Luglio 21st, 2016 Riccardo Fucile
LA NOMENKLATURA SUL PIEDE DI GUERRA, MA SILVIO HA DECISO… TOTI RESTA CON UN PUGNO DI MOSCHE PADANE IN MANO
L’ennesimo atto dell’ormai ventennale saga, che vede contrapposto Berlusconi alla nomenklatura azzurra (e la conseguente resistenza della nomenklatura), si celebrerà venerdì 22 luglio.
A ora di pranzo, quando attorno al tavolo di Arcore si siederanno i capigruppo, i vice e poi la Carfagna, Matteoli, Gasparri, vecchi reduci di tante battaglie come Antonio Tajani, giovani dall’ardente ambizione, come Giovanni Toti, destinati a una dolorosa delusione.
Perchè a loro Silvio Berlusconi comunicherà la sua decisione, già presa da almeno una settimana con Gianni Letta e Fedele Confalonieri, di nominare Stefano Parisi coordinatore unico del partito, per realizzare ciò che il medesimo Parisi ha annunciato oggi in un’intervista alla Stampa.
E per realizzare ciò che ancora non è stato detto, ma su cui l’ex premier vuole lavorare da settembre, ovvero la chiusura di Forza Italia e la creazione, in tempi pentastellati, di un nuovo contenitore, fatto di imprenditori, professionisti e società civile e meno politici di professione e Casta
Intervista, quella di Parisi, concessa con un timing perfetto il giorno prima del verticione, per sondare le reazioni e, per dirla con una fonte molto vicina a Berlusconi, “capire chi sarà il Giuda tra apostoli che saranno a tavola”.
Ammesso che sia uno solo, perchè la sensazione è che su Parisi, gran parte della nomenklatura stia imbastendo un “processo”, per respingere il tentativo di nominarlo: “Ha perso a Milano”, “non è un federatore”, “non ha le caratteristiche del candidato premier”, “ha mostrato dei limiti”, “non tiene unita la coalizione con la Lega”. Argomentazione che troverà il supporto di un paio di interviste di Matteo Salvini sui quotidiani di venerdì, per dare una mano all’asse del Nord di Forza Italia, da Toti alla Gelmini
Il piano del processo a Parisi è stato messo a punto in decine di telefonate, contatti e incontri, l’ultimo dei quali in un ristorante vicino al Senato, dove erano attovagliati Paolo Romani, Maria, Stella Gelmini, Giovanni Toti e Mara Carfagna.
L’alternativa a Parisi per loro, ma anche per Gasparri e Matteoli, è Giovanni Toti, che però negli ultimi tempi è prima uscito dalle grazie dell’azienda, perchè troppo ostile a Renzi, e poi dalle grazie di Berlusconi, che ne ha notato un eccessivo attivismo da aspirante erede nei giorni del San Raffaele, in cui parlare di successione è apparso un po’ indelicato.
Sia come sia, l’ennesimo capitolo della saga contiene una novità , rispetto ai tanti atti della ventennale ostilità di Berlusconi ai politici di professione che lo circondano.
In parecchi ricordano quando utilizzò l’allora imprenditrice ittica Michela Vittoria Brambilla o, in tempi più recenti, lo stesso Toti.
La novità è che, dopo attenta riflessione sullo spirito grillino dei tempi e dopo altrettanto attenta riflessione sui debiti, Berlusconi ha deciso di chiudere Forza Italia e costruire una cosa nuova.
Ne ha parlato più volte col nuovo tesoriere e qualche firma con le banche è stata anche messa.
Del piano di dismissione fa parte anche la chiusura, da settembre, del Parlamentino di Forza Italia al piano terra di Palazzo Grazioli, con relativo risparmio di un affitto di parecchie migliaia di euro.
Un manager come Parisi serve soprattutto a questo, nell’era della messa in sicurezza dell’Impero e della parziale dismissione, con la cessione del Milan, di Mediaset Premium e Bollorè con un piede in Mediaset.
