Luglio 28th, 2016 Riccardo Fucile
IL BOSSIANO DEL RE CACCIA O SOSPENDE 25 ISCRITTI TRA CUI ANTONIO MONDARDO, CAPO DEL PARTITO A VICENZA CHE, PRESO DALLO SCONFORTO, SI E’ TAGLIATO LE VENE, SALVATO, ORA E’ A PSICHIATRIA
Dramma sfiorato nella casa leghista del Veneto, dove sono tornate le “purghe” che ai tempi del segretario Flavio Tosi falcidiarono gli oppositori.
Nell’era del nuovo leader, il bossiano Toni Da Re, invece, in un sol colpo sono state decretate una quindicina di espulsioni e una decina tra sospensioni e richiami, con il risultato che il segretario vicentino Antonio Mondardo, sfiduciato dal consiglio nazionale, preso da sconforto si è tagliato le vene.
Salvato grazie al provvidenziale allarme lanciato dalla moglie, non è in pericolo di vita, ma rimane ricoverato in ospedale profondamente scosso.
Che nella Liga Veneta ci fosse aria di regolamento di conti dopo la tornata delle amministrative lo si sapeva da tempo.
Ma nessuno sospettava che avrebbe assunto tali dimensioni e avrebbe avuto un epilogo quasi drammatico.
La riunione si è tenuta a Noventa Padovana dove si è recato anche Mondardo, 51 anni, che non solo era segretario a Vicenza, ma riveste anche il delicato incarico di tesoriere del partito.
Suo malgrado ha dovuto fare i conti con i regolamenti interni e con la linea dettata dal presidente Massimo Bitonci (sindaco di Padova) e dal segretario Toni Da Re (già sindaco di Vittorio Veneto).
Mondardo, che fa il commercialista, ha un passato di tutto rispetto nella Lega: è stato sindaco di Grancona, vicepresidente della Provincia di Vicenza e consigliere d’amministrazione di Poste italiane.
Un mese fa aveva dovuto ingoiare un rospo, quando Da Re e Bitonci avevano nominato vicesegretario-vicario del Veneto Paolo Franco, un vicentino da sempre rivale di Mondardo. L’aveva preso come un affronto personale e politico.
Per protesta si era dimesso da segretario, poi ci aveva ripensato, ritirando la lettera. Troppo tardi. Perchè in base allo statuto del partito le dimissioni presentate vanno accolte.
Il consiglio nazionale, quindi, ha preso atto della situazione e dichiarato Mondardo decaduto dalla segreteria.
Dopo tanti anni di militanza, forse si attendeva un epilogo diverso, anche se Da Re ha tentato un’ultima mediazione.
Mondardo, secondo quanto racconta Il Mattino, è andato a casa, a Grancona, ha telefonato alla moglie che era all’estero e le ha manifestato il suo profondo abbattimento.
La donna ha capito e ha dato l’allarme: si era tagliato le vene, ma è stato soccorso e operato. Adesso è sotto osservazione nel reparto di Psichiatria, fuori pericolo, ma visibilmente scosso. “Un fatto tristissimo, spero che l’amico Antonio si riprenda completamente e al più presto” ha commentato il presidente del consiglio regionale, Roberto Ciambetti.
La lunga notte delle purghe non è finita qui.
Il consiglio nazionale ha commissariato la segreteria di Vicenza, affidandola all’ex assessore regionale all’agricoltura Franco Manzato (uomo di cui Da Re si fida ciecamente).
Una quindicina le espulsioni: 6 a Padova, 4 a Verona, un paio nel Veneto Orientale e altrettante a Treviso. Una decina le sospensioni o i richiami.
E’ l’effetto di comportamenti tenuti in campagna elettorale e ritenuti non ortodossi da un partito che fin dai tempi di Bossi ha chiesto fedeltà ai propri aderenti.
A farne le spese, a Padova, è stato Tiberio Businario, sindaco di Carceri, arrivato al secondo mandato. E’ anche vicepresidente della società di raccolta rifiuti Padova Tre. Lo ha saputo da un sms e, infuriato, dichiara: “Mi hanno cacciato, senza sentirmi, per dichiarazioni alla stampa, critiche espresse sulla gestione del consorzio, non del partito. Farò ricorso al Federale”.
Era stato lui, assieme agli altri amministratori, a parlare di buchi di bilancio.
Mandato via anche l’ex segretario della circoscrizione di Treviso, Enrico Chinellato, troppo vicino al sindaco-sceriffo Giancarlo Gentilini, entrato ormai in rotta di collisione con il nuovo corso della Lega.
Galeotta una cena, a marzo, dove secondo l’accusa Gentilini sarebbe stato sobillato a prendere posizione contro i vertici del partito, il capogruppo comunale Mario Conte e l’ex assessore Mauro Michielon, già consigliere d’amministrazione di Poste Italiane. Un video della serata finì anche alla stampa. E a pagare il conto è stato Chinellato.
Il segretario Da Re assicura: “Non ci saranno altre espulsioni, quella di Chinellato è dovuta a una serie di comportamenti culminati con la cena di marzo. Abbiamo aspettato per prendere dei provvedimenti perchè Salvini ci aveva chiesto di rimandare a dopo le amministrative. La decisione è all’unanimità . Il messaggio è chiaro: dopo due anni di anarchia, non è più possibile fare quello che si vuole. Chi va sulla stampa o sui social e spara contro il movimento è fuori”.
