Luglio 4th, 2016 Riccardo Fucile
DICEVA: “VOLEVO IL CSM, CAZZO MI FOTTE DI PERDERE TEMPO ALLA CAMERA”
Il Consiglio superiore della magistratura? “Io se potevo rimanere li me ne fottevo di venire a fare il deputato a perdere tempo qua, che cazzo me ne sfottevo: stavo tanto bene là ”.
Il motivo? “Il potere là è immenso, là è potere pieno, non so se rendo l’idea: ci sono interessi, sono legati grossi interessi, grossi interessi non avete proprio idea”.
Parola di Antonio Marotta, ex consigliere laico del Csm, già senatore e deputato di Forza Italia, capogruppo del Nuovo centrodestra in commissione giustizia alla Camera, coinvolto nell’inchiesta della procura di Roma che stamattina ha notificato un mandato di custodia cautelare a 24 persone.
Il film dell’inchiesta
È il 3 marzo del 2015 e sono da poco passate le 17 e 30: in un ufficio al civico numero 17 di via Lucina, a pochi metri da Montecitorio, le microspie del nucleo speciale valutario della Guardia di Finanza entrano in funzione.
Quell’ufficio nel pieno centro del cuore politico istituzionale romano, infatti, è il quartier generale di Raffaele Pizza, il fratello di Giuseppe, l’ex sottosegretario del governo Berlusconi, famoso soprattutto per avere ereditato il simbolo storico della Democrazia Cristiana.
I militari delle fiamme gialle monitorano quello stabile in via Lucina perchè da un paio d’anni la procura di Roma indaga su alcune segnalazioni arrivate sulle anomale attività del conto corrente del commercialista Alberto Orsini.
Il sospetto è che esista una complessa ragnatela di rapporti, favori e tangenti, un vero e proprio sistema criminale con al centro, appunto, lo stesso Pizza.
È da lì che nasce l’ultima inchiesta anticorruzione della procura di Roma: e in quel tardo pomeriggio del 3 marzo 2015 fa un salto di qualit�
“Se potevo me ne fottevo di fare il deputato a perdere tempo”
Le cimici degli uomini della Finanza, infatti, s’imbattono in una voce che non è quella di Raffaele Pizza.
Registrano invece quella di Marotta: che ci fa il parlamentare del Ncd in via Lucina? Incontra Luigi Esposito imprenditore e referente del Consorzio Servizi Integrati (anche lui coinvolto nell’inchiesta), ed è a lui che confida di essersi stufato di fare il deputato, sognando invece un ritorno a Palazzo dei Marescialli.
“Io — scandisce — se potevo rimanere li me ne fottevo di venire a fare il deputato a perdere tempo qua, che cazzo me ne sfottevo, stavo tanto bene là : il potere là è immenso, là è potere pieno , non so se rendo l’idea, ci sono interessi , sono legati grossi interessi , grossi interessi non avete proprio idea”.
Che suono ha il denaro?
Poi il tono della voce dei due si abbassa e l’argomento della conversazione cambia radicalmente: “Si vede? Non si vede? Siamo sicuri?” chiede Esposito.
A cosa allude? Marotta è tutt’altro che sorpreso: “Eh caspita, non si vede niente”.
Per gli inquirenti è una rassicurazione “in merito al fatto che l’interno dell’ufficio non fosse visibile da parte terzi“.
In sottofondo, infatti, le cimici, registrano strani fruscii.
“Il rumore molto probabilmente si riferisce al conteggio di cartamoneta”, annotano gli inquirenti, citati nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Maria Giuseppina Guglielmi. Passano pochi minuti, e al posto di Esposito — che va via — si materializza in via Lucina Raffaele Pizza.
“Appena entrati in ufficio — scrivono sempre gli investigatori — Marotta informava Pizza di aver ricevuto una persona che gli aveva telefonato all’ultimo minuto”.
“Vedi questi qua? questi sono venti“, dice subito Marotta. “Cinque sono tuoi e in più..” “E questi che erano cinque, quattro per te”.
Pizza si mette a contare. “Ma li stai contando di nuovo?” chiede Marotta. “No — risponde l’altro — è perchè li devo dare a questo e non vorrei che magari di dover perdere… le figure di merda che una volta ho fatto”.
Gli inquirenti scrivono: “I contenuti delle conversazioni riportate fondano l’elevata probabilità che Esposito in occasione dell’incontro abbia consegnato al Marotta danaro”.
È per questo motivo che l’esponente del Nuovo Centrodestra è finito indagato per traffico di influenza illecita e ricettazione: il gip ha infatti bocciato la richiesta d’arresto avanzata dai pm Paolo Ielo e Stefano Rocco Fava, che accusavano Marotta di partecipazione ad associazione a delinquere, corruzione, finanziamento illecito dei partiti e riciclaggio.
La lista delle dazioni di denaro
“Nel medesimo disegno criminoso — si legge nell’ordinanza del gip — Pizza Raffaele e Marotta Antonio trasferivano e/o sostituivano, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, parte dei capitali di derivazione illecita oggetto dei delitti di truffa ed emissione di fatture per operazioni inesistenti”.
La lista delle dazioni di denaro comincia con i 50 mila euro ricevuto da Esposito, “parte delle quali da consegnare a ignoto pubblico ufficiale a fini corruttivi“, e continua con 10mila euro, ricevuti il 21 maggio 2015, e i 40mila euro del 29 luglio. Sono i soldi che “Orsini Alberto dava a Marotta, parlamentare, che li riceveva insieme a Pizza Raffaele in assenza dei presupposti della legge sui finanziamenti pubblici ai partiti, tra il 21 maggio e il 29 luglio 2015″.
