Luglio 5th, 2016 Riccardo Fucile
ALESSANDRO E’ STATO ASSUNTO IN POSTECOM NEL 2013
Alessandro Alfano, fratello minore di Angelino, assunto in Postecom nel 2013, gestione Sarmi, epoca governo Letta.
E’ lui la pietra dello scandalo politico nella nuova inchiesta su un presunto giro di corruzione nei ministeri che ha portato all’arresto di 24 persone tra cui politici anche con cariche istituzionali.
E’ lui il collegamento tra le carte dell’inchiesta e il ministro dell’Interno.
Nessuno dei due è indagato, ma il caso di Alessandro e il nome dello stesso ministro vengono citati al telefono da Raffaele Pizza, intercettato e arrestato, fratello dell’ex sottosegretario del governo Berlusconi e segretario della Dc Giuseppe Pizza, indagato nella stessa inchiesta.
Insomma, dopo il figlio dell’ex ministro Lupi e il compagno dell’ex ministro Guidi, arriva il fratello del ministro Alfano a mettere in imbarazzo il governo e gettare scompiglio nella maggioranza, pur senza avvisi di garanzia.
Ma il caso di Alessandro Alfano non è nuovo alle cronache. Per lui Postecom avrebbe anche creato un incarico dirigenziale ad hoc.
Al telefono con il collaboratore di Alfano, Davide Tedesco, il faccendiere Raffaele Pizza si pregia di aver fatto assumere Alessandro dall’ex amministratore di Poste Massimo Sarmi: “Poteva avere 170.000 euro…no…io gli ho fatto avere 160.000. Tant’eÌ€ che Sarmi stesso glie l’ha detto ad Angelino: io ho tolto 10.000 euro d’accordo con Lino (il soprannome di Pizza, ndr)”. E questa è l’inchiesta di oggi che fa sbottare Alfano ministro: “Riuso politico di scarti di inchiesta…”.
Ma partiamo dal 2013.
Già tre anni fa Alessandro Alfano è stato oggetto di diverse interrogazioni parlamentari.
L’ultima nel settembre 2013, presentata dall’allora pentastellato Ivan Catalano (ora nel Misto), proprio sul suo incarico in Postecom, la sezione digitale di Poste Italiane. Eccola:
Al Ministro dell’economia e delle finanze.
Per sapere — premesso che: nell’anno 2009, Alessandro Antonio Alfano ha conseguito la laurea in economia e finanze;
già nel 2008, però, ancora privo di titolo, è stato docente del laboratorio di «Principi e strumenti di marketing» presso la facoltà di comunicazione dell’università di Roma «La Sapienza»
nel 2010 al dottor Alfano è stata contestata la veridicità di alcuni punti del curriculum vitae presentato per partecipare al concorso — poi vinto — per un posto di segretario generale della camera di commercio di Trapani;
in quell’occasione, le forze dell’ordine sequestrarono la documentazione relativa al concorso. Il dottor Alfano lasciò il posto di segretario generale dopo circa un anno per presunte cause «di forza maggiore»;
ad agosto 2013, la vicenda è stata anche oggetto di un’interrogazione parlamentare, tuttora rimasta inevasa, presentata dal deputato del gruppo Sinistra Ecologia e Libertà , Erasmo Palazzotto
all’inizio di settembre 2013, Alessandro Alfano è stato nominato, senza concorso, dirigente di «Postecom» società di servizi internet del gruppo Poste Italiane partecipato al 100 per cento dal Ministero dell’economia e delle finanze, e avrà diritto ad uno stipendio annuo di oltre centomila euro —
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della nomina del dottor Alessandro Alfano a dirigente di Postecom ed intenda accertare se tale nomina sia avvenuta in seguito ad una scrupolosa valutazione del curriculum vitae del candidato e/o all’esito di una comparazione tra diversi profili professionali idonei a ricoprire quell’incarico dirigenziale;
se risulti al Ministro interrogato, nell’ottica di contenimento delle spese delle società a parziale e totale partecipazione pubblica, assolutamente necessaria tale nomina e quali siano le motivazioni che hanno portato il management di Postecom a tale irrinunciabile scelta;
se sia nelle intenzioni del Ministro, in caso di illegittima nomina, inviare un dettagliato esposto alla competente Corte dei Conti e se si intendano, eventualmente, prendere provvedimenti verso i dirigenti della società Postecom. (5-01035).
Inoltre, nel gennaio 2014, secondo quanto risulta da un ordine di servizio di Postec
pubblicato sul sito della Confsal, la Confederazione sindacati autonomi, per Alessandro Alfano è stato creato ad hoc il nuovo incarico di “business development”:
…si provvede a istituire alle dirette dipendenze dell’Amministratore Delegato, la funzione Business Development con la responsabilità di supportare la funzione Marketing e la funzione Vendite nella definizione e nella proposizione al mercato dei prodotti e servizi a portafoglio, nonchè di soluzioni customizzate per i grandi clienti, attraverso l’identificazione di nuove opportunità di business
La responsabilità della neo istituita funzione è affidata a Alessandro Alfano.
