Luglio 8th, 2016 Riccardo Fucile
PIPPI MELLONE: “L’ATTENZIONE PER GLI ULTIMI E’ LA NOSTRA BUSSOLA, NELLE CAMPAGNE ADESSO CI SONO CONTAINER CON L’ARIA CONDIZIONATA. LE SPESE? AL COMUNE HO TOLTO ANCHE IL TELEVISORE”
«Il povero e il diseredato non hanno colore nè nazionalità . L’attenzione per gli ultimi è la nostra bussola»: Pippi Mellone, giovane avvocato, classe 1984, neosindaco di Nardò in provincia di Lecce, non ha fatto in tempo ad indossare la fascia tricolore che si è cimentato in una battaglia per «l’umanesimo del lavoro».
«L’amministrazione – spiega al Corriere – ha ottenuto che nelle campagne neretine fossero installati container con aria condizionata, dove far riposare di notte i lavoratori stranieri impegnati nel raccolto».
A questo risultato si è giunti grazie alla concertazione con la Coldiretti: gli imprenditori si accolleranno tutte le spese, circa cinquanta mila euro.
«Un segnale di civiltà », commenta il primo cittadino.. «Gli imprenditori del settore agricolo locale – racconta – si sono ritrovati sotto processo per schiavismo. E noi abbiamo fatto la battaglia per la costituzione del Comune come parte civile in Tribunale, mentre la precedente amministrazione di centrosinistra non scelse di difendere l’immagine della città …».
Nell’operato di Mellone c’è un filo rosso, quello del socialismo antimaterialista che alimentava le elaborazioni degli eretici del Msi, fino alla destra sociale teorizzata da Giano Accame: «Ho “scavalcato” la Cgil sui migranti? Succederà spesso. C’è una certa sinistra parolaia, che si dimentica di difendere i non garantiti per schierarsi al fianco del capitale e delle banche», chiosa il sindaco, ritornato quattro volte in sette giorni nel più grande campo di braccianti, per alternarsi con la Caritas nel portare rifornimenti di acqua.
Il progetto politico per Nardò di Mellone è nato con una lista civica, “Andare oltre”, ha sbaragliato i rivali candidati con il Pd e con i fittiani, e ora punta a superare le vecchie categorie novecentesche: «Destra e sinistra non sono sufficienti a inquadrare i bisogni dei cittadini. Ho schierato candidati consiglieri di ogni orientamento politico, determinati a voltare pagina dopo il malgoverno del passato».
Nel pantheon di Mellone, cresciuto nella scuola missina di Graziano De Tullie, «c’è Berto Ricci e Che Guevara, Ezra Pound e Paolo Borsellino, ma anche l’attenzione per l’ecologia con Fare Verde e l’elaborazione dei Campi Hobbit. E la passione per la musica: nella mia stanza a risuonano le note di Rino Gaetano…»
Tra le priorità , dopo il ratificato taglio del 20% dello stipendio, c’è la campagna contro i privilegi della casta e «i malvezzi partitocratici delle precedenti giunte».
Si concretizza la lezione di Marco Pannella e Giorgio Almirante contro i privilegi della politica: «Ho messo in vendita l’auto blu in dotazione al sindaco. Vado alle riunioni in Regione o a Lecce con la mia auto, una Mini-Cooper. A mie spese».
Poi ha rottamato la televisione nel palazzo comunale: «Il canone Rai costava tanto. Tagliato. Come gli abbonamenti ai quotidiani cartacei: li ho convertiti in più economici contratti digitali».
Non ci sono più nemmeno i telefonini per gli amministratori («avevamo un sindaco che spendeva 4600 euro di bolletta l’anno per l’utenza in sua dotazione»).
La lotta agli sprechi di risorse pubbliche è solo all’inizio. «Questi denari – puntualizza Mellone – li investiremo nei capitolati dei servizi sociali, per dare ristoro alle famiglie in difficoltà ».
Il chiodo fisso: le periferie. «Il territorio va ascoltato ogni giorno. Andando nei quartieri periferici e rendendo la casa comunale una campana di vetro. La mia segreteria – conclude Mellone – è aperta tutti i giorni».
