Luglio 6th, 2016 Riccardo Fucile
IL PREMIER BLINDA ALFANO MA NON CEDE A NCD
“A questo punto tutti gli scenari sono aperti”, dice una fonte renziana nel Pd.
Tutto è possibile ora che il Nuovo centrodestra, partner essenziale di governo, ha iniziato il braccio di ferro con il premier Matteo Renzi e minaccia di far mancare i numeri alla maggioranza in Senato.
In Transatlantico alla Camera, il moderato Fabrizio Cicchitto la legge così: “Nel partito vogliono uno sbocco politico che con l’Italicum non c’è. Se questo sbocco politico non viene dato con una modifica dell’Italicum, allora possono anche esserci gesti di disperazione…”.
Vale a dire gesti che possono costare la vita al governo.
Ormai la casa di Angelino Alfano brucia indipendentemente dal suo leader, più che mai debole dopo l’inchiesta giudiziaria che tira in ballo il fratello Alessandro e il padre Angelo.
Renzi blinda Alfano. “Pretestuoso chiederne le dimissioni”, dice il capogruppo Dem alla Camera Ettore Rosato. Ma il premier non cede al braccio di ferro: prima del referendum non aprirà alcuna discussione sull’Italicum.
E se in aula si verificherà qualche “gesto disperato”, per il segretario del Pd si va al voto anticipato: tra fine settembre e gli inizi di ottobre.
E’ questa la temperatura al quartier generale renziano tra Nazareno e Palazzo Chigi. Mentre si blinda Alfano, si sta anche col fiato sospeso, in attesa dei giornali di domani, in attesa di capire se ci sono altri allarmanti sviluppi dell’inchiesta giudiziaria. Posto che, si ragiona nei circoli Dem, Alfano non è la Guidi: se dovesse dimettersi il ministro dell’Interno, cadrebbe il governo.
Come Clemente Mastella quando era Guardasigilli di Prodi nel 2008. Il paragone che viene usato è sempre questo: scenario da brividi. Con una luce all’orizzonte: il voto anticipato.
Addirittura, tra i renziani c’è chi si immagina già la campagna elettorale contro il candidato del M5s Luigi Di Maio: con Renzi stabilità e flessibilità dei conti pubblici, con gli altri instabilità e incertezza di formare un governo.
Perchè si andrebbe al voto con l’Italicum per la Camera e il Consultellum per il Senato che prevede uno sbarramento del 20 per cento per le coalizioni su base regionale, 3 per cento per ogni forza della coalizione, 8 per cento se si corre da soli. Se vincesse a Montecitorio, il M5s potrebbe avere difficoltà a trovare una maggioranza a Palazzo Madama.
Si creerebbe una situazione di blocco istituzionale. Alle brutte insomma Renzi scommette pure sull’immobilismo: muoia Sansone con tutti i filistei.
Ma certo il voto anticipato lo terrebbe in campo, come segretario del Pd a fare le liste e in caso di vittoria anche dopo, come premier.
In questo caso, spiegano esperti costituzionalisti, il referendum costituzionale si terrebbe a dicembre: è un referendum confermativo non può essere prorogato oltre quella data salvo altre decisioni del governo per decreto.
Certo, sarebbe paradossale: due Camere appena elette (a settembre) porterebbero il paese a votare per un referendum che prevede una Camera sola con l’altra a ranghi ridotti, come prevede il ddl Boschi. Ma ormai la situazione è già paradossale.
Nei Palazzi della politica tutti fanno i conti con uno scenario in velocissimo movimento che davvero può portare a qualsiasi sbocco.
Ma non allo sbocco politico per Ncd. Sull’Italicum il premier non cede. Non ascolta i consigli di chi tra i suoi gli suggerisce di aprire una discussione con i centristi sull’introduzione del premio di coalizione.
Anzi, è disposto a portare la crisi fino in fondo. Se i senatori legati a Renato Schifani apriranno formalmente la crisi facendo mancare i numeri in aula, per esempio sul decreto enti locali in discussione a Palazzo Madama a luglio, allora il segretario del Pd salirebbe al Colle da Sergio Mattarella a dire la sua: voto anticipato.
