Luglio 25th, 2016 Riccardo Fucile
ALCUNI PARLAMENTARI LEGHISTI SULL’ATTACCO ALLA BOLDRINI: “CHE STRONZATA, E’ UN IMBECILLE”… MARONI, GIORGETTI, CALDEROLI LAVORANO PER IL DOPO: SI FA STRADA L’IPOTESI GRIMOLDI
La bambola salviniana – in casa leghista – non scandalizza più di tanto, nè le offese o le volgarità , ma fa scoprire ai colonnelli leghisti quanto sia sgonfiabile la leadership di Salvini.
Queste, ti dicono, “sono baggianate”, “certo, se la poteva risparmiare”, ma al fondo c’è un problema ben più serio. Bastava vedere il viso di Giancarlo Giorgetti, uno degli uomini forti della Lega degli ultimi tre lustri. Non ha mai amato Salvini ma lo ha sempre sostenuto politicamente per realismo, in quanto l’unico a poter risollevare la Lega ridotta al tre per cento: “Matteo — diceva un anno fa — è la gallina dalle uova d’oro”.
Ora, in parecchi avvertono che c’è un problema di covata.
Le amministrative sono andate male con un misero 2,7 per cento a Roma e un’emorragia in Lombardia, al Sud il tentativo è fallito, la Lega nazionale non decolla, come accadde quando Bossi tentò l’accordo con l’allora governatore della Sicilia Raffaele Lombardo.
Insomma, nè modello delle origini nè Le Pen, il Carroccio non si sa cosa sia. Riapparso, dopo un mese di astinenza televisiva, Salvini si è sfogato con una bambola gonfiabile.
“Che imbecille”, “che stronzata”, dicono a microfoni spenti i parlamentari leghisti. E fanno capire il punto politico: la forza che sente Salvini è di non avere alternative interne. Attorno però, all’interno, è già chiaro che la leadership è un po’ più sgonfia.
Prima di scrivere un post su facebook molto severo sulla perdita di consenso al Nord, il segretario della Lega Lombarda Paolo Grimoldi ha parlato con la maggior parte dei mille segretari locali.
Ha avuto l’impressione di un malessere profondo: “abbiamo abbandonato il federalismo”, “la battaglia sulle tasse”, le “imprese”, “le partite Iva”.
Proprio Grimoldi alla Camera c’è andato giù durissimo dopo che Delrio aveva dichiarato, a proposito della Pedemontana: non mettiamo elemosina per infrastrutture che non servono.
Un parlamentare leghista di lungo corso spiega: “Una volta su una cosa del genere sarebbe venuto il mondo. La Lombardia è il 60 per cento della Lega, come consenso. La difesa degli interessi di quel territorio era la prima cosa. Grimoldi, ma anche Giorgetti, Calderoli, continuano a sostenere Salvini ma lavorano per una correzione di rotta, recuperando il core business del nord, dove abbiamo perso una valanga di voti”. E non è un caso che, fiutato il malessere dei colonnelli leghisti, Salvini ha dato un segnale, come ha scritto il Giornale, istituendo un gruppo di lavoro di 15 persone coordinato da Andrea Mascetti, per stendere il programma sul federalismo.
La correzione di linea in senso “nordista” invocata dai colonnelli più forti non è un dettaglio per un partito che un mese fa aveva il leader che faceva campagna elettorale in Sicilia.
È già un anticipo di quel congresso che inizierà a dicembre di quest’anno — nella Lega si fanno ogni tre anni — e si annuncia meno soft del previsto, perchè in Lombardia l’operazione Grimoldi segretario non sarebbe vista male e non è vista male nemmeno dalla vecchia guardia che si tiene alla larga per evitare l’effetto “bacio della morte”.
In un ruolo di fronda e di fatto di opposizione interna si muove invece Roberto Maroni.
Che ha in mente un altro centrodestra, “modello Lombardia”. Un fonte del Pirellone sussurra: “Maroni vuole tornare a un ruolo nazionale, ma prima ha il processo per la storia dei favori alle collaboratrici. Forse ha nominato anche per questo Di Pietro alla Pedemontana, come segnale alla magistratura. Certo è che con Salvini c’è il gelo”. L’asse vero Maroni ce l’ha col governatore della Liguria Giovanni Toti.
Non a caso Toti ha come vicepresidente quella Sonia Viale già capo della segreteria tecnica di Maroni all’Interno, e non Edoardo Rixi come nei desiderata di Salvini. Prosegue la fonte: “Maroni ci prova, ma è azzoppato dall’inchiesta e del flop di Varese dove ha preso 300 voti”.
A proposito, l’altra sera Parisi a Treviglio ha preso dei fischi roboanti quando ha detto che, in caso di vittoria del no, Renzi non deve andare a casa.