E serve — anche — ad assestare la linea nei confronti del governo.
Leggete questo passaggio dell’intervista di Parisi alla Stampa: “Qualunque sia l’esito del voto, il governo non deve cadere”.
È la linea di Confalonieri, la cosiddetta “opposizione responsabile”, insomma l’opposto di quel che dice Brunetta.
Detta in sintesi: opposizione morbida al governo e tutela degli interessi aziendali, il contrario di quel che vogliono le opposizioni di tutto il mondo, ovvero la caduta dei governi in carica.
Ancora non si capisce se Parisi sarà presente al pranzo di Arcore.
È certo però che il suo programma di rilancio del partito lo ha già messo nero su bianco: un partito modello ’94, ma anche modello 5 stelle che punti sul web e sui nuovi media, niente lotte di capibastoni e signori delle preferenze, con pochi politici di professione.
Berlusconi ha detto sì, perchè colpito dal successo dei 5 Stelle, Confalonieri ha detto sì perchè è sufficientemente innocuo col governo, resta la nomenklatura.
Il cui eroismo, davanti al Capo, è sempre stato più tiepido rispetto agli ardori del giorno prima.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 21st, 2016 Riccardo Fucile
IL DEPUTATO FRANCESCO RIGGIO E’ STATO CONDANNATO DALLA CORTE DEI CONTI A UN RISARCIMENTO DI 3 MILIONI… SOTTO PROCESSO PER CORRUZIONE, MONITORERA’ LO STESSO SETTORE IN CUI E’ FINITO SOTTO INCHIESTA
La Corte dei Conti lo ha condannato a restituire più tre milioni di euro alla Regione Siciliana.
Quella stessa Regione che rappresenta nel suo più alto organismo di rappresentanza, e cioè l’Ars, il parlamento siciliano.
Dove Francesco Riggio continuerà ad occupare uno scranno da deputato nonostante la pesante condanna incassata dalla magistratura contabile. E nonostante sia sotto processo per uno dei principali scandali esplosi sul fronte della Formazione professionale: un settore delicatissimo che pesa sui bilanci isolani per decine di milioni ogni anno .
Ed è per questo motivo che adesso l’Assemblea regionale siciliana ha deciso d’istituire una commissione d’inchiesta proprio sulla Formazione.
E chi tra i 90 deputati regionali è stato scelto per fare parte di quella commissione? Ma ovviamente, proprio lo stesso Riggio.
Imputato e condannato proprio per i disastri della Formazione professione.
È un paradosso al cubo quello che sta andando in onda nei corridoi di Palazzo dei Normanni: una vicenda possibile solo nella terra dove può succedere tutto e il contrario di tutto. Ma andiamo con ordine.
A fare definitivamente esplodere il “caso Riggio” all’Ars è un reclamo presentato nelle scorse settimane da Pino Apprendi, ex deputato regionale del Pd, non eletto alle elezioni del 2012.
Nel luglio del 2015, però, Fabrizio Ferrandelli aveva deciso di dimettersi dal parlamento regionale in polemica con il governatore Rosario Crocetta: il primo dei non eletti nella lista del Pd era Davide Faraone, parlamentare nazionale e sottosegretario all’Istruzione del governo di Matteo Renzi, che aveva dunque rinunciato al “ritorno” a Palermo.
Il seggio di Ferrandelli era quindi passato a Riggio, figlio dell’ex senatore Dc Nino, considerato vicino all’ex deputato regionale Pd Gaspare Vitrano, condannato a sette anni di carcere per concussione.
L’arrivo di Riggio a Palazzo dei Normanni era stato possibile grazie agli 6.881 voti ottenuti nel 2012: nel frattempo, però, era finito nei guai.
Nel giugno del 2013, infatti, i magistrati avevano scoperchiato un vero e proprio “sistema illecito criminale” capace di attrarre milioni di euro di fondi destinati alla Formazione professionale che coinvolgeva tutti i punti nevralgici degli affari pubblici siciliani: zelanti burocrati, esponenti politici e imprenditori.
