Luglio 24th, 2016 Riccardo Fucile
DUE ANNI PER UNA DELIBERA E PER STANZIARE 1,5 MILIONI PER DEMOLIRLO E RICOSTRUIRLO, MA TUTTO E’ ANCORA FERMO
L’aspetto più moralmente insopportabile in questa storia, altrimenti da rubricare fra i piccoli orrori quotidiani di un Paese incapace di normalità , è che ci vanno di mezzo i diritti dei bambini.
Diritti calpestati senza riguardo da una burocrazia ottusa e inadeguata, tutta ripiegata a difesa della propria inettitudine: al punto da chiedersi perfino se lor signori sappiano che cosa significa avere dei figli e doverli mandare all’asilo. L’asilo, appunto.
La storia è raccontata in una lettera che l’architetto Leopoldo Freyrie, fino a qualche mese fa presidente dell’Ordine nazionale, ha spedito alla sindaca di Roma Virginia Raggi.
Comincia così: «Le scrivo perchè si ponga urgente rimedio a una situazione che ritengo inaccettabile e grave dal punto di vista civico ancor prima che professionale». La situazione è quella di un asilo nel quartiere Axa, estrema periferia ovest della città , borgata di Acilia.
Quella scuola materna è stata chiusa nel 2012, quando si è scoperto che era pericolante.
Per stanziare la somma necessaria a sistemare l’immobile e dunque rimettere in funzione il servizio ci sono voluti altri due anni: la delibera è del 2014.
Va precisato che non si tratta affatto di una cifra mostruosa per un Comune che ha un bilancio paragonabile a quello di un piccolo stato.
Parliamo di un milione e mezzo di euro, un trentesimo dei soldi che ogni anno il Campidoglio sgancia a un manipolo di palazzinari e immobiliaristi per pagare l’affitto dei residence per la dorata emergenza abitativa.
Con quel milioncino e mezzo si dovrebbe procedere alla demolizione e alla ricostruzione dell’asilo. In qualunque altro Paese europeo la pratica si risolverebbe in pochi mesi.
Qui, invece, le cose prendono ben altra piega.
Di fare il progetto si incaricano gli uffici comunali.
In questi casi è però prevista anche la verifica di un soggetto esterno, che viene affidata a una società di progettazione privata.
«Con l’incarico di verifica» assegnato il 4 agosto 2015, scrive ancora Freyrie, «ci si chiedeva grande urgenza data la grave situazione di disagio dei bambini di quel quartiere. Perciò lavorammo per consegnare al più presto il rapporto di verifica, tant’è che a fine settembre il Comune aveva in mano il rapporto di verifica, negativo». Siamo a dieci mesi fa e qui viene il bello.
Perchè di fronte ai rilievi dei verificatori non accade assolutamente nulla.
Ma continuiamo a leggere cosa scrive Freyrie su un progetto che giudica «debolissimo» da un punto di vista compositivo.
«Dalla verifica del progetto – prosegue la lettera dell’architetto Leopoldo Freyrie – si evince che non rispetta nè formalmente nè sostanzialmente alcuno dei parametri indispensabili per il progetto di un’opera pubblica. Per essere più chiari, il progetto non contiene nè indagini geologiche, nè progetto strutturale, nè progetto degli impianti, nè rispetta le norme antincendio, nè quelle igienico sanitarie, nè quelle del decreto ministeriale sulle scuole, non c’è corrispondenza tra i (pochi) disegni e il capitolato, ogni tanto c’è scritto “questo ospedale” e ci sono prezzi in lire».
Scorrere il testo della verifica è un’esperienza sconcertante anche per i non addetti ai lavori.
Almeno una ventina di elementi presenti nel computo ma assenti dagli elaborati grafici.
Una decina sono invece quelli presenti negli elaborati ma assenti dal computo: cosette quali pavimenti, pensiline, controsoffitti…
Il cronoprogramma non è coerente. Mancano i documenti relativi agli impianti di riscaldamento, igienico-sanitari e antincendio. E si potrebbe continuare.