E paradossalmente, per una sera, ha messo d’accordo tutti.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 25th, 2016 Riccardo Fucile
DALL’INIZIO LEGISLATURA 358 PASSAGGI DA UN GRUPPO A UN ALTRO… UN AFFARE PER LE CASSE DI ALCUNI PARTITI
Era nata come una prerogativa concepita per garantire la libertà di espressione dei parlamentari. Ma negli anni si è trasformata in un vero e proprio malcostume.
Per carità , tutto nel rispetto della Costituzione che, all’articolo 67, esclude il «vincolo di mandato». I numeri, però, impressionano.
Dall’inizio della legislatura l’associazione Openpolis ha contabilizzato 358 cambi di casacca: 185 a Montecitorio e 173 a Palazzo Madama.
Nel 2015, i gruppi hanno messo all’incasso circa 53 milioni di euro di contributi: 31,9 alla Camera e altri 21,3 al Senato. L’equivalente annuo di 49.200 euro a deputato e 59.200 per ogni senatore.
Somme che, ad ogni passaggio da una componente all’altra, i rappresentanti del popolo portano in dote, pro rata mensile e giornaliera, al gruppo di approdo.
A Montecitorio, dal 2013, il Pd vanta un saldo attivo tra addii e new entry di 10 unità . Oggi conta 301 deputati e l’anno scorso ha incamerato quasi la metà dell’intero «contributo unico e onnicomprensivo»: 14,6 milioni di euro, 395 mila in più rispetto al 2014.
Il M5S, che dall’ingresso in Parlamento ha perso 18 unità , ha visto ridursi il contributo dai 4,3 milioni di euro del 2014 ai 3,8 del 2015.
Ma la compagine più colpita dalla transumanza è quella di Forza Italia con un saldo negativo di 48 deputati.
L’anno scorso ha percepito 3,2 milioni di euro, circa 100 mila in meno del 2014.
A beneficiare delle «diserzioni» tra le file della compagine azzurra è stato soprattutto Ncd: il movimento guidato dal ministro dell’Interno Angelino Alfano ha dato vita, insieme all’Udc, al gruppo di Area popolare che conta oggi 31 deputati.
Nel 2015 ha incamerato quasi 1,5 milioni, 200 mila euro in più rispetto all’anno precedente.
Sono rimaste, invece, a dieta le casse di Sinistra italiana: l’ultimo rendiconto certifica un contributo di 1,3 milioni di euro, oltre 200 mila in meno del 2014.
Stessa sorte per il gruppo della Lega (oggi 18 deputati): il contributo di 906 mila euro per il 2015 ha subito una sforbiciata di circa 90 mila.
Con i suoi 10 deputati, Fratelli d’Italia è passata da 448 mila a 422 mila euro.
Poi c’è il gruppo Misto: 68 iscritti, con un saldo attivo di 38 tra deputati persi e guadagnati dal 2013. Ma con un «handicap» rispetto alle altre componenti parlamentari.
«Tutto il personale cosiddetto non di ruolo e soggetto a rinnovo contrattuale ad ogni legislatura, ci è costato nel 2015 circa 1,8 milioni — chiarisce il tesoriere del gruppo Misto, Oreste Pastorelli —. I restanti 1,2, del contributo complessivo di circa 3 milioni, sono stati ripartiti tra le diverse componenti del gruppo. In pratica, dei 4.166 euro spettanti per ogni singolo deputato, ne sono rimasti in media 2.400 per ogni parlamentare delle diverse componenti».
Al Senato, i 21,3 milioni del 2015, comprendono 2,4 milioni di quota fissa suddivisa tra gli 8 gruppi (300 mila euro ciascuno).
Il resto, la parte variabile, è stata assegnata in base alla rispettiva consistenza numerica.
A farla da padrone, con 6,4 milioni (6,1 nel 2014), è sempre il Pd che oggi conta 113 iscritti con un saldo attivo tra nuovi ingressi e divorzi di 8 unità .
Il M5S, ridotto dall’inizio della legislatura a 35 senatori (-18 il saldo), nel 2015 ha incassato 2,4 milioni (2,6 l’anno precedente).
Letteralmente falcidiato, il gruppo di FI: ridimensionato a 40 iscritti (-50 il saldo) è sceso dai 3,2 milioni del 2014 ai 2,9 dell’anno scorso.
Anche a Palazzo Madama, a beneficiare dell’esodo azzurro è stata soprattutto Area Popolare: l’anno scorso il contributo è salito da 2 a 2,3 milioni.
Con 12 senatori attualmente iscritti, la Lega Nord si è dovuta accontentare di 938 mila euro (-100 mila).
