Luglio 18th, 2016 Riccardo Fucile
OTTO RAGAZZI DELL’UNIVERSITA’ DI TORINO IN GITA NELLA CITTA’ FRANCESE HANNO TROVATO RIFUGIO NELLA CASA DI UN IMBIANCHINO… “IO E MIA MOGLIE SIAMO MUSULMANI PRATICANTI, CIO’ CHE E’ AVVENUTO NON PUO’ RAPPRESENTARE L’ISLAM”
Otto studenti salvati dall’inferno di Nizza grazie a una famiglia tunisina. Una pagina di speranza in un capitolo di orrore.
Una storia che merita di essere raccontata, quella vissuta da un gruppo di ragazzi del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino arrivati nella città francese da una settimana per la summer school organizzata con l’ateneo di Nizza.
In totale 75 studenti che giovedì sera si trovavano quasi tutti sulla Promenade des Anglais.
«Per una serie di circostanze abbiamo fatto tardi e abbiamo deciso di cenare nelle vie interne e non sulla Promenade, per risparmiare tempo e andare quindi a seguire i fuochi», racconta Carlotta Benna, 21 anni, uscita insieme a dieci compagni di corso. «Nonostante questo siamo arrivati quando ormai lo spettacolo era finito. Abbiamo però sentito dei colpi, qualcuno di noi ha pensato fossero dei tuoni, altri che avessero ripreso i fuochi».
Non potevano immaginare il dramma che si stava consumando a pochi passi da loro. «Alcuni nostri amici erano più avanti, hanno vissuto tutta la scena. Il camion li ha sfiorati, un gruppo si è riparato dietro a una pensilina».
L’attentatore non ha voluto investirli solo perchè temeva che la struttura fermasse la sua corsa della morte.
«Ci siamo trovati in mezzo a una marea umana impazzita che correva in tutte le direzioni. Non capivamo cosa stesse succedendo. Solo urla e pianti. Un uomo ci ha mimato un mitra per segnalarci il pericolo. Ci siamo messi a correre anche noi, cercando di non lasciare indietro nessuno. Non sapevamo dove andare».
In tre non sono riusciti a stare al passo. «Arrivati a un’intersezione abbiamo notato delle persone entrare in un palazzo con una vetrata che faceva angolo. Le abbiamo seguite. Ci siamo messi a bussare e piangere. Continuavamo a pregarle di aprire finchè non l’hanno fatto. Erano italiani e sentire la nostra lingua madre è stato per noi un sollievo. Abbiamo chiesto riparo nel loro appartamento ma non hanno esitato a rifiutarci. Per loro eravamo in troppi e c’era poco spazio. Restare in quell’atrio con quella vetrata ci faceva sentire un bersaglio troppo facile. Tutti noi avevamo in mente le scene del Bataclan».
Pochi istanti dopo sono entrate altre persone che fuggivano dal terrore. Un uomo ha perso i sensi all’ingresso
Dalle scale è comparso invece un giovane, dai tratti arabi. Un tunisino che abita al terzo piano del condominio.
Si chiama Hamza Bayrem, imbianchino di 29 anni, con una moglie incinta e un figlio nato due anni fa. «Ho sentito le urla, mi sono affacciato dal balcone e ho visto migliaia di persone correre. Sono sceso a controllare cosa stesse succedendo. I primi che ho incontrato sono stati gli studenti italiani. Non potete immaginare in quale stato erano. Ho visto il terrore sulle loro facce. Quando ci ripenso mi fa male il cuore. Ho cercato di capire cosa mi stessero urlando ma loro parlavano solo in italiano. Mi hanno chiesto se capivo l’arabo e quindi mi hanno presentato un loro amico di origini marocchine», racconta a l’Espresso.
E’ Yassine Ramli, anche lui studente di Legge, che vive ad Asti. «Il ragazzo tunisino ci ha invitati a salire al terzo piano, dove avremmo trovato anche sua moglie. Le mie compagne di corso non si sono fidate. Temevano potesse essere una trappola, alla fine però si sono convinte».
«Non potevamo restare in quell’atrio. Ci avrebbe potuto vedere e sparare chiunque. Non nascondo che eravamo molto diffidenti», spiega ancora Carlotta.
«Arrivati al piano ci ha aperto la porta di casa. Non abbiamo però trovato il coraggio di entrare. Non ci fidavamo abbastanza, abbiamo preferito restare nel corridoio». Ed è qui che il giovane tunisino ha abbattuto ogni muro di diffidenza. «Ci ha portato sedie, coperte, acqua, cioccolato. Ci ha offerto qualsiasi cosa ci servisse. Molte di noi erano agitate e continuavano a piangere. Si sono tranquillizzate solo quando si è presentato il bimbo di due anni e si messo a giocare in mezzo a noi. Abbiamo capito che eravamo al sicuro. Che ci potevamo fidare e siamo quindi entrati in casa».