L’AMMINISTRATORE DELEGATO
Vincenzo Pomp
Magari sarà un caso ma nel 2015 la Corte dei Conti puntò il dito contro la gestione Sarmi di Poste Italiane nel 2013, denunciando costi troppo alti per i dirigenti.
“Il costo del personale dirigente si attesta a complessivi 150 milioni, in crescita del 12,3% rispetto al trascorso esercizio. Esso costituisce il 2,5% del complessivo costo del lavoro”, scriveva l’Alta Corte nella stessa relazione in cui dava notizia della buonuscita milionaria dell’ex amministratore Sarmi, sostituito da Francesco Caio a maggio 2014 (governo Renzi).
A quanto si apprende, oggi la Guardia di Finanza ha condotto accertamenti sulla posizione del fratello del ministro Alfano e non ha riscontrato ipotesi di reato.
Ma la bufera mediatica infuria comunque su tutto e il governo.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 5th, 2016 Riccardo Fucile
BRUTTA FIGURA PER DI MAIO: HA PRESENTATO UNA PROPOSTA DI LEGGE REGIONALE PER LA SANITA’ CHE E’ LA FOTOCOPIA DI QUELLA AVVIATA DA SCOPELLITI
La conquista elettorale di una delle regioni nelle quali il Movimento è in affanno prova ad appoggiarsi su una proposta di legge che, nelle intenzioni, dovrebbe rivoluzionare la sanità regionale, commissariata ormai da più di sei anni.
«Secondo le stime delle autorità , siamo circa 5mila. La notizia interessante è che servono 5mila firme per presentare la proposta di legge di iniziativa popolare», dice alla folla l’uomo del Direttorio.
Il guaio, però, è che le firme dei cittadini non servono. Per un semplice motivo: quel testo di legge, mai approvato, esiste già , e dal lontano 2012.
Un modello di quattro anni fa
Lo avevano presentato 4 consiglieri regionali dell’allora maggioranza di centrodestra, guidata dal governatore — ex An, Pdl e Ncd — Giuseppe Scopelliti.
La nuova proposta del Movimento, per la quale si sta battendo in prima linea la deputata calabrese Dalila Nesci, è praticamente identica.
Cambia il nome (“Riassetto istituzionale del Servizio sanitario regionale”, quello del M5S e “Istituzione delle Aziende sanitarie territoriali e delle Aziende sanitarie ospedaliere”, quello del centrodestra), ma il testo è del tutto sovrapponibile.
Quanto al merito, la riforma grillina prevede l’istituzione di tre Aziende sanitarie territoriali (Ast) e di tre Aziende sanitarie ospedaliere (Aso).
Ovvero il medesimo schema organizzativo teorizzato dall’amministrazione di centrodestra.
Sospetto copiaincolla
Coincidenze o plagio bello e buono? Già l’incipit della proposta suscita più di qualche sospetto. M5S: «Il presente disegno di legge è finalizzato ad armonizzare le disposizioni contenute nelle leggi vigenti, in particolare nella legge regionale 12 novembre 1994, n. 26, e nella legge regionale 11 maggio 2007, n. 9 e smi, con l’assetto territoriale determinato dal Dpgr n. 18/2010».
Centrodestra: «Il presente disegno di legge è finalizzato ad assicurare l’armonizzazione delle disposizioni contenute nelle leggi vigenti, e in particolare nella legge regionale 12 novembre 1994, n. 26 e nella legge regionale 11 maggio 2007, n. 9 e smi, con il nuovo assetto territoriale che si è venuto a determinare a seguito dell’approvazione del decreto del commissario ad acta per l’attuazione del Piano di rientro dai disavanzi del Servizio sanitario regionale n. 18/2010».
La versione a Cinquestelle
Certo, può anche essere un caso, ma il testo presenta altre analogie che fanno pensare a una scopiazzatura neanche troppo mascherata.
«Il presente progetto di riordino del Ssr — si legge nella proposta 5 Stelle — prevede una diversa e più funzionale configurazione degli ambiti organizzativi e territoriali delle Aziende sanitarie e ospedaliere regionali. Con tale riordino si vuole concretizzare il procedimento di scorporo ospedale/territorio, attraverso la ridefinizione territoriale delle Aziende sanitarie locali e la conseguente riaggregazione, per funzioni assistenziali, alle Aziende ospedaliere dei presidi ospedalieri precedentemente afferenti alle Aziende sanitarie provinciali».