E non sarebbe il solo, si esercitano nel Pd i suoi. A chiedere le urne ci sarebbe anche il M5s.
“I partiti maggiori, stando alle ultime politiche, chiederebbero il voto. Come farebbe Mattarella a giustificare la nascita di un nuovo governo che andrebbe da Berlusconi a Franceschini? — azzarda a taccuini chiusi una fonte del Pd — Sarebbe un governo senza collante politico in positivo ma con un collante numerico tutto in negativo…”. Ovviamente tutti sanno che sta a Mattarella decidere.
Ma lasciando circolare queste voci, Renzi di fatto risponde alla minaccia di Ncd, partito che ormai viene considerato come una scheggia impazzita nei circoli Dem. Così impazzita da essere nelle condizioni di regalare al premier un’ottima possibilità per scartare.
Le politiche tra settembre e ottobre infatti anticiperebbero il referendum costituzionale, che ormai viene vissuto come una roulette russa sia nel Pd e che dentro Ncd.
L’assunto di base è che vincerlo è diventata una sfida da Titani: possibile ma dura. In una campagna elettorale per il voto anticipato Renzi invece potrebbe rilanciare giocando da ‘anti-casta’ contro chi in Parlamento si presti per formare un altro governo.
Farebbe da sponda a Grillo insomma, tentando il tutto per tutto. O comunque tutto ciò che gli sarebbe precluso in caso di sconfitta al referendum: a quel punto infatti sarebbe finita, al netto di tutti gli sforzi di ‘spersonalizzare’ il referendum.
E’ per questo che dentro Ncd c’è anche chi frena. “Nessun incidente prima del referendum, nessun voto anticipato: basta aspettare che Renzi perda il referendum per formare un altro governo e cambiare la legge elettorale”, dice a taccuini chiusi un notabile del partito di Alfano.
Certo, se prevalesse questa impostazione al premier non resterebbe che cercare il vincere il referendum. Senza piani B.
(da “Huffingtonpost“)
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Luglio 6th, 2016 Riccardo Fucile
IL SEGNALE LA PROSSIMA SETTIMANA CON IL VOTO SULLA RIFORMA DEL BILANCIO
All’ombra del caso Alfano collassa il “centro” della maggioranza.
Roberto Formigoni sorseggia un caffè freddo, alla buvette del Senato: “Questa cosa qui di Alfano oggi ha rallentato un inevitabile chiarimento interno, ma a giorni dovremmo riunirci e io proporrò l’appoggio esterno. La nostra funzione nel governo è finita”.
Otto i senatori di Ncd che vogliono voltare pagina, tra cui Peppe Esposito, legato a Renato Schifani e Azzollini.
A cui aggiungere cinque senatori di Ala, “molto mossi”. E c’è un momento in cui sarà recapitato un segnale a Renzi, per fargli capire che nulla è più scontato e deve iniziare a trattare su vari temi, a partire dalla legge elettorale.
Il momento è quando arriverà in Aula, la prossima settimana, il ddl sulla riforma del bilancio degli enti locali.
Pare uno dei tanti voti di routine, in verità è una votazione particolare, perchè occorre la maggioranza assoluta dei componenti dell’assemblea, ovvero 161 voti.
È su questo provvedimento che i malpancisti preparano l’incidente.
Per “mandare sotto” Renzi. Piano ben ponderato, perchè gira la voce che “Renzi non aspetta altro per andare a votare in nome del ‘vogliono fermare il cambiamento”.
Una linea che impaurisce come una pistola scarica. Un senatore centrista, dietro garanzia di anonimato, spiega la logica dell’incidente: “Il voto sulla riforma del bilancio è più di un voto normale, ma non è un voto di fiducia al governo. Che fa Renzi? Va al Colle? Mattarella gli risponderebbe: verifica se hai una maggioranza e lo rimanda alle Camere. Insomma, a sciogliere prima del referendum è impossibile. Renzi deve capire che deve trattare”.