Tra questi lo stesso Riggio, ex presidente del Ciapi, l’ente di formazione finito al centro dell’inchiesta, che gli è costato un processo per associazione a delinquere e corruzione.
Poco male però: perchè dopo le dimissioni di Ferrandelli, Riggio è approdato all’Ars con il Pd, prima di passare al gruppo Misto.
È per questo motivo che Apprendi — arrivato a 300 voti di distanza Riggio alle elezioni 2012 — aveva chiesto la decadenza da deputato del “collega”: assolto in primo grado dalla Corte dei Conti, era stato condannato in appello a risarcire la Regione con tre milioni e settecentomila euro.
Dall’Ars, però, è arrivato il pollice verso: nel profilo di Riggio “non vi sono cause di incompatibilita“, ha stabilito la commissione verifica poteri del Parlamento regionale. Una vera e propria beffa per Apprendi, che adesso è pronto ad appellarsi contro la decisione della commissione.
E in attesa di capire come finirà l’ulteriore reclamo dell’ex deputato dem, a Palermo il caso Riggio continua ad ingigantirsi.
Perchè a 24 ore dalla sua conferma a Palazzo dei Normani, all’Ars sono riusciti a fare addirittura peggio: come racconta livesicilia.it, infatti, il parlamentare è stato nominato tra i cinque componenti della sottocommissione di inchiesta che dovrà indagare sulle irregolarità della Formazione professionale.
Riggio, dunque, dovrà occuparsi delle stesso settore in cui — secondo la Corte dei Conti — ha prodotto un danno alle casse pubbliche pari ad oltre tre milioni di euro. E che lo ha fatto finire sotto processo.
A indicare il suo nome tra i componenti della commissione d’inchiesta sulla Formazione è stato Marcello Greco, presidente della commissione Cultura. Il motivo della nomina? “Chi meglio di lui conosce quel settore?”, è la risposta fornita da Greco sempre al quotidiano livesicilia.
Quasi una battuta. Se non fosse che la Formazione professionale è lo stesso settore che negli anni ha “bruciato” miliardi di euro di fondi europei.
Dopo la pubblicazione della notizia, però, il diretto interessato ha deciso di fare un passo indietro, dimettendosi dalla commissione, ma conservando il seggio parlamentare.
Giuseppe Pipitone
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 21st, 2016 Riccardo Fucile
ALLA FINE SI SCUSA E DA’ LA COLPA AL PD: “STRUMENTALIZZATE LE MIE PAROLE”
«Esiste la lobby dei petrolieri e quella degli ambientalisti, quella dei malati di cancro e quella degli inceneritori. Il problema è la politica senza spina dorsale, che si presta sempre alle solite logiche dei potentati economici decotti».
Uno dei passaggi di un post su Facebook di Luigi Di Maio sulle lobby è finito nel mirino di molti dem.
Il Pd attacca: per il renziano Marcucci, «sulle persone malate di cancro paragonate ad una lobby, Di Maio tocca il punto più basso. La cosa incredibile è che a pronunciare tali assurdità sia un signore che fa il vice presidente della Camera».
«Sono senza parole – scrive in un tweet la deputata Alessia Morani – Di Maio per giustificare il suo incontro con le lobbies dà dei lobbisti ai malati di cancro #schifo».
E Alessia Rotta: «Di Maio si scusi per avere parlato dei malati di cancro come di una lobby #vergogna».
«Le parole del vicepresidente Luigi Di Maio nei confronti dei malati di cancro sono vergognose e indegne. Definire lobby – dice Ernesto Carbone – coloro che hanno avuto la sfortuna di avere un tumore lascia esterrefatti. Ma lascia ancora più sorpresi che ciò venga detto proprio quando Di Maio incontra lobbies vere. Si è trattato del tentativo di far passare in secondo piano, proprio con una gaffe gravissima fatta ad arte, l’incontro con quei gruppi di pressione sempre demonizzati? In tutti i casi si scusi e si vergogni, e abbia rispetto per il dolore altrui questo gattopardo pseudomoralista».