«Superato lo stupore per tale progetto», prosegue la lettera, «abbiamo consegnato la nostra verifica in seguito alla quale abbiamo richiesto incontri con gli uffici per aiutarli a correggere il progetto».
La risposta? Cinque mesi di completo silenzio. Finchè «dopo molte e inutili insistenze, il giorno 2 febbraio 2016 siamo stati ricevuti dal responsabile del progetto nell’Ufficio Edilizia Scolastica di Roma Capitale.
Nell’occasione siamo stati informati che la nostra verifica negativa non era stata apprezzata e ancora nulla era stato fatto per sistemare il progetto, che gli uffici avrebbero proceduto al completamento del progetto, che ci sarebbe stato inviato per un’ulteriore verifica. Il pagamento dei nostri corrispettivi sarebbe avvenuto alla conclusione positiva del processo di verifica».
Quell’incontro sarà servito a qualcosa, penserete. Ma sbagliate.
Da allora sono trascorsi più di cinque mesi e tutto tace, scrive Freyrie a Virginia Raggi.
«Nessun progetto ci è stato inviato per ulteriore verifica e non ho alcuna risposta alle mie sollecitazioni. La domanda che le sottopongo è se sia possibile che, evacuata una scuola nel 2012, finanziata nel 2014, a fronte di un progetto a dir poco insufficiente e di una verifica che indica con chiarezza tutto quanto va fatto, ci sia una tale inerzia amministrativa che impedisce ai bambini di Ostia di avere un luogo dignitoso, sicuro e, magari, bello. Nel mondo normale per un progetto di questo tipo e dimensione si fanno dei progetti preliminari, definitivi ed esecutivi seri e completi, la gara d’appalto e si iniziano i lavori. La prego di una cortese risposta».
Anche noi aspettiamo una risposta, che dia conto anche delle responsabilità e delle misure adottate per sanzionare inerzie ed eliminare le incapacità amministrative: perchè non se ne può più che finisca sempre tutto a tarallucci e vino.
Sapendo che quella risposta, più che a noi, è dovuta ai bambini di Axa.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera”)
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Luglio 24th, 2016 Riccardo Fucile
IN VIAGGIO CON ANDREA E LO STAFF DI ARIMEDIO PER COMPRARE I FARMACI IN INDIA
“Chi l’avrebbe mai detto che sarei venuto fin qui per comprare il farmaco che può guarirmi dall’Epatite C”.
È quasi l’alba ad Hyderabad, megalopoli a sud dell’India, circa 10 milioni di abitanti. Le ombre lunghe della città si riflettono sul volto di Andrea, 49 anni, gli ultimi 25 (“almeno secondo i miei calcoli”) passati in compagnia del virus dell’HCV, infezione prevalentemente epatica con propensione a dare malattia: cirrosi epatica, in primis, insufficienza epatica e cancro del fegato, nella peggiore delle ipotesi.
Niente di tutto questo, per fortuna, nella cartella clinica di Andrea.
Il desiderio di debellare la malattia, quello sì. Perciò non l’hanno spaventato dieci ore di volo, nè 7000 chilometri per raggiungere l’altra parte del mondo e poter accedere alla nuova cura che con un’ottima percentuale di riuscita potrebbe porre fine alla convivenza forzata con questo subdolo virus, che si contrae in prevalenza per contatto diretto con sangue infetto.
Ad attenderlo lo staff di Arimedio, la società che da aprile del 2016 si occupa di aiutare i pazienti malati di Epatite C a raggiungere nel modo più agevole l’India, dove è disponibile la terapia a costi calmierati.
Ma perchè l’India? Perchè i farmaci che curano l’epatite C, sul mercato italiano dal novembre del 2014, costano moltissimo e sono distribuiti in forma gratuita dal nostro sistema sanitario nazionale soltanto a pazienti molto gravi, secondo i criteri di prioritizzazione stabiliti dall’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco.
Per tutti gli altri pazienti, due strade: aspettare di “aggravarsi” a tal punto da riuscire a rientrare nei parametri oppure comprarli.