Tutto va in onda nello studio di via Lucina, che Pizza utilizza per “ricevere danaro di illecita provenienza, occultarlo e smistarlo, in più di una occasione con la partecipazione dell’onorevole Marotta, che lo ha coadiuvato, oltre che nelle attività di illecita intermediazione”.
Le millanterie sulle indagini
Secondo gli inquirenti, poi, il parlamentare di Ncd percepiva quel denaro come “corrispettivo del promesso interessamento per le indagini e dell’asserita possibilità di influenzarle in senso favorevole agli indagati grazie alle sue influenti conoscenze in ambito giudiziario e all’interno della Guardia di Finanza”.
Come dire che l’organizzazione era a conoscenza di essere finita sotto i riflettori degli inquirenti, ma era proprio Marotta a promettere di essere in grado di insabbiare le indagini.
“Tali condotte, tuttavia, non possono apprezzarsi come un contributo all’attività del gruppo organizzato“, annota, però, il giudice per le indagini preliminari.
Il motivo? “Marotta, innanzitutto, si è reso responsabile di gravi millanterie in danno degli investigatori e dei magistrati inquirenti, essendosi le indagini concluse con la richiesta cautelare in esame, quindi, con un epilogo evidentemente non favorevole per gli indagati”.
Tradotto: il deputato Ncd non aveva poi tutta questa capacità d’indirizzare le indagini.
I biglietti aerei di Dell’Utri
Curiosamente nelle quasi 600 pagine che compongono l’ordinanza di custodia cautelare, compare anche il nome di Marcello Dell’Utri, il fondatore di Forza Italia, ex senatore del Pdl, condannato in via definitiva a sette anni di reclusione per concorso esterno a Cosa nostra, pena che sta scontando nel carcere di Rebibbia.
Gli investigatori, infatti, si accorgono che tra i documenti sequestrati alla Phoenix 2009 (la cartiera utilizzata dal sodalizio criminale per emettere fatture legate ad operazioni inesistenti) compaiono anche le ricevute di alcuni biglietti aerei per Malta e Tripoli per costo di 15.871 euro: e alcuni di quei tagliandi erano intestati proprio a Dell’Utri.
Che per qualche strano motivo viaggiava a spese dei Orsini, Pizza e soci.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 4th, 2016 Riccardo Fucile
LA MALEDIZIONE DELLA BREXIT: DOPO CAMERON E JOHNSON ABBANDONA ANCHE FARAGE… LA RETE SI SCATENA: “CODARDI”
Uno dopo l’altro, escono di scena i principali artefici della vittoria del Leave al referendum sulla Brexit.
Dopo le dimissioni, non ancora effettive, del premier David Cameron — strenuo sostenitore del Remain, ma segnato dal ‘peccato originale’ di aver convocato il referendum — e il passo indietro dell’ex sindaco di Londra Boris Johnson — volto vincente della Brexit, grande favorito nella corsa alla leadership dei Conservatori — oggi è la volta dell’euroscettico Nigel Farage, leader del Partito dell’Indipendenza del Regno Unito (Ukip) e difensore a oltranza della sovranità britannica.
In un’attesissima conferenza stampa a Londra — in cui ci si aspettavano novità sul futuro del partito, e non colpi di scena personali — Farage ha presentato le sue dimissioni dalla guida del partito, spiegando di aver “raggiunto il proprio obiettivo” con la vittoria del Leave al referendum e di volersi “riappropriare” della sua vita.
Farage non si ritirerà da parlamentare europeo, anche se ha espresso l’intenzione di non ricandidarsi.
“Continuerò a sostenere il partito e il suo nuovo leader; seguirò come un falco i negoziati a Bruxelles e interverrò ogni tanto dal Parlamento europeo” — un fatto per cui molti lo accusano di poca coerenza: il suo partito, come abbiamo scritto qui, costa all’Ue la bellezza di 16 milioni all’anno.
L’annuncio delle dimissioni di Farage ha colto di sorpresa la stampa britannica.
C’è chi — come Marina Hyde — invita a non prendere troppo sul serio il suo passo indietro: si tratta infatti delle sue terze dimissioni. Inoltre, alla domanda su un possibile ritorno alla guida del partito in tempo per le elezioni generali del 2020, la sua risposta non è stata vaga: “Vedremo dove saremo tra due anni e mezzo…”. Difficile, nel caso di Farage, dare alle sue parole un significato univoco.
Prima di diventare il capo del partito populista anti europeo ed essere eletto come deputato al parlamento di Strasburgo, Farage ha lavorato come broker alla borsa di Londra. Non è chiaro se è questo che vuole tornare a fare. Non si può escludere che alla base della sua decisione ci sia qualche “scheletro nell’armadio”: in passato è stato spesso detto che beve un po’ troppo, anche se nessuno lo ha mai descritto come un alcolizzato.
Potrebbero aver pesato le tensioni all’interno dell’Ukip, di cui le dichiarazioni di Carswell sarebbero solo la punta dell’iceberg.
Fatto sta che — terzo caso in pochissimo tempo — la scena politica britannica perde uno dei protagonisti di questo nuovo — e incerto – corso.
Debora Orr, del Guardian, dà voce al pensiero generale, almeno degli osservatori dal Continente: “di tutti coloro che hanno architettato la Brexit, praticamente ne rimangono pochissimi in campo per affrontare la crisi che hanno provocato”.