(da “il Corriere della Sera”)
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Luglio 8th, 2016 Riccardo Fucile
UN TESTIMONE VERO: “MANCINI IL GIORNO DOPO PASSEGGIAVA TRANQUILLAMENTE PER FERMO”… “TOCCAVA IL SEDERE ALLE DONNE CHE ENTRAVANO AL BAR, NON MI STUPISCE CHE ABBIA INSULTATO UNA IMMIGRATA, ERA IL SUO DIVERTIMENTO”… IL SINDACO: “FINO A SETTE ANNI FA ERA DI SINISTRA, ORA GIRAVA CON MAGLIETTE DI ESTREMA DESTRA”
Scrive Fanpage: “Mancini frequentava quotidianamente un bar del centro di Fermo, tra il convitto dell’Itis Montani e la Prefettura. Era abituato a passare ore seduto al tavolo, spesso solo o con pochi amici, più sovente in compagnia di parecchie bottiglie di birra:
“L’ho incontrato la mattina dopo il delitto, passeggiava nei pressi del tribunale, sembrava assolutamente tranquillo, come se il giorno prima non avesse fatto niente di strano”, racconta un uomo che lo conosceva.
“Lo vedevo quasi tutte le sere quando portavo a passeggio il mio cane e me ne tenevo alla larga. Da queste parti chiamiamo ‘sempliciotti’ i tipi del genere: l’ho visto coi miei occhi toccare il sedere alle donne che entravano nei bar che lui frequentava, l’ho sentito fare commenti volgari, non mi stupisce che abbia dato della ‘scimmia’ a un’immigrata. Era il suo divertimento”.
Alcuni ospiti del seminario arcivescovile confermano: Mancini e altri balordi come lui rimanevano spesso a lungo appostati in attesa che un immigrato passasse per insultarlo. “Suor Rita, la coordinatrice della struttura di accoglienza, ci ha sempre chiesto di non reagire a nessuna provocazione e di avvertirla se fossimo stati infastiditi”.
Difficile dire se l’assassino di Emmanuel Chidi Namdi fosse sufficientemente politicizzato Quel che appare chiaro, e che è stato confermato da più fonti, è che simpatizzava per organizzazioni di estrema destra: che fosse razzista appare certo.
Il sindaco di Fermo Paolo Calcinaro ha invece dichiarato:
“Mancini è un criminale, idiota e razzista per quello che ha fatto. Lo conosco anche perchè è un mio coetaneo. 7-8 anni fa era infatuato di tutt’altri valori politici, poi invece lo si vedeva in giro con magliette con simboli di estrema destra. E’ sempre stato incline alla violenza fisica e alla prevaricazione sull’altro. Il classico bullo di quartiere”.
Calcinaro ha poi constatato che “in Italia il livello di pace sociale si sta un po’ deteriorando. Questo purtroppo può andare a colpire all’improvviso una cittadina come la nostra che, sbagliando, si riteneva immune e forse aveva abbassato la guardia da questo punto di vista. La presenza degli immigrati non è casuale, perchè da anni qui ci sono progetti per gli immigrati. Abbiamo comunità per disabili, comunità di recupero. Siamo una città che ha molto interagito con le fragilità , da sempre. In generale, in Italia, non monitoriamo chi di nascosto pesca nel torbido. Dovremmo iniziare a intervenire già da chi imbratta i muri delle scuole con scritte razziste. Magari questi toni venivano usati anche prima, però ora ci sono i social che arrivano ovunque. Sono pieni di link, di notizie bufala che sono fatte apposta per alimentare il senso di intolleranza nei confronti degli immigrati”.
Poi c’è la cosiddetta “supertestimone”, una che – come ricorda il giornalista Cartolai – già era ascesa all’onore delle cronache un paio di anni fa per aver denunciato alcuni cinesi che stavano catturando dei gatti con un retino da pesca.
La notizia ovviamente era falsa, e dunque non si capisce perchè quando questa donna è spuntata fuori come testimone dell’omicidio di Emmanuel qualcuno abbia deciso di darle credito.