Ma i costi sono esorbitanti: vanno dai 13 mila euro, prezzo nelle farmacie vaticane, ai 26 mila euro circa delle farmacie italiane per 4 settimane di trattamento (la cura base è di almeno 12 settimane, ma può arrivare anche a 24). Per questo molti rinunciano.
O viaggiano fino in India, paese a cui la Gilead, casa farmaceutica americana in possesso del brevetto di Sovaldi e Harvoni, i due farmaci innovativi, ha concesso in licenza la possibilità di produrre generici del tutto equivalenti all’originale a costi decisamente più bassi: 400 euro circa per 4 settimane di trattamento, tanto costano nelle farmacie indiane. (A maggio 2016 anche le autorità indiane hanno riconosciuto il brevetto della Gilead. Questo, tuttavia, come ha assicurato l’azienda farmaceutica statunitense, “non ostacolerà la fabbricazione e la distribuzione di versioni generiche di alta qualità ”).
Andrea, l’incontro con Arimedio e il viaggio in India
Andrea è uno di quei pazienti non abbastanza gravi per l’Italia. “Convivo con il virus da quando avevo 24 anni. Ripercorrendo la mia storia, credo di averlo contratto tramite cure odontoiatriche, ma non posso dirlo con certezza. Sono sempre stato bene, ma sono un tipo risoluto e da quando mi hanno detto che avevo l’Epatite C ho subito cercato soluzioni per debellarla”.
Le speranze di guarigione, prima dell’arrivo dei farmaci targati Gilead a base di sofosbuvir e ledipasvir e utilizzabili per tutti e 4 i genotipi, passava per l’interferone: “Per 5 mesi ho fatto iniezioni a giorni alterni. Era devastante, con effetti collaterali altissimi e non è stato risolutivo. Nulla di fatto neanche nel secondo ciclo che ho ripetuto dopo qualche anno. Al terzo, mi sono negativizzato per qualche tempo, ma poi l’infezione è tornata”.
Poi la rivoluzione arrivata dall’America: “La buona notizia è che è stata trovata una cura efficace e definitiva, la cattiva è che non tutti possono usufruirne: io sono fra quest’ultimi. Sapevo che in India le case farmaceutiche producevano lo stesso farmaco a costi ridotti e informandomi su Internet sono arrivato ad Arimedio”.
Questa società , creata da 4 ragazzi, è nata per aiutare un amico francese che aveva nel suo Paese natale lo stesso problema di Andrea.
“Abbiamo pensato che fosse giusto permettere a tutti i pazienti europei o del primo mondo di arrivare al farmaco che può guarirli senza dover sopportare costi così alti”, racconta Luca Xerri, cofondatore di Arimedio, “perciò ci siamo adoperati e abbiamo messo su un’organizzazione che agevoli le persone a mettersi in contatto con le strutture sanitarie indiane, step necessario per poter aver accesso alla ricetta medica e conseguentemente alla terapia”.
“Ho contattato Arimedio e hanno fatto tutto loro”, racconta Andrea. “Non mi sono dovuto preoccupare di niente, se non di inviare preventivamente le mie cartelle cliniche in modo che il medico indiano potesse fare una prima diagnosi e pensare alla posologia. Poi non è rimasto che volare in India”.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 24th, 2016 Riccardo Fucile
“REFERENDUM? LA COSTITUZIONE BISOGNA APPLICARLA, NON CAMBIARLA”
“Non sono in grado di giudicare le intenzioni del Governo Renzi in tema di lotta alla mafia ma di fatto, al di là dei proclami, non credo che anche questo Governo abbia fatto nulla di veramente incisivo sul tema della lotta alla corruzione e sul tema del contrasto ai rapporti tra mafia e potere. Non credo dedichi le energie che dovrebbe dedicare”.
Così è intervenuto il Presidente dell’ANM di Palermo Nino di Matteo intervistato da Gianluigi Nuzzi nel corso della terza serata dell’ottava edizione di Ponza D’Autore, la rassegna culturale curata da Gianluigi Nuzzi e Paolo Mieli.