(da “Huffingtonpost“)
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Luglio 4th, 2016 Riccardo Fucile
DALL’ALBANIA A MILANO: “ASSUMO UNA PERSONA OGNI TRE SETTIMANE, PER LO PIU’ INGEGNERI”
Era un clandestino, a 16 anni. Scappato dall’Albania dove aveva visto la guerra e la miseria e non riusciva ad emergere. Cercava, come tanti, una vita migliore. Sognava di arrivare a Londra, si è imbarcato per l’Italia: ma a Milano i carabinieri l’hanno fermato e inserito in una comunità per minorenni. Era il 2008.
Lui non si è scoraggiato. Ha chiesto di lavorare subito, gratis, come barista in Rinascente, poi commesso in un negozio di computer.
Ha coltivato, studiando da solo, la passione per l’informatica.
Oggi, sette anni dopo, Uljan Sharka ha agguantato il suo destino. La start up che ha fondato, iGenius, appena riconosciuta al Lions innovation festival di Cannes come una delle più promettenti al mondo, sta incontrando un successo crescente.
Otto mesi fa era da solo, oggi venticinque giovani lavorano per lui e continua ad assumere personale. Una nuova risorsa ogni tre settimane. Per lo più ingegneri. Fattura un milione di euro e ha appena trovato un finanziamento di quasi un milione e mezzo da due manager, esperti di private equity, che si sono innamorati dell’idea
Sharka ha in serbo un altro software, oltre ai progetti sviluppati per conto di piccole medie imprese: «crystal», che potrebbe rivoluzionare il mondo del marketing digitale. Con potenzialità analoghe, secondo esperti del settore, a quelle di Facebook quando è nato.
A settembre, in occasione del TechCrunch di San Francisco, la società lo presenterà ufficialmente. E ci saranno tutti i guru della new economy e i venture capitalist più importanti, come il Sequoia. Un circolo cui si accede solo dopo severe selezioni.
«Il software legge istantaneamente i big data sui social network, li elabora e poi consiglia come migliorare il proprio marketing sulle piattaforme facendo leva su tecnologie Ai (artificial intelligence), Nlp (natural language processing), Ml (machine learning) e Ir (image recognition)», spiega Uljan cercando, invano, di raccontare in modo semplice algoritmi complicatissimi.
La fruizione, però, è intuitiva. In pratica oggi, se vogliamo conoscere il gradimento di post, tweet o pubblicità digitale, ci basiamo su lunghe (e spesso costose) consulenze.
Con «crystal» basta chiedere (come fosse Siri) e nel giro di due secondi visualizziamo in una schermata tutto.
Qual è il post che ha emozionato di più, quale hashtag o colore di sfondo ha avuto più successo? Insieme ai consigli su come migliorare le operazioni di marketing e agli strumenti per farlo subito, in tempo reale, solo con un click
Non banale capire fino in fondo, per non addetti ai lavori. Eppure il software dev’essere eccezionale se ancor prima del lancio ufficiale decine di colossi dell’informatica e della pubblicità si sono già prenotati.
«Ci ha sostenuto Google ad esempio, è grazie a loro che siamo riusciti a realizzare la prima versione di “crystal” in soli quattro mesi», fa sapere ad esempio Uljan .
Forse è stata davvero sviluppata un’idea rivoluzionaria: «Una certa consulenza diventerà inutile, ognuno da sè potrà far parlare in modo istantaneo i dati che lo riguardano, presi dai propri profili o siti. Noi ci crediamo», assicura Carlo Cartasegna, manager del settore finanziario che con Mauro Bertone ha appena finanziato la start up.
«Non siamo investitori professionali ma abbiamo molta esperienza, avendo lavorato anni in fondi di private equity – aggiunge -. Stanzieremo ancora risorse per sostenere la crescita di iGenius e altre iniziative di questo ragazzo dalla storia a suo modo veramente eccezionale».
Per capirla, si può forse partire dal nomen omen: a Sharka si toglie una «a», e rimane shark, «squalo». Lo è, in senso buono, questo ventiquattrenne semplice, in giacca blu elegante e scarpe da tennis.
Lavora sette giorni su sette, attaccato al pc, venti ore al giorno.
«L’Albania mi stava stretta, già a 13 anni lavoravo per mantenermi, mentre studiavo», dice. Tutti dieci e lode, manco a dirlo.
Si è fermato però al secondo anno di superiori, per andare via. «Volevo creare qualcosa di grande, di mio, e lì non c’era modo di farlo», racconta. A 16 anni, già velleità da imprenditore della new economy.
Nel 2012, quando ha creato con i risparmi iGenius, i clienti credevano che in «ufficio» ci fossero tante persone. Era solo lui invece, allo stesso tempo tecnico, contabile, consulente. Dentro al bilocale dove abitava.
Da allora quanta strada ha fatto?
«Stiamo preparandoci ad aprire sedi a Londra e San Francisco, oggi siamo stati valutati 25 milioni. Dovremmo moltiplicare per quattro entro un anno e puntiamo a diventar e la prima start up italiana “unicorn” (fatturato di oltre il miliardo di dollari, ndr)», dice il suo braccio destro, coetaneo, Gregorio Cutellè .
Chi conosce bene Uljan sul lavoro, ne parla un po’ come Mark Zuckerberg di Facebook.
Anche per la sua visione in qualche modo etica del mercato: «Darò la mia piattaforma gratuitamente alle medie imprese, perchè crescano con la pubblicità digitale senza appesantirsi di costi inutili, com’è giusto che sia», sorprende.
