Luglio 27th, 2016 Riccardo Fucile
“ECCO PERCHE’ HA UCCISO SOLO MIGRANTI, SI DEFINIVA UN ARIANO”… RIBALTATA LA VERSIONE INIZIALE CHE LO VOLEVA VICINO ALL’ISIS
Per Ali Sonboly era motivo di grande orgoglio essere nato il 20 aprile, lo stesso giorno di Hitler. E proprio le sue radici iraniane stavano alla base del suo disprezzo nei confronti degli arabi e dei turchi: “Iran” e “ariano” hanno la medesima radice, e per questo secondo gli inquirenti quel giorno a Monaco ha mirato quasi esclusivamente agli stranieri.
Non un caso: tutte e nove le giovani vittime avevano un passato di immigrazione.
Le rivelazioni del quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, che cita fonti di polizia, ribaltano completamente la percezione iniziale che la strage al centro commerciale di Monaco fosse dettata dall’appartenenza all’Islam o comunque dalla fascinazione nei confronti dell’Isis.
Già nelle prime ore gli investigatori avevano escluso che il ragazzo fosse un ammiratore del Califfato islamico, anzi, i materiali trovati nella sua stanza puntavano piuttosto alla volontà di imitare Anders Breivik, il neonazista norvegese che ha compiuto il massacro di Utoya il 22 luglio del 2011: cinque anni dopo, nello stesso giorno, è entrato in azione il tedesco-iraniano Ali Sonboly.
Nei giorni dopo l’attentato a Monaco, gli inquirenti hanno dato credito anche al fatto che il giovane fosse affetto da turbe psichiche e che avesse accumulato una forte frustrazione perchè vittima di bullismo.
Ma secondo le fonti citate dal Faz, la malattia mentale non spiega completamente il gesto di Sonboly.
Persone che lo conoscevano, scrive il quotidiano tedesco, assicurano che nutriva una forte ammirazione per Adolf Hitler e che era contento di condividere il giorno di nascita con il dittatore nazista.
Inoltre coltivava una “superiorità ” nei confronti dei migranti non iraniani, specialmente contro le persone di origine araba o turca che a differenza degli iraniani e degli europei non hanno origine indoeuropea.
Invece di sentirsi accomunato dalla religione musulmana, Sonboly si sentiva appartenente a “una razza superiore”, quella ariana.
Un estremista di destra che forse non aveva contatti con gruppi xenofobi, ma che ha agito per uccidere i migranti che disprezzava.
Per i servizi di sicurezza, dunque, il disagio mentale del ragazzo era soltanto un elemento secondario.
(da agenzie)
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Luglio 27th, 2016 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DELLA SOCIETA’ ITALIANA DI PSICHIATRIA: “EPISODI DI SUICIDIO ALLARGATO A CUI LA SPETTACOLARIZZAZIONE ASSICURA AUDIENCE”
Non pubblicare più i nomi e le foto degli attentatori.
Il motivo? Evitare possibili casi di emulazione, da parte di persone con disturbi psichici, che porterebbero implicitamente all’aumento esponenziale degli attentati, compiuti però da persone che non hanno quasi nessun collegamento con cellule terroristiche.
A chiederlo è Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di psichiatria.
“A fronte dell’incapacità di prevenire tali atti di violenza — ha spiegato Mencacci — è evidente che si tratta di episodi di suicido allargato a cui la spettacolarizzazione garantita dalla stampa e dal web assicura audience. Ecco dunque che è molto alto il rischio di contagio fra adolescenti ad alto rischio emulativo“.
Per lo psichiatra, quindi, “il pericolo reale in questi giorni è quello di un effetto contagio. Ecco perchè andrebbe evitata l’eccessiva descrizione, ma anche l’involontaria trasformazione in atto eroico con una connotazione politica o religiosa forte, di azioni compiute da una persona con un disagio mentale. E’ fondamentale informare il pubblico circa minacce o azioni terroristiche, ma lo è anche contrastare in ogni modo il pericolo di emulatori”.
Diventa quindi argomento di dibattito il tema sollevato proprio oggi dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha chiesto ai mezzi d’informazione di “ricercare il punto di equilibrio con l’esigenza di evitare che la ripetitività fuor di misura di immagini di violenza possa provocare comportamenti emulativi“.