Se non per una esigenza giustificazionista che si nutre anche di una versione completamente inattendibile.
Una versione che diverge addirittura da quella fornita dallo stesso Mancini alla polizia, oltre ad essere incoerente anche con le altre testimonianze raccolte dalle forze dell’ordine.
Per ultimo ci sono le immagini del fatto in cui Mancini pare indossasse una maglietta della band di estrema destra Zeta Zero Alfa, tesi confermata indirettamente dal suo avvocato che sostiene “non sapeva che si trattasse di una band di estrema destra”.
Razzista a sua insaputa.
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Luglio 8th, 2016 Riccardo Fucile
TOTI, GELMINI E CARFAGNA SE LA GIOCANO
La lunga riflessione, il silenzio e anche quel senso della misura che portano le grandi paure hanno fatto maturare la grande decisione, nella testa di Silvio Berlusconi.
A ottobre, dopo il referendum, si svolgerà il congresso del nuovo partito che prenderà il posto di Forza Italia.
La notizia è che del nuovo partito di cui più volte si è parlato Silvio Berlusconi si è convinto. Tanto che ha iniziato a ragionare del “come”, già nell’incontro con i capigruppo.
L’idea è di mantenere il ruolo di presidente, da padre nobile. Mentre il coordinatore unico sarà eletto in modo democratico.
“Eletto”, proprio così: un evento da quelle parti. Una sorta di “primarie” di partito. Non un congresso con le tessere perchè in tempi pentastellati, seppellire un marchio nato nel ’94 con procedure che ricordano i partiti di dieci anni prima, non gli sembra una idea ad effetto.
E sta pensando a una sorta di “primarie” di partito. Non la designazione di un erede ma un “chi vuole corra e vinca il migliore”.
Nuovi metodi per un nuovo partito. Perchè, vista da lontano e con distacco, Forza Italia è sembrata a Berlusconi peggio di come la vedeva da vicino. Un partito senza spinta, lacerato dai conflitti, dalle ambizioni di un ceto politico che ha poco da dire. In una parola, “vecchio”, senza vele per il vento dei tempi. Da consegnare al museo, come una barca che ha vinto tante regate in questi vent’anni.
L’operazione, con le banche, l’ha chiusa la Rossi: prestiti ottenuti e accordi fatti con le banche per sanare i debiti. In modo da avere tutto pronto per ottobre-novembre.
Proprio la Rossi è uno dei pochi collaboratori ancora ammessi ad Arcore dopo la riorganizzazione imposta dalla famiglia, perchè più volte chiamata dallo stesso Berlusconi.
Il che, secondo i maligni, avrebbe prodotto qualche reazione contrariata della famiglia e di Marina.
Fatto sta, che la riorganizzazione, al momento, tiene, col fedelissimo Valentino Valentini che gestisce due “deleghe” pesanti: “l’agenda del presidente”, nelle mani di Alessia Ardesi fino al ricovero di urgenza al San Raffaele e le “relazioni esterne”, nelle mani di Deborah Bergamini, passata dal ruolo di portavoce di Berlusconi a quella di portavoce del partito.
Una retrocessione notevole, considerando che fine farà il partito.
Ora i comunicati stampa partono dalla “segreteria del presidente”.
Il segnale della nuova investitura è la foto, all’uscita del San Raffaele, di Berlusconi che si appoggia a Valentino Valentini, sbarbato per la prima volta in vita sua, proprio come piace a Berlusconi, dopo anni in cui è stato l’unico collaboratore a cui era concesso di portare la barba.
Una rasatura che sa di devozione totale. Nel nuovo gruppo ristretto anche Sestino Giacomoni, al fianco di Berlusconi dal 2005 prima dell’era del cerchio magico.
La sola ipotesi del congresso ha già scatenato le brame della nomeklatura azzurra. Cene, trame, ambizioni.
Attovagliati qualche sera fa in un ristorante del centro c’erano parecchi i big del partito: Toti, Gelmini, Romani, Marin e Maurizio Gasparri, per iniziare a ragionare sul coordinatore unico.