Sembra tutto logico, razionale, ma il “centro” è una maionese impazzita. Fabrizio Cicchitto, in una delle mille riunioni, è sbottato: “Ma quale appoggio esterno. Qua si sono messi a giocare col fuoco. Se esci dal governo crolla la baracca, altro che storie. Anche perchè a questi scienziati chi glielo ha detto che Silvio se li riprende?”.
A Forza Italia hanno bussato Auricchio e Falanga di Ala. E Azzollini di Ncd, per rientrare.
Mentre Schifani si muove su una prospettiva più articolata, di una alleanza di centrodestra. Finora da Arcore non sono arrivati grandi segnali.
Per tanti motivi, che vanno dalla convalescenza del Cavaliere a considerazioni politiche più generali: “Non abbiamo alcun interesse – dice un big azzurro – a drammatizzare ora la situazione. Noi vogliamo che Renzi arrivi logoro al referendum di ottobre”.
Tra i Palazzi e il paese c’è una lontananza abissale.
I 32 senatori di Alfano, cifra enorme per un partito dell’1 per cento, sono certi di non rientrare. Anche quelli di Verdini, che nel paese non esiste.
Peppe Esposito non usa giri di parole: “Io qua non rientro. Posso dire quello che mi pare con grande libertà ? Bene per me il sostegno al governo va tolto. Punto”.
Nessuno si sente garantito perchè “Alfano ha pensato solo alla sua poltrona e siamo un partito che non c’è”.
Il dato nuovo è la sensazione che la legislatura si allunga se vince il “No” a ottobre, non se vince il Sì.
L’ex ministro Mario Mauro ragiona a voce alta: “Prima del referendum Renzi cerca un pretesto per andare a elezioni anticipate, per scagliarsi contro il Palazzo e dire: lo vedete, non vogliono farmi cambiare l’Italia. Ma non è facile sciogliere. Se perde il referendum Mattarella ci mette meno di venti minuti a fare un governo”.
È quello il momento che suggerisce di aspettare Maurizio Lupi per riaprire la trattativa sulla nuova legge elettorale.
(da “Huffingtonpost“)
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Luglio 6th, 2016 Riccardo Fucile
IL CONSIGLIERE RAI IN QUOTA GRILLINA: “LA SINDACA E’ ACCERCHIATA”
Dice Carlo Freccero che quel che sta succedendo a Roma, tra i 5 stelle, è l’effetto «di un partito che vince col 70 per cento e in cui tutti si ritrovano a chiedere posti di potere».
Il consigliere di amministrazione Rai in quota 5 stelle promuove a pieni voti le mosse di Chiara Appendino a Torino, ma ha qualche dubbio su quelle di Virginia Raggi nella capitale e, soprattutto, sul gruppo di supporto che le è stato affiancato dai vertici del Movimento
Cosa pensa dello stallo dei primi giorni sulla giunta?
«Credo che sia quel che accade quando ci sono vittorie grosse, inaspettate e per questo difficili da gestire. Ci sono cose però che mi creano tensione».
Quali?
«Un personaggio come Roberta Lombardi, il suo ruolo, la sua figura mi fanno pensare che ci siano delle lotte interne che mi sarei augurato non facessero parte del nuovo corso. Il momento è delicato, devono fare in fretta per dimostrare di essere all’altezza della prova che così tanta gente ha affidato loro».
Stanno cercando le persone giuste, serve tempo no?
«Per ora l’unico nome che conosco è che mi convince è quello di Paolo Berdini, assessore all’urbanistica. Sul resto sono al buio, un po’ distaccato. Attendo qualcosa di forte e di preciso».
Se le chiedessero un consiglio?
«Non li sento, dico sempre che da quando sono qui a viale Mazzini non ho ricevuto dal Movimento nessuna richiesta, pressione o telefonata. Quel che credo e che direi loro è che debbano stare attenti a non riciclare la gente. E poi…».
Cosa?
«Lei, Virginia Raggi intendo, mi sembra molto accerchiata e questo non è positivo per il Movimento. Quel che emerge è che a Roma ci siano guerre intestine e che questo possa comprometterne l’operato. L’esperienza di Torino mi sembra invece molto diversa».