Insomma, pugno di ferro. E Gentilini gli fa da controcanto: “Questi metodi dittatoriali non mi piacciono, sono degni dei bolscevichi che spedivano in Siberia chi non la pensava come loro. Nessuno mi ha mai sobillato, nemmeno quando parlavo di leprotti, panchine e confini blindati”.
Giuseppe Pietrobelli
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: LegaNord | Commenta »
Luglio 28th, 2016 Riccardo Fucile
LEI SE LA PRENDE CON LA GESTIONE DELL’AMA
Tra le 200 e 300 tonnellate di rifiuti a terra presenti ‘a macchia di leopardo’ in tutta la Capitale.
È la fotografia scattata da Ama che inserisce questa stima nel piano operativo inviato ieri al Campidoglio e all’assessore all’Ambiente Paola Muraro.
“In alcune postazioni di cassonetti l’accumulo di rifiuti a terra è stimato in circa 2-300 tonnellate presenti “a macchia di leopardo” sul territorio cittadino” si legge nel documento, in cui si dice che l’iniziativa messa in campo, con la normalizzazione del conferimento dei rifiuti negli impianti Tmb e la copertura ed il completamento dei servizi come da Contratto “si completerà entro il 20 agosto” concludono da Ama.
Il sindaco di Roma Virginia Raggi chiama in causa le precedenti gestioni di Ama, di fronte alla crescente emergenza rifiuti. “Siamo già prendendo dei provvedimenti perchè è evidente che la responsabilità della gestione dei rifiuti, dello spazzamento delle strade è di chi ha governato Ama fino ad oggi”, ha detto commentando la situazione della capitale.
“Noi stiamo iniziando a prendere adesso in mano la situazione – ha spiegato – e faremo tutto quanto possibile per far tornare Roma una città pulita”.
ul fronte governativo il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti ha lanciato un attacco al primo cittadino di Roma: “Io credo che il sindaco Raggi debba spiegare ai cittadini romani ma anche al ministero come intende gestire il ciclo completo dei rifiuti. Sinceramente io non l’ho ancora capito e questo mi preoccupa”, ha spiegato. “Chiaramente – ha detto – la risposta nel medio periodo non possono essere le discariche. Le discariche sono quanto di più ambientalmente scorretto e ci espongono a sanzioni Ue”.
“Vorrei sapere, e lo dico da ministro -ha detto – come intende risolvere il problema dei rifiuti a Roma. Un problema ormai visibile per chi gira per la città . Vorrei conoscere il piano nel breve periodo, e il piano nel lungo periodo. Perchè credo che questo stia diventando un problema per tutta l’Italia. Perchè parliamo della capitale e quello che capita a Roma è un problema di tutti gli italiani”.
“Le mie porte – ha concluso – sono sempre aperte, per qualsiasi confronto, lo rinnovo al sindaco Raggi”.
(da “Huffingtonpost“)
argomento: Roma | Commenta »
Luglio 28th, 2016 Riccardo Fucile
LA BANCA SALVATA CON SOLDI PUBBLICI PENSA DI CHIUDERE 200 FILIALI
Lloyds Banking Group ha annunciato che accelererà il piano di taglio dei costi per far fronte al clima economico più incerto e a una probabile picchiata della domanda di finanziamenti a seguito della decisione britannica di abbandonare l’Unione europea.
La maggiore istituzione finanziaria del Regno Unito dedicata all’attività di banca comemerciale ha presentato un piano per risparmiare 400 milioni di sterline entro la fine del prossimo anno.
Un piano che passa anche da altri 3mila tagli di personale, oltre a 200 filiali da chiudere.
Nei mesi passati, la banca guidata dall’ad Antonio Horta-Osà³rio – alla ricerca di un modo per distribuire ritorni economici agli azionisti e di render profittevole l’attività di erogazione del credito – aveva già annunciato il taglio di circa 4mila posizioni tra i suoi 75mila dipendenti.
Oltre a questi sviluppi, Lloyds ha pubblicato i conti del primo semestre dell’anno.
La banca salvata con oltre 20 miliardi di sterline dei contribuenti – durante la crisi finanziaria – è stata anche la prima a uscire allo scoperto dopo il referendum di poco più di un mese fa.
Il gruppo ha raddoppiato l’utile netto nel primo semestre e ha confermato che riuscirà a far fronte all’incertezza generata dal divorzio da Bruxelles. .
Quel che preoccupa i mercati sono piuttosto le svalutazioni, che vanno a erodere il buon lavoro fatto sul margine d’interesse e gettano qualche ombra sulla qualità del credito per il futuro.
(da “La Repubblica”)
argomento: Europa | Commenta »
Luglio 28th, 2016 Riccardo Fucile
DA INCONTRO INTERNAZIONALE DI ALTO LIVELLO CULTURALE A SUPERMARKET DEL LIBRO CON PURI SCOPI MERCANTILISTICI
E’ sicuramente una sconfitta per Torino, ma, altrettanto sicuramente, non è una vittoria per Milano. Soprattutto quando miopie imprenditoriali si coniugano con modeste e provinciali visioni strategiche delle classi politiche, nazionali e locali.
‘effetto è quello di un pessimo segnale non solo per la cultura italiana, ma per le ambizioni e il futuro di un Paese come il nostro.
