anche noi musulmani pugliesi colpiti profondamente da questa tragedia che ha sconvolto le nostre famiglie – dichiara Sharif Lorenzini, presidente della Comunità  islamica d’Italia -. Per questo abbiamo deciso di aiutare concretamente i feriti lacerati nel corpo e nell’anima”.
Oltre alla donazione del sangue, la Comunità  Islamica di Puglia si sta mobilitando per altre azioni concrete di solidarietà .
“Abbiamo intenzione anche noi, nel nostro piccolo – conclude Lorenzini – di lanciare all’interno della Comunità  una sottoscrizione a favore dei feriti e delle famiglie delle vittime di questa tragedia. Chiunque vorrà  potrà  donare il suo contributo”
La straordinaria solidarietà  messa in moto nelle ore immediatamente successive alla tragedia ha fatto raccogliere in 24 ore 2724 sacche di sangue, cinque volte di più delle 464 unità  raccolte in media ogni giorno nella regione.
A donare sono state soprattutto le persone geograficamente più vicine al luogo del disastro ferroviario, nella provincia di Barletta-Andria-Trani, ma anche a Bari i centri per la donazione del sangue sono stati presi d’assalto da coloro che volevano offrire un aiuto prezioso alle vittime ricoverate.
Generosità  anche da parte dei medici, come avverte il coordinatore del centro regionale sangue della Puglia, Michele Scelsi. “Nella mia struttura, nell’ospedale San Paolo di Bari sono spontaneamente tornati dalle ferie medici, infermieri e ausiliari”.
A testimoniare l’impressionante gara di solidarietà  sono le decine di foto e video che corrono sul web, dove si vedono lunghe file di persone pronte a donare sangue in tutta la Puglia, anche davanti agli ospedali Perrino di Brindisi, Vito Fazzi di Lecce e Santissima Annunziata di Taranto.
I centri trasfusionali sono stati letteralmente invasi dai donatori: le direzioni generali delle Asl salentine hanno espresso apprezzamento e gratitudine.
L’Istituto Superiore di Sanità  ha spiegato che grazie a questa ondata di persone disposte a donare non c’è stato bisogno di richiedere sacche di sangue da altre regioni, pur disponibili a dare un aiuto: “I pugliesi hanno saputo fronteggiare l’emergenza da soli”.

(da “Huffingtonpost”)

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KAPPLER ARRESTATO, L’AUTOGOL DI RAMPELLI: “NON HA INCARICHI NEL PARTITO DA 12 GIORNI”

Luglio 13th, 2016 Riccardo Fucile

PRIMA LO FANNO COMMISSARIO STRAORDINARIO DELLA CALABRIA, POI FANNO FINTA DI NON CONOSCERLO E LO SCARICANO QUANDO HANNO SENTORE DELL’AVVISO DI GARANZIA

“L’ing. Domenico Kappler non ricopre alcun incarico nel nostro movimento. Da commissario pro tempore di Fratelli d’Italia in Calabria era stato rimosso a seguito dell’avviso di garanzia pervenutogli il 30 Giugno per ragioni legate al suo ex ruolo di Presidente di Risorse per Roma”.
L’autogol è firmato dal “Gabbiano” Fabio Rampelli, co-fondatore e componente l’Ufficio di presidenza di Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale.
Il classico caso che ai tempi del Msi, quando qualcuno era coinvolto in una indagine, si soleva liquidare con un “non è mai stato iscritto al partito”, anche se fino al giorno prima era in sezione.
Con la differenza che allora era spesso militanti coinvolti al massimo in una rissa, ora si parla di un “colluso” con la ‘ndrangheta, del cui comportamento ovviamente nessuno si era accorto di nulla nel partito della Meloni.
Quanto a selezione del personale politico non c’è male nel nominare Kappler come commissario dell’intera Calabria.
E visto che era stato senatore di An e poi nominano amministratore delegato della partecipata “Risorse per Roma” (anche qui è indagato) da parte della giunta Alemanno (di cui faceva parte Fdi), difficile dire che non lo conoscesse nessuno…
Evviva la destra della legalit�

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FIRENZE, MORTE MAGHERINI: CONDANNATI TRE CARABINIERI PER OMICIDIO COLPOSO