Crede che Chiara Appendino abbia agito meglio?
«Direi che ha superato gli esami, è stata brava e dà l’idea di essersi preparata molto bene».
(da “La Repubblica”)
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Luglio 6th, 2016 Riccardo Fucile
E META’ DEL PARTITO VEDE L’OCCASIONE PER ROMPERE CON IL GOVERNO RENZI
Le ventiquattro ore più lunghe al Viminale, dove l’ufficio di Angelino Alfano pare un bunker. Sul tavolo, squadernate le carte dell’inchiesta Labirinto.
Secondo i consulenti legali, al momento, non c’è nulla di penalmente compromettente. Ma è tutto politico l’imbarazzo. E cresce col passare delle ore, alla lettura dei fiumi di inchiostro sulle relazioni della famiglia Alfano.
“Non mi dimetto” ha ripetuto il ministro ai pochi che si sono messi in contatto con lui. Che hanno toccato con mano l’alto livello di tensione: “Angelino – raccontano – si è preso 24 ore per capire fin dove arriva e quanto monta questa cosa, per poi parlare e uscire dall’angolo”.
Già , uscire dall’angolo. Perchè è chiaro che l’attacco all’uso improprio delle intercettazioni non regge di fronte al quadro emerso: il fratello alle Poste, il padre con un pacco di curriculum di persone da sistemare. E un faccendiere al Viminale, Raffaele Pizza, con cui aveva a che fare la famiglia Alfano.
E con cui aveva a che fare, come emerge dalle intercettazioni, anche Davide Tedesco, il principale collaboratore di Alfano, colui che detiene il marchio di Ncd.
Erano Tedesco e Pizza a parlare dell’assunzione del fratello alle Poste.
Tedesco è un fedelissimo, anzi il fedelissimo, di Alfano, sin da quando era un giovane assessore ad Agrigento, feudo di Alfano ai tempi d’oro.
Dietro l’apparente difesa di Ncd, scorrono fiumi di veleno.
Maurizio Lupi, che per il Rolex del figlio si dimise, si è sfogato con più di un collega parlamentare: “Maurizio – racconta il destinatario dello sfogo – si è dimesso per il figlio. E qui padre, fratello, collaboratori? È ovvio che si applicano due pesi e due misure”.
Al Senato in parecchi evocano il precedente Mastella del 2008, perchè “è chiaro che se salta Alfano salta il Governo”.
Miguel Gotor, sinistra Pd, parla fitto con un collega in buvette: “Stiamo a vedere. Certo, il traffico c’è, l’influenza pure… vediamo”.
Ma il cuore del sisma è dentro Ncd, dove la pattuglia degli otto senatori legati a Schifani lavora per rompere col governo e rifare l’alleanza con Berlusconi.
Ecco Peppe Esposito che corre verso la riunione dei gruppi del centrodestra sul “No” alla riforma. Un segnale politico, che sottolinea con queste parole: “Dobbiamo uscire dal governo. Quando? Già domani. Renzi non reggerebbe? Non è un mio problema”.
Da settimane Schifani & co. rimproverano ad Alfano un atteggiamento troppo sdraiato sul governo. Ora sperano che l’inchiesta Labirinto dia la spinta che, finora, la politica non ha trovato.
Un ex ministro sussurra: “Se salta Alfano salta il governo. È l’anello debole della catena. Per questo la metà del suo partito, che vuole ricostruire il centrodestra, non ha detto una parola a sua difesa. E destabilizza partecipando alle riunioni dei comitati del No e chiedendo l’uscita dal governo”.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 6th, 2016 Riccardo Fucile
ALESSANDRO ANTONIO ALFANO, UNA CARRIERA TUTTA IN DISCESA
Una carriera tutta in discesa, quella di Alessandro Antonio Alfano, fratello del ministro dell’Interno Angelino. E’ quanto ricostruisce un articolo de La Stampa.
Secondo il quotidiano torinese infatti, il fratello del ministro è riuscito a diventare docente all’Università Sapienza di Roma ancor prima di laurearsi.