Proprio per sfuggire a una disputa campanilistica che, in un mondo come quello d’oggi, sarebbe davvero ridicola, la decisione della maggioranza degli editori italiani di abbandonare un incontro internazionale di alto livello culturale come è stato, per quasi 30 anni, il Salone di Torino, per costruire una specie di supermarket del libro, a puri scopi mercantilistici, va additata come un amaro esempio di un collettivo gioco al ribasso.
Una tentazione che purtroppo, ormai da tempo, contrassegna la nostra classe dirigente.
Gioco al ribasso degli editori, innanzi tutto. I quali, sull’onda di un ostinato risentimento personale del loro presidente, sentitosi non sufficientemente considerato dai passati organizzatori della manifestazione, hanno voluto gabellare la partecipazione a una vetrina della cultura con una fiera del mercato del libro.
Scelta la cui visione e strategia imprenditoriale si commenta da sola, se pensiamo, appunto, che proviene da quel mondo, ma che è stata pure penosamente giustificata con un divario di spesa di 400 mila euro, tanta era la differenza fra gli affitti dei locali tra Torino e Rho.
Al gioco al ribasso degli editori si è aggiunto quello della classe politica milanese.
La capitale lombarda si autodefinisce, non senza ragioni, l’unica città europea d’Italia; ma la responsabilità di coloro che la guidano è di dimostrarlo nei fatti e non solo nelle ambizioni.
Se la pretesa di giocare un ruolo significativo in ambito almeno continentale si riduce alla volontà di «scippare» il Salone del libro a Torino, contrapponendo due manifestazioni sullo stesso tema a meno di 150 chilometri di distanza, tale speranza sembra pura illusione, proprio per la mediocrità degli obiettivi.
Con la scelta della Brexit, per Milano, si dovrebbero aprire ben altre prospettive in campo europeo.
Sindaco e amministratori locali dovrebbero alzare lo sguardo e cercare di inserire la loro città nel flusso di attività finanziarie ed economiche che, da Londra, si appresta a dirigersi verso Francoforte o Berlino.
Sarà sul quel terreno che si giocherà davvero l’ambizione, da parte milanese, di esercitare un ruolo non marginale in Europa.
Proprio in questa direzione dovrebbe spingerla pure una classe politica nazionale, consapevole dei ridotti limiti e delle modeste forze che l’Italia può mettere in campo per competere in ambito continentale e, perciò, decisa a sostenere, con fermezza, i pochi patrimoni nazionali e individuare, con sagacia, terreni e giocatori più adatti per sperare di vincere almeno qualche partita.
Da questi ultimi protagonisti, infine, si è condotto il terzo gioco al ribasso su questa vicenda del Salone del Libro.
Il governo, infatti, si è mosso con sconcertanti incertezze, tiepidezze incomprensibili e maldestre ritirate, tutt’altro che strategiche.
I ministri Franceschini e Giannini erano così convinti della difesa del Salone a Torino, riconoscendone l’importanza come unica manifestazione italiana con la trentennale esperienza di un grande incontro tra editori, lettori e uomini di cultura di tutto il mondo, da impegnare i loro ministeri come soci della Fondazione che organizza tale Salone.
Ora, non si capisce la saldezza di questa fiducia, nè la coerenza dei successivi comportamenti, se il risultato finale è quello di una loro clamorosa sconfessione e, quindi, di scelte che appaiono in totale contraddizione rispetto alle loro (presunte?) intenzioni.
La gravità di quanto è avvenuto sulle sorti del Salone del Libro è accentuata proprio dal valore che alla cultura italiana è ancora riconosciuto in ambito internazionale.
E’ questo il campo sul quale possiamo vantare un’eccellenza indiscutibile. E’ questo il campo sul quale possiamo pensare di competere con grande successo.
Ma se questi sono i protagonisti, se queste sono le decisioni di una classe politica e dirigente che dovrebbe tirare fuori l’Italia dalle miserie di corporativismi imprenditoriali, di campanilismi provinciali, della ricerca equilibristica di consensi politici ed elettorali, sono proprio poche le speranze che, in futuro, il nostro Paese conti ancora qualcosa nel mondo.
Luigi La Spina
(da “La Stampa“)
argomento: Libri | Commenta »
Luglio 28th, 2016 Riccardo Fucile
ALLA BASE DI DUE ARRESTI NEL SAVONESE PER SOSPETTO TERRORISMO UNA FOTO CHE AVREBBE RITRATTO UNA COMBATTENTE DELL’ISIS: MA ERA SOLO UN’ATTRICE INDIANA SUL SET
Non una combattente, tantomeno dell’esercito del califfo, ma una nota attrice indiana di Bollywood, Minissha Lamba, ritratta con il mitra in mano nella scena di un film: una foto presa dal suo profilo Facebook.
E’ l’immagine, finita probabilmente per errore via Whatsapp sul cellulare di una ragazza di Andora e partita dal cellulare di un marocchino messo sotto intercettazione dalla Procura di Genova.
L’operazione ha portato ieri all’arresto di Rafik e Abdelfettah Mezzouari, due fratelli marocchini residenti a Castelbianco, nell’entroterra di Albenga, accusati di traffico di droga, mentre una terza persona resta indagata.
L’immagine da cui è scaturita l’indagine, secondo quanto riporta il sito Genova24 e come si può accertare su Facebook, non è però di una combattente islamista ma di un’attrice indiana.