Poi c’è il gruppo Gal: 978 mila euro (+130 mila). E, infine, il Misto (oggi 28 senatori, +12 il saldo dall’inizio della legislatura): nelle casse del gruppo, in ragione degli iscritti, sono entrati 2,3 milioni, circa 250 mila in più del 2014).
Antonio Pitoni
(da “La Stampa“)
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Luglio 25th, 2016 Riccardo Fucile
IL PROGETTO DI RIPARTIRE DA UNA “LEOPOLDA DEI MODERATI”…MA SE NON ROMPE CON LA LEGA NON VA DA NESSUNA PARTE
Attorno all’ora del tramonto Stefano Parisi varcherà i cancelli di Villa San Martino ad Arcore, per un incontro con Berlusconi.
Al momento, confermano diverse fonti, il faccia a faccia è in agenda.
Ecco dunque la seconda tappa del famoso “metodo Berlusconi”.
Prima l’ex premier ha buttato lì il nome di Parisi nel corso del vertice di venerdì di fronte alla riottosa nomenklatura, per sondare le reazioni.
Poi il faccia a faccia. Poi la fase della legittimazione interna in cui Parisi entrerà pienamente nella vita di Forza Italia.
E cioè proprio quello che il vecchio Silvio aveva in mente dall’inizio. I ben informati attorno quasi divertiti vedono la solita prassi: “Ai vertici ha detto ‘non vi preoccupate, viene a fare il manager, a Parisi ha detto ‘avrai il ruolo politico di costruire la nuova baracca’, insomma lo butta in mezzo e vede come va con molto pragmatismo”.
I due, Parisi e Berlusconi, parleranno proprio del progetto e del ruolo che avrà l’ex candidato sindaco di Milano, che in queste ore ha già ricevute molte telefonate di azzurri che si mettono a disposizione.
Tra i primi ad alzare la cornetta Gianfranco Miccichè, Antonio Tajani, Francesco Giro, solo per dirne alcuni della lunga lista.
Ma, adesso che è chiaro che l’ex premier ci punta, in parecchi hanno riposto l’ascia di guerra.
Parisi, fortemente appoggiato da Gianni Letta e Fedele Confalonieri, ha in mente un percorso che, in sostanza, consiste nel riprodurre livello nazionale il famoso “modello Milano”, la coalizione che unità lo ha sostenuto.
Con molto ottimismo sulla Lega, dove confida nella fronda di Maroni per ricucire l’alleanza. E puntando però non sulla riunione di combattenti e reduci, ma un radicale rinnovamento di Forza Italia.
Di fatto un nuovo movimento di Moderati, destinato a prenderne il posto.
A Berlusconi dirà : “Ho già in mente l’evento” in cui lanciarlo. Una sorta di Leopolda moderata, da tenere a Milano a settembre, prima del referendum istituzionale. Non dopo. E non è un dettaglio.
Un ex ministro di Forza Italia spiega: “Berlusconi è stra-convinto per il No perchè sa che se perde Renzi torna in gioco per un governo di larghe intese e comunque rientra nel gioco politico. Ci vuole arrivare con un partito vivo e non con uno morto”.
Come tenere assieme il vivo e il morto, evitando che il morto sbrani il vivo sarà , per Parisi, proprio il punto più delicato della questione.
(da “Huffingtopost”)
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Luglio 25th, 2016 Riccardo Fucile
LO PSICHIATRA CREPET: “NON SONO RAPTUS DI FOLLIA, MA VIOLENZA SUBITA E RIPRODOTTA”
Un’improvvisa ondata di follia sembra percorrere l’Europa.
Le notizie rimbalzano e la gente si chiede cosa abbia portato a questa improvvisa esplosione di violenza nei confronti di cittadini inermi: bambini, adolescenti, anziani. La cronaca ci dice che, in molti di questi casi, non si tratta di terrorismo, ma di individui che in comune hanno soltanto una provenienza siriana, tunisina, afgana.
Ma nulla di più di questo.
Eppure mai come in questo momento qualsiasi evento di violenza riesce, utilizzando un comprensibile automatismo mentale, a condurre la mente all’Isis, al suo fanatismo, alla sua infinita voglia di sangue e di vendetta.
Ci sentiamo circondati da invisibili sicari, chiunque “diverso” potrebbe costituire una minaccia. E le nostre abitudini, silenziosamente, stanno cambiando.
Soprattutto sta tramontando quella sottile traccia di ottimismo che pur era emersa dopo anni di stagnazione economica.
Le responsabilità rimbalzano tra le istituzioni, i servizi segreti sfiorano l’impotenza, l’opinione pubblica ciclicamente finisce per arrendersi alla più profonda indifferenza per l’altro o si chiude nelle nuove monadi tecnologiche attraverso le quali spia paranoicamente un mondo sempre più incomprensibile.