La moglie, in abiti tradizionali e con il velo, ha offerto loro la cena. «Ovviamente non avevamo fame. Hanno acceso la televisione e ci hanno chiesto che canale italiano si poteva guardare, in modo che capissimo anche noi cosa avveniva di sotto. Siamo rimasti su quel divano fino alle due, quando abbiamo capito che era tutto finito ed avevamo ripreso i contatti con il resto del gruppo».
Ieri gli undici studenti sono tornati in quell’appartamento. Non fuggivano da nessuno. Ci sono tornati per ringraziare quella famiglia di sconosciuti che li ha soccorsi nel momento più terribile che abbiano mai vissuto.
«Li abbiamo ringraziati e ci siamo scusati. Loro hanno dal primo momento compreso la nostra difficoltà e la nostra diffidenza. Io sarò sempre grata a quelle persone», conclude Carlotta con la voce che trema ancora
Bayrem cerca di minimizzare: «La visita dei ragazzi italiani mi ha reso davvero felice, hanno portato anche dei regali per mio figlio. Non abbiamo fatto nulla di straordinario, quelle ragazze avevano rischiato la vita e dovevano essere protette. Lo avrebbe fatto chiunque».
Hamza è tunisino come l’autista di quel camion. «Non sapete quanto mi abbia ferito ciò che è successo. Io e mia moglie siamo musulmani praticanti e ciò che è avvenuto non può in nessun modo rappresentare l’islam. Giovedì sono morti tanti esseri umani, nostri fratelli. Abbiamo perso degli amici. Non c’entra la nazionalità o la religione, siamo tutti umani. E giovedì abbiamo perso tutti tante persone. Non si può uccidere per l’islam. La religione ci chiede clemenza. Anche verso gli animali, figuriamoci verso le persone. Io al lavoro, quando vernicio, sto sempre attento a non uccidere gli insetti. E sono io a rappresentare l’islam, non l’autista di quel camion».
Sabato sera sono tutti invitati a casa sua a mangiare il couscous. Per avere un buon ricordo di quell’appartamento.
Il ricordo che quella famiglia merita.
(da “L’Espresso“)
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Luglio 18th, 2016 Riccardo Fucile
IN UN ANNO DEFICIT CALATO DA 21 A 4 MILIONI A MEZZO… PD, NCD E SEL BILANCI IN ATTIVO, AFFONDA FORZA ITALIA
La “Partiti Spa” impara, un taglio alla volta, a metabolizzare il lento addio agli anni d’oro del finanziamento pubblico.
I conti della politica tricolore, intendiamoci, restano in passivo (4,5 milioni nel 2015) ma il rosso si sta sbiadendo – era a quota 20,8 milioni l’anno precedente – e il decollo del 2 per mille inizia a compensare il crollo dei rimborsi elettorali.
Pd, Ncd e Sel sono riusciti addirittura a chiudere i conti in leggero attivo.
Il ruolo di ultimo della classe spetta invece un’altra volta a Forza Italia, in passivo per 3,5 milioni e salvata da Silvio Berlusconi, costretto a metter mano al portafoglio per evitare il crac.
L’ex-Cav. ha rimborsato 43 milioni alle banche e ha portato così a 90 milioni il totale dei crediti con la sua creatura.
Fuori classifica restano i 5Stelle. Il MoVimento di Beppe Grillo non pubblica i conti ma ha rinunciato ad oggi a 42 milioni di rimborsi elettorali e ha girato 16,1 milioni al fondo di microcredito per le imprese e 1,6 milioni a quello per l’ammortamento dei titoli di stato.
La foto di gruppo dei conti dei partiti spiega bene la drammatica metamorfosi in corso.
Le entrate complessive sono calate da 47 a 38 milioni (-20%). Ma, soprattutto, è cambiata la loro composizione: il finanziamento pubblico, cancellato a rate dopo il referendum, ha subito un’altra sforbiciata, scendendo da 17 a 9 milioni e sarà azzerato nel 2017.
Il 2015 segna però l’inizio ufficiale dell’era del 2 per mille, i contributi versati dai militanti assieme alla dichiarazione fiscale.
Il gettito ha superato di molto le aspettative, salendo da 724mila euro a 7,8 milioni, solo un milione in meno dei rimborsi elettorali.
La raccolta viaggia però a due velocità , premiando chi ha lavorato per convincere la base ad allargare i cordoni della borsa e penalizzando chi (la solita Forza Italia) se n’è stata con le mani in mano.
Il Partito Democratico, grazie alla regia del tesoriere Francesco Bonifazi, ha surclassato un po’ tutti, mettendo assieme 5,3 milioni.