Dopo le polemiche Di Maio, sempre sulla sua pagina Facebook, si scusa.
Poi però punta il dito contro i democratici: «Sono dispiaciuto che a causa delle mie affermazioni, strumentalizzate ad arte dal Pd, le associazioni dei malati di cancro siano finite in una becera polemica politica. A loro sento di dover chiarire il senso delle mie parole e di un accostamento (lobby degli inceneritori e lobby dei malati di cancro) che può essere apparso infelice: in Parlamento ci sono portatori di interessi negativi, come quelli degli inceneritori, e portatori di interessi positivi, come quelli appunto delle associazioni dei malati di cancro, che devono poter dialogare con le istituzioni affinchè il Parlamento approvi leggi a favore del loro diritto alla salute. Le loro sollecitazioni e indicazioni sono preziose per noi portavoce. Mi scuso se le mie parole sono risultate offensive».
(da “La Stampa”)
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Luglio 21st, 2016 Riccardo Fucile
L’EDITORE GUIDO VENEZIANI TRAVOLTO DAL CRAC DELLA ROTO ALBA… L’ACCUSA E’ DI AVER PRESO NEL 2012 UN’AZIENDA SANA E DI AVERLA SPOGLIATA DI RISORSE: DISTRATTI 15 MILIONI DI EURO
L’editore Guido Veneziani è stato arrestato per il crac della Roto Alba, la storica stamperia di Alba in provincia di Cuneo.
La parabola dell’uomo che Matteo Renzi e il tesoriere del Pd Francesco Bonifazi avevano scelto per salvare l’Unità , in tandem con la Eyu srl del Partito democratico, finisce dunque nel carcere di Asti.
Lì Veneziani è stato portato dai militari della Guardia di finanza di Cuneo il 19 luglio, ma la notizia è stata confermata solo due giorni dopo.
Le accuse a suo carico vanno dalla bancarotta fraudolenta aggravata alle false comunicazioni sociali.
Oltre che l’arresto di Veneziani, il pm di Asti Laura Deodato ha disposto anche i domiciliari per Gianmaria Basile, socio storico di minoranza di Veneziani nella Guido Veneziani Editore (Gve) e ritenuto dagli inquirenti amministratore di fatto di Roto Alba, e sua sorella Patrizia Basile. Oltre ai tre arrestati, risultano indagate altre cinque persone i cui nomi non sono stati diffusi.
Quando ilfattoquotidiano.it nel maggio del 2015 aveva dato notizia dell’iscrizione di Veneziani nel registro degli indagati, l’editore si era dimesso dalla presidenza del cda dell’Unità ed era stato sostituito come socio di maggioranza del quotidiano dalla Piesse di Guido Stefanelli e del costruttore Massimo Pessina.
La notizia delle indagini era arrivata dopo mesi in cui la posizione di Veneziani diveniva sempre più grave, senza che questo intaccasse la fiducia del Pd, che per volere dello stesso segretario Renzi l’aveva scelto come salvatore del quotidiano fondato da Gramsci, dopo l’avventura finita male della casa editrice Nuova iniziativa editoriale (Nie).
Se da un lato infatti Veneziani investiva nell’Unità , dall’altro la situazione di Roto Alba continuava a peggiorare, con i 130 lavoratori che prima di essere lasciati a casa in cassa integrazione non avevano ricevuto lo stipendio per mesi.
Fino al fallimento della società chiesto dalla procura e dichiarato dal tribunale il 29 maggio 2015.
Ora l’accusa che il nucleo di polizia tributaria delle Fiamme gialle di Cuneo, guidato dal colonnello Michele Pagnotta, muove a Veneziani è quella di avere preso in mano nel 2012 un’azienda sana e di averla spogliata di risorse a vantaggio di altre società del gruppo.