Il capo dello Stato ha dedicato al tema una parte del suo discorso alla cerimonia del Ventaglio. “Talvolta — ha detto — i media cedono alla tentazione di voler spiegare in tempo reale gli avvenimenti, in luogo di narrarli, cercando nello smarrimento della gente, nei frammenti di immagine, in testimonianze, rese talvolta sotto choc, conclusioni destinate sovente a rivelarsi fallaci alla luce dei fatti”.
Per Mattarella, però, “non può valere in questo caso il detto the show must go on, perchè non si tratta di spettacolo bensì della vita e del futuro delle persone. Forse sarebbe opportuno, peraltro, ricercare il punto di equilibrio con l’esigenza di evitare che la ripetitività fuor di misura di immagini di violenza possa provocare comportamenti emulativi. Quegli stessi comportamenti che il web, pur tra tanti benefici, talvolta sembra suggerire, offrendo una platea sterminata ai predicatori di odio“.
Parole, quelle del presidente, che in qualche modo sono in linea con le dichiarazioni rilasciate aualche giorno fa dal sociologo Michel Wieviorka.
“La violenza estrema — ha detto al quotidiano La Stampa — è nello spirito dei tempi, regna nell’informazione e nei social network. Triste dirlo, ma è così: è onnipresente. E fornisce perfino riferimenti, idee a chi ha una psicologia fragile. La violenza dà un senso all’infelicità di certe persone”.
Proprio oggi, invece, il quotidiano francese Le Monde ha annunciato non solo non pubblicherà più le immagini di propaganda dello Stato Islamico, ma anche le foto degli attentatori per evitare effetti di “glorificazione postuma“. Più o meno come era avvenuto nel febbraio del 2015, subito dopo la diffusione dei primi video di propaganda dello Stato Islamico: immagini raccapriccianti che raffiguravano le decapitazioni e le esecuzioni messi in atto da parte dei guerriglieri dell’Isis.
La goccia che aveva fatto traboccare il vaso era rappresentata probabilmente dal video che raffigurava l’uccisione Moaz al-Kasasbeh, il pilota giordano bruciato vivo. In quei giorni testate autorevoli come il Guardian sottolineavano come la decisione di pubblicare i video dell’Isis non fossero in alcun modo legati al diritto di cronaca, ma servissero spesso solo ad aumentare il traffico dei siti web: è per questo motivo che ad un certo punto i filmati di propaganda del Califfato erano scomparsi dai principali giornali del mondo. In quel caso occorreva evitare di amplificare la propaganda dell’Isis.
Adesso, invece, il rischio è fornire esempi a soggetti instabili, che vedono negli attentati una fonte d’emulazione.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 27th, 2016 Riccardo Fucile
“RESISTERE ALLA STRATEGIA DEL’ODIO, I GIORNALI DEVONO RIFLETTERE”
Il quotidiano francese Le Monde non solo non pubblicherà più le immagini di propaganda dello Stato Islamico, ma anche le foto degli attentatori per evitare effetti di “glorificazione postuma“.
Ad annunciarlo con un editoriale pubblicato online è stato il direttore Jèrome Fenoglio dal titolo “Resistere alla strategia dell’odio”.
Il giornalista ha infatti spiegato che il modo di trattare l’argomento Isis è più volte cambiato nel corso dei mesi: in un primo momento il quotidiano ha deciso di non diffondere più quello che riguarda direttamente la propaganda dello Stato Islamico, ora dopo gli attentati di Nizza e Rouen, anche di evitare la pubblicità dei volti di chi ha commesso le stragi.
Sul tema in queste ore si è espresso il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella: “Non può valere in questo caso il detto the show must go on, perchè non si tratta di spettacolo bensì della vita e del futuro delle persone”.
“La battaglia contro l’odio”, si legge nell’editoriale di Le Monde, “non può essere considerata solo come una questione delle forze armate, dei servizi segreti o della politica. Questa riguarda tutte le componenti della società e in primo luogo chi costituisce il nostro panorama mediatico modificato dalla rivoluzione digitale. Senza una presa di coscienza delle industrie che controllano i social network, nuovi media di massa, sarà sempre di più difficile resistere agli effetti della strategia dell’odio. I suoi migliori alleati, voci e complottismo, sono messi oggi sullo stesso piano delle informazioni affidabili e verificate”.