La versione centrodestra
«Il nuovo progetto di riordino del sistema sanitario regionale — argomentavano invece i consiglieri di centrodestra — prevede una diversa configurazione degli ambiti organizzativi e territoriali delle Aziende sanitarie e ospedaliere regionali. Con esso si vuole concretizzare il procedimento di scorporo ospedale-territorio attraverso la ridefinizione territoriale delle aziende sanitarie locali e la conseguente riaggregazione per funzioni alle aziende ospedaliere dei presidi ospedalieri che erano precedentemente afferenti alle Asp».
Leggi interscambiabili
Le due proposte sono, insomma, sovrapponibili: una vale l’altra.
Le variazioni riguardano solo qualche parola e qualche data, per il resto i testi sono sostanzialmente uguali.
Perfino la denominazione delle nuove Aziende, ospedaliere e territoriali, è la stessa. Nel 2012 la mappa sanitaria veniva divisa in aree (Nord, Centro e Sud), come ipotizzato dalla proposta del Movimento.
E resta confermata, oggi come ieri, l’istituzione dell’ospedale universitario “Mater Domini” di Catanzaro. Qui il giro di frase scelto dal M5S è leggermente diverso, ma il concetto è esattamente quello.
Le dichiarazioni
«Si tratta di un testo di legge regionale costruito insieme a esperti, attivisti e cittadini di ogni parte della Calabria», puntualizzava poche settimane fa la Nesci.
Che ha trovato pure il tempo per attaccare l’attuale governatore: «Dato l’immobilismo di Oliverio e della sua maggioranza rispetto alle urgenze della sanità , pur non avendo esponenti 5 Stelle in consiglio regionale, abbiamo definito una proposta concreta e importante, che modifica l’assetto istituzionale della sanità , separando l’assistenza ospedaliera dalla medicina del territorio e dagli altri servizi».
Pure Di Maio, accolto a Lamezia con tutti gli onori, mostrava l’ottimismo del rivoluzionario pronto a sovvertire l’ordine costituito: «L’obiettivo è quello di far saltare lo schema di potere nella sanità oggi. La nostra legge calabrese sulla sanità , infatti, impedisce la gestione dei potentati».
E ancora: «Con la nostra proposta metteremo mano al sistema della sanità calabrese. Firmatela, così questa sera chiudiamo la pratica e iniziamo a metterli alla prova». La campagna per la sottoscrizione continua. Anche se non serve.
La deputata Dalila Nesci (M5S) ha in sostanza ammesso che “a scrivere la bozza della proposta di legge popolare sul riassetto della sanità calabrese sono stati i dirigenti medici Tullio Laino e Gianluigi Scaffidi; il secondo dirigente regionale dall’allora governatore Giuseppe Scopelliti”, da cui poi si staccò per divergenze.
Pietro Bellantoni
(da “La Stampa”)
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Luglio 5th, 2016 Riccardo Fucile
L’ATTORE AUSTRIACO: “UN PERSONAGGIO SPREGEVOLE, HA MENTITO SPUDORATAMENTE AL POPOLO INVENTANDOSI INESISTENTI SVANTAGGI DELLA PERMANENZA DELLA GRAN BRETAGNA IN EUROPA, ORA LA GENTE DOVRA’ PAGARNE IL CONTO E LUI SCAPPA”
Christoph Waltz non va tanto per il sottile e critica duramente la scelta di Nigel Farage, principale promotore del “Leave”, di dimettersi dalla leadership dell’Ukip.
L’attore austriaco, di cui tutti ricordiamo le performance nei film di Quentin Tarantino, il Colonnello Hans Landa “Bastardi senza gloria” e il cacciatore di taglie di “Django unchained”, si scaglia contro l’europarlamentare britannico in un’intervista a Sky News: “È ovvio che il capo dei topi abbandoni per primo la nave che affonda”.
I fautori del Leave, ha aggiunto Waltz, hanno fatto passare la vittoria come un’eroica uscita e invece ammettono la loro sconfitta; hanno mentito spudoratamente alla popolazione, anzichè informarla, inventandosi inesistenti svantaggi di una eventuale permanenza della Gran Bretagna nell’Unione Europea.
“Adesso lasciano la patata bollente ad altri e questo dimostra quanto siano spregevoli queste persone che non si battono neanche per la causa che hanno promosso”, dice ancora l’attore. Waltz si schiera al 100% contro la Brexit: “Non riesco a comprenderne l’incredibile stupidità ”. E poi conclude: “Ora la gente che si è fatta sviare da questi venditori di fumo dovrà pagare il conto”.