Il più attivo è Giovanni Toti, che si sente potenziale federatore del centrodestra: “Esportiamo il modello Liguria, lì dove governiamo con la Lega” è il suo schema. Toti, ma anche Gelmini o Carfagna.
Questi i nomi “spendibili” attorno a cui già iniziano le trame congressuali. Sempre che Berlusconi non cambi idea.
Al momento, da imprenditore, è concentrato sul “brand”. “Centrodestra unito”, “Altra Italia” alcune ipotesi, ma non sembrano definitive.
Perchè la verità è che mentre tutta la nomenklatura azzurra è ossessionata da Renzi, il Cavaliere è rimasto molto colpito dai Cinque stelle la cui onda di novità ed estraneità alla politica gli ricorda Forza Italia delle origini.
Ed è sull’alternativa a loro che va pensato il nuovo partito, altrimenti il partito nasce già vecchio.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 8th, 2016 Riccardo Fucile
LA MAGISTRATA DOVREBBE ESSERE NOMINATA CAPO DI GABINETTO, MA LA RAGGI NON SI FIDEREBBE DI LEI
Il rinvio della nomina di Daniela Morgante come capo di gabinetto di Virginia Raggi in Campidoglio rischia di scatenare una nuova guerra interna ai 5 Stelle.
La magistrata della Corte dei conti, già assessore al Bilancio nella giunta Marino, sarebbe molto infastidita per la brusca frenata impressa dalla neosindaca.
Irritata soprattutto per il velenoso gossip che rischia di ledere la sua immagine, personale e professionale.
E percià³ decisa, se la questione non verrà risolta entro stasera, a sbattere la porta in faccia al Movimento.
Una questione che sta molto agitando la base e pure i consiglieri grillini, spaventati da un nuovo scontro fratricida che – dopo il complicato varo della squadra capitolina – si sperava superato.
Il fatto è che la nomina di Morgante era frutto di un accordo che la Raggi aveva stretto con il minidirettorio.
La sindaca si era insomma impegnata, travolta dalle polemiche per il pasticcio sulla designazione di Daniele Frongia e Raffaele Marra alla guida del suo gabinetto, a sostituirli con la giudice contabile.
Revocando subito il dirigente alemanniano e dirottando il braccio destro in giunta. Ottenuta la nomina di Frongia a vicesindaco, però, pare essersi rimangiata la parola data alla e sulla Morgante. Di cui l’avvocata pentastellata si fida poco.
E non solo perchè considerata troppo vicina ai suoi storici avversari: la deputata Roberta Lombardi e il presidente dell’assemblea capitolina Marcello De Vito.
Quel che si dice in queste ore, infatti, è che i poteri forti della città siano in grande movimento e che abbiano già creato più di una breccia nel Raggio magico che governa Roma.
Poteri che vedono la Morgante come il fumo negli occhi, l’assessora che ai tempi di Marino era ritenuta ostile al sistema di Mafia Capitale (lo dicono le intercettazioni) e aveva pure bloccato i finanziamenti extra richiesti al Comune dal consorzio di costruttori della metro C.
D’altro canto la Raggi teme che inserire in uno snodo così nevralgico una persona che non è di sua assoluta fiducia, possa costituire un problema.
Un’altra mina pericolosa per la squadra pentastellati. Da disinnescare in fretta.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 8th, 2016 Riccardo Fucile
E A PORDENONE I VIGILI SEQUESTRANO PURE LE COPERTE AI BARBONI PER “RAGIONI DI SICUREZZA”
Niente wi fi gratuita a Pordenone per motivi di ordine pubblico e wif fi a «basso volume» a Udine.
Le due principali città friulane adottano due provvedimenti che dovrebbero impedire a gruppi di migranti di comunicare con i paesi d’origine.
Il primo ad annunciare la singolare iniziativa è stato Alessandro Ciriani, da due settimane sindaco di centrodestra della cittadina friulana che vuole fare del contrasto ai clandestini e del «decoro» urbano uno dei punti cardine della sua azione amministrativa.