Secondo Fenoglio, a essere chiamati in causa nella lotta al terrorismo, sono direttamente anche i siti e i giornali che “producono le informazioni”: “Questi non possono più esonerarsi da fare delle riflessioni. Dall’inizio del terrorismo dello Stato Islamico, Le Monde ha più volte modificato i suoi approcci all’argomento. Altri dibatti sulle nostre pratiche sono ancora in corso”.
E ha poi concluso dicendo che il cambio di approccio lo si deve innanzitutto alle vittime delle stragi che stanno travolgendo l’Europa : “La scelta di adattarsi alle pratiche di un nemico che ritorce contro di noi tutti gli strumenti della nostra modernità , è indispensabile se vogliamo rompere la strategia dell’odio, se vogliamo vincere senza rinnegarci. Lo dobbiamo a tutte le vittime dell’organizzazione criminale detta Stato Islamico. Da martedì 26 luglio lo dobbiamo alla memoria di padre Jacques Hamel, ucciso nella sua chiesa”.
Fenoglio nella sua analisi ha parlato anche di un “limite all’esercizio della critica” in una situazione generale che definisce di guerra.
“La valutazione costante e critica delle politiche di sicurezza è un imperativo democratico. L’esecutivo e le istituzioni devono poter riconoscere che, in questa lotta contro il terrorismo, degli errori possono essere commessi, dei dispositivi devono essere migliorati”.
Il riferimento è alle tante polemiche sul sistema di sicurezza nel territorio dopo gli ultimi attacchi.
E a questo proposito il direttore ha scritto: “Ci devono essere dei limiti all’esercizio della critica condotta dai partiti d’opposizione. Questi non possono far intendere che prendendo una misura miracolosa un’altra maggioranza politica potrebbe fermare la guerra contro i jihadisti”.
Per questo, ha chiuso Fenoglio, i politici hanno la responsabilità di evitare di sfruttare elettoralmente la situazione d’emergenza.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 27th, 2016 Riccardo Fucile
DEFINITI I RUOLI DEL TRIUMVIRATO DOPO L’INCONTRO CON GRILLO
I ruoli sono stati assegnati. Luigi Di Maio corre verso la candidatura a premier. Roberto Fico sarà il nuovo garante del decalogo pentastellato e del simbolo, e Alessandro Di Battista farà quello che gli riesce meglio: l’uomo-immagine, il megafono, il trascinatore di folle.
I tre amici del direttorio sono i volti più noti e spendibili del quintetto che guida il M5S. Ognuno secondo la propria indole.
«Dibba» andrà dove sono le telecamere. Il sempre più istituzionale Di Maio continuerà nella sua personale costruzione di un leader. Mentre Fico, il più «purista» nella cerchia al vertice, è il prescelto per il ruolo più delicato.
Dovrebbe essere lui, se tutto sarà confermato, l’uomo che scioglierà le controversie, che decreterà le espulsioni, che assegnerà il simbolo.
Una parte contesa da Roberta Lombardi, altro nome sul tavolo, che così tornerebbe protagonista dopo l’uscita dal mini-direttorio romano per le liti con Virginia Raggi. Ma è Fico ad avere più chance. Ha il placet di Beppe Grillo e Di Maio ha fatto sapere di non essere interessato, le sue ambizioni sono altre, come dimostra il percorso di accreditamento a più livelli che sta affrontando.
Dopo il viaggio in Israele, l’incontro riservato con le lobby, ieri ha avuto il primo confronto con un alto prelato, e non uno qualsiasi: don Antonio Spadaro, gesuita vicinissimo al Papa.
Dunque è su Fico che si concentrano le speranze dei molti 5 Stelle in Parlamento che lo considerano meno avvezzo alla ribalta mediatica e portatore del verbo originario, poco contaminato da tre anni di vita nei Palazzi.
Prenderebbe il posto di Grillo che via via si sfilerà dalla gestione diretta del M5S. Ancora non si sa se lo farà subito o a poco a poco.
Quel che è certo, e che il viaggio a Genova la scorsa settimana ha sancito, è che i giovani leader entreranno nell’Associazione M5S nata nel 2013 e avranno potere sul simbolo.
Che nelle dinamiche del Movimento vuol dire tanto. Perchè attraverso la revoca del simbolo si può decidere di non candidare qualcuno. Una leva che di solito si usa di fronte alle ingestibili divisioni tra meet-up.