Luglio 13th, 2016 Riccardo Fucile

IL QUARANTENNE, EX CALCIATORE E PADRE DI UN BAMBINO, MORI’ DURANTE UN DRAMMATICO ARRESTO IN BORGO SAN FEDRIANO

Tre condanne per omicidio colposo e tre assoluzioni.
È arrivata la sentenza di primo grado per il processo Magherini, il quarantenne morto durante un drammatico arresto la notte del 3 marzo 2014. Il giudice Barbara Bilosi ha condannato per omicidio colposo tre dei quattro carabinieri intervenuti in Borgo San Frediano la notte del 3 marzo, quando l’ex calciatore delle giovanili della Fiorentina morì per un arresto cardiaco.
Un quarto, Davide Ascenzi, è stato invece assolto per non aver commesso il fatto, così come le due volontarie del 118 che avevano prestato i primi soccorsi. Per Vincenzo Corni sono otto i mesi di reclusione, per Stefano Castellano e Agostino Della Porta sette, tutti con sospensione della pena.
I quattro carabinieri, la notte del 3 marzo, bloccarono Magherini mentre, sotto l’effetto della cocaina e in preda alle allucinazioni, convinto di essere inseguito da qualcuno che voleva ucciderlo, invocava aiuto in Borgo San Frediano, nel cuore del suo quartiere.
Appena pronunciata la sentenza, la madre di Magherini è scoppiata in lacrime. In aula c’erano anche il padre e il fratello dell’ex calciatore. Presente anche Ilaria Cucchi.
I tre carabinieri condannati, per il giudice, sono i responsabili, “in cooperazione colposa tra loro”, della morte del quarantenne.
In pratica i tre militari hanno concorso a determinare la morte di Magherini “per arresto cardiocircolatorio per intossicazione acuta da cocaina associata ad un meccanismo asfittico”.
Il giudice, nel dispositivo, spiega infatti che i tre carabinieri una volta giunti sul posto, “dopo averlo non senza difficoltà  immobilizzato e ammanettato” hanno causato la morte di Magherini tenendolo “prono a terra”, in “situazione idonea a ridurre la dinamica respiratoria” per un tempo di almeno un quarto d’ora.
Assolti invece il quarto militare Davide Ascenzi, e i due volontari, Claudia Matta e Jannetta Mitrea, “per non aver commesso il fatto”.
Per lo stesso motivo il giudice ha dichiarato ascritto il reato anche per il terzo volontario della Croce Rossa, Maurizio Perini, all’inizio del procedimento anche lui imputato, ma deceduto nel frattempo.
I tre militari sono stati condannati anche al pagamento delle spese legali sostenute dalle parti civili per il 30% (2.200 euro) per ogni difensore, e al rimborso delle spese generali.
Il restante 70% delle spese del giudizio saranno compensate tra le parti.
Il pm Luigi Bocciolini, aveva chiesto la condanna a nove mesi per omicidio colposo. Per Corni, accusato anche di percosse per uno o due calci sferrati all’arrestato mentre era a terra ammanettato, era stata chiesta una ulteriore pena di un mese. Il giudice Bilosi ha però dichiarato il non doversi procedere nei confronti di Corni per l’accusa di percosse.
Secondo Bocciolini, fino al momento in cui l’ex calciatore, padre di un bambino di due anni e non ancora quarantenne, fu bloccato, i carabinieri non violarono le regole. Ma poi averlo tenuto ammanettato a pancia in giù a lungo, per quasi mezz’ora, in una posizione che gli impediva di respirare regolarmente, fu “una condotta contraria non solo a una circolare che raccomandava di sollevare da terra i fermati in stato di agitazione, ma anche al semplice buon senso”.
Il pm ritieneva che Riccardo fosse stato colpito dalla Sindrome del delirio eccitato, per effetto della cocaina, ma che non sarebbe morto se gli fosse stato consentito di respirare.

(da “La Repubblica”)