Nel 2008 non si è ancora laureato, il titolo triennale in economia e finanze lo conseguirà solo nel 2009, e già risulta docente del laboratorio di «Principi e strumenti di marketing» presso la Facoltà di comunicazione alla Sapienza di Roma
Non finisce qui:
Dopo poco partecipa al concorso per diventare segretario generale della Camera di commercio di Trapani.
Lo vince, ma nel giro di qualche mese è costretto a lasciare per «cause di forza maggiore».
Gli viene contestata la veridicità di alcuni punti inseriti nel curriculum, interviene la Guardia di finanza che sequestra tutta la documentazione e si scopre che il fratello del ministro ha autocertificato un incarico, quello di direttore regionale di Confcommercio Sicilia, che non ha mai ricoperto.
Era semplicemente distaccato presso la Confcommercio regionale in veste di direttore provinciale di Agrigento.
Alfano jr viene poi nominato in Postecom dove arriva senza concorso, grazie all’intercessione di Raffaele Pizza, l’uomo al centro dell’inchiesta della Procura di Roma su appalti e assunzioni sospette.
“Prende servizio il 2 settembre 2013, qualifica di dirigente e compenso fissato in 170mila euro lordi all’anno che l’ad del Poste, Massimo Sarmi, taglia a 160mila”, riporta la Stampa.
(da “Huffingtonpost“)
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Luglio 6th, 2016 Riccardo Fucile
I NAZIONALISTI DA OSTERIA DELLA “LEGA PATRIOTTICA SUDTIROLESE” CHE VOGLIONO CAMBIARE IL NOME A VIA FIUME A BOLZANO STUDINO LA CARTOGRAFIA
I nazionalisti dell’Heimatbund, la lega patriottica sudtirolese che vorrebbero cambiar nome a «via Fiume» a Bolzano perchè «indissolubilmente legato al fascismo», non hanno mai sentito nominare l’olandese Joan Blaeu.
Fu uno dei più grandi cartografi di tutti i tempi e nel 1635 pubblicò col fratello Cornelius, nella scia del padre Willem, il Theatrum orbis terrarum, sive, Atlas novus , poi ampliato fino a comprendere 594 carte in 11 volumi che, come spiega libri.it, «riproducevano l’intero mondo conosciuto dagli europei della prima età moderna». Vadano sul web, quegli amici di Eva Klotz, e cerchino dunque la mappa dell’Istria del grandissimo cartografo.
E vedranno che vicino a Fiume vengono citati toponimi slavi come Moskanitz, Cosliac, Dumkovriz.
Ma, piaccia o no ai fanatici e al loro Obmann Roland Lang autore del comunicato in cui si spinge a dire che non c’è una mappa col toponimo Fiume (sic), Joan Blaeu chiama Fiume Fiume. Quasi tre secoli prima della cosiddetta «impresa» di Gabriele D’Annunzio del 1919.
Altro che città croata da chiamare col nome croato o «col nome tedesco St.Veit am Flaum».
E Fiume è chiamata Fiume, anche se l’ignorantello Obmann lo ignora, anche nelle mappe tedesche del settecento e dell’ottocento.
Come quella edita da Carl Flemming di Glogau intitolata Karnthen, Krain, Gorz-Gradisca, Istrien, Triest dove non solo le regioni (Carinzia, Carniola, Gorizia-Gradisca, Istria…) sono in tedesco ma sono in tedesco tutte le indicazioni compreso l’«Adriatische meer» ma non Lussin Piccolo, non l’isola di Pago, non Rovigno, non Parenzo o Cittanova o appunto Fiume.
Perchè, pur essendo dal 1779 sotto l’Impero austro-ungarico, gli austriaci non fanatici e non incolti come oggi quelli di Heimatbund sapevano perfettamente che Fiume era di cultura, tradizioni e lingua a larga maggioranza italiana.
Ed è una mappa del 1855: 8 anni prima che D’Annunzio nascesse, altro che nome «inquinato» da «precursori del fascismo»…
Oltre mezzo secolo dopo quella mappa, del resto, il censimento austriaco (austriaco!) del 1918 avrebbe certificato che «prima» (prima!) della «impresa» dannunziana e della Marcia su Roma, c’erano a Fiume (così chiamata: Fiume) 28.911 italiani, 9.092 croati, 161 serbi, 1616 tedeschi, 4.431 ungheresi, 1.674 sloveni, 379 «altri».