E Fico, nel direttorio, è quello che più ha il polso del territorio, essendo proprio lui il responsabile dei meet-up.
Non solo. Le vesti da garante, dicono ancora, gli calzerebbero alla perfezione anche perchè è lui che Gianroberto Casaleggio considerava il più fedele alla visione politica della democrazia orizzontale, con buona pace degli attivisti reintegrati dal Tribunale di Napoli che in Fico vedono il responsabile delle loro espulsioni.
Nelle nuove vesti il deputato partenopeo avrebbe questa e altre grane da affrontare.
Il caso di Federico Pizzarotti, prossimo all’addio, e ora anche il possibile guaio di Pisticci, il Comune della Basilicata dove la neo-sindaca grillina Viviana Verri ha nominato assessore al bilancio Rocco Giuseppe Lettini, ex Forza Italia già incaricato con lo stesso ruolo nella giunta di centrodestra dal 1998 al 2001.
Ilario Lombardo
(da “La Stampa”)
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Luglio 27th, 2016 Riccardo Fucile
“E’ UNA GUERRA PER INTERESSI, SOLDI, NON CERTO DI RELIGIONE: TUTTE LE RELIGIONI VOGLIONO LA PACE”
“Abbiamo bisogno di dire questa verità : il mondo è in guerra perchè ha perso la pace”. Così Papa Francesco sul volo di andata da Roma a Cracovia commenta gli ultimi fatti di terrorismo, precisando il suo pensiero: “Quando parlo di guerra parlo guerra sul serio, non di guerra di religione. C’è guerra per interessi, soldi, risorse della natura, per il dominio sui popoli. Questi sono i motivi. Qualcuno parla di guerra di religione, ma tutte le religioni vogliono la pace. La guerra la vogliono gli altri, capito?”.
“Da tempo il mondo è in guerra a pezzi – aggiunge Bergoglio – Non è tanto organica forse (organizzata sì), ma è guerra. Questo santo sacerdote ieri è morto per la preghiera che offriva alla chiesa. È uno, ma pensiamo a quanti innocenti, a quanti bambini muoiono. Pensiamo alla Nigeria ad esempio ‘Ah quella è l’Africa’, dicono, sì è l’Africa, ma è in guerra”.
Bergoglio ha ringraziato Francois Hollande per la telefonata di condoglianze per l’uccisione di padre Jacques Hamel.
“Lo ringrazio come un fratello” ha detto. Papa Francesco è diretto a Cracovia per la Giornata mondiale della Gioventù: “La gioventù è sempre speranza, speriamo che i giovani ce ne diano in questo momento”.
(da agenzie)
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Luglio 27th, 2016 Riccardo Fucile
“SERENITA'” ANZICHE’ “SEVERITA'” E LUI LI RIMPROVERA: “SVEGLIA!”
Maurizio Gasparri e Twitter, un rapporto difficile.
Ricordate che cosa successe a metà marzo? In un tweet del senatore di Forza Italia c’era un vistoso errore grammaticale: il fantasioso passato remoto “chiesimo” al posto del corretto “chiedemmo”.
Sulla rete si scatenò l’ironia degli utenti e il responsabile delle comunicazioni social dell’ex ministro fu immediatamente sollevato dal suo incarico.
Sono trascorsi poco più di quattro mesi ed ecco un altro scivolone.
Nel tweet apparso sul profilo di Gasparri, che interviene in merito alla questione immigrazione, si legge: “Occorre un blocco navale, ci vuole maggiore serenità da parte della magistratura, basta buonismo!”.
Pronta arriva la strigliata del senatore al suo staff di Twitter: “Staff, sveglia, ci vuole maggiore severità da parte della magistratura!!”.
La tempestiva cancellazione del tweet non è stata sufficiente a fermare i commenti ironici degli internauti: “Anche in ferie Gasparri riesce a litigare con il suo staff”.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 27th, 2016 Riccardo Fucile
PARISI: “MI E’ STATO OFFERTO IL POSTO DI COORDINATORE, HO RIFIUTATO, A ME INTERESSA RINNOVARE IL CENTRODESTRA NEI CONTENUTI, NON UNA POLTRONA”… MATTEOLI SE LA PRENDE CON LE DECISIONI CALATE DALL’ALTO: PARLA LUI CHE E’ SEMPRE STATO ZITTO SIA CON FINI CHE NON SILVIO QUANDO NE TRAEVA VANTAGGIO
Stefano Parisi va avanti a costruire il polo dei moderati con la benedizione di Silvio Berlusconi e convoca i moderati a Milano il 16 e 17 settembre.