(da “Huffingtonpost“)
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Luglio 5th, 2016 Riccardo Fucile
IL MINISTRO MAY: “NIENTE GARANZIE A CHI LAVORA E VIVE IN GRAN BRETAGNA”… MA TEMONO LA RITORSIONE: I BRITANNICI IN ALTRI PAESI EUROPEI SONO 1,5 MILIONI
Tre milioni di cittadini europei che risiedono e lavorano in Gran Bretagna, tra cui più di mezzo milione di italiani, potrebbero essere teoricamente “deportati”, ovvero espulsi, come conseguenza dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea.
à‰ la posizione assunta da Theresa May, ministro degli Interni britannico e attualmente il candidato favorito per diventare leader del partito conservatore nelle primarie e primo ministro al posto del dimissionario David Cameron
Intervistata in tivù, Theresa May dichiara: «Ci sarà un negoziato con la Ue su come risolvere la questione dei cittadini europei che si sono già stabiliti nel Regno Unito e dei cittadini britannici che vivono negli altri paesi della Ue. Al momento non ci sono cambiamenti nel loro status e nei loro diritti, ma naturalmente è un elemento che dovrà fare parte della trattativa sui nostri futuri rapporti con la Ue».
Spiega al quotidiano Independent una fonte a lei vicina: «Quello che la ministra intende è che non sarebbe saggio promettere fin d’ora a tutti i cittadini europei residenti in Gran Bretagna che potranno restare qui a tempo indeterminato. Se lo facessimo, gli stessi diritti si applicherebbero a qualunque cittadino della Ue che si trasferisse qui durante il negoziato con la Ue e fino alla nostra uscita dalla Ue. E se prendessimo un simile impegno, potrebbe esserci un enorme influsso di cittadini europei che vorrebbero venire qui fino a quando avrebbero questa opportunità ».
Precisa la stessa fonte: «Sarebbe una cattiva posizione negoziale. Non avrebbe senso garantire i diritti dei cittadini della Ue in Gran Bretagna senza avere le stesse garanzie per i cittadini britannici (circa 1 milione e mezzo, ndr) che vivono nei paesi della Ue»
Si tratta dunque soltanto di una posizione tattica, non di principio.
Ma è sufficiente a spingere l’Independent ad aprire il proprio sito con il titolo: «Theresa May rifiuta di escludere la deportazione dei cittadini della Ue residenti in Gran Bretagna per evitare un afflusso di immigrati».
E basta a provocare l’immediata reazione di Tim Farron, leader del partito liberal democratico, finora l’unico partito britannico che ha messo nel programma per le prossime elezioni la permanenza della Gran Bretagna nell’Unione Europea: «È scandaloso che Theresa May non dia agli europei che vivono, lavorano e pagano le tasse in Gran Bretagna la certezza che avranno il diritto di restare qui. Chiediamo alla ministra degli Interni di garantire che il futuro di tutti gli europei che risiedono qui potrà essere nel Regno Unito ».
Sull’argomento interviene pure un’altra candidata alla leadership dei Tories, la ministra dell’Energia Andrea Leadsom, sostenendo che i diritti degli europei giù presenti in Gran Bretagna vanno protetti e che essi non possono essere usati come “gettone negoziale” sul tavolo della trattativa.
Una cosa è certa: per i 3 milioni di europei del Regno Unito, così come per 1 milione e mezzo di britannici negli altri 27 paesi della Ue, cresce l’incertezza, come rivela la corsa degli uni e degli altri a procurarsi un secondo passaporto, britannico o europeo, per non perdere lo status e i diritti a cui si sono abituati.
Sempre che la Gran Bretagna, alla fine, esca davvero dall’Europa.
Autorevoli esperti legali avvertono il governo che il referendum è consultivo e solo il parlamento ha il potere di approvare la secessione dalla Ue.
Più che una decisione, Brexit somiglia sempre di più a un enigma che nessuno sa risolvere.
“Anarchia in Gran Bretagna”, come titola l’Economist.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 5th, 2016 Riccardo Fucile
BREXIT E REGNO UNITO: CADONO I COCCI, NESSUNO SA COSA FARE E TUTTI SI SFILANO
C’è un senso del ridicolo, e purtroppo del tragico, nella grande fuga di Londra.
I cocci di Brexit cadono a pioggia su Gran Bretagna ed Europa. Intanto i protagonisti della storica svolta inglese sull’ignoto, si sfilano.
Accompagnati alla porta per manifesta inadeguatezza, denunciata dal suo stesso luogotenente, come nel caso di Boris Johnson, oppure esuli per scelta «personale», come nel caso di Nigel Farage, attentissimo, però, a non abbandonare salari e prebende garantiti dalla riaffermata volontà di restare nel parlamento europeo.