Insomma: quella italiana era oltre il triplo della seconda etnia presente. Questi sono i fatti.
Il resto sono solo ciacole di nazionalisti da osteria. Troppa birra.
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)
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Luglio 6th, 2016 Riccardo Fucile
LA COPPIA IN ITALIA DOPO FUGA DA BOKO HARAM… LA DONNA CHIAMATA “SCIMMIA” IN STRADA… L’ASSASSINO E’ ANCORA A PIEDE LIBERO, COSI’ COME I SUOI MAESTRI CHE STANNO IN PARLAMENTO E ISTIGANO ALL’ODIO SUI SOCIAL… IL VESCOVO ACCUSA. “SONO GLI STESSI DELLE BOMBE DAVANTI ALLE CHIESE”
Un nigeriano di 36 anni, Emmanuel Chidi Namdi, richiedente asilo è morto dopo essere rimasto alcune ore in coma a seguito dell’aggressione subita da un fermano di 35 anni, conosciuto come ultrà della locale squadra di calcio.
L’episodio è avvenuto ieri in via XX Settembre, non lontano dal seminario arcivescovile di Fermo, di cui la vittima era ospite insieme alla compagna Chinyery, 24 anni.
Il fermano ha avvicinato l’uomo e la sua convivente in strada e ha insultato la donna chiamandola “scimmia”. Il nigeriano ha reagito e quanto è seguito è in via di accertamento.
Anche la compagna del nigeriano è stata malmenata, riportando escoriazioni alle braccia e a una gamba guaribili in sette giorni.
L’ultrà 35enne è stato denunciato a piede libero. Era già noto alle forze dell’ordine per altri episodi di violenza che gli sono costati un Daspo di quattro anni.
Presente all’aggressione anche un suo amico, per ora entrato nella vicenda solo come testimone.
Emmanuel Chidi Namdi e la compagna Chinyery erano arrivati al seminario vescovile di Fermo lo scorso settembre, fuggiti dalla Nigeria dopo l’assalto di Boko Haram a una chiesa.
Nell’esplosione erano morti i genitori della coppia e una figlioletta. Prima di sbarcare a Palermo, avevano attraversato la Libia, dove erano stati aggrediti e picchiati da malviventi del posto. Durante la traversata, Chinyery aveva abortito.
E adesso mons. Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, accusa: “E’ stata una provocazione gratuita e a freddo, ritengo che si tratti dello stesso giro delle bombe davanti alle chiese”.
Riferimento ai quattro ordigni piazzati nei mesi scorsi di fronte a edifici di culto di Fermo. Monsignor Albanesi, che è anche presidente della fondazione Caritas in Veritate che assiste migranti e profughi, si costituirà parte civile.
Prima di morire, Emmanuel Chidi Namdi è rimasto per alcune ore in coma irreversibile. Ore durante le quali si era posto anche un ostacolo giuridico all’eventuale donazione dei suoi organi. Ne parla ancora monsignor Albanesi: “La ragazza era sua convivente stabile, ma non si erano ancora sposati. Se la legge lo permetterà , lei potrebbe donare gli organi”.
Proprio Don Vinicio aveva unito secondo un rituale risalente al medioevo Emmanuel e la sua compagna poichè senza documenti non era possibile celebrare il matrimonio.
Nelle stesse ore, quando la sorte del nigeriano era parsa segnata, il sindaco di Fermo, Paolo Calcinaro, in una nota, aveva espresso il suo dolore e condannato non solo il brutale episodio ma anche lo “strisciante razzismo che non può e non deve trovare spazio nel modo più assoluto nella nostra città “.