Il provvedimento è stato imitato dal primo cittadino di Udine Furio Honsell, che è invece di centrosinistra, con la medesima motivazione; a Udine il segnale non verrà annullato completamente ma calerà di intensità per fare in modo che solo pochi utenti per volta possano rimanere collegati.
Segnale spostato in periferia
A Pordenone la decisione è stata annunciata dal sindaco Ciriani: l’intenzione è quella di oscurare la wi fi in centro e piazzare invece un’antenna in località più periferiche in modo da ridurre l’affollamento degli utenti sulle strade, nelle piazze, nelle zone verdi
La decisione “scaturisce anche da una serie di segnalazioni giunte da abitanti del centro di Pordenone, allarmati dalla presenza di gruppi di immigrati muniti di smartphone”.
Non si sa se ridere o piangere.
Via anche i bivacchi dei clochard
Pattuglie dei vigili urbani hanno ad esempio perlustrato i luoghi dove di solito dormono senzatetto e migranti facendo portare via sacchi a pelo e coperte
Anche in questo caso la mossa del sindaco «sceriffo» ha provocato la reazione di molte associazioni e volontari che assistono i clochard, che hanno già formalmente protestato con il prefetto di Pordenone .
Nel corso del «repulisti», infatti, sarebbero stati portati via anche effetti personali appartenenti ai migranti.
Qualcuno potrebbe avvisare il sindaco che è compito sui assicurare un rifugio ai senzatetto?
Modulare il segnale
A Udine il segnale non verrà spento ma «rimodulato», secondo quanto annunciato dall’amministrazione. Da qui la decisione di abbassare l’intensità del segnale per non creare una sorta di «tappo» perchè troppi profughi attorno agli hotspot del centro “danneggiano i residenti” .
Qualcuno spieghi al sindaco che basterebbe potenziare la rete di ripetitori: basterebbe il posizionamento di una antenna all’interno di una ex caserma.
(da “il Corriere dela Sera“)
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Luglio 8th, 2016 Riccardo Fucile
PIU’ CHE L’INSEDIAMENTO DI UN PRIMO CITTADINO SEMBRAVA LA GIORNATA DELLA LAUREA… VA BENE LO STORYTELLING, MA QUI SI ESAGERA
E il piccolo Matteo sul suo scranno durante la votazione in assemblea capitolina, che stringe la mano al neo presidente De Vito, poi gioca con lo schermo touch della postazione.
Carino, fa molto primo sindaco donna e madre, ci sta.
E il padre e la madre emozionati in aula. “Quanto sono felice? in una scala da 1 a 100, direi 101”, dichiara il padre.
Carini, fa molto sindaco figlia, ci sta.
E il marito, quello della lettera nel giorno della vittoria. “Una giornata speciale per tutti. Se sono emozionato? Certo. Che cosa ha detto Virginia dopo la lettera aperta che le ho indirizzato all’indomani della vittoria? Ci siamo visti, abbracciati, era contenta, ma la lettera non è importante”.
Eppoi: “Se aiuterò Raggi? Ci mancherebbe, sono un attivista da tanto tempo”. Opportuno, fa molto sindaco moglie, ci sta.
E i colleghi dello studio Sammarco, quello che difese Previti, dove la Raggi fece pratica, e che creò qualche problemino, ma neanche tanto grande, alla cavalcata trionfale di Virginia. “Come era in studio? Era bravissima… Sono molto contento per Virginia, sono sicuro che farà molto bene”, dice Sammarco.
Un po’ al limite, fa un po’ parenti lontani che tornano al momento meno opportuno, forse meglio evitare.
E i parlamentari Alessandro Di Battista, Carla Ruocco e Paola Taverna, non proprio il minidirettorio a 5 stelle che dovrebbe coordinarsi con il primo sindaco donna della capitale, ma una rappresentanza di peso.
Istituzionale, ombrello politico, ci sta.
Infine Casaleggio-Grillo, con il blog, dove oltre alla diretta streaming della prima riunione del consiglio comunale, è stata pubblicata anche la lista della giunta con un breve curriculum di tutti i 9 assessori.