L’unico dove può sedere non essendo mai riuscito a conquistare un seggio a Westminster
Miserie di una congiuntura, quella del dopo Brexit che non cessa di lasciarci senza parole per l’improvvisazione di un Paese che non sa nemmeno quale debba essere la procedura da seguire per sancire la frattura con Bruxelles voluta dal suo popolo.
Il dito sul pulsante dell’articolo 50 ce l’ha il premier o il parlamento come vorrebbe una democrazia parlamentare?
E se spetta al parlamento, tocca ad entrambe le camere oppure solo ai Comuni ?
E se spetta ad entrambe nel caso di un “sì” alla Brexit da parte dei Comuni e un “no” dei Lords, l’upper chamber avrebbe titolo simile alla lower chamber oppure — come per la legislazione ordinaria — il pronunciamento dei Pari del Regno sarebbe sostanzialmente ininfluente?
Non c’è nulla di amletico nel “multiplo” dilemma, se così si può dire, ma solo una procedura che si sperava fosse nota agli organizzatori della consultazione assai prima di annunciarla, o almeno nel durante, o di sicuro nell’immediatezza dell’esito.
E invece dieci giorni più tardi è un coro di sorprese che si sgrana ora al ritmo di un mercato immobiliare in allarme rosso come suggerisce lo stop imposto alle contrattazioni, e conseguentemente alle richieste di riscatto, del fondo commercial property di Standard Life.
L’ultima volta che accadde una cosa del genere era il 2007, nel 2008 ricordiamo bene che cosa accadde.
Tutti stanno con la bocca aperta a guardare il cielo, aspettando una parola risolutiva che, qualunque essa sia, è destinata a scaldare gli animi di un Paese diviso in due, minacciato ora anche dall’angoscia sul destino dell’immobiliare sulle cui spalle si regge, da sempre, la struttura economica del Regno Unito.
Spaccato nei numeri, nelle nazioni che lo compongono, nella geografia socio-economica.
Ci sono gli elementi di un quadro che, se eccessivamente esasperato, porterà la gente in piazza come si è visto, in una breve sequenza di quanto potrebbe accadere su vasta scala, sabato scorso nelle vie di Londra quando decine di migliaia di eurofili hanno chiesto di restare nell’Ue.
Che cosa faranno gli elettori della Brexit se scoprissero — non gliel’ha mai detto nessuno — che il Parlamento di Westminster può ignorare la loro volontà perchè il voto è “solo” consultivo?
Possiamo solo immaginarlo, così come possiamo immaginare la reazione degli eurofili se scoprissero di non appartenere più a una democrazia parlamentare.
La più antica, la più gloriosa come ci sentiamo ripetere da sempre.
E al primo lezzo di cordite i generali si danno alla fuga, come ha denunciato con lucida freddezza Lord Heseltine che di complotti se ne intende da cospiratore quale fu contro Margaret Thatcher. Altri tempi, altri uomini.
Oggi il premier si dimette smentendo tutto quanto aveva detto, promesso, giurato fino a un istante prima.
Il volto più popolare fra Tory brexiter, il biondo e loquace Boris Johnson, accetta, vivamente incoraggiato, di farsi da parte e lo fa, crediamo, ben contento di non doversi misurare con il caos da lui stesso creato con tanta, irresponsabile leggiadria. L’ideologo del Grande Strappo, Nigel Farage, infine, abbandona il campo, dicendosi soddisfatto del traguardo raggiunto prima tappa dello sfondamento dell’Unione obbiettivo da lui stesso dichiarato. Missione compiuta, dice.
Sarà davvero “accomplished” quando su Londra sarà sbocciata l’alba di una nuova civiltà , ma sulla Gran Bretagna pesa solo il caos.
Nigel sa bene che la missione deve ancora cominciare, solo per questo se ne è andato.
Leonardo Maisano
(da “il Sole24ore”)
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Luglio 5th, 2016 Riccardo Fucile
IL PREMIER LASCIA INTENDERE CHE NON SOLO LUI MA ANCHE DEPUTATI E SENATORI DOVREBBERO ANDARE A CASA QUALORA AL REFERENDUM VINCESSERO I NO… MA MATTARELLA LA PENSA IN ALTRO MODO
Non ci vuole molto a capire come mai Renzi, anzichè spegnere l’incendio che si è acceso sul referendum, getti altra benzina sul fuoco.
Lasciando intendere che non solo lui, ma l’intero Parlamento dovrebbe andarsene a casa qualora vincessero i «no».
Renzi lo dice perchè sente aria di congiure ai suoi danni. Sa che una parte del suo stesso partito spera, sotto sotto, in una sconfitta per detronizzarlo e piazzare al suo posto qualche altro esponente Pd (circolano parecchi nomi, perfino quello della Mogherini che attualmente ricopre l’incarico prestigioso di ministro degli Esteri Ue). Per cui Renzi sfida gli avversari interni: attenti – è come se dicesse loro col suo solito tono spavaldo – che dopo di me ci saranno soltanto le elezioni.