Pensa di mantenere in vita iGenius con versioni più evolute del software o altri prodotti. Nei piani, non ha tanto la ricchezza. Ma, forse anche in ragione della sua storia, «l’idea che le risorse fruttano in senso profondo quando sono alla portata di tutti».
Elisabetta Andreis
(da “il Corriere della Sera”)
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Luglio 4th, 2016 Riccardo Fucile
ERA NEL LOCALE LA SERA DELLA STRAGE, SAREBBE L’UOMO CALVO RIPRESO DALLE TELECAMERE CON DUE TERRORISTI SULLA TERRAZZA DEL RISTORANTE
Uno dei sopravvissuti alla strage dell’Holey di Dacca probabilmente conosceva almeno uno degli attentatori.
Hasnat Karim, presente nel locale la sera dell’attentato con la sua famiglia per festeggiare il compleanno di una figlia, fino a quattro anni fa insegnava alla North South University di Dacca, la stessa università frequentata da Nibras Islam, uno dei terroristi del commando.
Il giovane ha studiato alla Nsu, considerata la più importante università privata del paese, tra l’estate 2011 e la primavera del 2012. Stesso periodo in cui insegnava Karim.
Il nome del docente proprio nel 2012 era comparso in un report pubblicato dai media locali che accusava quattro professori della Nsu di legami con il gruppo islamista radicale Hizb ut-Tahrir, fuorilegge in Bangladesh.
Ripreso con gli attentatori
Ora il professore è stato fermato dalla polizia: sembra sia lui l’uomo calvo ripreso insieme a due dei terroristi sulla terrazza del ristorante nella notte della strage. Il Dhaka Tribune ha pubblicato le immagini.
Un agente di Dacca ha raccontato al Telegraph che «nella tasca di un miliziano ucciso è stato ritrovato un appunto con l’indirizzo di casa di Karim».
L’uomo è stato interrogato, la sua casa perquisita e un suo computer portatile sequestrato.
Altro elemento che insospettisce gli inquirenti è il fatto che Hasnat Karim, sua moglie e i due bambini, siano stati rilasciati dai terroristi prima del blitz delle forze speciali. Se i sospetti si rivelassero fondati sarebbe una prova in più del fatto che il web e le madrasse non sono gli unici mezzi per la radicalizzazione dei giovani musulmani.
Alessandra Muglia
(da “il Corriere della Sera”)
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Luglio 4th, 2016 Riccardo Fucile
GIUNTA IN ALTO MARE DOPO GLI SCONTRI DI VIRGINIA CON LOMBARDI E TAVERNA… SOSPETTI SULLE INVASIONI DI CAMPO DI DI MAIO
Una gita in campagna. Per far sbollire la rabbia, per ripensare alla sua strategia, per riflettere sulle prossime mosse.
Nel mezzo della bufera a 5 Stelle, quando mancano tre giorni alla presentazione della giunta e ancora almeno tre caselle da completare, Virginia Raggi si prende ventiquattr’ore di vacanza e passa la domenica fuori Roma, in campagna, in compagnia del figlio
Oggi sarà di nuovo in città dove l’attende – stasera – una riunione decisiva con il “mini-direttorio”, i 4 portavoce romani che il Movimento le ha messo accanto ufficialmente per sostenerla nella sua attività .
Una convivenza già a dir poco complicata, viste le frizioni con la deputata Roberta Lombardi e l’attivismo della senatrice Paola Taverna, le due donne forti del “gruppo di sostegno” alla sindaca.
Ma diventata ora quasi insostenibile con liti continue, scontri sulle nomine da fare, prese di posizione durissime: la sindaca ha cercato di scrollarsi di dosso un controllo che vive come improprio rafforzando il suo asse con il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio.
Non è un caso che mentre infuriava la polemica sulle nomine fatte senza consultare nessuno (quella del fedelissimo Daniele Frongia a capo di gabinetto e di Raffaele Marra come suo vice) sia stato proprio il candidato premier in pectore del Movimento a dare una copertura politica all’operato di chi considera, a tutti gli effetti, un’alleata: «Noi non abbiamo pregiudizi verso nessuno – ha detto venerdì al festival dei due mondi di Spoleto – chi ha distrutto il Paese non fa parte dei nostri progetti, ma chi ha operato bene, anche in altre forze politiche, può e deve essere coinvolto».
Peccato che mentre pronunciava quella frase, dando il via libera a una nomina su cui il minidirettorio aveva già posto un altolà (e cosa ben strana, non era neanche stato consultato), Beppe Grillo in persona chiamava Virginia Raggi costringendola al passo indietro.
Avallando così la linea ortodossa di Lombardi e Taverna contro quella pragmatica di chi ormai si sente alla guida dei 5 stelle.
Mentre Alessandro Di Battista da mesi in asse con Di Maio e grande sponsor della sindaca – si tiene stranamente defilato, lontano da una battaglia cui avrebbe preferito non assistere.
«Non possiamo permetterci di avere in squadra uno così», è stata la sostanza del ragionamento di Grillo, riferito soprattutto ai passati incarichi di Marra: già collaboratore di Gianni Alemanno al ministero dell’Agricoltura e di Renata Polverini alla regione Lazio.
Ma soprattutto in forza all’Unire con l’ex ad di Ama – finito nell’inchiesta Mafia Capitale – Franco Panzironi. Lo stesso Panzironi la cui segretaria Gloria Rojo è stata per qualche mese con la Raggi ai vertici di una società di recupero crediti, la Hgr, una delle cose che non erano state inserite nel curriculum.