Annuncia una convention aperta, stile Usa e in una mail già inviata alla sua mailing list, e che oggi sarà rilanciata sui social, spiega: “Si è fatto un gran parlare di leadership, quando il primo problema sono i contenuti: io ho dato la mia disponibilità a costruire un programma liberal popolare concreto e vincente, la cui definizione è preliminare a qualsiasi discorso”.
Invita: “Ci ritroveremo tutti per far sì che da Milano parta la rigenerazione del centrodestra prima e del paese poi. Il cantiere è appena aperto”.
La partita tuttavia è appena cominciata.
In Forza Italia, la corazzata del centrodestra ridotta ora al lumicino, che proprio nella vittoria di Parisi a sindaco di Milano puntava per riscattarsi e invece è stata sconfitta, c’è aria di rivolta.
In un colloquio con Repubblica, Parisi parla del futuro politico del centrodestra: “Voglio creare una alternativa liberale a Renzi. Altrimenti la gente pensa che se il premier perde il referendum e va a casa, poi vincono i 5Stelle o c’è il baratro. Per questo serve un progetto di rinnovamento nei contenuti e Forza Italia deve tornare a essere forza di governo”.
Ribadisce: “Ho un progetto e rispondo solo a Berlusconi”.
Rivela anche che gli è stato offerto il ruolo di coordinatore di FI, ma ha rifiutato perchè ci vuole altro.
Quindi la convention di Parisi si terrà in settembre e oggi stesso saranno annunciati data e luogo. Di certo l’ex manager non immaginava una strada facile, conoscendo le lacerazioni forziste e il lungo braccio di ferro con la Lega di Salvini per la leadership,
Giovanni Toti per alcuni anni “consigliere politico” di Berlusconi, critica e in uno sfogo ha minacciato di andarsene.
L’operazione-Parisi di fatto è un reset dell’attuale classe dirigente forzista. Dalla sua Parisi ha il sostegno di Fedele Confalonieri, il presidente Mediaset e fidato consigliere dell’ex premier, di Marina Berlusconi e di Niccolò Ghedini, l’avvocato e amico.
Formalmente l’ex manager è “l’incaricato”: nella nota con cui la segreteria di Berlusconi annuncia l’investitura è scritto: “E’ stato dato incarico al dottor Stefano Parisi di effettuare una analisi approfondita della situazione politica e organizzativa di Forza Italia. Dovrà elaborare un progetto per il rilancio e il rinnovamento della presenza dei moderati italiani nella politica”.
All’ex ministro Altero Matteoli appare “una scelta calata dall’alto”.
“E’ giusto che Berlusconi decida da solo ma non possiamo cambiare linea politica ogni sei mesi”, ragiona in un’intervista alla “Stampa” .
E aggiunge: “Conosco Parisi da quando era direttore della Confindustria. E’ persona capace ma non mi piacciono le decisioni calate dall’alto. Questo l’ho detto espressamente al Berlusconi nella riunione della settimana passata”.
La piega che stanno prendendo le cose nel centrodestra non piace neppure al capogruppo al Senato, Paolo Romani.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 27th, 2016 Riccardo Fucile
LEI: “MAI DETTO CHE VI AVREI RINUNCIATO”… MA DI MAIO AVEVA DETTO: “IL M5S NON LE USA”…E IL PD HA BUON GIOCO : “FATE ANCHE VOI PARTE DELLA CASTA”
Chiara Appendino arriva in auto blu a Palazzo Lascaris, sede del Consiglio regionale del Piemonte, per incontrare il presidente Sergio Chiamparino e subito scoppia la bagarre.
Gli avversari dei Cinque Stelle hanno colto la palla al balzo per dimostrare a colpi di post su Facebook che anche la nuova sindaca grillina è entrata a pieno titolo nella “kasta”.
A fotografare la scena dell’auto di servizio parcheggiata ieri mattina nel cortile di via Alfieri è stato un funzionario del Pd.
E subito il senatore dem Stefano Esposito ha colto l’assist per sferrare l’attacco: “La notizia c’è solo perchè Appendino e i grillini in generale su questi comportamenti hanno costruito la loro presunta diversità . In effetti – ha scritto – sono diversi, dicono un sacco di bugie”.