In caso di sconfitta del «si» dovrò dimettermi; ma pure voi, carissimi nemici, farete la mia stessa brutta fine.
Come tutte le pistole, pure quella del premier può mettere paura soltanto a patto che non sia caricata a salve. Cioè a condizione che Renzi sia davvero in grado di riportare il paese alle urne. Del che è lecito dubitare.
Anzitutto perchè il presidente della Repubblica, cui spetta il potere di scioglimento, non sembra disposto a bruciare le tappe.
L’orizzonte temporale di Mattarella è il 2018, quando la legislatura sarà arrivata alla sua naturale conclusione. Non prima.
Per piegare la resistenza del Colle, e imporre elezioni subito, Renzi dovrebbe far leva sulla cieca e totale obbedienza del suo partito, con l’obiettivo di tagliare la via a qualunque soluzione alternativa e rendere inevitabile un ricorso alle urne.
Ma riuscirà davvero il premier, nel caso dovesse perdere il referendum, a conservare sul suo partito una presa così forte da mettere tutti quanti in riga? Qualche dubbio è legittimo.
Perfino nel caso in cui Renzi ci riuscisse, non si capisce quale sarebbe il suo tornaconto.
Perchè dopo una batosta nel referendum, figurarsi che altra legnata il premier prenderebbe nelle elezioni politiche.
Avrebbe più chance di vincere al lotto piuttosto che nella lotteria elettorale. Per cui la minaccia di Renzi è chiara; che poi funzioni, è tutto da dimostrare.
Ugo Magri
(da “La Stampa“)
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Luglio 5th, 2016 Riccardo Fucile
AD ACCOGLIERE LE SALME IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA… LO STRAZIO DI PARENTI E AMICI
È atterrato poco dopo le 19 a Ciampino l’aereo di Stato con a bordo le salme dei nove italiani rimasti uccisi nell’attacco terroristico in un ristorante di Dacca, in Bangladesh. Le hanno accolte i parenti, il presidente della Repubblica Mattarella e il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni.
Scene strazianti tra lacrime, lunghi abbracci e momenti di desolazione davanti ai nove feretri, ognuno ricoperto da un tricolore.
Qualcuno sfiora le bare, tutti sfilano mestamente davanti ai feretri. Dopo una preghiera collettiva, tre religiosi hanno benedetto le bare una ad una.
Uno dei tre sacerdoti, don Luca Monti, è fratello di Simona Monti, una delle vittime da poco incinta. Ha voluto essere lui a dare la benedizione al feretro.
Poi l’omaggio composto e commosso del Capo dello Stato e il ministro Gentiloni che ha voluto annunciare: “Ho preso con il presidente Mattarella l’impegno a nome del governo ad assicurare che i benefici previsti dalla legge per le vittime del terrorismo si applichino ai nostri caduti all’estero. È un impegno doveroso di fronte a episodi come quello della strage di Dacca”.
Così è stato l’ultimo saluto a Adele Puglisi, Marco Tondat, Claudia Maria D’Antona, Nadia Benedetti, Vincenzo D’Allestro, Maria Rivoli, Cristian Rossi, Claudio Cappelli e Simona Monti, trucidati per la follia terroristica.
A bordo del Boeing 767 dell’Aeronautica Militare era salito anche Gianni Boschetti, sopravvissuto alla strage e marito di una delle vittime, Claudia Maria D’Antona.
Le salme in serata vengono portate all’Istituto di medicina legale del Policlinico Gemelli dove, dopo il riconoscimento ufficiale da parte dei parenti, saranno sottoposte ad accertamenti da parte di una èquipe di medici legali.
(da agenzie)
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Luglio 5th, 2016 Riccardo Fucile
IL BLITZ, LE TORTURE, IL PROFESSORE…I TERRORISTI HANNO CERCATO DI FUGGIRE, SONO STATI UCCISI CON UN COLPO ALLA NUCA
Davvero erano solo cinque i terroristi? Chi sono in realtà ? Come possono le autorità bengalesi affermare tanto velocemente che non militano per Isis? E cosa raccontano i fermati?
Era inevitabile che un attentato terroristico grave come quello nel cuore di Dacca venerdì scorso, in cui sono coinvolti anche cittadini occidentali, sollevasse dubbi e interrogativi di ogni genere.
Misteri, ipotesi disparate dominano l’inchiesta. Ma occorre aggiungere che la tradizionale libertà opaca concessa con parsimonia dalle autorità in queste regioni del mondo non fa che complicare le cose.