E così, l’incarico di Marra, nel giro di 48 ore è diventato «temporaneo».
Quasi un flash, visto che il dirigente capitolino dovrebbe durare in quel ruolo meno di una settimana.
Spostato «ad altro incarico», filtrava ieri dal Campidoglio, anche per evitare che possa intentare un’azione legale (un ricorso? una richiesta di risarcimento?) dopo la sua rimozione.
Marra potrebbe a questo punto rientrare al dipartimento delle Partecipate che ha guidato fino al 2013. Un ruolo di peso, ma non certo così vicino al sindaco come prima. E lì potrebbe ritrovarsi come assessore proprio Frongia, architetto dell’operazione che Grillo ha fatto saltare.
Per non rompere tutto, il minidirettorio avrebbe dato il via libera al cambio, con la promozione di Frongia nel ruolo di vicesindaco “politico”. Ma resta vuoto il posto di capo di gabinetto del sindaco.
Come restano ancora scoperti gli assessorati alla Mobilità e al Commercio. Al Bilancio sembra confermata la scelta di Daniela Morgante, ex assessore di Ignazio Marino. Mentre rispunta il nome di Marcello Minenna, dirigente Consob: potrebbe andare alla Ragioneria generale del Campidoglio.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 4th, 2016 Riccardo Fucile
“ORA LA GERMANIA GUIDI LA NUOVA UE”
«Se si continua in questo modo, con questa crescita delle disuguaglianze, senza politiche sociali, l’Europa salta per aria. E dopo si salvi chi può, perchè forse l’Unione non è più possibile, ma è certamente necessaria: ogni staterello europeo, da solo, sarebbe alla mercè della speculazione internazionale e del gioco delle grandi potenze imperiali».
Professor Massimo Cacciari, come si è arrivati in Europa a questo livello di disuguaglianze? Non era questa l’Europa che sognavano i padri fondatori…
«L’unità politica europea sta tradendo le sue promesse fondative, perchè tutti speravamo in un’unità basata su politiche di uguaglianza e solidarietà . La crescita delle disuguaglianze non data da oggi, è dall’inizio degli anni ’80 che aumenta. Le forze politiche che hanno fondato l’idea europea, quelle socialdemocratiche e quelle cattolico-popolari, che ragionavano su politiche tendenzialmente egualitarie, hanno fallito. Ora l’alternativa non è una nuova socialdemocrazia, ma Hofer, Le Pen, Salvini. O, quando va bene, Grillo. E poi ci sono stati altri errori».
Tipo?
«Il modo sciagurato con cui si sono realizzate politiche di espansione, date solo da esigenze di politica di difesa. Bisognava essere più prudenti. Dio non voglia che facciano la stessa cosa con la Turchia».
Di chi è la colpa se l’Europa è diventata così diseguale?
«Non si è riusciti a modificare il modello di welfare socialdemocratico del Secondo dopoguerra. Creando l’unità europea bisognava ridurre il modello statalistico per ottenere risorse per le politiche sociali e la piena occupazione, invece si è fatto il contrario. Questo ha provocato la secessione dell’opinione pubblica dall’idea di unità politica europea: gli antichi romani la chiamerebbero una secessio plebis»
Se in Italia si potesse fare un referendum come in Gran Bretagna secondo lei ci sarebbe una «Italexit»?
«No, penso comunque che i favorevoli alla Ue sarebbero almeno il 60 per cento. Come penso che, se gli inglesi potessero rivotare, vincerebbe il Remain».
Nonostante la «secessio plebis»?
«Sì, perchè è vero che c’è il rigetto di una classe dirigente che ha tradito tutte le promesse, ma c’è anche la paura dell’ignoto. Una paura che però non durerà ancora molto».
Colpa anche della Germania e del suo dogma dell’austerità ?
«La Germania ha realizzato l’unificazione mantenendo politiche stabili: un miracolo che abbiamo pagato tutti. Berlino ha certamente delle responsabilità , ma è anche l’unica che può dettare il cambio di linea che consenta di salvare la baracca».
Che cambio di linea servirebbe?
«Una ristrutturazione del funzionamento complessivo della comunità , ottenendo risorse per le politiche sociali e l’occupazione. L’unico che mi pare lo capisca è Draghi».
E secondo lei c’è qualcosa che l’Italia può fare?
«Cercare di convincere la Germania a esercitare al meglio il suo ruolo di leader, anzichè mostrare muscoletti che non ha. Si spenda per convincere i tedeschi che stanno segando il ramo su cui sono seduti».
Francesca Schianchi
(da “La Stampa”)
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Luglio 4th, 2016 Riccardo Fucile
LO STUDIO DELLA ONG OLANDESE. “LE AZIENDE CHE FANNO PROFITTI NEL CONTRASTO ALL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA SONO LE STESSE CHE FORNISCONO ARMAMENTI IN MEDIO ORIENTE E AFRICA”
Le principali aziende belliche europee che vendono armi nelle aree di conflitto da cui fuggono i profughi sono le stesse che stanno traendo profitto dalla crescente militarizzazione delle frontiere dell’Unione europea, grazie alla loro potente lobby che detta la politica alla Commissione europea.
Tra queste spicca l’italiana Finmeccanica-Leonardo.
Lo rivela il rapporto “Guerre di frontiera. Come i produttori di armamenti traggono profitto dalla tragedia dei rifugiati in Europa”, promosso dalla Ong olandese Stop Wapenhandel e pubblicato dal Transnational Institute.
Il rapporto analizza il fiorente mercato della sicurezza delle frontiere alimentato dalle politiche europee di “contrasto all’immigrazione clandestina”.