Stiamo diventando tutti prigionieri della fortezza nel deserto dei Tartari.
Il risultato, in ogni caso, è assicurato: complicità , empatia, solidarietà sono diventati vocaboli astrusi dalla nostra quotidianità , relegati a vocabolari desueti.
E questo cambiamento antropologico, come tutti i mutamenti psicologici di massa, non durerà per poco tempo, ma rischia di diventare il connotato sociale dei prossimi anni.
Eppure non tutto è così incomprensibile.
Mi chiedo se questa visione manichea che divide i buoni (noi occidentali democratici) dai cattivi (chi non lo è) rappresenti fedelmente il conflitto in atto.
Emigrare e fuggire da una guerra rappresentano due fenomeni con conseguenze psicologiche molto diverse
In queste ore, l’Occidente (e la Russia) continua a bombardare civili – perfino ospedali pediatrici – innescando l’esodo di milioni di persone che fuggono alla morte e alla distruzione e migrano verso l’Europa dove verranno ammassati in campi profughi ben al di sotto della soglia della decenza: c’è qualcuno che pensa che tutto questo non costituisca il miglior terreno di coltura per l’odio?
Che fareste voi se foste cittadini di Damasco?
Senza acqua e medicinali, senza ospedali e spacci per acquistare cibo, rimarreste lì? O tentereste di raggiungere un paese per lavorare e far crescere i propri figli? L’emigrazione comporta il desiderio di convivenza, la guerra trascina in sè odio e morte.
Non si parli di raptus violento: è un’invenzione giornalistica che serve solo a non capire.
Nessuno dei casi che hanno insanguinato la Germania in queste ore è stato colto da un virus di distruzione: quei ragazzi hanno subito violenza e hanno progettato di replicarla.
Ciò non giustifica affatto la barbarie e le uccisioni, ne attenua minimamente le responsabilità individuali di chi le ha compiute.
Ma se non vogliamo continuare a vivere impotenti di fronte a questo sangue innocente, non possiamo nè avallare facili teorie e fuorvianti sull’imprevedibilità della follia, nè pensare che sia tutto pensato e organizzato dall’Isis contro di noi, “innocenti” occidentali.
Paolo Crepet
psichiatra
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 25th, 2016 Riccardo Fucile
L’EX DIRETTORE DELLA PADANIA: “SALVINI E’ AFFETTO DA CRETINISMO POLITICO, OLTRE TRE CONCETTI NON SA ANDARE”
Non stimo per niente la Boldrini (cui oggi va la mia solidarietà ) da un punto di vista politico, ma se la politica si deve fare così allora spegniamo la luce e andiamocene, chè è meglio.
La politica si sta esaurendo in battute, in post, in brevi dichiarazioni o in altro che non richieda un pensiero.
Salvini non è nuovo al cretinismo politico (la rete è piena di sue tracce), ma rispetto al passato ha delle responsabilità maggiori.
Un tempo poteva dare libero sfogo ai suoi istinti comici perchè sulle sue spalle non gravava un pezzo importante del centrodestra; oggi non è così.
Che piaccia oppure no, Salvini ha risollevato la Lega e l’ha rimessa al centro di uno spazio politico. Lo ha fatto criticando l’Europa, la legge Fornero e le politiche sull’immigrazione dei recenti governi. Arrivato al dunque però si è perso.
Ha cominciato a parlare come un disco rotto, confermando l’impressione che oltre quei due-tre concetti non sa andare.
La cretinata della bambola gonfiabile rappresenta la corda del ring dove Salvini cerca riparo nella speranza di uscire e piazzare un colpo.
È la battuta di chi ormai non sa più come scaldare quella platea a cui ha già sciorinato di tutto.
Salvini lascia ogni cosa in sospeso quando si tratta di passare dalle critiche alle idee: dire no all’euro non basta se poi non si sa come istruire un processo alternativo; dire no all’immigrazione è più facile che spiegare come gestire i flussi o i respingimenti; affermare di voler aiutare le piccole aziende liberandole dal giogo fiscale non cancella il ricordo di quella stagione dove il nord fu illuso dagli accordi tremontiani-calderoliani. Potrei andare oltre.
Salvini sta sciupando il gruzzolo di consensi costruito un anno fa.
Ora sembra uno di quei barattoli che si buttano giù al luna park. L’eccesso di battutismo (in questo blog ho già avuto modo di dirgli che sembra la Teresa del Musazzi versione la Corrida) è esattamente ciò che Berlusconi spera per riportare all’ovile forzista i “suoi” voti, magari destinandoli a quel Parisi che ha tutte le carte in regola per guidare il centrodestra.