L’ipotesi è che siano stati distratti in modo illecito da Roto Alba 15 milioni di euro, a cui si aggiunge la contestazione di ingenti debiti tributari, tra cui contributi previdenziali non versati per quasi 3 milioni di euro (i lavoratori potranno comunque contare sulle garanzie pubbliche previste dalla legge in questi casi).
Quella di Roto Alba non è l’unica avventura imprenditoriale di Veneziani che si avviava a finire male negli stessi mesi in cui l’editore rilevava l’Unità .
Finito male anche il tentativo di rilanciare una tipografia a Nieppe, nel nord della Francia, progetto per il quale Veneziani ha incassato anche fondi pubblici francesi.
Al crac di Roto Alba sono poi seguiti i fallimenti della capogruppo Gve, della Guido Veneziani Periodici, società a cui facevano capo le riviste, della Mazzucchelli, altra storica stamperia in provincia di Bergamo acquisita nel 2013 da Veneziani, e della Enerprint di Moncalieri (Torino), rilevata a inizio 2015 dal gruppo Ilte dello stampatore Vittorio Farina.
Tutte vicende ancora sotto indagine che hanno lasciato sul campo centinaia di lavoratori senza più un impiego.
E per le quali Veneziani potrebbe subire ulteriori conseguenze sul piano penale.
Luigi Franco
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 21st, 2016 Riccardo Fucile
“I VALORI DI SOLIDARIETA’ CHE HA ESPRESSO SONO INCOMPATIBILI CON LA VISIONE DEL MONDO DEL CANDIDATO REPUBBLICANO”
Un’altra “diffida”, l’ennesima, contro Donald Trump.
I familiari di Luciano Pavarotti hanno scritto una lettera al candidato repubblicano per vietargli di usare la romanza “Nessun dorma” interpretata dal tenore modenese. «Apprendiamo che viene utilizzata come parte della colonna sonora della campagna elettorale di Donald Trump. Tocca a noi familiari ricordare che i valori di fratellanza e solidarietà che Luciano ha espresso nel corso della sua carriera sono incompatibili con la visione del mondo di Trump».
La lettera, in italiano e in inglese di presa di distanza dal candidato repubblicano è firmata nome per nome dalle figlie Lorenza Cristina e Giuliana e da Nicoletta Mantovani Pavarotti.
«Così come altri artisti coinvolti hanno già fatto in prima persona, esprimiamo pertanto la nostra disapprovazione a tale utilizzo», concludono.
Si allunga così la lista di artisti che hanno vietato a Trump di utilizzare i loro brani. Dai Rolling Stones a Bruce Springsteen, da Adele agli Aerosmith fino ai Queen.
Chi sarà il prossimo?
(da “La Stampa“)
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Luglio 21st, 2016 Riccardo Fucile
IL SULTANO DEVE ANCHE A LUI L’ASCESA AL POTERE, OGGI E’ IL RIVALE PIU’ ODIATO
In salotto, nella fattoria di Saylorsburg, tra i fitti boschi della Pennsylvania, tiene alcuni barattoli di vetro: dentro c’è il terriccio della Turchia, preso in regioni diverse. Lui a volte li apre, li odora, e sente fra le dita la terra dove non vive più dal 1999. Fethullah Gà¼len oggi ha 75 anni, e se dovesse mai rientrare, estradato dagli Stati Uniti, la forca in Turchia verrebbe riaperta solo per lui.
Per Recep Tayyip Erdogan, un tempo suo partner e alleato, e non solo per la comune fede religiosa, è diventato “l’ispiratore del golpe”, “il capo dei terroristi”, “il burattinaio del colpo di Stato”.
Per i suoi seguaci, che lo adorano, l’imam che crede nella scienza, nel dialogo interreligioso, in una democrazia multipartitica. Gà¼len è un predicatore islamico, fondatore del movimento Hizmet (il servizio), capace di diffondere scuole religiose in 160 Paesi, dotato di fiuto da imprenditore nel settore dell’edilizia, ma abile pure come editore.