Le intercettazioni, peraltro, hanno permesso di accertare i contatti tra cinque marocchini tutti residenti tra Albenga, Ceriale e Castelbianco.
Da qui, le successive indagini della Polpost ligure, coordinata dal Servizio polizia postale e delle comunicazioni.
La Procura distrettuale antiterrorismo di Genova ha emesso i provvedimenti di perquisizione eseguiti dagli uomini della Sezione polizia postale e delle comunicazioni di Imperia, unitamente a quello della Digos e della Squadra mobile della questura di Savona e l’ausilio di una Unità cinofila della polizia di Stato di Torino, presso le abitazioni dei tre marocchini, dove sono stati trovati e sequestrati telefoni cellulari che saranno ora sottoposti ad analisi tecniche più approfondite, che però hanno già evidenziato la presenza di ulteriori profili e siti in lingua araba utilizzati dagli indagati, adesso al vaglio degli investigatori.
(da “La Repubblica”)
argomento: Attentato | Commenta »
Luglio 28th, 2016 Riccardo Fucile
ANCHE IL SECONDO ATTENTATORE, 19 ANNI, AVEVA TENTATO DI ARRUOLARSI IN SIRIA ED ERA RITENUTO “A RISCHIO”
Si era radicalizzato e i servizi francesi lo sapevano, l’avevano schedato poco meno di un mese fa, il 29 giugno: anche per lui era stato aperto un file e apposta la lettera ‘S’, quella dei radicalizzati a rischio di passare all’azione.
Il 19enne Nabil Abdel Malik Petitjean, formalmente identificato, è uno dei due attentatori della chiesa di Saint-Etienne-de-Rouvay, il complice di Adel Kermiche.
Le indagini stanno mettendo in luce un’altra falla dei servizi di sicurezza francesi, anche il secondo terrorista era finito sotto il radar dell’antiterrorismo. Non è bastato.
Solo quattro giorni prima dell’omicidio nella chiesa, l’unità di coordinamento della lotta antiterrorista (Uclat) aveva diffuso una nota nella quale affermava di aver ricevuto, da un servizio straniero, un’informazione su un individuo “che sarebbe pronto a partecipare a un attentato sul territorio nazionale”, la segnalazione non aveva un nome ma una foto, quella di Abdel Malik Petitjean.
Nessuno però ha messo in collegamento la foto con il nome.
Al contrario di Kermiche, con il quale ha sgozzato l’anziano parroco, l’86enne padre Jacques Hamel, e ridotto una seconda persona in fin di vita, Abdel Malik Petitjean non aveva condanne a suo carico. Nè impronte digitali registrate o foto segnaletiche. Era conosciuto dalla polizia per aver tentato di raggiungere la Siria nel 2015 e arruolarsi nell’esercito del Califfato passando per la Turchia.
Ci sono circa 10.500 persone radicalizzate o a rischio di esserlo in Francia, ha fatto sapere il governo.
Fermato 20enne schedato con lettera ‘S’.
Intanto un francese schedato con la lettera S’ e partito in Turchia con Abdel Malik Petitjean è stato posto in stato di fermo, riferiscono fonti vicine all’inchiesta citate da BFM-TV, precisando che il fermato ha 20 anni ed è attualmente interrogato nel quartier generale dell’ antiterrorismo a Levallois-Perret, alle porte di Parigi. “Nulla prova al momento che fosse al corrente” dell’attentato in Normandia, precisa la fonte.
Il complice.
Della coppia, Kermiche, anche lui francese di 19 anni, si trovava agli arresti domiciliari e al momento dell’attentato indossava un braccialetto elettronico. Era stato rilasciato a marzo. Di lui si sa anche che soffriva di disturbi psichici fin dall’infanzia, che era stato costantemente seguito da psicologi fin dall’età di 6 anni e che a 12 anni era stato espulso da scuola per “disturbi comportamentali”: nella scheda la definizione “soggetto iper-attivo”.
I messaggi online.
“Prendi un coltello, vai in una chiesa e fai una carneficina. Tagli due o tre teste, poi è finita”, si sente in uno dei messaggi audio inviati via Telegram da Kermiche e rivelati in esclusiva dal settimanale L’Express.
La sua foto del profilo è l’immmagine del califfo dell’Is Baghdadi, l’invito ai suoi contatti quello di imitarlo. Il killer evocava inoltre la facilità con cui si possono reperire armi da fuoco. Il giorno dell’attentato, scrive ancora L’Express, Kermiche scrive un nuovo messaggio invitando a “condividere ciò che seguirà “. Poi si connette un’ultima volta alle 9:46, qualche minuto dopo essere entrato nella chiesa, ma non pubblica niente.
La segnalazione degli 007 turchi.
Individuato dall’intelligence della Turchia il 10 giugno scorso, Nabil Abdel Malik Petitjean era stato segnalato 15 giorni dopo ai servizi di intelligence transalpini (Dgsi) e schedato con la lettera “S” degli individui a rischio il 29 giugno.
Una procedura che al suo rientro avrebbe dovuto permettere di far scattare immediatamente l’allarme e consentire di fermarlo in tempo.
Il problema è stato che il futuro attentatore della chiesa di Saint-Etienne-du Rouvray era già rientrato tranquillamente in Francia dall’11 giugno, prima ancora, dunque, che venisse inserito nella blacklist della radicalizzazione.