Senza considerare inoltre il fatto che l’esodo di voti leghisti verso il Cinquestelle è un dato di fatto.
Le recenti amministrative hanno segnato una forte battuta di arresto per il Matteo-con-la-felpa, dalla Lega a Noi con Salvini: i comuni lombardi (compreso quello dì Varese, santuario del Carroccio) sono nelle mani del Pd, la Lombardia in quelle traballanti di Maroni, il Veneto è guidato da Zaia (cioè colui che prenderà il posto del ragazzo milanese…) e sotto il Po diciamo che non si vedono folle esultanti.
Insomma, Salvini sta dimostrando di non saper andare oltre i titoli.
Stia attento però a non essere lui ai titoli di coda.
Gianluigi Paragone
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 25th, 2016 Riccardo Fucile
INSULTI SESSISTI ALLA BOLDRINI DA PARTE DEL FANCAZZISTA DELLA POLITICA…. LA BOLDRINI A 20 ANNI HA LASCIATO LA FAMIGLIA PER ANDARE DAI CAMPESINOS IN AMERICA LATINA, LUI FREQUENTAVA I CENTRI SOCIALI PRIMA DI TROVARE LO STIPENDIO IN VIA BELLERIO… LA LEGA PERDE CONSENSI E IL SISTEMAMOGLI CERCA VISIBILITA’
Uno spogliarello improvvisato per indossare una t-shirt regalata dai supporter e una bambola gonfiabile che arriva sul palco.
Matteo Salvini non perde occasione per attaccare e offendere – ancora una volta – la presidente della Camera, Laura Boldrini. “C’è la sosia di Boldrini qui”, dice al microfono il leader della Lega, tra le risate dei simpatizzanti del Carroccio radunati sabato a Soncino, in provincia di Cremona.
Ne nasce un caso.
La Boldrini pubblica un post su Facebook con il video di quanto successo: “Le donne non sono bambole e la lotta politica si fa con gli argomenti, per chi ne ha, non con le offese”.
E’ solo la prima di una valanga di condanne.
Travolto dalle critiche, arrivate anche dal centrodestra, lancia l’hashtag #sgonfialaboldrini: “Ipocrita, buonista, razzista con gli italiani. Dimettiti!”, scrive.
In tv ribadisce: “Non chiedo scusa”, e cambia addirittura il suo profilo Fb.
Per la ministra per le Riforme costituzionali con delega alle Pari opportunità , Maria Elena Boschi quella di Salvini è “una squallida esibizione di sessismo”.
“La frase non è giustificabile in alcun modo – dice – non offende solo la presidente Laura Boldrini, ma anche tutte le donne e gli uomini del nostro paese”.
Mentre la ministra Marianna Madia rende pan per focaccia: “Salvini ha meno cervello di una bambola gonfiabile”.
“Che il linguaggio di Salvini fosse sessista, violento e volgare è cosa nota a tutti ma ha veramente raggiunto il massimo della sua indecenza”, tuona la vice presidente del Senato, Valeria Fedeli, Pd, seguita a ruota dal deputato dem Emanuele Fiano.
“Ha oltrepassato ogni limite della decenza, è stata mostrata una visione machista e sessista di società che non può trovare accoglienza, nè complici silenzi nel Paese. Proprio dalla cultura che vede le donne ridotte a meri oggetti sessuali inanimati che si legittima la violenza di genere”.
“Razzismo, sessismo e fascismo camminano volentieri a braccetto”, rincara la dose Nicola Fratoianni di Si, anche Nichi Vendola si riaffaccia sulla scena politica nazionale dopo la nascita del suo bambino per esprimere solidarietà .
Il centrodestra, visto il polverone, si vede costretto a censurare il siparietto.
Con prese di distanze pesanti. Lorena Milanato, deputata di Forza Italia e rappresentate del comitato Pari opportunità della Camera: “Salvini eviti in futuro, per il bene del suo partito e della coalizione, simili spiacevoli svarioni”.
“Inqualificabile, non c’è spazio per lui tra i moderati”, commenta Dorina Bianchi, di Area Popolare.
Fabrizio Cicchitto, Ncd, taglia ogni possibilità di intesa: “A Toti l’impossibile compito di rendere compatibile un soggetto del genere con un’alleanza politica decente, missione impossibile”.
Già in passato Salvini aveva usato parole pesanti contro Laura Boldrini, descritta come “la peggiore presidente della Camera della storia. È l’ipocrisia, il nulla fatto donna – aveva detto durante un tour elettorale un anno fa .
In quella occasione, per stigmatizzare “le offese personali e gratuite” del leghista era intervenuto anche il presidente del Senato Pietro Grasso, oltre a Rosi Bindi.