Potente, influente, ricco. In grado di avviare un dialogo con il Vaticano, come nel 1998 quando fece visita a Giovanni Paolo II, e di incontrare leader religiosi ebrei.
Ha milioni di seguaci. Propone la visione di un Islam moderato. Passa ore in meditazione. Ha seri problemi di diabete e al cuore.
Dal 2013 Erdogan sta cercando di smantellare il suo potere, pezzo per pezzo.
Con periodici arresti di agenti e giudici, considerate categorie a lui vicine. E poi attaccando i suoi media. Un bel quotidiano come Zaman , con un’edizione addirittura in inglese e giornalisti di ottima caratura, è stato chiuso dalla polizia e ribaltato nella linea editoriale assumendo reporter filogovernativi.
Così per l’agenzia di stampa Cihan , la rete Samanyolu tv , e ieri per alcuni siti online. Dal golpe Gulen ha preso subito le distanze: “Condanno, nei termini più duri, il tentato colpo di Stato militare. Al governo si deve arrivare attraverso un processo di elezioni libere ed eque, e non attraverso la forza”.
Poi ha contrattaccato: “Io non penso che il mondo possa credere alle accuse mosse dal presidente Erdogan. E’ possibile si sia trattato di un colpo di Stato messo in scena per portare ad altre accuse contro di noi”.
Eppure c’era un tempo in cui i due avversari acerrimi di adesso erano amici. Uniti dalla necessità di allearsi contro il nemico comune, l’esercito, desiderosi entrambi di ampliare la propria sfera di influenza.
Erdogan va al potere alla fine del 2002 con il suo nuovo partito conservatore, ma dalle innegabili radici religiose. Gà¼len lo affianca con il suo movimento influente.
L’anno dopo, indagini della polizia unite a inchieste della magistratura, iniziano a minare l’immagine dei generali, ancora potentissimi.
Nel 2008 e 2010 esplodono inchieste su corruzione e tentati golpe, e i militari sono per la prima volta costretti ad arretrare dalle stanze del potere.
Protagonista del colpo di scena una generazione di giudici presi in Anatolia, capaci di accedere a una buona istruzione grazie a borse di studio offerte dalle scuole di Gà¼len.
Nel 2011, però, cambia tutto: quando vengono presentate le liste elettorali del partito, circa 60 politici considerati vicini alle posizioni di Fethullah restano fuori. Le scuole del movimento cominciano a essere vessate.
Gli appalti più importanti, i contratti più remunerativi, finiscono a imprenditori vicini al partito, lasciando alle imprese di Gà¼len solo briciole.
Hizmet diventa “la struttura parallela”, un apparato sovversivo infiltrato in media, magistratura, università , polizia, esercito. Passano due anni, e comincia la vendetta. Sono in molti a immaginare lo zampino di Gà¼len dietro la Tangentopoli turca del dicembre 2013, scoppiata con video provenienti dagli Usa, che colpisce uomini d’affari e politici, fino a coinvolgere il figlio di Erdogan, Bilal.
Altri vedono negli scoop giornalistici che mettono in rilievo il coinvolgimento del governo turco nel passaggio di armi in Siria ancora un ruolo di Fethullah.
Gà¼len è residente negli Usa, con tanto di green card . La richiesta di estradizione da Ankara partirà a giorni. Però l’America vuole le prove.
E la Turchia dovrà produrle, se vuole infine mettere le mani sull’ultimo nemico.
Marco Ansaldo
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Luglio 21st, 2016 Riccardo Fucile
SULLA PROMENADE DES ANGLAIS HA INSEGUITO IL CAMION DI BOUHLEL
«Ero pronto a morire pur di fermare il terrorista: per giorni si è interrogata sul suo destino ma ora la Francia può tirare un sospiro di sollievo».
L’ “eroe con lo scooter” della Promenade des Anglais, quello che ha sfidato la morte partendo all’inseguimento del camion di Mohamed Bouhlel, è vivo e vegeto e oggi ripercorre il film di quel suo temerario 14 luglio quando cercò di fermare il killer issandosi sul predellino del tir e picchiandolo con tutta la forza che aveva in corpo.