“Nessuno di loro è un politico – si legge sul blog – ma sono tutti cittadini che hanno deciso di mettere la loro competenza al servizio di questa bellissima città e di noi tutti”. Sguardo che arriva dall’alto, patriarcale, anzi, visto che siamo a Roma, da generoni.
Garanzia di ultima istanza. Ci sta.
Insomma, una pletora di figure intorno alla tosta Virginia.
Va bene lo storytelling, la costruzione del personaggio, la persona prima della politica, ma qui un po’ si esagera.
Più che un insediamento di un primo cittadino, sembra la giornata della laurea.
Nuovo stile? Vincente? Umano? Vedremo, ma per ora, più che un sindaco, di cui giudicheremo gli atti, a Roma abbiamo un mega album di famiglia.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 8th, 2016 Riccardo Fucile
ULTIMO BRACCIO DI FERRO SULLA MORGANTE: IL TANDEM LOMBARDI-DE VITO LA VUOLE CAPO DI GABINETTO, LA RAGGI FRENA, LA TAVERNA VUOLE MURARO, DI BATTISTA INDICA BERDINI
Segna ancora mare in tempesta l’ondometro a bordo della corazzata a 5 stelle che ha espugnato il Campidoglio
Nonostante il varo della squadra, il gorgo di correnti che – ancor prima di salpare – ha rischiato di risucchiare Virginia Raggi, è tuttora in piena attività .
E cela un nuovo, insidiosissimo scoglio: la nomina del capo di gabinetto a Palazzo Senatorio.
Incarico in principio affidato alla strana coppia Frongia-Marra – fedelissimo il primo, alemanniano il secondo – poi affondato dalle polemiche e dal niet di Grillo. Una poltrona che, in base al Manuale Cencelli applicato per comporre la giunta romana, decisa da un mini-direttorio, è stata promessa a Daniela Morgante: viceprocuratore della Corte dei Conti e già assessore al Bilancio nel primo Marino.
È su di lei che si sta consumando l’ultimo scontro interno al Movimento.
Che vede la neosindaca contrapposta al tandem Lombardi- De Vito. Non si fida, la Raggi. Considera la giudice contabile una serpe in seno, la donna che potrebbe controllarla per conto degli storici avversari.
Perciò ha deciso di rinviare la nomina, affidando l’interim a una dirigente comunale. Un modo, anche, per lanciare un messaggio, tentare quello scarto di autonomia che finora le è sempre mancato.
Ostaggio di un gruppetto di parlamentari che le hanno legato le mani, costringendola ad accettare in giunta e nello staff innesti non sempre graditi.
Al punto da indurre Luigi Di Maio a scendere di nuovo in campo per sminare il terreno: «Questa squadra segna un passaggio fondamentale per il Movimento», ha avvertito ieri il candidato premier in pectore, consapevole che dal successo della Raggi dipende molto del suo futuro politico: «Per noi ci sono quelli che hanno distrutto il Paese e quelli che hanno provato a migliorarlo. Questi ultimi si facciano avanti e lavorino con noi perchè non abbiamo pregiudizi».
Se c’è qualcuno che fin dall’inizio ha tentato di fermare la marcia trionfale di Virginia su Roma, senza arrendersi neppure davanti all’evidenza, quella è Roberta Lombardi. L’influente deputata che ha praticamente fondato i 5 stelle nella capitale, è legata politicamente a Marcello De Vito: candidato sindaco nel 2013 contro Ignazio Marino e poi in corsa alle Comunarie di febbraio, dalle quali è uscito però sconfitto per mano della Raggi.
Una batosta che i due non hanno mai digerito. Condita da un’antipatia del tutto ricambiata.
La neosindaca s’è infatti rifiutata di nominare De Vito suo vice in giunta, nonostante la mediazione proposta da Alessandro Di Battista.
Lui si è dovuto accontentare della guida dell’Aula Giulio Cesare. Mentre Lombardi, membro del mini- direttorio, si è vendicata mettendo il veto su vari assessori suggeriti dalla prima cittadina.
È lui il vero stratega della giunta Raggi. Quello che più si è speso per placare la guerra fra correnti.