“Sul tema del contrasto alla mafia militare — prosegue il magistrato palermitano – questo e gli ultimi governi che si sono succeduti hanno fatto il proprio dovere, ma manca il salto di qualità . Il piano della responsabilità penale che compete ai giudici non esime la politica da un accertamento e da un’applicazione delle sanzioni sul piano della responsabilità politica. La politica non ha voluto e non vuole fare la guerra alla mafia. Non ha il coraggio di far valere la responsabilità politica di alcuni comportamenti prima ancora della responsabilità penale. In questo, il sistema dell’informazione ha grandissime colpe. Certe condotte descritte da sentenze definitive — conclude Nino di Matteo – non fanno scattare una responsabilità politica che condanni tali condotte”.
Quanto al referendum costituzionale, “noi magistrati abbiamo giurato sulla Costituzione. Per me come magistrato e come cittadino deve rimanere il caposaldo. Da magistrato più che il bisogno di cambiare la Costituzione sento il grandissimo bisogno che venga finalmente applicata, perchè non è stata applicata”.
Di Matteo poi torna a parlare di corruzione: “Mafia e corruzione stanno diventando due facce della stessa medaglia. Dovremmo avere strumenti legislativi efficaci, ma non è così. Abbiamo leggi rigorose per i delitti tipici delle organizzazioni mafiose, ma i fenomeni corruttivi godono di una impunità totale. Su cinquantamila detenuti solo poco più di venti sono detenuti per corruzione. Soprattutto attraverso il sistema della prescrizione del reato, il 95% dei processi per corruzione si conclude con una estinzione del reato. Ancora oggi, nonostante tante parole, questo Parlamento non riesce ad approvare una legge che consenta alla magistratura di portare a termine questi processi. Per colpa o per dolo? Credo che ci sia un’ampia fetta del potere, non solo della politico, – spiega il magistrato palermitano – che trova molto conveniente avere questa scappatoia della prescrizione per garantissi un’impunità . La delinquenza dei colletti bianchi, che in Italia alimenta ancora troppo il potere, sta diventando un modo di fare talmente generalizzato da portare rassegnazione della popolazione”.
Sul tema dello scontro tra politica e magistratura, “non c’è stata nessuna guerra tra politica e magistratura, c’è stata una guerra unilaterale, molto ben organizzata e sistematica di una parte importante e trasversale della politica”, ha dichiarato Di Matteo.
“Questa guerra non è stata fatta nei confronti della magistratura tutta, ma solo di quella parte che ancora continua a pensare che la legge debba essere uguale per tutti, e che il magistrato debba fare le proprie scelte secondo criteri di doverosità giuridica e non opportunità politica”.
Infine Di Matteo affronta lo spinoso argomento dei magistrati che entrano in politica: “La cosa non mi scandalizza, non sono contrario all’idea anche un magistrato cosi come un qualsiasi altro cittadino possa candidarsi alle elezioni politiche. Sono contrario però, all’idea che una volta scelta la via della politica possa ritornare in magistratura”.
“Io in politica? A me piace fare il magistrato — spiega il magistrato palermitano – e piacerà farlo finchè potrò lavorare in autonomia e indipendenza, senza trovare ostacoli nell’accertamento della verità .
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 24th, 2016 Riccardo Fucile
CHI FA POLITICA DEVE ESSERE AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO… LA LEZIONE DI PAOLO BORSELLINO
A Napoli, in Campania, se la destra vorrà davvero provare a rappresentare nuovamente “qualcosa di serio e di credibile”, dovrà avere il coraggio di prendere posizione (anche) sulla questione morale.
Il coraggio di dire “Sì al garantismo” (che è un principio sacrosanto) ma solo nelle aule di giustizia…
In questa terra, per svolgere (in modo serio e credibile) una pubblica azione, devi essere (obbligatoriamente) al di sopra di ogni sospetto. Non puoi mediare. Non puoi cedere al compromesso di principio.
Della “moglie di Cesare non si deve nemmeno ipotizzare che possa rubare”…
È un antichissimo principio: la destra, i suoi uomini, e le sue donne, ripartano da quello.