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E’ MORTO PROVENZANO, IL BOSS DEI BOSS ERA MALATO DA TEMPO

Luglio 13th, 2016 Riccardo Fucile

LO “SCRITTORE” CHE INFILTRAVA LA MAFIA NELLO STATO

In principio era per tutti “u tratturi”, il trattore, capace di arare nemici come fossero distese a grano ai piedi della Busambra, la rocca di Corleone che inghiottiva gli scomparsi.
Poi, nel tempo, pentito dopo pentito, della sua capacità  di sparare, della sua crudeltà  in azione, nessuno sembrò più ricordare molto.
Allora divenne il “ragioniere”, lo stratega sottile che teorizzava la “sommersione” dell’organizzazione.
Il manager che disciplinava l’accesso delle imprese alle opere pubbliche, il contabile che teneva a mente le entrate per la “messa a posto”, il pizzo, del grande commercio, gli iper e i super mercati.
Per se stesso, per i suoi investimenti, per i suoi interessi, ha avuto l’occhio lungo sulla sanità .
Cominciò già  a metà  degli anni Settanta con le forniture ospedaliere. Per trovarsi in mano le chiavi, attraverso uno stuolo di teste di legno, capeggiate dal nipote, di un poker di società  che avevano sede tutte nello steso stabile della Palermo del boom edilizio.
A metà  degli anni Ottanta quel sistema di potere scandagliato da un rapporto dei carabinieri, firmato dall’allora capitano Angiolo Pellegrini, era già  molto più che una radiografia di una holding solida che aveva ben piantato i piedi nella Palermo della spesa pubblica e delle professioni.
Ma, nel mito di Riina, che lasciava in ombra i suoi gregari, nessuno volle preoccuparsi molto di quelle aziende che avrebbero portato a svelare una rete di relazioni imbarazzanti per la città  silente.
Accadde soltanto dopo più di vent’anni, quando si scoprì che la più importante struttura per la radioterapia oncologica era di un suo protetto, lui dice vessato. L’ingegnere Michele Aiello era l’imprenditore che a suon di investimenti massicci, varianti di destinazione d’uso lampo e una schiera di amici nelle forze dell’ordine aveva impiantato un sistema formidabile per decidere lui il prezzo delle prestazioni in convenzione pagate dall’Asl.
Totò Cuffaro il presidente della Regione aveva messo il timbro alla irresistibile scalata del primo contribuente di Sicilia. Dietro il quale c’era proprio il “ragioniere” Provenzano.
Per farlo operare a Marsiglia si era mobilitato il fior fiore degli uomini d’onore. In una catena di solidarietà  che, sospetta la famiglia, ha portato ad una messinscena per l’omicidio dell’urologo Attilio Manca
Di Cosa nostra, regnando formalmente il capo designato, Totò Riina, non è mai stato il numero uno. L’eterno secondo, il generale prudente, pronto alla guerra, a condividerne gli scopi coltivando in segreto l’arte della mediazione.
Per questo nel cuore di molti uomini d’onore era lui il modello al quale fare riferimento: poco sangue, molti affari. Perchè nel silenzio delle armi lo Stato si distrae e i picciotti ingrassano al sicuro.
Il più longevo latitante di Cosa nostra, un fantasma inafferrabile per 43 anni. Il manager rozzo e incolto, che infarciva la prosa dei suoi “pizzini” di immancabili citazioni bibliche e oblique benedizioni, ricomparve la mattina dell’11 aprile del 2006 a Montagna dei Cavalli, una manciata di chilometri da Corleone.
Stava vicino alla sua famiglia, la moglie Saveria Benedetta Palazzolo, la camicia di Cinisi che non ha mai veramente sposato e i figli, Angelo e Francesco Paolo , rimasti al riparo da processi e condanne.
La delusione fu grande per chi immaginava che un padrino del suo calibro vivesse in chissà  quale reggia.
Prima una manina, colta al volo da un binocolo della squadra dei cacciatori di Renato Cortese, poi a figura intera, Provenzano si mostrò per quel che era: un anziano dallo sguardo mobilissimo, di studi modesti e vita frugale, capace però di amministrare un impero.
Sibilò qualcosa tipo: non vi rendete conto, alludendo alla sua fine e a quel che ne sarebbe conseguito. Un’intercettazione aveva messo sulla pista giusta: “Iddu, ca è?”, “lui qui è?”, aveva chiesto sorpreso il fratello ai familiari. Con la certezza che si trovasse a Corleone, passo dopo passo fu ricostruita la catena dei pacchi di sussistenza che arrivavano dalla casa della moglie al rifugio del latitante.
Attento a non minare il ruolo formale di Riina, dopo averne condiviso la scelta stragista del 1992, Provenzano si è fatto interprete della linea moderata, del ritorno all’antico, di una Cosa nostra che non prova a far la guerra allo Stato ma tratta e media, incassando impunità  e dispensando pace sociale apparente. Ecco perchè c’era ancora lui alla sbarra nel processo di Palermo per la trattativa Stato-mafia.
Per due volte sfuggì alla cattura quando un confidente, Luigi Ilardo, aveva spifferato di un summit nelle campagne di Mezzojuso. Il blitz non ci fu e Provenzano rimase latitante per altri 11 anni
Quella sua abitudine di scrivere –   “lo scrittore”, disprezzando la scelta di lasciare una così gran quantità  di tracce, lo chiamava Riina – quei fogli scritti a macchina e ripiegati, il codice escogitato per camuffare i nomi dei complici, è ancora oggi un archivio straordinario per comprendere i percorsi dei suoi ordini e la rete vasta dei suoi interessi.
Il suo testamento criminale, ancora in parte da decifrare per aprire lo scrigno dei segreti che ha portato con sè.