Prima ha piazzato alle Politiche sociali Laura Baldassare, fedelissima di Vincenzo Spadafora, l’ex garante dell’Infanzia che alla Camera è suo responsabile delle Relazioni Istituzionali.
Poi ha convinto il dirigente Consob Marcello Minenna ad accettare l’assessorato a Bilancio e Partecipate.
Un nome amato pure dalla Lombardi e da altri parlamentari grillini, con il quale il super-tecnico ha collaborato, su input di Milena Gabanelli.
Anche Paola Taverna, senatrice e membro del mini-direttorio, ha voluto metterci lo zampino.
È sua l’idea, il cui copiright appartiene però al compagno Stefano Vignaroli, anche lui parlamentare, di chiamare all’Ambiente Paola Muraro.
Come sua è l’indicazione di Luca Bergamo alla Cultura, dopo una telefonata ricevuta da un eurodeputato M5S, che lo aveva conosciuto a Bruxelles.
È stato il primo a credere nelle capacità di Virginia Raggi. Il primo a sostenerla, per poi defilarsi, forse spaventato dalla guerra fra correnti.
Di certo Paolo Berdini, designato all’Urbanistica, è roba sua: da storico collaboratore del gruppo 5 stelle alla Camera, l’ingegnere nemico dei palazzinari ha stretto un rapporto molto solido con Dibba.
E poi col vicesindaco Daniele Frongia, cui ha fatto da consulente nella stesura del suo libro “E io pago”.
C’è pure un rappresentate di Casaleggio nel governo romano: Adriano Meloni, fino al 2008 ad di Expedia, azienda leader nel settore dei viaggi online, che fino al 2009 ha prodotto alcune edizioni del rapporto annuale sull’ecommerce e lo stato della rete assieme proprio alla società fondata da Gianroberto.
Stimato molto da Casaleggio senior, è molto amico di Davide, che lo ha voluto in giunta.
Giovanna Vitale
(da “la Repubblica“)
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Luglio 8th, 2016 Riccardo Fucile
STEREOTIPI SMENTITI: LASCIANO ALL’INPS 8 MILIARDI L’ANNO DI CONTRIBUTI NETTI PER RICEVERNE 3… 300 MILIONI DI CONTRIBUTI CHE NON VERRANNO MAI RESTITUITI… E NEI SETTORI DOVE CALANO GLI OCCUPATI ITALIANI NON AUMENTANO QUELLI STRANIERI
Quando ci sono periodi di crisi, la paura aumenta.
Cresce tra i settori più vulnerabili, tra quelli che si sentono più in pericolo. Paura di perdere il lavoro, timore di non ritrovarlo dopo averlo perso.
E’ proprio in questi momenti critici, la storia ce lo ha dimostrato, ahimè, che la paura del diverso si accentua ed è facile cadere nell’ottica della ricerca del capro espiatorio. Ricerche condotte nel Regno Unito mostrano quanto ciò abbia influito anche sulla vittoria di Brexit.
La propaganda di diverse formazioni politiche si è particolarmente soffermata su questi aspetti, gli immigrati sono un carico in più per il nostro welfare, ci rubano il lavoro.
Ma è proprio così nel nostro Paese? Alcuni dati forniti dall’Inps e altri dall’Istat possono aiutarci a capire.
Tito Boeri, presidente dell’Inps, presentando alla Camera l’interessante rapporto annuale ieri ha sottolineato che gli immigrati in termini di contributi sociali versano di più di quanto ricevono in pensioni.
Infatti, versano 8 miliardi di contributi sociali in un anno e ne ricevono 3 se si considerano sia pensioni sia altre prestazioni sociali.
Danno cioè al nostro Paese 5 miliardi di contributi netti.
Certamente questa è una fotografia del presente, quando ancora gli immigrati che percepiscono la pensione sono pochi; un domani sarà diverso, quando ci saranno più pensionati tra gli immigrati.
Ma la storia migratoria a livello internazionale ci insegna che in molti casi i contributi previdenziali degli immigrati non si traducono poi in pensioni, perchè una parte di essi si spostano di Paese, oppure tornano nel loro, e spesso non arrivano a percepire una pensione nel Paese in cui hanno versato anni di contributi.