Il suo messaggio sull’uscita di Salvini era stato: “Le parole di Salvini sono un volgare e inaccettabile insulto a chi rappresenta una delle istituzioni democratiche del paese, ma colpisce anche la dignità di tutte le donne impegnate in politica”
(da “la Repubblica”)
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Luglio 25th, 2016 Riccardo Fucile
ECCO LA MAPPA DELLA DISTRIBUZIONE E IL PIANO DEL VIMINALE
In un mondo ideale gli uomini sono numeri primi, divisibili solo per uno o per se stessi. Ognuno con la propria storia, le proprie esperienze, le proprie speranze.
Da anni, invece, l’emergenza profughi ci costringe ad aritmetiche diverse: quanti pasti, quanti richiedenti asilo, quante strutture.
Non è un calcolo facile e spesso s’intreccia con le istanze della politica che esasperano certi numeri o li minimizzano.
La Stampa, per la prima volta, è in grado di fornire tutti i dati e mostrare quali sono i Comuni che accolgono più richiedenti asilo e rifugiati e quali meno, quali territori sono in difficoltà e quali non sono toccati dal problema.
Un progetto nato dopo che, nei giorni scorsi, molti sindaci hanno lanciato un grido d’allarme, schiacciati sotto il peso di una questione complessa e più grande di loro. «Sono troppi, non ce la facciamo più» hanno protestato.
Nell’occhio del ciclone è finito quel sistema dell’emergenza che permette ai prefetti di imporre alle amministrazioni comunali di farsi carico di un certo numero di richiedenti asilo.
Alle proteste il ministro Angelino Alfano ha risposto approntando un piano che preveda una distribuzione più equa delle «quote»: due o tre persone ogni mille abitanti è l’obiettivo.
Ma è fattibile? E come impatterà sul Paese?
Per scoprirlo siamo andati a controllare la situazione di oggi. I dati sono la fotografia del 20 luglio scorso.
Partiamo dalla dimensione del fenomeno. I richiedenti asilo e rifugiati gestiti attraverso le prefetture sono 101.113.
Se calcoliamo che quelli accolti dallo Sprar, la rete di enti che volontariamente mette a disposizione posti e progetti di integrazione, sono stati 29.000 nell’intero 2015 possiamo già stabilire un primo dato di fatto: la programmazione è ben lungi dal gestire la materia. Si viaggia quasi sempre nell’eccezionalità .
Questo ha creato, in mancanza di una programmazione e della creazione di centri, uno dei temi più dibattuti della politica: l’uso di alberghi e strutture ricettive.
I richiedenti asilo e rifugiati che oggi sono ospitati in hotel, bed&breakfast e quant’altro sono 10.543, il 10 per cento.
Tutte le strutture, 266 in tutto il Paese, sono convenzionate con le prefetture.
Secondo punto: le difficoltà ci sono, le proteste anche, ma l’accoglienza in emergenza è un problema che la maggior parte delle città nemmeno conosce.
Su 8000 Comuni italiani, solo 2026 si sono visti attribuire migranti dal Viminale. Uno su quattro. Quelli che però li accolgono sono oltre la loro capacità .
Sul totale dei migranti accolti, ci sono 3000 posti disponibili in meno. Solo cinque regioni non sono al completo (Lazio, Molise, Sardegna, Sicilia e Valle d’Aosta).
Per il resto ci sono regioni come la Basilicata dove l’accoglienza ha superato del 13,4% i posti disponibili.
Questo ci porta al terzo punto: la distribuzione è molto squilibrata.
Nella mappa virtuale qui sopra siamo partiti dall’obiettivo del governo (2,5 persone ogni mille abitanti) e abbiamo provato a vedere in che situazione siamo oggi.
I paesi in verde e giallo rientrano nelle previsioni del Viminale, quelli in rosso vanno oltre. Sono 1170 su 2026 quelli che superano l’obiettivo, con ampie oscillazioni.
Facciamo un esempio: il Comune di Alessandria in Piemonte.
Rita Rossa (Pd) è una dei sindaci che nei giorni scorsi ha protestato più vibratamente per l’arrivo dei profughi. La sua città risulta averne 323 su una popolazione di circa 93 mila abitanti.
Se il piano del governo fosse già operativo ne avrebbe 235. Di fatto risulta avere 88 persone in più, una ogni mille abitanti. È ingestibile? Secondo Rossa sì. Di contro ci sono Comuni come il piccolo Brognaturo (in basso l’intervista al sindaco) che hanno molti più richiedenti asilo di quanti spetterebbero loro secondo il futuro piano, ma questo non è un problema. Anzi.