La militanza padana ha portato nelle casse della Lega 1,1 milione mentre la sinistra dura e pura di Sel ha raccolto 881mila euro, più dei 529 della formazione di Silvio Berlusconi, penalizzata da un elettorato dal braccio un po’ corto.
I dati confermano invece il tramonto del mondo delle tessere.
Il partito di Matteo Renzi ha iscritto alla voce quote associative solo 202mila euro, meno della metà dell’anno prima.
Crollate quasi a zero quelle dell’Ncd, mentre Forza Italia si toglie lo sfizio di fare meglio dei democratici (456mila euro). Una soddisfazione molto parziale visto che nel 2014 gli incassi erano stati di 2,9 milioni.
Il calo delle entrate è stato ammortizzato lo scorso anno non solo dal 2 per mille ma pure da una pesante politica di taglio ai costi, scesi nel consolidato della Partiti Spa da 62 a 40 milioni.
Forza Italia li ha dimezzati, il Pd li ha sforbiciati da 27 a 20 milioni e l’austerity ha colpito pure le spese di Sel (che ha inoltre visto andare in fumo 320mila euro di versamenti di senatori e deputati passati al Gruppo misto o al Pd) e Lega.
Il Partito Democratico, recita la relazione di bilancio, non ha fatto licenziamenti nè sfruttato ammortizzatori sociali e lo stesso farà nel 2016. Forza Italia invece è stata costretta ad andare giù con la mano pesante varando il licenziamento collettivo per 62 dipendenti.
Un sacrificio che non è bastato: una serie di fornitori (in particolare uno esposto per 847mila euro) hanno messo in mora il partito e i tribunali hanno ordinato il pignoramento su 1,2 milioni dei suoi beni. Cifra – ammette la relazione sui conti – “che non è assolutamente in possesso del movimento”.
(da “la Repubblica“)
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Luglio 18th, 2016 Riccardo Fucile
FIORI PER I 38 ANNI DELLA RAGGI, MA NON C’E’ ARIA DI FESTA
Fiori dai dipendenti capitolini, dagli addetti al cerimoniale, gli abbracci dei collaboratori. Un mazzo di rose rosse, rosa e bianche è stato consegnato a metà pomeriggio ai commessi di Palazzo Senatorio.
Virginia Raggi ha festeggiato i 38 anni nel suo ufficio in Campidoglio. Arrivata nel suo studio molto presto, ha trascorso la giornata a studiare le carte, ma la data del suo compleanno ha sancito anche un passaggio politico importante: l’incontro con il mini direttorio orfano di Roberta Lombardi, che ha lasciato in rotta con il neo sindaco.
Non proprio quindi una giornata di festa. Più che altro un summit con un’aria da resa dei conti provando a guardare al futuro.
A riunione in corso arriva a palazzo Senatorio anche il deputato M5S Stefano Vignaroli, compagno della veterana dello staff Paola Taverna ed entrato anche lui nel mini direttorio al posto della Lombardi.
Il Pd già attacca: “Dalla commedia alla farsa? Esce la Lombardi ed entra compagno della Taverna? Altro che Parentopoli siamo al TinelloRaggi”, scrive Stefano Esposito.
Comunque sia i lavori per ricucire lo strappo tra Raggi e staff sono in corso.
Anche se Beppe Grillo nel suo blitz romano ha dato pieno mandato al neo sindaco per andare avanti raccomandando al mondo pentastellato romano, frastagliato e diviso in correnti, di lasciarla lavorare.
La riunione durata diverse ore è, secondo molti, un’operazione più di facciata che altro.
Nel senso che non è possibile rinnegare ufficialmente l’esistenza del mini-direttorio, e quindi venir meno al regolamento firmato dal sindaco, pertanto si vuol dare all’esterno l’impressione che lo staff capitolino esista ancora.
Nei fatti però ha perso molto del suo peso politico. Così la discussione tra il neo sindaco, la senatrice Taverna, l’europarlamentare Fabio Massimo Castaldo (ex collaboratore della Taverna), il consigliere regionale Gianluca Perilli e la new entry Vignaroli è stata franca e sincera.
Da una parte Raggi ha chiesto maggiore autonomia e libertà d’azione, dall’altra lo staff hanno rivendicato il suo ruolo soprattutto per quel che riguarda le nomine, che devono passare al vaglio del mini direttorio.
Intanto quella che si apre è una settimana importante per il neo sindaco.
Per martedì è fissata la prima riunione con la Giunta e durante il prossimo consiglio comunale dovranno essere illustrate le linee guida dell’amministrazione capitolina targata 5Stelle.