Stimato in circa 15 miliardi di euro nel 2015, questo mercato si prevede raddoppierà nel giro di pochi anni, superando i 29 miliardi di euro nel 2022. Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere, ha visto accrescere il proprio bilancio del 3.688% tra il 2005 e il 2016, portandolo da 6,3 milioni a 238,7 milioni di euro.
Le principali aziende del settore difesa operatori nel settore della sicurezza dei confini dell’Europa sono Airbus, Finmeccanica-Leonardo, Thales, Safran e Indra.
Tre di queste imprese, Airbus, Finmeccanica e Thales, sono anche tra le prime quattro aziende europee esportatrici di sistemi militari: tutte sono attive nel vendere i propri armamenti ai paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, alimentando i conflitti che sono all’origine della fuga di intere popolazioni in cerca di rifugio.
Tra il 2005 e il 2014, gli Stati membri dell’Unione europea hanno autorizzato queste e altre aziende ad esportare oltre 82 miliardi di euro di sistemi militari verso Medio Oriente e Nord Africa.
“E’ perverso e immorale — commenta Mark Akkerman, autore del rapporto e membro di Stop Wapenhandel — che le aziende che hanno contribuito ad alimentare la crisi traggano adesso profitto dal difendere i confini dell’Europa. Questo certamente garantisce la sicurezza degli amministratori delegati e degli azionisti delle imprese di armamenti, ma sta di fatto accrescendo l’insicurezza collettiva e la sofferenza per i rifugiati”.
“Mentre l’Unione europea chiude l’ingresso ai disperati che fuggono dalla guerra, spalanca le porte ai produttori di armamenti che commerciano morte e che ora presidiano i nostri confini”, denuncia Nick Buxton del Transnational Institute, co-editore del rapporto.
“Per affrontare davvero la crisi dei rifugiati dobbiamo innanzitutto smettere di alimentare i conflitti e investire il denaro speso a favore delle aziende della sicurezza e della difesa per fornire un passaggio sicuro e un equo trattamento dei rifugiati”.
Il rapporto spiega che se l’industria degli armamenti sta facendo affari d’oro con l’emergenza profughi è grazie al suo potere di influenzare, se non proprio di dettare la politica europea di sicurezza delle frontiere per mezzo di un’efficace attività di pressione condotta soprattutto tramite la loro lobby ufficiale, l’Organizzazione europea per la Sicurezza (Eos) presieduta da Andrea Biraghi di Finmeccanica-Leonardo.
Il documento olandese svela in particolare come la proposta della Eos per l’istituzione di un’agenzia europea per fronteggiare per terra e per mare il crescente flusso migratorio sia stata immediatamente adottata lo scorso dicembre dalla Commissione europea, con l’annuncio della trasformazione di Frontex in una “Guardia costiera e di frontiera europea” con un budget ancor maggiore di quello attuale.
Enrico Piovesana
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 4th, 2016 Riccardo Fucile
CENTRO STUDI CASA.IT: VALORE DELLE ABITAZIONI – 5,5%, LA DOMANDA SFROFONDATA DEL 19%… SPETTRO BOLLA IMMOBILIARE
Pochi giorni dopo la Brexit, il valore di vendita delle case nel Regno Unito cala del 5,5%. In picchiata anche la domanda di abitazioni in Gran Bretagna, crollata del 19% in quattro giorni, mentre è boom delle richieste di case in Scozia (+150%) da parte di famiglie del resto del Paese.
Questi i numeri forniti dal centro studi di Casa.it, che ha approfondito l’impatto del divorzio tra Londra e Bruxelles sul mercato immobiliare.
“Lo spettro di una bolla Brexit, sul mercato residenziale londinese viene considerata più che probabile dalla maggioranza degli operatori locali, soprattutto per quanto concerne il segmento top del mercato — spiega Alessandro Ghisolfi, responsabile del centro studi di Casa.it — Sebbene nell’ultimo trimestre i valori di vendita delle case a Londra abbiano registrato una nuova crescita del 9,8%, la Brexit ha, nel giro di poche ore, fatto scendere i valori delle trattative di 5,5 punti percentuali. Oggi le case di Londra valgono in media 33mila euro in meno rispetto ai prezzi record registrati 7 mesi fa, il costo medio di un appartamento è valutato intorno ai 590mila euro.”
Anche il mercato degli immobili di pregio ha subito un rallentamento, spiega Casa.it, soprattutto nelle zone top come il quartiere di Kensington e l’area di Notting Hill.
“Gli ultimi dati registrano una caduta della domanda per le zone top di Londra del 2,5% nell’ultimo trimestre, rispetto al trimestre precedente — prosegue Ghisolfi — Il quartiere di Kensington nel secondo trimestre ha registrato un calo della domanda dell’11,8%, seguito da un -10,7% per l’area di Notting Hill”.
Ma i più colpiti dal referendum, secondo Ghisolfi, sono gli azionisti delle società di sviluppo che stanno operando sul mercato londinese: “Le loro azioni hanno già subito delle riduzioni di valore superiori al 25% un’ora dopo l’apertura dei mercati il 24 giugno, a urne chiuse e risultati acquisiti”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 4th, 2016 Riccardo Fucile
FERMATE ALTRE SETTE PERSONE, TRA CUI UN PROFESSORE UNIVERSITARIO… IL GIGANTE DEL TESSILE UNIQLO SOSPENDE I VIAGGI DEI DIPENDENTI IN BANGLADESH… INCERTEZZA SUI FUNERALI DI STATO IN ITALIA
La premier bengalese Sheikh Hasina ha reso omaggio questa mattina alle vittime della strage del ristorante di Dacca, fra le quali nove italiani, nello stadio dell’esercito nella capitale.