La stampa locale viene censurata, le teorie del complotto vanno per la maggiore. «Pubblichiamo, ma non crediamo alle verità del governo», affermano i giornalisti a Dacca. I portavoce di polizia ed esercito non aiutano. Questi i punti oscuri più evidenti.
Isis o altro?
Da subito i capi dei servizi di sicurezza locali e poi la premier Sheikh Hasina hanno ribadito che il commando era legato a gruppi dell’estremismo islamico locale, e in primo luogo quello dei «Jamatul Mujaheddin Bangladesh», attivo da molti decenni. «Isis non c’entra per nulla», ci ha detto ieri Masudur Rahman, portavoce della polizia. In realtà , tutti i maggiori commentatori locali e stranieri puntano il dito proprio contro Isis.
Lo stesso Califfato ha pubblicato subito le foto di 5 attentatori, presentati come suoi fedeli militanti.
Alcuni di questi ultimi nei loro blog si proclamavano seguaci di Isis e pare lo abbiano ripetuto durante il massacro
I tempi dell’eccidio
Gli inquirenti dichiarano che gli ostaggi sarebbero stati uccisi tutti entro i primi 20 minuti del blitz, dunque più o meno alle 21 di venerdì.
Ma la cosa è smentita da tutte le fonti dirette. Ci si chiede inoltre come mai l’intera operazione è durata circa 12 ore.
Il Corriere ha parlato con Shishir Sharkar, un indù 26enne che lavora nella cucina del locale, che ha fornito questa versione: «Quando i terroristi sono entrati io ho trovato rifugio nella ghiacciaia con un giapponese. Dopo due ore, alle 22.30, ci hanno scoperti e obbligati ad uscire. Il giapponese è stato ucciso subito con una raffica al petto. Io sono salvo solo perchè ho detto di essere musulmano. Poi mi hanno spinto nel salone, dove erano riversi nel sangue gli ostaggi. Pochi minuti prima erano stati colpiti a raffiche. Davanti a me i terroristi si sono messi a tagliare le gole, ma anche braccia e gambe a quelli che ancora respiravano. Non credo vi siano sgozzati che prima non siano stati feriti. Qualcuno è stato poi pugnalato a petto, schiena e collo. Credo che gli sgozzati siano almeno 9. Tra loro anche 3 o 4 italiani».
I numeri?
Isis parla di cinque «martiri». La polizia di Dacca ne segnala invece sette, di cui uno sarebbe ferito, ma vivo e sotto custodia nell’ospedale militare. Di lui non è stata diffusa alcuna identità finora.
I commentatori locali azzardano l’ipotesi possa essere un falso delle autorità per poi poter diffondere con facilità la loro versione dei fatti.
Per esempio, non sarebbe vero che è stata la polizia a liberare gli ostaggi, ma sarebbero stati gli stessi terroristi a lasciarli andare prima dell’ultima battaglia.
A detta di Sharkar, il nostro intervistato, assieme a un altro collega, il 26enne Delwar Hussein, i terroristi sarebbero comunque stati volutamente uccisi dalle teste di cuoio governative nella scena finale del sequestro alle sette e mezza della mattina di sabato. Raccontano: «Alle sette in punto i terroristi ci hanno detto che noi musulmani potevamo uscire liberamente. Loro invece sarebbero morti combattendo e volati in paradiso. Ci hanno ingiunto di ricordare il loro sacrificio e mantenere la nostra fede in Allah. In realtà , hanno provato a fuggire dal retro del ristorante. Ma la polizia ha attaccato in forze. Alcuni sono caduti a terra feriti. Ne ho visti un paio che si trascinavano verso il muro di cinta con tracce di sangue sui pantaloni e le scarpe. La polizia allora li ha uccisi tutti sparando alla testa. Noi tredici sopravvissuti non siamo stati liberati dal blitz».
Il professore arrestato
Resta enigmatica la figura di Hasnat Karim, professore alla North South University (Nsu), una delle più prestigiose a Dacca. In un primo tempo era stato descritto come tra le vittime fortunate, che con moglie e due figli, sono sopravvissute all’inferno.
Ma al momento è sotto interrogatorio con il sospetto possa essere legato ai terroristi. Karim ha vissuto oltre 12 anni a Londra, dove ha tra l’altro studiato ingegneria alla Queen Mary University.
Nel 2012 era docente alla Nsu, dove pare abbia insegnato anche ad almeno uno dei terroristi, Nibras Islam. I sospetti nei suoi confronti sarebbero cresciuti quando gli inquirenti hanno sostenuto di aver trovato il suo nome e numero di telefono su di un bigliettino nella tasca dei pantaloni di un jihadista.
Inoltre, alle 5 di sabato Karim sarebbe stato filmato dalle telecamere delle forze dell’ordine mentre fumava una sigaretta chiacchierando amichevolmente con i sequestratori sulla terrazza del Holey Artisan Bakery.