Sono le 22:40 sullo scintillante lungomare di Nizza. Franck si gode la serata estiva a bordo del suo scooter con la moglie.
Insieme nell’aria tonda di luglio hanno appena assistito allo spettacolo pirotecnico per la Festa Nazionale. Ma in un attimo è l’orrore.
«Sono iniziate le grida, poi le auto di traverso, i corpi che volano dappertutto, ho capito subito», racconta intervistato da Nice-Matin.
Il francese padre di famiglia decide di spingere sull’acceleratore. «Mia moglie era dietro, mi tirava il braccio per chiedermi dove volessi andare. Mi sono fermato, le ho detto “Scendi subito!”».
E’ l’inizio di un inseguimento da far rabbrividire anche il più coraggioso dei soldati GI.
Nella folle corsa verso il tir bianco dell’orrore l’improvvisato Rambo della Rèpublique si trova costretto a fare lo slalom «fra i vivi e i morti».
«Ero in una specie di trance – racconta – ma al tempo stesso lucido».
Come si vede dalle immagini amatoriali che hanno fatto il giro del mondo Franck riesce a raggiungere la sinistra del tir in corsa sulla Promenade.
Nel disperato tentativo di fermare l’autista killer decide di lanciare lo scooter contro il bestione da 19 tonnellate e continuare la corsa a piedi.
Racconta di essere riuscito a issarsi all’esterno della cabina, sul predellino, dal lato del conducente.
Il finestrino è aperto, il terrorista tunisino di 31 anni è al volante, di fronte a lui: «L’ho picchiato, picchiato, picchiato ancora, con tutte le forze, colpendolo al volto».
Bouhlel è impassibile, «non dice nulla, non reagisce», almeno fino a quando non punta la pistola contro il coraggioso cinquantenne aggrappato alla portiera del camion.
Avviene il miracolo: «L’arma si inceppa,è scarica, non so, premeva sul grilletto ma non funzionava», ricorda Franck.
Il suo confronto col mostro viene interrotto dalle prime raffiche della polizia.
Rifugiatosi sotto al camion ormai fermo si copre la testa e attende la fine della pioggia di fuoco degli agenti.
Ferito nello scontro con lo jihadista di 31 anni, se l’è cavata con dei punti di sutura alla testa e lievi contusioni. Ora tra Nizza e Parigi viene salutato come un “eroe”.
Qualcuno ritiene che grazie al suo intervento abbia scongiurato un massacro ancora più grave. Se ha sfidato la morte, racconta lui, è stato soprattutto per il figlio che si trovava dall’altra parte della Promenade, nei pressi della Place Massèna.
«Mi ha dato la forza coraggio per fare in modo che il terrorista non arrivasse fin lì».
Secondo un ultimo bilancio comunicato dal presidente Hollande, l’attentato di Nizza ha causato 84 morti e 231 feriti, 15 sono ancora in pericolo di vita.
Paolo Levi
(da “La Stampa“)
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Luglio 21st, 2016 Riccardo Fucile
QUESTO SAREBBE IL “PROCESSO DI MATURAZIONE” DEL M5S
Il processo di “maturazione” del Movimento 5 Stelle prosegue senza sosta.
Dopo la recente visita di una delegazione dei grillini in Israele, con tanto di gaffe diplomatica sulle difficoltà di accedere a Gaza, i 5 Stelle incontrano anche gli acerrimi nemici dei lobbisti.
Lo scrive il Corriere della Sera che racconta l’incontro tra il leader in pectore Luigi Di Maio e una platea formata dagli esponenti dei cosiddetti gruppi di pressione in una sala di Palazzo Firenze a Roma.
Qui, il vicepresidente della Camera ribadisce la linea adottata “dal gennaio 2014” di promuovere una legge che “regolamenti la partecipazione dei gruppi di interesse alle procedure legislative”.