Non sei più al di sopra di ogni sospetto? Ok! Ritirati a vita privata: quando (e se avrai chiarito) ne riparleremo…
Paolo Borsellino era un uomo di destra: quella seria, però.
Un uomo il cui ricordo e’ stato variamente strumentalizzato… È tempo di “riprendercelo”…
Come è tempo di riprenderci quella bandiera della legalità che è stata la stella polare di una destra che immaginava di governare l’Italia facendola diventare grande…
Salvatore Castello
Right BLU – la Destra Liberale
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Luglio 24th, 2016 Riccardo Fucile
“SONO UNA PERSONA ONESTA, NON MI PRESTO A GIOCHI A DI POTERE”… DIMISSIONI ANCHE A PALMI, ROSARNO, COSENZA E VIBO DOPO L’ARRESTO PER ASSOCIAZIONE MAFIOSA DEL SEGRETARIO REGIONALE DEL PARTITO DELLA MELONI
Aldo De Leo dopo 3 anni di responsabile del movimento politico di Fratelli D’Italia a Taurianova lascia l’incarico di responsabile cittadino.
La segreteria regionale del partito “Fratelli D’Italia” nei giorni passati era stata coinvolta in una operazione della DDA di Reggio Calabria denominata “Reghion”, tra le persone arrestate il segretario ex senatore Domenico Kappler accusato di far parte della cerchia ristretta della Ndrangheta insieme all’ex deputato Paolo Romeo.
Dunque un partito nella bufera quella che lascia Aldo De Leo.
“Dopo lunga riflessione ho deciso di lasciare Fdi sia come resp.cittadino che come tesserato nonche’ uomo di partito dal 2013. Ritengo di essere una persona onesta e traparente e non intendo prestarmi ai giochi di potere organizzati da chi non ha avuto neanche il coraggio di affrontare, se non mascherandolo, l’evento Kappler, solo per non ……. Auguri al nuovo resp cittadino. Grazie di cuore, molti stanno seguendo la mia decisione. Palmi, rosarno, vibo, cosenza ecc. Qualcosa non va’!!!!!”
(da agenzie)
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Luglio 24th, 2016 Riccardo Fucile
LUNEDI’ SARANNO PUBBLICATI I COMPENSI DI DIRIGENTI E CONSULENTI
Oggi è domenica, un giorno di festa d’estate, ma il palazzo di Viale Mazzini è aperto per una conferenza stampa col direttore generale Antonio Campo Dall’Orto e il presidente Monica Maggioni.
Oggi è domenica, di solito pure i corridoi del servizio pubblico tacciono, ma per affrontare una settimana di polemiche e proteste, l’azienda vara l’operazione “casa di vetro” (titolo un po’ abusato, però azzeccato).
Perchè domani, incastonato fra seriose tabelle, sarà caricato sul portale “Rai.it” l’atteso e temuto “piano per la trasparenza e la comunicazione aziendale”, un obbligo introdotto dalla riforma della televisione: bilanci, appalti e, soprattutto, gli stipendi dei dirigenti che superano i 200.000 euro e dei consulenti che sforano gli 80.000 euro.
Smaltito il lungo periodo di rodaggio e in attesa di valutare i programmi forgiati dai collaboratori di Campo Dall’Orto (in sigla Cdo), il capitolo ingaggi è senz’altro il passaggio più delicato per l’azienda.
O meglio, il momento è delicato: in queste settimane gli abbonati pagano il canone nella bolletta elettrica.
Perchè ne parliamo? Perchè Il Fatto Quotidiano è in grado di anticipare gli stipendi più onerosi di Viale Mazzini.
Una premessa. La stagione della sobrietà in Italia — nell’immaginario collettivo sfoggiata da Mario Monti con il loden — ha colpito per un attimo anche i dirigenti pubblici con l’avvento del tetto di 240.000 euro ai compensi dei dirigenti delle società controllate dallo Stato.