Il pizzaiolo
Una storia simile è quella di Saiful Choukidar, 40 anni, di professione pizzaiolo, deceduto nello scontro a fuoco.
La polizia sospetta potesse essere il basista del commando nel locale e ne diffonde la foto col nome di battaglia: Akash. Tuttavia la sua foto non corrisponde con quelle diffuse da Isis.
Tra i reporter del quotidiano Daily Star , diretto da Mahfuz Anam, un intellettuale particolarmente critico del premier, è prevalente l’ipotesi che proprio la confusione sulle identità dei componenti del commando faccia parte di una precisa strategia del governo per annacquare le proprie responsabilità .
Lorenzo Cremonesi
(da “il Corriere della Sera”)
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Luglio 5th, 2016 Riccardo Fucile
DOPO POLEMICHE, LITI E INCURSIONI DEL DIRETTIVO, LA MONTAGNA HA FORSE PARTORITO IL TOPOLINO
La telefonata di Beppe Grillo prima e quella di Davide Casaleggio dopo hanno messo fretta a Virginia Raggi, che per mercoledì ha convocato l’intera Giunta anticipando di ventiquattro ore l’annuncio ufficiale che sarà fatto giovedì durante il primo consiglio comunale.
“La squadra è stata chiusa nelle ultime 48 ore”, giurano dal suo entourage.
Si tratta di nove assessorati più uno a tempo, quello alle Partecipate.
E Luigi Di Maio, che in questa partita ha svolto il ruolo del mediatore tra le varie anime del Movimento, fa quadrato intorno alla Raggi: “Avevamo previsto che sarebbero stati tutti contro Virginia e la sua Giunta. Ma siamo un gruppo compatto e forte”.
Per quando il leader in pectore provi a gettare acqua sul fuoco, il caos è stato tanto e lo dimostrano le fughe in avanti della Raggi con relativi passi indietro dopo essere stata ammonita non solo dal mini-direttorio ma anche da Grillo e Casaleggio.
Il quadro attuale sembra essere il seguente. Il condizionale, data la situazione, è d’obbligo.
A Daniele Frongia, cui era stata attribuita la carica di capo di gabinetto, andrà invece la delega alle società partecipate e la carica di vicesindaco politico. Si tratta di un assessorato di peso che Frongia ha preteso dopo aver dovuto fare un passo indietro da capo di gabinetto con tanto di ordinanza firmata.
Il motivo di questa giravolta è da ricercare nel fatto che, a nomina avvenuta, ci si è resi conto che per legge il braccio destro della Raggi non avrebbe potuto firmare i capitoli di spesa e che quindi era necessario un vice con potere di firma.
Il sindaco, senza consultare il mini-direttorio, aveva scelto Raffaele Marra, finito sotto accusa dal mondo pentastellato per il suo passato con Gianni Alemanno e Ignazio Marino.
Da qui l’impasse che è stato superato solo con la revoca di entrambe le nomine. In più, agli occhi dello staff, un vice sindaco “politico” come Frongia sarebbe più controllabile dal Movimento.
Per la figura di capo di gabinetto si sarebbe optato per Daniela Morgante, assessore al Bilancio nella prima Giunta Marino.
Il suo nome era circolato per una riconferma come titolare dei conti, ma anche in questo caso c’è stato poi un cambio di rotta.
Marcello Minenna, ex dirigente Consob, sarebbe di nuovo in predicato per il Bilancio, ma qualcuno lo dà come capo della ragioneria del Campidoglio.
Nel rincorrersi delle voci qualcuno sostiene che a mettere mano alle casse (vuote) del Comune sarà un nome a sorpresa.
Ai Trasporti, nell’incertezza generale e dopo una serie di no, è in pole il consigliere M5S Enrico Stefà no, in questo caso si verrebbe meno all’impegno di evitare figure interne al Movimento. Di certo questo assessorato sarà affiancato da figure tecniche. Allo Sviluppo economico ci sarà Adriano Meloni, l’ex amministratore delegato di Expedia.
All’Urbanistica, come annunciato, Paolo Berdini, finito già al centro delle polemiche per le sue dichiarazioni sullo stadio.
All’ambiente Paola Muraro, che ha già incontrato il presidente di Ama Daniele Fortini.
Il rugbista Andrea Lo Cicero allo Sport. Luca Bergamo alla Cultura, Flavia Marzano all’assessorato Semplificazione-Smart City, e infine Laura Baldassarre al Sociale. Quest’ultima sarebbe stata scelta da Luigi Di Maio, che nel difficile puzzle della Giunta è dovuto intervenire a gamba tesa.
(da “Huffingtonpost“)
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