Non sarà facile per il Viminale attuare un programma come quello allo studio. L’obiettivo di una redistribuzione più equa è giusto a livello teorico, ma dovrà rispondere alle esigenze di territori come il Veneto, che non vuole assolutamente nuovi migranti pur avendo numeri molto al di sotto di altre regioni; e anche di realtà come Brognaturo, dove invece l’arrivo di richiedenti asilo è visto come una benedizione.
Siamo un Paese molto diversificato.
E forse una media aritmetica applicata in modo automatico non sarebbe la risposta più adatta. Forse anche i territori, come gli uomini, alla fine sono numeri primi.
Raphaà«l Zanotti
(da “La Stampa”)
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Luglio 25th, 2016 Riccardo Fucile
PANAMA PAPERS: 1.400 SOCIETA’ ANONIME PER SPOGLIARE LE RISORSE NATURALI DEL CONTINENTE NERO.. PETROLIO, GAS. ORO E DIAMANTI: COME I SOLDI SOTTRATTI ALLE POPOLAZIONI FINISCONO NEI PARADISI FISCALI
Ecco i nuovi Panama Papers: l’Africa saccheggiata dalle offshore dei potenti.
Tre mesi dopo aver svelato migliaia di società anonime utilizzate dai ricchi del mondo per spostare profitti e patrimoni nei paradisi fiscali a tassazione bassissima o nulla, una nuova inchiesta internazionale dei giornalisti associati al consorzio Icij mette a nudo gli affari segreti di politici, militari, dirigenti statali, manager e imprenditori che si spartiscono le enormi risorse naturali del Continente nero.
Attraverso l’analisi dei documenti riservati dell’archivio di Mossack Fonseca, lo studio legale con base a Panama specializzato nella creazione di anonime società -schermo per migliaia di clienti di tutto il pianeta, i giornalisti aderenti all’International Consortium of Investigative Journalists, di cui fa parte l’Espresso in esclusiva per l’Italia, hanno identificato oltre 1.400 offshore collegate direttamente alle ricchezze dell’Africa.
Lo studio Mossack Fonseca ha lavorato per tre ex ministri nigeriani del petrolio, che hanno usato le società offshore per comprare imbarcazioni e ville a Londra.
Secondo Oxfam, il 12 per cento del Pil del Paese viene perduto in flussi finanziari illeciti
Sono società che permettono ai titolari di sfruttare materie prime e risorse naturali in ben 44 dei 54 Stati africani: soprattutto petrolio, gas, oro, diamanti e altri metalli preziosi. Attraverso le offshore, i profitti vengono sottratti alle popolazioni locali e dirottati in lontani paradisi fiscali come British Virgin Islands, Seychelles o Dubai.
Il regime legale di segretezza che caratterizza queste società – cassaforte aveva finora garantito il più assoluto anonimato ai ricchissimi proprietari delle 1.400 offshore, utilizzate anche per nascondere l’identità dei protagonisti di colossali casi di corruzione e riciclaggi di denaro sporco.
Alcuni di questi affari africani sono al centro anche di indagini giudiziarie avviate dalle autorità africane o da magistrati di altri Paesi come Stati Uniti, Svizzera, Gran Bretagna e Italia.
PanamAfrica è il nome in codice di questa nuova inchiesta giornalistica, che parte sempre dall’archivio delle società registrate fino al 2015 dallo studio Mossack Fonseca: oltre 120 mila offshore costituite dai professionisti di Panama ma collocate anche in molti altri paradisi fiscali.
Dopo gli articoli pubblicati nel maggio e aprile scorsi sulle società -cassaforte utilizzate per finalità di evasione o elusione fiscale, PanamAfrica ora spiega come le offshore vengono utilizzate per spogliare il Continente nero delle sue ricchissime risorse, mentre milioni di uomini, donne e bambini africani sono costretti a vivere in condizioni disumane, tra fame, miseria, disastri ambientali, terrorismo e guerre spesso collegate a inconfessabili moventi economici.
Gli articoli pubblicati a partire da oggi sul sito de l’Espresso documentano i primi risultati di questa nuova inchiesta giornalistica internazionale.
Ci sono le offshore segrete dei faccendieri che hanno ottenuto da ministri corrotti le licenze per sfruttare i giacimenti di gas e petrolio in Algeria o le miniere della Repubblica Democratica del Congo.
C’è l a storia del playboy, amico di molte stelle del cinema e della musica, che è diventato miliardario con il petrolio in Nigeria , dove ora è sotto accusa per una rovinosa bancarotta da 1.800 milioni di dollari.
Ci sono i retroscena economici dei grandi safari : ogni anno milioni di turisti visitano le savane nella convinzione di beneficiare la popolazione locale, mentre i profitti vengono in realtà dirottati all’estero in anonimi forzieri offshore. E c’è la vera storia dei diamanti insanguinati della Sierra Leone .