«Abbiamo calcolato che sin qui gli immigrati ci abbiano “regalato” circa un punto di Pil di contributi sociali a fronte dei quali non sono state loro erogate delle pensioni. E ogni anno questi contributi a fondo perduto degli immigrati valgono circa 300 milioni di euro» dice Tito Boeri.
Altri dati di fonte Istat smentiscono un altro stereotipo.
Non è vero che gli immigrati rubano il lavoro agli italiani. Laddove calano gli occupati italiani non aumentano i lavoratori stranieri.
Per esempio, gli occupati italiani nel corso della crisi sono diminuiti nell’industria, commercio, pubblica amministrazione, istruzione e sanità .
Gli occupati stranieri sono aumentati nei servizi alle famiglie e negli alberghi e ristorazione, cioè in settori totalmente diversi.
In agricoltura calano gli italiani e aumentano gli stranieri, ma i primi calano tra i lavoratori autonomi e i secondi crescono tra i braccianti.
Il che significa che il nostro mercato del lavoro continua a mantenere un carattere duale, con una forte e netta separazione tra professioni italiane e straniere.
In sintesi, non sono quindi gli immigrati la causa della perdita di occupazione degli italiani o della loro difficoltà a trovare lavoro.
Tutto ciò non significa che ogni cosa vada bene. Ci sono problemi di degrado in zone ad alta concentrazione di immigrati, ci sono problemi di crescita di criminalità che vanno affrontati e risolti nell’ottica dell’integrazione.
Ma se smettessimo di crearci fantasmi e affrontassimo le cause reali della disoccupazione che risiedono nella crisi economica e nella rivoluzione che sta attraversando la società globalizzata, faremmo già un bel passo in avanti.
Così come ne faremmo un altro se riuscissimo a creare un modello virtuoso di integrazione dei migranti, valorizzando anche le esperienze meravigliose di solidarietà che esistono nel nostro Paese.
Volenti o no le migrazioni saranno un fenomeno rilevante dei nostri tempi.
I nostri nipoti ci ricorderanno con riconoscenza se troveranno persone di origine diverse come pari e amici, colleghi e compagni di lavoro, piuttosto che nemici astiosi e rancorosi rinchiusi in ghetti.
Non mi posso dimenticare la bellissima immagine che l’indagine dell’Istat dava, richiamata dal Presidente della Repubblica nel discorso di fine anno: la maggioranza dei bambini stranieri in Italia ha come migliore amico un bambino italiano.
Linda Laura Sabbadini
(da “La Stampa“)
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Luglio 8th, 2016 Riccardo Fucile
SONO STABILI A 5 MILIONI E IN CALO NEL NORD-EST, IN UMBRIA E NELLE MARCHE
Rimane stabile il numero dei migrati residenti in Italia, che nel 2015 sono aumentati di 11 mila unità passando dai 5.014.437 di inizio anno ai 5.026.153 del 31 dicembre.
Crescita misurata anche nel 2014: nell’arco dei 12 mesi la popolazione non italiana è aumentata solo dell’1,9%.
A dirlo è la Caritas che ha presentato l’annuale Rapporto sull’immigrazione nel nostro paese, quest’anno intitolato «La cultura dell’incontro».
Eppure, hanno spiegato Caritas e Fondazione Migrantes, il rischio è che il fenomeno migratorio venga raccontato sulla base della «percezione» e non della realtà .
Il nostro Paese — ha detto monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes — sta «perdendo attrazione».
E mentre si registrano «i primi cali di presenze straniere nel Nord Est, nelle Marche e in Umbria», «si continua a parlare di ‘invasione inarrestabile’ in riferimento a 130 mila richiedenti asilo e rifugiati accolti nelle diverse città e regioni: falsificazioni che impediscono un’adeguata politica dell’immigrazione».
L’assenza di vie regolari per l’ingresso in Italia — hanno inoltre sottolineato gli autori del Rapporto — ha di fatto congelato il nostro Paese su numeri che vedono un’incidenza degli stranieri sulla popolazione totale di poco superiore all’8%».
(da agenzie)
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