Gli 007 francesi pensavano che fosse ancora in Turchia o in Siria e invece era già rientrato pronto a colpire in chiesa insieme al complice di morte Adel Kermiche.
Consiglio musulmani: “Domenica in chiesa per solidarietà “.
Un invito ai propri fedeli di recarsi domenica a messa per “solidarietà e compassione”, dopo “il vile omicidio” di un sacerdote, è stato rivolto dal Consiglio francese per il culto musulmano (Cfcm), massimo organo di rappresentazione della comunità islamica in Francia.
Il Cfcm ha inoltre chiesto alle 2.500 moschee del paese di “approfittare del sermone di venerdì per sottolineare il ruolo preponderante che svolge nell’Islam il rispetto per le altre fedi, così come per i loro rappresentanti”.
La condanna dell’Iran.
Oggi anche l’Iran ha condannato l’omicidio del prete, facendo un paragone con la decapitazione di un bambino in Siria da parte dei ribelli fondamentalisti islamici a metà luglio. Lo ha riportato l’agenzia di stampa ufficiale Irna. “Tali azioni selvagge e abominevoli sono riprovevoli, indipendentemente da dove avvengano”, ha dichiarato Bahram Ghassemi, portavoce del ministero degli affari Esteri. “Noi condividiamo la tristezza di tutti (…) Di fronte a queste azioni disumane, brutali e detestabili…”. L’Iran sostiene politicamente e militarmente il regime del presidente Assad e considera “terroristi” tutti i gruppi ribelli siriani.
(da “La Repubblica”)
argomento: Attentato | Commenta »
Luglio 28th, 2016 Riccardo Fucile
AGEVOLAZIONI, DETRAZIONI, SCONTI, LEGGINE AD HOC: PARTE IL NUOVO FINANZIAMENTO PUBBLICO
Aiutare con la beneficenza le popolazioni martoriate dalla guerra è un gesto di grande generosità . Ma supportare un partito che rischia la sopravvivenza lo è ancora di più e merita quindi un incentivo ulteriore, anche fiscalmente.
Non è una battuta: è quello che prevede la legge.
Ed è soltanto un aspetto, forse il più evidente ma non l’unico, di una intricata rete di agevolazioni, norme ad hoc e autentici privilegi che la politica ha steso attorno a sè dal punto di vista tributario e non.
In questo modo, sebbene il 31 dicembre i rimborsi elettorali cesseranno di esistere una volta per tutte, i partiti potranno continuare a contare su tante forme di finanziamento meno visibili ma comunque consistenti, come ricostruisce l’ultimo dossier Openpolis che “l’Espresso” presenta in anteprima.
Un fiume carsico che si inabissa e scompare dalla vista ma seguita a scorrere sotto traccia e a far affluire preziose risorse nei forzieri.
Un fisco amico: sventolato dai governi di ogni colore, il grande sogno di rendere il pagamento delle tasse semplice e magari anche “sexy” (come osò affermare Romano Prodi) si è puntualmente infranto contro una pressione crescente e una burocrazia poco permeabile al cambiamento.
Ma per cittadini e imprese che scelgono la politica un occhio di riguardo c’è sempre.
Come le erogazioni liberali, che godono di condizioni di estremo favore: una detrazione del 26 per cento fino a un contributo massimo di 30 mila euro (cioè 7.800 euro).
Un privilegio che non è senza conseguenze per le casse dello Stato: 27,4 milioni nel 2015 e 15,7 nel 2016 in termini di minori entrate, secondo le stime del Tesoro.
E c’è pure da ringraziare, perchè fino al 2012 finanziando un partito ci si poteva detrarre fino a 20 mila euro. Poi Mario Monti ha fissato un tetto alle donazioni di 10 mila euro. Una somma ritenuta troppo bassa: e così col governo Letta, per rendere meno amara la pillola, la legge che ha eliminato i rimborsi elettorali ha triplicato la soglia.
Un trattamento tanto sfacciatamente benevolo che con l’ultima legge di stabilità , dopo le proteste del terzo settore per l’evidente disparità e la concorrenza sleale nei confronti di chi si impegna nel sociale, questo regime è stato esteso anche alle onlus.
Per tutti gli altri casi, però, nulla da fare, per quanto encomiabili possano essere le finalità .
Ad esempio, come recita il vademecum dell’Agenzia delle entrate, chi vuole aiutare «le popolazioni colpite da calamità pubbliche o da altri eventi straordinari», tipo i rifugiati siriani che scappano dalla guerra o i nepalesi alle prese con la ricostruzione dopo il terremoto, deve accontentarsi di scaricare dalla dichiarazione dei redditi non più di 400 euro scarsi: ovvero il 19 per cento di 2.065,83.
Certo, non tutti possono avere la voglia nè la sufficiente disponibilità per dare un sostegno.
Ma non c’è problema, perchè l’importante è soprattutto partecipare (economicamente). Per chi non vuole indulgere al mecenatismo c’è infatti il 2×1000, l’ideale per il contribuente tiepido o poco motivato, dal momento che i soldi provengono dal prelievo Irpef e quindi andrebbero comunque allo Stato.
Un meccanismo bistrattato per il flop degli esordi: nel 2014 lo scelsero in appena 17 mila, furono distribuite soltanto le briciole e tutti ironizzarono sulla crisi verticale della politica, incapace di farsi finanziare anche quando il cittadino non deve mettere denaro di tasca propria.