L’ex direttore generale Luigi Gubitosi ha costruito il tetto in Viale Mazzini, ma è durato il tempo, esiguo, di emettere un titolo di debito (bond in inglese) per raggirare la norma: il tetto non vale, infatti, per le quotate e per chi emette sul mercato titoli di debito. Viale Mazzini ha importato l’astuto espediente sfruttato da numerose aziende pubbliche. E ora le cifre.
Campo Dall’Orto ha seguito l’esempio di Gubitosi, il mandato è triennale e dunque il contratto è triennale (criterio che ha imposto agli esterni di recente assunti): la retribuzione di Cdo è 650.000 euro l’anno.
Il secondo stipendio di Viale Mazzini non è del presidente Monica Maggioni (270.000 euro da giornalista più circa 66.000 euro come indennità di consigliere), ma di Antonio Marano (392.000), scaltro dirigente, ex responsabile dei palinsesti, appena rientrato a Milano per guidare Rai Pubblicità .
In questa classifica, Marano stacca di molto l’amministratore delegato della stessa Rai Pubblicità Fabrizio Piscopo (322.000).
Dopo Marano c’è Giancarlo Leone (360.000 euro), da oltre vent’anni in Viale Mazzini, già capo di Rai Cinema e dell’ammiraglia Rai1.
Nell’elenco non figura Andrea Fabiano, successore di Leone a Rai1, perchè il giovane direttore non raggiunge i 200.000 euro.
Nelle prossime settimane Campo Dall’Orto dovrà cambiare i direttori dei telegiornali. Per adesso, le nomine più discusse riguardano le reti: Ilaria Dallatana (Rai2, ex Magnolia) e Daria Bignardi (Rai3, ex conduttrice) percepiscono lo stesso compenso, 300.000 euro per tre anni, 20.000 in meno dei predecessori Andrea Vianello e Angelo Teodoli.
Per l’esattezza, lo stipendio di Teodoli (Rai4) è di 326.000 euro.
Cdo per svecchiare l’offerta informativa e il racconto sportivo ha chiamato in Viale Mazzini due professionisti che hanno scatenato una furente reazione politica: Gabriele Romagnoli (230.00), direttore di Rai Sport; Carlo Verdelli (320.000), direttore dell’informazione.
Il principale assisente di Cdo (il capo dello staff), Guido Rossi, è sotto la soglia dei 200.000, a differenza dell’ex Carlo Nardello (302.000) che ha lasciato l’azienda.
Stipendi quasi uniformi per i direttori dei telegiornali: Mario Orfeo (Tg1, 320.000), Marcello Masi (Tg2, 280.000), Bianca Berlinguer (280.000).
Campo Dall’Orto, però, ha sforbiciato il compenso del direttore della comunicazione di 60.000 euro: a Giovanni Parapini vanno 260.000 euro l’anno.
Spesso è inserita nella lista di partenza, ma Tinni Andreatta è saldamente al vertice di Rai Fiction con un accordo a tempo indeterminato di 272.000 euro.
Carriera, numeri, percorsi, relazioni, selezioni, un anno del manager renziano in Viale Mazzini in poche righe.
Oggi è domenica, ma per Cdo è un altro esordio.
Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 24th, 2016 Riccardo Fucile
CHISSA’ COME MAI GLI ALTRI NON SONO STATI “INDOTTI IN ERRORE”… QUALCUNO NON HA MAI SPIEGATO COME HA POTUTO AVERE LA CONSULENZA SENZA ESSERE ISCRITTA NELL’ALBO DEGLI AVENTI DIRITTO
Virginia Raggi fu “indotta in errore” dai moduli nella vicenda delle consulenze presso la Asl di Civitavecchia.
Rischia di chiudersi in modo paradossale la vicenda degli incarichi non dichiarati dalla prima cittadina di Roma: da una parte la sindaca dovrebbe uscire indenne dall’indagine per falso ideologico in atto pubblico, salvo clamorose sorprese; dall’altra parte potrebbe essere il Campidoglio a dover rispondere di quanto è accaduto.
Nei prossimi giorni, scrive il Messaggero, una volta chiusa l’inchiesta la Procura di Roma sta valutando di inviare al presidente dell’Autorità Anticorruzione, Raffaele Cantone la documentazione raccolta sul caso.