All’inchiesta PanamAfrica hanno partecipato oltre quaranta giornalisti di testate europee e africane appartenenti a venti nazioni diverse.
(da “L’Espresso”)
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Luglio 25th, 2016 Riccardo Fucile
LA REPRESSIONE CONTINUA , OLTRE 13.000 GLI ARRESTATI
In piazza contro il golpe. Dopo giorni in cui le strade sono state teatro delle manifestazioni dei sostenitori del presidente Recep Tayyip Erdogan, è l’opposizione, questa volta, a protestare e a radunare decine di migliaia di persone a piazza Taksim, nel cuore di Istanbul.
Una manifestazione “per la Repubblica e la democrazia”, spiega dal palco il leader del partito socialdemocratico Chp, Kemal Kilicdaroglu.
Il raduno, autorizzato dal governo che ha anche inviato una delegazione, segna un inedito momento di unità nazionale contro il “nemico comune” Fethullah Gulen, accusato da Ankara di essere l’anima del fallito colpo di stato. Domani, in un ulteriore segnale di distensione, Erdogan vedrà il leader nazionalista Bahceli e lo stesso Kilicdaroglu, che ha accettato per la prima volta di entrare nella residenza del presidente ad Ankara. Sul tavolo, le misure da prendere dopo il golpe.
Nel mare di bandiere rosse agitate inpiazza Taksim si notano anche i ritratti di Mustafa Kemal Atatà¼rk, padre della Repubblica e figura tutelare del militanti di opposizione. “Difendiamo la repubblica e la democrazia”, “la sovranità appartiene al popolo incondizionatamente”, “no al colpo di stato, sì alla democrazia”, si legge su alcuni cartelli. Al di là del rifiuto del colpo di stato, in molti protestano contro l’imposizione dello stato di emergenza e la “stretta” di Erdogan: “N golpe, nè diktat, potere al popolo!”, “la Turchia è laica e resterà così”, hanno scandito i manifestanti.
La repressione resta durissima.
Il numero degli arrestati è salito a 13.165. Tra loro, 8.838 militari (tra cui 123 generali e ammiragli), 2.101 magistrati, 1.485 poliziotti, 52 autorità amministrative e 689 civili.
Proseguono anche i blitz contro presunti fiancheggiatori di Gulen: nella provincia di Trebisonda, sul mar Nero, le forze di sicurezza turche hanno arrestato Halis Hanci, considerato il braccio destro dell’imam.
Per le autorità , è responsabile di avergli trasferito risorse direttamente dalla Turchia, dove sarebbe arrivato solo due giorni prima del tentativo di putsch.
Sabato era stato già arrestato il nipote, Muhammet Sait Gulen, in un raid nella sua roccaforte di Erzurum, nell’Anatolia orientale. In manette anche due donne simbolo: il primo rettore con il velo, Aysegul Sarac, a capo dell’università Dicle di Diyarbakir, e l’unica pilota da combattimento della Turchia, Kerime Kumas, che la notte del golpe avrebbe volato con il suo F-16 sui cieli di Istanbul.
Nel mirino, ancora i luoghi e le istituzioni legati a Gulen.
Dopo aver chiuso 934 scuole e 15 università , insieme a oltre mille altri enti e associazioni, l’organismo turco per la supervisione degli istituti bancari ha revocato la licenza all’istituto di credito Bank Asya, già commissariato lo scorso anno.
Al posto dei “gulenisti” cacciati, la Turchia ha intanto deciso di assumere oltre 20 mila nuovi insegnanti. Finora, Ankara ha sospeso oltre 21 mila docenti di scuole pubbliche e revocato la licenza di insegnamento ad altrettanti professori di scuole private. Misure che rischiano di bloccare il percorso di decine di migliaia di studenti. Per questo, anche la riorganizzazione del sistema educativo appare una corsa contro il tempo in vista dell’inizio dell’anno scolastico.
Quel che accade in Turchia continua a suscitare preoccupazioni a livello internazionale.
Dopo gli appelli lanciati da Ue e Usa affinchè non si consumi una “vendetta”, violando lo stato di diritto, Amnesty International rilancia le denunce di maltrattamenti degli arrestati, già emerse nei giorni scorsi anche con alcune foto-shock.
Ci sono “prove credibili” che i detenuti siano stati “sottoposti a percosse e torture, incluso lo stupro, nei centri di detenzione ufficiali e non ufficiali”, sostiene l’ong, chiedendo ad Ankara di aprire agli osservatori internazionali caserme, centri sportivi e tribunali dove vengono tenuti i golpisti.
(da agenzie)
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