Nel secondo giorno di lutto nazionale per l’attacco jihadista, nel quale hanno perso la vita 20 ostaggi, 18 dei quali stranieri, – oltre a sei membri del commando e due poliziotti – la premier ha deposto una corona di fiori vicino ai feretri che erano coperti dalle bandiere di Italia, Giappone, India, Usa e Bangladesh.
Cerimonia blindatissima per motivi di sicurezza. Le bare sono state collocate in una piattaforma rialzata con i cinque vessilli delle nazioni delle vittime, con accanto i rappresentanti delle autorità italiane, indiane, giapponesi e americane.
Dopo l’omaggio della premier, è stato permesso l’accesso ai familiari. Solo più tardi lo stadio militare è stato aperto al pubblico.
Per le nove vittime italiane è previsto nel tardo pomeriggio un rito officiato dal Nunzio apostolico e si sta organizzando il rientro in patria delle salme.
In serata le bare saranno consegnate all’ambasciata italiana, che ha sede a poche decine di metri dal luogo della strage e del trasporto dei feretri se ne stanno occupando funzionari della Farnesina e della presidenza del Consiglio, arrivati ieri a Dacca dal Pakistan.
Si parla del rientro mercoledì, ma c’è ancora incertezza sui funerali di Stato in Italia.
L’attacco
I sette uomini del commando , sei uccisi, uno ferito e catturato, non erano menti semplici e facilmente corruttibili. Erano ragazzi di buona famiglia, educati presso le scuole migliori del Paese, ricchi e non certo reclutati tra gli ultimi della società .
Tutti rampolli, nei loro vent’anni, provenienti da famiglie benestanti, tutti bengalesi. Hanno compiuto l’assalto con vestiti occidentali, con lo zainetto sulle spalle come tanti giovani coetani.
E’ su questa base che alcuni esponenti del governo bengalese tendono a giudicare non attendibile la rivendicazione dell’Is e parlano di semplice “infatuazione” di quei giovani per la bandiera nera del Califfato.
O di strumentalizzazione da parte della comunicazione dell’Is delle immagini orribili diffuse in rete dal commando in tempo reale, nelle ore in cui avveniva il massacro.
Sette persone fermate, tra cui un professore universitario
Per quanto riguarda gli attentatori, la polizia ha reso noto le generalita’ complete solo di cinque dei sei morti, e del settimo terrorista, l’unico sopravvissuto, è stato detto solo che si chiama Sourav e che è sotto strettissima sorveglianza da parte delle forze dell’ordine in un luogo segreto.
E sono almeno sette le persone in custodia della polizia sospettate di aver avuto un ruolo nella strage, tutti facenti parte del gruppo dei 27 superstiti della strage ancora in stato di fermo.
Le forze di sicurezza le stanno ancora interrogando per capire se ci siano legami con i terroristi, col sospetto che qualcuno dall’interno possa averli aiutati a pianificare e a lanciare l’attacco o che addirittura facesse parte del gruppo di fuoco e durante l’irruzione dei militari si sia mischiato agli ostaggi per sfuggire alla cattura.
Fermato un professore universitario, uno degli ostaggi sopravvissuti.
Tra i fermati, riferiscono fonti della sicurezza, anche Hasnat Karim, il professore universitario che era nel locale per festeggiare un compleanno ma ripreso dalle telecamere di sorveglianza mentre fumava in terrazza con alcuni membri del commando.
Secondo alcune fonti, l’uomo, docente alla North South University (NSU) di Dacca, aveva lasciato il lavoro almeno cinque anni fa. A preoccupare gli inquirenti, spiega il quotidiano, anche il fatto che nel 2012 Karim fu citato insieme ad altri tre professori della NSU che si sospettava avessero contatti con il movimento clandestino Hizb-ut-Tahrir.
Interrogati nella notte anche la moglie e i figli dell’uomo che però sono stati rilasciati questa mattina. Il padre di Hasnat, Rezaul Karim, aveva riferito la sua agghiacciante testimonianza al Bangladesh Daily Star: “Gli assalitori non si sono comportati male con i connazionali del Bangladesh. Controllavano la religione degli ostaggi. Chiedevano a ognuno di recitare versi del Corano. Quelli che li conoscevano venivano risparmiati, gli altri torturati”.
Gli altri fermati sembra che uno sia un cittadino canadese di origine bengalese e che fosse tornato a Dacca solo un giorno prima dell’attacco.
L’uomo si trovava nel ristorante insieme a due amiche, studentesse di un’ universita’ privata. La polizia ha perquisito anche la sua abitazione, sequestrando alcuni computer, il passaporto e documenti.
Un altro dei fermati e’ ancora trattenuto in quanto avrebbe fornito agli agenti un indirizzo falso. Avrebbe anche dichiarato di essere un imam che guida le preghiere di un gruppo di autisti presso un edificio vicino al ristorante, affermazioni ora al vaglio degli inquirenti.
Un terzo sospetto non avrebbe voluto fornire altro agli investigatori se non il nome e cognome. Reticenza che lo rende sospetto.
Rilasciata invece un’altra persona, un 45 enne britannico di origine bengalese tornato in patria un anno e mezzo fa dopo un ventennio nel Regno Unito, che avrebbe parlato con uno dei killer.