E quel punto sarà il Comune a dover rispondere del proprio comportamento. Perchè i moduli che applicano la legge sulla trasparenza sono incompleti.
Non riportano fedelmente il testo di legge, chiarendo che chi non cita sia i compensi spettanti sia quelli effettivamente erogati finisce per non applicare correttamente la legge in ogni caso.
Chissà come mai però gli altri non sono stati indotti in errore e solo la Raggi sì.
A portare l’accusa nei confronti della Raggi verso l’archiviazione, prosegue il quotidiano romano, è che il dolo specifico nella sua condotta è quasi impossibile da dimostrare, tanto più in questa confusione.
Da chiarire resta a questo punto il comportamento della Asl di Civitavecchia, che ha assegnato l’incarico all’attuale sindaca evitando l’albo dei legati che aveva invece obbligo di consultare.
E come abbia fatto la Raggi a ottenere un incarico che non le spettava.
Ma state certi che non lo sapremo mai.
(da agenzie)
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Luglio 24th, 2016 Riccardo Fucile
A PESCHIERA BORROMEO UN GIOVANE DELLA GUINEA INSERITO COME AIUTANTE VOLONTARIO, UNA MADRE RITIRA IL FIGLIO PER EVITARE LA “CONTAMINAZIONE” INVECE CHE RIVOLGERSI A UN BUON PSICHIATRA
Tutto è cominciato con il messaggio di una madre su Facebook: “Mi si informa che al centro estivo comunale verranno inseriti uno o due rifugiati. Ritiro mio figlio”.
Il riferimento è al fatto che la onlus Il Melograno, che gestisce un campo di gioco per bambini a Peschiera Borromeo, abbia deciso di inserire come “coadiuvante volontario agli educatori ” un giovane africano, arrivato dalla Guinea e titolare dello status di rifugiato.
Alla madre indignata per la presenza del rifugiato – che aiuta nel trasporto dei giochi e nella vigilanza – hanno risposto su Facebook altri genitori, iscritti al gruppo “Quelli che … Peschiera”.
Madri e padri dei ragazzini – circa 110, tutti fra i 6 e i 13 anni – si sono divisi fra chi considera “scandalosa” la scelta della cooperativa e chi invece difende l’iniziativa, giudicandola “una bella cosa” e consigliando di “spiegare ai nostri figli il motivo per cui quelle persone hanno fatto tanta strada e ora giocano con loro”.
A Peschiera Borromeo l’argomento ha sollevato una tale polemica che sia il Comune sia la cooperativa Melograno hanno deciso di pronunciarsi con note ufficiali.
Giovedì scorso l’amministrazione comunale, guidata dal sindaco Caterina Molinari, ha fatto presente che il giovane della Guinea è “titolare di protezione internazionale, in possesso di permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il Tribunale li ha riconosciuti come regolari cittadini comunitari”.
Peraltro, già lo scorso anno la cooperativa aveva impiegato due rifugiati nel campus, senza che questo avesse provocato critiche.
Il Melograno, che gestisce una casa di accoglienza per rifugiati a Mediglia, in una lettera precisa che i giovani africani “potranno partecipare ai giochi di gruppo e ai labotatori artistici affiancando gli educatori e aiutarli per la sorveglianza dei bambini. È esclusa la loro partecipazione per gite e piscina”.
Alla fine, dopo incontri e rassicurazioni, solo una mamma ha ritirato il figlio dal campus estivo.
Un’altra madre va ogni giorno a prendere il proprio bambino prima che il ragazzo africano entri in servizio.
Una decina di madri si sono invece accontentate della rassicurazione che l’anno prossimo sarà comunicata con anticipo l’eventuale partecipazione di rifugiati volontari al campus estivo.