L’anno scorso però i partiti si sono organizzati e hanno evidentemente svolto una capillare opera di informazione e propaganda, perchè i contribuenti che se ne sono avvalsi hanno superato il milione.
E a conferma di quanto il radicamento e la militanza possano ancora avere un peso, in particolare in tempi di magra, non è una casualità che la parte del leone l’abbiano fatta il Pd (che con 600 mila “voti” ha incassato oltre metà del montepremi) e il Carroccio.
Solo che stavolta si è verificato il problema opposto, dal momento che il plafond da 9,6 milioni era insufficiente rispetto ai soldi da ripartire.
Di conseguenza tutti i partiti sono stati costretti a sacrificare una parte delle risorse a loro destinate. Una rinuncia che tuttavia non dovrebbe verificarsi mai più: quest’anno sul piatto ci sono 30 milioni e il prossimo 45. Quando si dice la lungimiranza.
Senza più quella pubblica, è inevitabile che la mano al portafogli dovranno metterla anche i politici.
Come d’altronde in parte già avviene: il condizionale è d’obbligo ma in base alle regole interne un parlamentare di Forza Italia dovrebbe versare al “nazionale” 800 euro al mese, uno del Pd 1.500, i leghisti tremila e quelli di Sel 3.500 (tutti prevedono cifre più basse per gli amministratori locali)
Sulla base delle dichiarazioni depositate nella Tesoreria di Montecitorio, “l’Espresso” ha calcolato che nel 2015 fra strutture centrali e federazioni territoriali i partiti hanno ricevuto dai loro esponenti, eletti ai vari livelli, 20 milioni: una dozzina abbondante sono andati al Pd, tre alla Lega, uno e mezzo a testa a Forza Italia e Sinistra ecologia libertà , e via di questo passo.
Ebbene, grazie a una interpretazione estensiva della legge tutti questi versamenti sono considerati erogazioni liberali (ovvero donazioni spontanee) anche quando sono obbligatori per statuto.
In tal modo l’onorevole di turno – che già non paga le tasse su diaria (42.036 euro l’anno), rimborso per l’esercizio del mandato (44.280) e “buonuscita” (fino a 40 mila euro a legislatura per i non rieletti) – può pure beneficiare delle detrazioni fiscali al 26 per cento come fosse un simpatizzante qualunque.
E per i dipendenti rimasti o che rimarranno senza lavoro a causa dell’abolizione del finanziamento pubblico, nessun pericolo.
I partiti hanno pensato anche a loro, estendendo le norme sulla cassa integrazione straordinaria e i contratti di solidarietà , proprio come si trattasse di operai di una fabbrica in crisi.
Costo: 35 milioni solo per il triennio 2014-2016. Con un rischio, è stato osservato: siccome la legge prevede uno stanziamento di 11 milioni “a decorrere” da quest’anno, una simile formulazione potrebbe diventare il grimaldello per trasformare un ammortizzatore provvisorio in un sussidio dalla durata indefinita.
Nel lungo elenco di agevolazioni non poteva mancare l’imposta per eccellenza, quella sul valore aggiunto, divenuta la voce con cui fare cassa nei periodi di vacche magre, l’immancabile “clausola di salvaguardia” pronta a scattare quando i conti dello Stato non tornano.
L’inasprimento della pressione fiscale che ha colpito i comuni mortali non ha toccato però la politica.
Dal 1993, quando il referendum radicale abolì il finanziamento pubblico (poco dopo reintrodotto surrettiziamente col nome di rimborsi elettorali), l’Iva è ferma al 4 per cento per le spese effettuate nei 90 giorni prima del voto da partiti, movimenti, liste e candidati. L’aliquota ordinaria, al contrario, è passata dal 19 al 22 per cento. Inoltre questo “sconto” si è allargato a un numero di voci sempre maggiore, di pari passo con le nuove forme comunicative e l’evoluzione tecnologica.
All’inizio infatti l’agevolazione era prevista solo per gli acquisti di materiale tipografico, ma nel corso degli anni ha conosciuto una dilatazione spettacolare.
Nel 2004 il governo Berlusconi l’ha estesa anche alla carta e all’inchiostro per manifesti e volantini, agli spazi di affissione, l’affitto dei locali e gli spot radiotelevisivi e su quotidiani e riviste. Nel 2012, visto che parte della pubblicità si era ormai spostata sul Web, è stata la volta dei messaggi elettorali in Rete.
Una facilitazione, ha calcolato la Corte dei conti analizzando i rendiconti, che soltanto per le ultime politiche ha consentito ai partiti un risparmio di quasi 7 milioni e mezzo, a carico dello Stato.
E non è tutto, perchè i benefici raggiungono pure chi dà una mano indirettamente. Alle emittenti locali che in campagna elettorale accettano di trasmettere i messaggi autogestiti a titolo gratuito, viene riconosciuto infatti un indennizzo forfettario, erogato a prescindere dalla durata degli spot e quindi anche per pochissimi secondi di spazio concesso.
Nel 2015, certifica il ministero dello Sviluppo economico, nel suo complesso questa voce di spesa ha sfiorato il milione e mezzo di costo per le casse pubbliche.
E per finire, per quanto i rimborsi elettorali abbiano le ore contate, non bisogna dimenticare i fondi che le Camere e le Regioni erogano ai gruppi parlamentari e consiliari in base alla loro consistenza per il funzionamento, l’attività politica e il personale.