L’uomo e’ tornato a piede libero, ma continua a essere monitorato dalle forze di sicurezza. Dal suo rientro nel paese asiatico ha insegnato in un’ universita’ privata, la stessa delle studentesse amiche del canadese, ed era andato al ristorante insieme alla famiglia.
E si indaga ancora sulla vita dei sei complici morti, cinque dei quali subito identificati e dei quali sono stati forniti nomi e foto poche ore dopo la conclusione dell’azione.
Sul sesto assalitore morto gli investigatori non hanno (o non forniscono) informazioni. Forse è straniero, forse l’anello di collegamento con la mente dietro l’attentato, quello che potrebbe avere legami con formazioni internazionali. Sull’identità di uno di loro ci sarebbe un giallo, potrebbe non essere un militante, ma semplicemente un cuoco del ristorante. Così scrive oggi il quotidiano Dhaka Tribune. Il giornale riferisce che si tratterebbe di Saiful Choukidar, 40 anni, che dopo essere emigrato in Germania era tornato anni fa in Bangladesh e lavorava dal 2015 come cuoco presso il ristorante assaltato.
I dubbi sono cominciati ad emergere quando dopo aver detto che l’operazione di liberazione degli ostaggi si era chiusa con l’uccisione di sei militanti, la polizia ha diffuso però solo cinque presunti loro nomi, ma fra le cinque foto passate ai media dalla polizia, una sarebbe invece proprio di Choukidar, ritratto con il suo camice bianco da lavoro.
E l’equivoco è confermato anche dal fatto che, rivendicando l’attacco, l’Isis ha diffuso cinque fotografie dei suoi autori, fra cui non c’è però quella del cuoco bengalese. Ma c’è addirittura chi dice che i nomi dei cinque membri uccisi del commando diffusi poco dopo l’attentato fossero tutti falsi.
“Uccisi nei primi 20 minuti”
La polizia di Dacca, sotto accusa per i ritardi e l’approssimazione del blitz, ribadisce oggi che i terroristi avrebbero ucciso gli ostaggi catturati nel locale nei primi 20 minuti dalla loro irruzione all’Holey Artesan Bakery.
“Molti giornali hanno scritto che abbiamo tardato l’inizio dell’operazione di salvataggio, ma così non è stato”.
Membri del governo di Dacca: “L’Is non c’entra”.
“Sono uomini giovani che hanno studiato e frequentato l’università . Nessuno di loro veniva da una madrassa (scuola coranica, ndr). Non c’è alcun legame con lo Stato Islamico” dichiara il ministro dell’Interno Asaduzzaman Khan, proseguendo in quell’atteggiamento di negazione del male, si chiami Is o Al Qaeda, già esibito dal governo bengalese davanti alle prime avvisaglie della minaccia del radicalismo islamista.
Khan aggiunge che i terroristi “erano membri di Jamaeytul Mujahedeen Bangladesh”, gruppo jihadista bandito nel Paese da oltre un decennio, collegato a Jamaat e-Islami (alleato del principale partito di opposizione, il nazionalista Bnp guidato da Zia Khaleda), e all’Isi, i servizi pakistani.
Sulla stessa linea il capo della polizia locale, Shahidul Hoque: gli inquirenti stanno esaminando l’ipotesi di “collegamenti internazionali” e ci sono sospetti su “membri importanti di Jamaeytul Mujahdeen Bangladesh”. Intervistato dal quotidiano The Daily Star, Hoque aggiunge che dei sei terroristi, almeno cinque erano ricercati da tempo.
Le prime ripercussioni economiche
Dopo l’attentato, il gigante tessile Uniqlo ha sospeso i viaggi dei loro dipendenti in Bangladesh, dove hanno vari impianti di produzione.
Così anche il gruppo Toshiba, Mitsubishi Motors e altre aziende nipponiche dei settori alimentare e immobiliare. Sette le vittime giapponesi nell’attentato di venerdì a Dacca. In Bangladesh operano circa 240 aziende giapponesi, e il commercio bilaterale tra i due Paesi ha sfiorato i 3 miliardi di euro nel 2015, il 34 per cento in più dell’anno precedente. Il Giappone è anche il maggior donatore di aiuti allo sviluppo del paese asiatico.
Allerta della Farnesina
La Farnesina allerta gli italiani in Bangladesh esortandoli alla massima prudenza, in quanto non esclude il rischio di altri attentati. E’ quanto si legge sul sito della Farnesina che ha diramato oggi, nella sezione “Viaggiare Sicuri”, un aggiornamento della situazione nel Paese dopo l’attentato di venerdì scorso.
“In considerazione della presenza nel Paese di formazioni di ispirazione jihadista non si può escludere il rischio di possibili ulteriori atti ostili. Si raccomanda di evitare gli assembramenti specialmente nei fine settimana e durante il venerdì di preghiera, e di tenersi costantemente aggiornati sulla situazione di sicurezza nel Paese dai media locali e siti internet. Per tali informazioni si può fare riferimento ai quotidiani locali online in lingua inglese”.
Il ministero degli Esteri ricorda inoltre che prima dell’attacco al ristorante ‘Holey Artisan Bakery’ di Dacca, altri tre attacchi contro stranieri che hanno avuto luogo nel 2015: il 18 novembre contro un connazionale nella città di Dinajpur nel nord del Paese, il 3 novembre contro un cittadino giapponese, nel distretto di Rangpur, ed il 28 settembre, a Dacca, nel quartiere di Gulshan, contro un connazionale, Cesare Tavella, che ha perso la vita”.
(da “La Repubblica”)
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