(da agenzie)
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Luglio 24th, 2016 Riccardo Fucile
L’IDEA DI PARISI: CAMBIARE NOME E LANCIARE UN NUOVO PARTITO PER UN CENTRODESTRA MODERNO, LIBERALE, CHE SAPPIA PARLARE ANCHE AGLI ELETTORI DI SINISTRA E NON INSEGUA I FANTASMI DEL LEPENISMO
Per la prima volta dopo l’operazione al cuore, nei prossimi giorni Silvio Berlusconi dovrà fare una scelta politica vera e forte: a chi mettere in mano Forza Italia e quale centrodestra rilanciare. La prossima settimana incontrerà Stefano Parisi per capire la disponibilità dell’ex candidato di Milano a far parte della squadra.
Ma tutto lascia immaginare che Parisi darà un dispiacere al Cavaliere perchè non intende farsi inglobare nelle dinamiche di un partito diviso in correnti e di quei colonnelli azzurri che hanno le loro ambizioni di leadership.
Parisi vuole le mani libere, carta bianca dentro Forza Italia, a Roma come in periferia, per rivoltare come un calzino i gruppi dirigenti locali, aprendo a nuove energie e personalità . Addirittura vuole cambiargli nome e in parte anche linea politica perchè a suo parere occorre andare oltre il perimetro tradizionale del centrodestra.
Un centrodestra moderno, liberale, credibile, che sappia parlare anche agli elettori della sinistra, non insegua «i fantasmi del grillismo e del lepenismo».
E non utilizzi nei confronti del premier la stessa tecnica demonizzatrice utilizzata per anni dal centrosinistra contro il centrodestra berlusconiano», precisa Parisi in colloquio con il direttore Claudio Cerasa del Foglio.
Un colloquio che si inserisce sulla scia della prima intervista rilasciata alla Stampa nella quale anticipava a Luca Ubaldeschi le sue intenzioni di scendere in campo.
Ed era già chiaro che Parisi non aveva alcuna voglia di rinchiudersi nelle classiche riunioni di Arcore e di Palazzo Grazioli insieme a coloro che hanno un piano diverso.
Ovvero promuovere le primarie del centrodestra e far vincere Giovanni Toti.
Piano che vedeva e vede tra i più attivi, oltre l’interessato Toti, il capogruppo del Senato Paolo Romani, Maria Stella Gelmini e Altero Matteoli.
Ma le cose non stanno andando in questa direzione sia perchè Berlusconi vorrebbe un radicale rinnovamento sia per l’irrompere di Parisi con la sua richiesta di cambiare nome, statuto e regole interne: «Ma soprattutto dovrà assumere un nuovo modello organizzativo, basato sul modello del ’94, che scoraggi lotte di potere intestine e correnti e invece premi e selezioni la leadership sulla base di chi porta voti e crea consenso intorno al partito».
Berlusconi, nella riunione dell’altro ieri ad Arcore, ha ammesso di avere l’impressione che Parisi sia andato oltre al mandato che gli aveva affidato, cioè fare il manager di Fi, di dare un mano. Invece Stefano lo ha spiazzato.
Dice che se vince il no al referendum non è scontato che Renzi si debba dimettere. E che in ogni caso, con questo o con un altro governo, occorrerà fare una nuova legge elettorale (addirittura proporzionale, è la sua proposta) e trasformare il Senato in un’assemblea costituente.
Idee che fanno infuriare Salvini e Meloni, la quale proprio ieri ad Arezzo per promuovere il Comitato del No ha detto chiaro e tondo che se il referendum dovesse essere bocciato, non c’è altra strada che elezioni.
Le idee di Parisi non sono certo da manutentore di un partito, come apparentemente vorrebbe Berlusconi. Anche se c’è chi pensa che il Cavaliere stia bluffendo con i suoi colonnelli per tenerli buoni e invece sotto sotto mandi avanti Parisi.
Nei prossimi giorni, quando lo incontrerà , dovrà fare una scelta: tenersi buoni i suoi dirigenti che fanno muro al «Papa straniero» oppure avrà la forza di un nuovo predellino, dando tutti i poteri a Parisi, come faceva quando si inventava nuove svolte senza averle discusse e annunciate al partito?
Amedeo La Mattina
(da “La Stampa”)
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