Un fiume di denaro (85 milioni nel 2015) che, al netto delle varie agevolazioni, già rappresenta il vero sostituto del declinante finanziamento pubblico.
Le cifre parlano da sole e spiegano anche la ragione di tanti cambi di casacca: un deputato “vale” 51 mila euro di contributo l’anno, un senatore 66 mila e un consigliere della ricca Liguria arriva addirittura a 88 mila.
Paolo Fantauzzi
(da “L’Espresso”)
argomento: Parlamento | Commenta »
Luglio 28th, 2016 Riccardo Fucile
ERA NATO PER RICORDARE I MILIONI DI ITALIANI CHE HANNO LASCIATO IL PAESE, ORA E’ PREDA DEGLI HACKER
Ma che figura ci facciamo, coi nostri italiani all’estero in visita su www.museonazionaleemigrazione.it ?
La deriva pecoreccia del portale, in realtà , è la degna conclusione di una storia fin dal principio sgangherata.
Per decenni infatti gli studiosi, gli appassionati, i cultori della straordinaria epopea dell’emigrazione italiana avevano insistito perchè nascesse un museo che ricordasse l’esodo di circa 27 milioni di persone, pari agli abitanti che vivevano negli attuali confini nazionali nel 1861.
Le avventure di intellettuali come Filippo Mazzei che contribuì alla Dichiarazione d’Indipendenza americana o Lèon Gambetta, il figlio di un droghiere ligure che, più francese dei francesi, firmò la nascita della Rèpublique dopo la disfatta di Sedan.
E poi pittori come Paul Cezanne (Paolo Cesana) o scrittori come Emile Zola, figlio di trevisani.
O ancora imprenditori come Amedeo Obici che diventò milionario inventandosi le noccioline sbucciate di «Mr. Peanut» o Amadeo Giannini, fondatore della «Bank of Italy» poi diventata «Bank of America».
Ma più ancora un museo che ricordasse i dolori, le umiliazioni, le sofferenze, i lutti, i naufragi di tutti quei nostri nonni e padri che vissero con dignità e coraggio in luoghi lontani e spesso ostili.
La location
Niente da fare. Disinteresse. Pigrizie. Rinvii. Promesse. Chiacchiere. Finchè, alla vigilia dei 150 anni dell’Unità , il capo dello Stato Giorgio Napolitano, che batteva e ribatteva sul tema, riuscì a spuntarla.
«E facciamo ‘sto museo!», disse il governo. Location: Altare della Patria. Curatore: Alessandro Nicosia, l’«organizzatore di mostre ed eventi» (wikipedia) che non aveva mai scritto una riga sulla emigrazione (vedi l’indice generale delle biblioteche italiane) prima di firmare il catalogo museale con lo storico Lorenzo Prencipe. Ma che aveva contribuito a «riaprire» il Vittoriano.
Niente di indimenticabile
Oddio, non che il museo fosse indimenticabile… Niente a che vedere, ad esempio, col magnifico e commovente MeM, il percorso Memorie e Migrazioni all’interno del Galata Museo del Mare (Muma)di Genova. Anzi.
Ma l’apertura fu in pompa magna: «Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ed il Presidente della Camera Gianfranco Fini, accompagnati dal Ministro per i beni culturali, Sandro Bondi, e dal Sottosegretario agli esteri, Alfredo Mantica», diceva un comunicato della Farnesina del 23 ottobre 2009, «hanno inaugurato il Museo Nazionale dell’Emigrazione italiana al Complesso Monumentale del Vittoriano a Roma».
Negli spazi espositivi, spiegava la nota, «non ci sono soltanto le classiche valigie di cartone, cimeli di famiglia, vecchie cartoline ingiallite e fotografie, ma anche simboli e documenti di una emigrazione di artigiani, manodopera qualificata e commercianti, fino all’attuale realtà degli italiani nel mondo, tra l’imprenditoria e la cosiddetta “fuga di cervelli”».
Luogo provvisorio
Che fosse solo provvisorio, un (costoso) tappabuchi espositivo destinato a restare lì solo temporaneamente non era chiaro per niente.
Ne fa cenno solo un’Ansa della fine del 2011: «Il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ha appreso con soddisfazione della proroga dell’allestimento presso il Complesso Monumentale del Vittoriano del Museo nazionale dell’Emigrazione Italiana (Mei) fino al 31 marzo 2012».
Finchè, di proroga in proroga, finì per andarci anche Sergio Mattarella nell’aprile 2015: «Sono stati milioni gli italiani che hanno lasciato il nostro Paese nei secoli scorsi a causa della miseria e della disperazione.
Sono storie cariche di fatica e sofferenza…». Finchè a un certo punto, dato che nuove prorogatio erano evidentemente diventate improponibili, Dario Franceschini ci ha dato (giustamente) un taglio.
E, convocati a Roma il governatore della Liguria Giovanni Toti, il sindaco di Genova Marco Doria e i vertici del Museo del Mare, la presidente Maria Paola Profumo e il direttore Pierangelo Campodonico, ha proposto di chiudere l’esposizione mai decollata al Vittoriano e assegnare al MuMa genovese il ruolo di sede di quello che, con quattromila metri e vari finanziamenti in più, sarà il definitivo Museo Emigrazione Italiana.