“La comunità di Fermo – ribadisce Calcinato – è conosciuta come esempio virtuoso di integrazione e accoglienza anche rispetto a chi rifugge da drammi inenarrabili. Non merita di essere bollata per quanto emergerà da questo episodio, ma deve invece rivendicare con forza lo spirito che ha sempre contraddistinto la sua realtà , le etnie straniere, i nuovi cittadini italiani ed i figli di tutti loro, che stanno crescendo insieme, senza discriminazione”.
(da agenzie)
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Luglio 6th, 2016 Riccardo Fucile
ADRIANO MELONI, UOMO DELLA MULTINAZIONALE EXPEDIA, AMICO DI DAVIDE, PARTECIPO’ ANCHE AGLI INCONTRI DI “GAIA”… E LA RAGGI DIVENTA PRIGIONIERA DEL DIRETTORIO
Arrivati quasi alla fine di questa battaglia – quasi – la certezza è che pochissimi degli assessori della giunta Raggi risponderanno direttamente a Virginia, che è stata isolata dal direttorio, e praticamente chiusa in una torre d’avorio dalla quale gli altri vorrebbero non farla contare, e farle venire a mancare persino le informazioni. Ognuno le ha piazzato un suo uomo, Di Maio, Di Battista, la Lombardi, la Taverna e – last but not least – quello che comanderà davvero di più: Davide Casaleggio. Come?
In pole position come assessore economico della giunta del rinnovamento e della ricostruzione di Roma c’è infatti Adriano Meloni; e chi è Adriano Meloni?
Il classico grande manager venuto su in una multinazionale, cosa che già di per sè stride col Movimento, ma sarebbe il meno: di quale multinazionale?
Meloni è stato fino al 2008 amministratore delegato della parte italiana di Expedia, l’azienda leader mondiale nel settore dei viaggi online che – in anni fondativi per la Casaleggio associati – ha prodotto (fino al 2009, quando poi Meloni lascia Expedia) alcune edizioni del rapporto annuale sull’ecommerce e lo stato della rete assieme, guarda caso, alla Casaleggio associati.
Stimato molto da Casaleggio, amico di Davide, Meloni era nei primi anni di quell’evento milanese – vera rete di networking fra aziende internettiane – il secondo a parlare dopo Gianroberto.
Partecipò anche agli incontri di «Gaia», il network (da cui il video millenaristico di Casaleggio) su The Future of Politics.
Insomma, se Meloni dovesse essere l’assessore economico di Virginia, non è impossibile che l’azienda possa conoscere in anticipo cruciali politiche economiche della Capitale.
Una situazione di potenziale conflitto d’interessi.
Parentesi, Expedia era un gigante globale, all’epoca, mentre la Casaleggio una piccola startup che non aveva ancora una sede, al punto che quegli incontri sull’ecommerce – in cui Casaleggio e Meloni primeggeranno – furono ideati, in assenza di una sede, a casa di Luca Eleuteri, il socio storico di Gianroberto.
Chi ha presentato Adriano Meloni alla Raggi?
Di che natura era la partnership Casaleggio-Expedia gestione Meloni?
Virginia, dove ha potuto, ha puntato i piedi e ottenuto per esempio che Daniele Frongia, spostato da capo di gabinetto a vicesindaco, ricevesse anche una delega pesante, le società partecipate.
Da questo punto di vista ha fatto pari e patta, si può dire, ed è stata brava. Ha un senso la sua scelta di affidarsi a due donne che erano state selezionate personalmente da Ignazio Marino, in ruoli chiave: la capo di gabinetto sarà Daniela Morgante, ex assessore al bilancio di Ignazio (i due avevano poi discusso animatamente e lei aveva lasciato, ma non hanno rotto); mentre vicecapo di gabinetto sarà un’altra mariniana, Virginia Proverbio, che guidò per Marino la struttura di coordinamento per il Giubileo.
Ma anche loro non vengono dai cinque stelle, che insomma, si devono affidare sempre e totalmente a uomini e mondi esterni .
Sul resto, i rissosi e ambiziosi leaderini del direttorio avevano come mira principale quella di isolare Virginia per depotenziarla.