(I lobbisti) vogliono annusare Luigi di Maio. E’ l’esponente di punta di quel M5S che appena due anni e mezzo fa intimò: fuori i lobbisti dal Parlamento.
E che adesso accetta di confrontarsi con cento di loro, in nome della trasparenza. Strano incontro ma estremamente istruttivo. […] Davanti ha i punti di contatto tra multinazionali, forze politiche e opinione pubblica: rappresentanti di Enel, Vodafone, Microsoft, Confindustria, Codacons, Fastweb, 3M, fondazioni assicurazioni, studi legali, reti di manager. Deve convincerli che il Movimento sta cambiando, si sta evolvendo.
“Un segno dei tempi”, scrive Massimo Franco sul Corsera.
Non si tratta del primo segnale dell’evoluzione grillina, e nemmeno dell’ultimo. Il 26 luglio Di Maio incontrerà Antonio Spadaro, direttore del quindicinale dei gesuiti La civiltà cattolica, uomo vicinissimo a Papa Francesco.
“E’ una tappa-chiave anche la Santa Sede, per Di Maio. Continua Franco:
Nella platea dei lobbisti, probabilmente i sostenitori delle riforme sono molti.Di Maio cerca di demolirle una a una. Sostiene che il risparmio derivante da uno svuotamento del Senato sarà minimo: circa 50 milioni di euro. Sarebbe meglio dimezzare gli stipendi di tutti i parlamentari se si vogliono abbattere i costi. […] I “nemici” ascoltano, attenti, senza applaudire se non alla fine.
E’ stata solo una tappa: per i lobbisti e per il grillino in grigio.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 21st, 2016 Riccardo Fucile
E ANNUNCIA UNA CONVENTION A SETTEMBRE
“Voglio provare a rigenerare il centrodestra con un programma politico liberale e popolare, alternativo al centrosinistra e concorrente con i cinque stelle”, un progetto che prenderà forma “con una convention programmatica a settembre, a Milano, in cui raccoglieremo idee e proposte”.
Stefano Parisi, candidato perdente del centrodestra a sindaco di Milano, in una intervista alla Stampa annuncia la sua ‘discesa in campo’ per “dare una mano” alla ricostruzione del centrodestra, partendo proprio dall’esperienza fatta nel capoluogo lombardo che “non va dispersa”.
All’appuntamento di settembre “coinvolgerò persone che arrivano dall’università e dall’impresa”, che non abbiano una lunga carriera politica alle spalle ma che comunque “abbiano dimostrato di saper fare”.
Perchè “la politica ha vissuto una breve fase giovanilista, in cui sembrava un merito non aver fatto niente”.
Un messaggio che Parisi rivolge “a tutti, anche oltre il perimetro che mi ha sostenuto. Parlo all’opinione pubblica moderata, che va risvegliata nell’interesse e nella partecipazione”.
Sul leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, “penso che guardi al mio progetto con interesse” e nel centrodestra del futuro avrà un ruolo “come fondatore. È stato a lungo motore della parte più moderata dello schieramento, deve continuare ad esserlo”.
Sui contenuti, Parisi invoca “rigore e regole chiare” verso gli immigrati, convinto che quello di Salvini non possa essere liquidato come “populismo” ma esprima “un malessere reale”. Ecco, “voglio dare risposte a quelle paure”.
Nei confronti della Ue, “giusto il rigore di Bruxelles sulla finanza pubblica, ad essere sbagliata è la burocrazia” che frena l’economia.
Ma il punto chiave della proposta di Parisi sono le riforme: al referendum spiega che voterà no, ma aggiunge: “qualunque sia l’esito del voto, il governo non deve cadere. Tutte le forze politiche dovrebbero approvare una legge costituzionale che sostituisca il Senato con un’assemblea costituente. L’assemblea – spiega – sarà eletta con metodo proporzionale contemporaneamente alle elezioni politiche, lavorerà per 18 mesi e discuterà delle proposte di riforma, poche e semplici, portate dai partiti”.
(da “Huffingtonpost”)
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