E ha poi proseguito, lanciando l’hashtag #appendinobugiarda: “Aveva detto: userò il taxi e non l’auto con l’autista”.
Lo staff della sindaca smentisce che Appendino abbia mai affermato di rinunciare all’auto di servizio.
In effetti erano stati il vicepresidente del Senato, Luigi di Maio, e Alessandro Di Battista, a parlare di auto blu, durante i comizi elettorali a sostegno della candidata sindaca.
E il 16 giugno lei stessa aveva ripreso una battuta di Di Battista con un tweet: “Altri politici non possono stare in mezzo ai cittadini senza scorta”.
E ancora ieri sul blog di Beppe Grillo Luigi Di Maio invece ribadiva: “Stesso discorso a livello locale: le giunte e gli assessori comunali hanno rifiutato, ovunque il M5S governi, questo privilegio di lunga data”.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 27th, 2016 Riccardo Fucile
PAPA FRANCESCO NON VUOLE LA MILITARIZZAZIONE DELLE CHIESE
Anche se il salto di qualità c’è stato e spaventa, il Vaticano non ha intenzione di chiedere una militarizzazione delle chiese.
Al contrario di quello che da Raqqa predica il Califfato, l’indicazione del Papa è semplice e determinata: la pratica religiosa nulla ha a che fare con le armi.
Quindi, porte aperte come sempre e no ai soldati col mitra imbracciato a fare da guardia a chi si reca a messa.
Il sangue versato non deve cambiare le abitudini dei fedeli e tanto meno dei ministri della fede. La speranza è che l’atto sacrilego di Saint-Etienne-du Rouvray rimanga un episodio isolato, e la tendenza all’emulazione che sta scuotendo come un colpo di frusta Germania e Francia non sia davvero la spia di una patologia contagiosa che ormai sembra mescolare follia e radicalizzazione.
Per cercare di fare un po’ di chiarezza:
Primo, non esiste alcuna prova che dimostri una pianificazione o organizzazione diretta degli ultimi attentati (da Nizza alla Normandia, passando per la Baviera) da parte dell’Isis.
Secondo, l’unico elemento certo è la chiamata alle armi di tutti i musulmani che si riconoscono nel Califfato perchè si uniscano alla Jihad ovunque si trovino e con ogni mezzo a disposizione.
Terzo, tutte le rivendicazioni sono frutto di una propaganda forzata che cerca di dimostrare a posteriori una potenza che l’Isis non ha più sul campo (Siria e Iraq) nè probabilmente sul territorio europeo.
E si torna al capitolo “lupi solitari”.
L’analisi quotidianamente aggiornata sugli autori delle stragi più recenti (quella di Saint-Etienne-du Rouvray naturalmente fa eccezione) indica tre costanti: disturbo psichico, emarginazione e repentina radicalizzazione.
Ma questo terzo dato è considerato più come elemento capace di dare una giustificazione ai primi due, cioè alla esplosione di follia provocata da squilibri mentali e sociali.
E ad un isolamento che non trova più lo sbocco di qualche anno fa.
Insomma, se si spostassero indietro le lancette alla stagione di maggiore potenza militare e mediatica del Califfato, quasi tutti se non proprio tutti gli autori degli ultimi attentati sarebbero nel serbatoio di carne da macello dei foreign fighters nel teatro di guerra siroiracheno e non a casa loro col coltello in mano e l’idea di consegnarsi alla Jihad pur di dare sfogo nel sangue al proprio disagio.
Ciò detto, la patologia dell’emulazione porta con sè un inevitabile innalzamento della soglia di rischio anche in Italia.
Le forze speciali di polizia e carabinieri (Nocs e Gis) e non solo sono già in allarme da mesi e non da giorni, ma bisogna essere molto onesti: la prevedibilità di un gesto di follia al quale poter dare una efficace, rapida risposta armata è pari a zero.
E l’unica possibilità di tamponare il pericolo non è più affidata solo alle capacità dell’intelligence, ma risiede anche e soprattutto nel controllo capillare del territorio. Per capirsi, per individuare il potenziale lupo solitario prima che colpisca, oggi conta più il maresciallo di una caserma dei carabinieri di un sofisticato analista dei servizi segreti.
E se assistito da uno psichiatra, ancora meglio.
(da “Huffingtonpost”)
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