A parte i nomi già noti, Laura Baldassarre al sociale (tramite Vincenzo Spadafora, riporterà a Di Maio), Paola Muraro (una pro inceneritore all’ambiente, cosa denunciata da Federico Pizzarotti; e legata a precedenti stagioni e già lungamente collaboratrice di giunte di centrosinistra); a parte i due di sinistra, Paolo Berdini all’Urbanistica e Luca Bergamo alla Cultura; ci potrebbe essere al Bilancio, salvo sorprese, Marcello Minenna, molto stimato da Di Maio, l’uomo anti-Vegas in Consob. Stefà no ai Trasporti non sposta nessun equilibrio, e non dà fastidio a nessuno.
Diventa cruciale, in questo quadro, che Virginia porti a casa Augusto Rubei, le cui azioni hanno ripreso un po’ quota.
Nel senso che la comunicazione centrale M5S è nel panico totale, perchè le è stata tanuta la manovra per far fuori l’attuale, indipendente portavoce.
E il piano di nominare al suo posto un interno della comunicazione centrale non convince; non puoi passare da Bruno Conti a Scarnecchia: per silurare Rubei ci vorrebbe un nome di giornalista autorevole, ma non ce l’hanno, e potrebbero alla fine decidere di non decidere.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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Luglio 6th, 2016 Riccardo Fucile
USCENDO DAL SAN RAFFAELE IL CAVALIERE DETTA LA LINEA: POPOLARI CONTRO POPULISTI, DUE VISIONI OPPOSTE… CENTRODESTRA UNITO? MA PER FARE COSA?
Lasciando il San Raffaele, Berlusconi si è espresso da leader del Partito popolare europeo. Ha usato cioè le stesse parole che avrebbe potuto spendere una Merkel, oppure Juncker, a proposito dei rischi che corre l’Europa all’indomani di Brexit.
Con grande delusione per quanto sarebbe potuto essere (e non è stato), ma nella speranza che l’Unione risorga e non precipiti ancora più in basso.
Discorsi che fanno a pugni con quanto va sostenendo Salvini. Il quale due giorni fa ha teorizzato che, se lui arrivasse al governo, uscirebbe nottetempo dalla moneta unica senza nemmeno passare da un referendum come nel Regno Unito.
Populisti contro popolari
Salvini non è affatto isolato in Europa; come lui la pensano Marine Le Pen, l’olandese xenofobo Wilders e il candidato alla presidenza austriaca Hofer, tutti quanti riuniti con la Lega nella formazione politica dell’Enf.
È una prospettiva euroscettica radicalmente diversa da quella del Cav, la cui collocazione europea è popolare ma non populista.
Anzi, i populisti sono i peggiori avversari del popolarismo. In particolare, poi, da una prospettiva alla Brexit un tycoon come Berlusconi avrebbe tutto da perdere, laddove Salvini potrebbe rimetterci al massimo la ruspa.
Come possano convivere due visioni così diverse, nessuno lo sa.
Il sedicente Partito del Nord
Poi, certo, siamo in un fantastico paese in cui niente viene preso sul serio. Per cui quasi nessuno si scandalizza se molti esponenti di berlusconiani (il fantomatico «partito del Nord») per paura di non essere rieletti continuano a ripetere, come in un mantra, che il centrodestra deve marciare unito, Forza Italia e la Lega insieme possono battere Renzi e Grillo.
Insieme, okay: ma per fare cosa? Per uscire dall’euro o per rimanerci? Per avere più Europa o per demolire ciò che ne resta?
Silvio e il Consultellum
Alla luce di queste differenze, si capisce come mai Berlusconi non si scaldi particolarmente alla prospettiva di cambiare la legge elettorale, introducendo nell’Italicum il premio per la coalizione.
Perchè Silvio, reso forse più distaccato dalla malattia, si domanda: coalizione con chi? Con questo Salvini che insulta il Papa, il Presidente della Repubblica, e per giunta ci vuole legare al carro della Le Pen? Meglio soli, piuttosto.
Nella speranza che al referendum costituzionale vincano i «no», e perlomeno al Senato si continui a votare con il proporzionalissimo «Consultellum», dove ognuno corre per sè e si allea con chi gli pare.
Ugo Magri
(da “La Stampa“)
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