I doppioni
Certo, è un peccato che la Capitale d’Italia non abbia un museo che ricordi l’epopea del Grande Esodo. Così come è un peccato che non siano mai nati musei regionali o sovra-regionali nel Veneto (la regione più colpita dalla emigrazione) o all’Immacolatella di Napoli, porto di partenza delle povere plebi meridionali. Ma il ragionamento di buon senso del ministro dei Beni Culturali non fa una piega. Genova, dalle cui banchine partirono milioni e milioni di nostri nonni, ha già quel museo bellissimo, scientificamente corretto e insieme emozionante. Con una recente integrazione: storia e storie della immigrazione. Inutile creare doppioni.
L’assalto degli hacker
La chiusura del museo al Vittoriano, però, se non altro per riguardo verso i visitatori che vengono ancora indirizzati lì da tanti siti turistici, meritava un po’ di cura in più. Cercate su google le parole «chiuso il museo dell’emigrazione». Non esce nulla. Quasi nulla.
Quanto al sito ufficiale, lo dicevamo, fa schifo.
Abbandonato come una zattera alla deriva, è stato infettato da qualche hacker (un discendente di emigrati italiani furibondo?) e nessuno se n’è accorto. Oppure, Dio non voglia, se n’è accorto ma non si è curato di correggerlo.
Fatto sta che, come dicevamo, si legge che i nostri nonni se ne andarono perchè l’Italia «non offriva porno gratis», che si lasciarono «una terra avara alle porno spalle» o che il museo offre «la possibilità di approfondirne la tematica» dell’emigrazione «sia sotto il profilo storico, sia sotto l’aspetto porno sociologico»…
Mettetevi al posto di un figlio di italiani che si colleghi da Brisbane, Parigi o Mar del Plata: che sciatteria…
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)
argomento: denuncia | Commenta »
Luglio 28th, 2016 Riccardo Fucile
SI’ A USO TERAPEUTICO PER SLA E SCLEROSI MULTIPLA: 34 FAVOREVOLI, 32 CONTRARI… FORZA ITALIA E LISTA MARONI FAVOREVOLI, LEGA CONTRARIA
La Regione Lombardia finanzierà risorse per la sperimentazione dei farmaci cannabinoidi sui pazienti affetti da Sla e sclerosi multipla. E la Giunta Maroni si spacca.
E’ accaduto mercoledì 27 luglio, quando tra i banchi del Consiglio regionale è arrivato un ordine del giorno del Movimento 5 Stelle, a prima firma della consigliera Iolanda Nanni. L’odg proposto è passato con 34 voti favorevoli, 32 contrari e un astenuto, grazie ai voti di Forza Italia e della Lista Maroni che si sono sommati a quelli delle opposizioni.
Lega Nord e Milano Popolare avevano dichiarato voto contrario ma la Giunta aveva annunciato di rimettersi alla libertà di coscienza dei singoli consiglieri.
Nel corso del voto la maggioranza si è spaccata: una parte della Lega Nord, una parte di Forza Italia e Area Popolare hanno votato contro la proposta. Partito Pensionati e Lista Maroni a favore.
Palazzo Lombardia si impegna quindi ad allocare le risorse per supportare l’uso medico della cannabis.
“E’ un risultato storico. E il voto del Consiglio, con la maggioranza in frantumi, chiarisce oltre ogni dubbio che la Lombardia è pronta per sperimentare i farmaci cannabinoidi. Ora il mandato alla Giunta regionale di trovare risorse per avviare la sperimentazione è limpido e scritto nero su bianco”, ha commentato Nanni.
“Ci auguriamo — ha aggiunto — che le risorse si trovino rapidamente. I farmaci cannabinoidi rappresentano un importante strumento terapeutico la cui efficacia per la cura del dolore in neurologia e oncologia e per altre patologie è ampiamente dimostrata. È nostra intenzione continuare a lavorare in questo solco per ampliare la sperimentazione anche a pazienti affetti da altre patologie e per rendere possibile la somministrazione dei farmaci cannabinoidi anche a domicilio. Con questo ordine del giorno abbiamo riavvicinato la Lombardia al suo ruolo di guida nel progresso delle cure e i tentativi dei crociati del bigottismo antistorico che hanno votato contro i farmaci cannabinoidi sono stati fermati”, ha concluso la consigliera del M5S.
Secondo dati forniti a giugno 2016 dalla stessa Regione Lombardia, provenienti da una ricerca del Siapad (Sistema Integrato Analisi e Previsione Abuso e Dipendenze), solo nell’ultimo anno più di 700.000 lombardi hanno usato cannabis, di gran lunga la sostanza più diffusa.
Maggiore l’utilizzo dei più giovani, con il 29% delle persone tra 15 e 24 anni che dichiara un consumo di almeno una volta l’anno.
E l’80 per cento di questi si è fatto una canna anche negli ultimi 30 giorni (il 24 per cento sul totale degli intervistati).
La ricerca conferma inoltre la diffusione di questa sostanza fra i preadolescenti.
Nel 2014, l’8 per cento degli studenti di 11 anni ha dichiarato l’uso di cannabis ma nella fascia d’età dei 15 anni la percentuale sale al 26,6. Il dato evidenzia come l’età critica per iniziare a fumare cannabis sia tra i 13 e i 15 anni, periodo di passaggio tra la scuola media e le superiori.
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: Costume | Commenta »