(da “La Repubblica”)

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“SELFIE NOTTURNI COL BAMBINO IN BRACCIO DI CHI CHIAMA NOI GIORNALISTI SCIACALLI”: LO SFOGO DEL CRONISTA

Luglio 13th, 2016 Riccardo Fucile

E SU FB INSULTI ALLE VITTIME: “VENTI TERRONI DECEDUTI, NON SONO TANTI MA SEMPRE MEGLIO DI NIENTE”…. QUESTA FECCIA VA PRELEVATA A CASA DALLE FORZE DELL’ORDINE E FATTA MARCIRE IN GALERA

“No, non siamo parenti, siamo solo venuti a vedere la scena per fare qualche foto da avere sul telefonino. Un fatto così quando ricapita più”. A scrivere è Antonio Loconte, un giornalista di Qi-Il Quotidiano italiano Bari, che sta facendo il suo lavoro di cronista dal luogo dell’incidente
Scrive sul suo gironale
La storia è sempre quella: i giornalisti sono sciacalli, ma non si può fare a meno della loro faccia tosta per portare alla luce storie e fatti altrimenti sepolti, in questo caso dalle lamiere accartocciate dei due convogli pieni di pendolari: studenti, pensionati, operai. Gente comune pronta a un’altra levataccia, mentre quelli con la pancia piena un treno come quello non sanno neppure com’è fatto.
Dopo dodici ore sul luogo del disastro, al palazzetto dello sport e all’ospedale di Andria, dove altra gente comune prestava soccorso ai feriti, vedendo morire i più gravi, intorno alle 23 ho assistito a una scena altrettanto difficile da dimenticare.
Il suo racconto continua. Mentre cercavano la macchina di un collega, ecco che vedono due autovetture. Sono parenti, amici di qualche disperso?
È a quel punto che inizia il dialogo di un tempo che non appartiene neppure a noi “sciacalli”. Siete parenti? mi dispiace profondamente per quanto è successo, spero riusciate ad avere presto buone notizie. L’approccio è quello di chi non aveva visto altro che morti e feriti, lacrime e disperazione.
L’uomo, con un sorriso beffardo, risponde come se stesse andando a vedere al cinema un film su un incidente ferroviario: “No, non siamo parenti, siamo solo venuti a vedere la scena per fare qualche foto da avere sul telefonino. Un fatto così quando ricapita più”. Avrei voluto dargli un pugno in faccia, invece, non ho avuto neppure la forza di rispondere. Mi sono consolato con l’immagine della mamma trovata abbracciata alla figlia nell’ultimo tentativo di strapparla alla morte. Non ce l’hanno fatta entrambe, insieme ad un’altra trentina di persone. Sarò anche uno sciacallo, ma dopo aver fatto il mio lavoro, dopo aver cercato di raccontare il disastro in maniera rispettosa e appassionata, le foto dal mio telefonino le ho cancellate
Ma su Facebook c’è c’è anche chi insulta le vittime: “Venti terroni deceduti, 35 feriti gravi. E’ questa la grande notizia che ho appena sentito Venti non sono tanti ma sono pur sempre meglio di niente”.
E’ il post choc apparso su Facebook sotto l’account di Giorgio Cutrera e contro il quale le volontarie del Ser di Corato, le prime a prestare soccorso sul luogo del disastro ferroviario, si scagliano furibonde mentre prendono parte ai soccorsi. “Non sono morti venti terroni, sono morti venti italiani come te. Vergognati. Sei tu che non meriti di essere vivo”, si indigna Enza, commentando il messaggio arrivato via web.
Ma come sempre in Italia, questa feccia bastarda non viene prelevata a casa e fatta marcire in galera.

(da “Huffingtonpost“)

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