Alcune azioni del neo sindaco sono state già messe nero su bianco. A pochissimi giorni dai fatti di Nizza, Raggi ha chiesto ai suoi assessori di avviare ogni azione possibile volta al rafforzamento della sicurezza in città .
In particolare, l’assessore allo Sviluppo Economico e Turismo Adriano Meloni ha incontrato Airbnb per aprire un percorso congiunto mirato a un monitoraggio più stretto dei visitatori che transitano a Roma, in linea con la normativa sulla privacy.
Al centro dei colloqui, in particolare, delle leggi di pubblica sicurezza, secondo cui “i gestori di esercizi alberghiere e altre strutture recettive” possono “dare alloggio a esclusivamente a persone munite della carta di identità o di altro documento idoneo ad attestarne l’identità “.
Sul piano nazionale invece la vicenda espulsioni continua a far discutere, dopo la decisione del Tribunale del capoluogo campano di sospendere le espulsioni di una ventina di militanti napoletani del Movimento.
Anche per questo la sospensione del sindaco di Parma è in stand by, nell’attesa di avviare le modifiche del ‘non Statuto’, operando quegli aggiustamenti che consentiranno ai grillini di ricorrere ai cartellini rossi senza temere lo stop della magistratura, come avvenuto prima a Roma e poi a Napoli.
(da “Huffingtonpost“)
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Luglio 18th, 2016 Riccardo Fucile
LO STUDIO SULLA RELIGIONE PROFESSATA DAGLI STRANIERI IN ITALIA SFATA FALSI PREGIUDIZI
Nessuna “invasione” musulmana in Italia.
La maggioranza degli immigrati residenti nel nostro Paese è, infatti, di religione cristiano ortodossa e i cristiani, compresi i cattolici, sono percentualmente quasi il doppio degli islamici.
Contribuisce a sfatare falsi pregiudizi (rilevati e criticati anche da una nota ufficiale dell’Ocse di un paio di anni fa), l’ultima rilevazione della Fondazione Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità ), riguardante la religione professata dai circa 5 milioni di stranieri residenti in Italia
La maggioranza è cristiana
Al 1° gennaio di quest’anno, gli immigrati cristiano ortodossi erano poco più di 1,6 milioni, rispetto al milione e 400mila stranieri di religione musulmana.
I cattolici erano circa un milione.
Per quanto riguarda le altre religioni, i buddisti erano stimati in 182mila, i cristiani evangelisti in 121mila, gli induisti in 72mila, i sikh in 17mila, i cristiano-copti erano circa 19mila.
«Falsi pregiudizi»
«L’indagine — si legge in una nota dell’Ismu – mette in mostra che il panorama delle religioni professate dagli stranieri è molto variegato e sfata il pregiudizio secondo cui la maggior parte degli immigrati professa l’islam». Anzi, se si confrontano le percentuali, si vede come gli immigrati cristiani, intesi come cattolici e ortodossi, siano quasi il doppio dei musulmani: 4,3% della popolazione complessiva (italiana e straniera), rispetto al 2,3% degli islamici.
Marocchini in testa
Per quanto riguarda le provenienze, si stima che la maggior parte dei musulmani residenti in Italia provenga dal Marocco (424mila), seguito dall’Albania (214mila), dal Bangladesh (100mila), dal Pakistan (94mila), dalla Tunisia, (94mila) e dall’Egitto (93mila).
A livello territoriale, la Lombardia è la regione in cui vivono più stranieri residenti di fede musulmana, minorenni inclusi: sono 368mila (pari al 26% del totale degli islamici presenti in Italia).
Al secondo posto troviamo l’Emilia Romagna con 183mila musulmani (pari al 12,8% del totale degli islamici in Italia), al terzo il Veneto dove i musulmani sono 142mila (pari al 10% del totale), al quarto il Piemonte con 119mila presenze.
Cristiani radicati in Lombardia
La Lombardia è anche la regione che vede la maggior presenza di stranieri cristiano ortodossi: sono 265mila. Segue il Lazio con 260mila e il Veneto con 176mila.
Le incidenze maggiori si registrano, invece, nel Lazio in cui i cristiano-ortodossi stranieri sono il 4,4% della popolazione complessiva, in Umbria (4%), in Piemonte (3,7%) e in Veneto (3,6%).
Sempre la Lombardia, è la regione che ha il maggior numero di immigrati cattolici (277mila), seguita dal Lazio (152mila), dall’Emilia Romagna (95mila), dalla Toscana (84mila), dal Veneto (78mila) e dal Piemonte (78mila).
In Liguria e in Lombardia gli stranieri cattolici residenti sono il 2,8% della popolazione residente totale italiana e straniera, nel Lazio sono il 2,6% e in Umbria il 2,4%.
Paolo Ferrario
(da “Avvenire”)
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Luglio 18th, 2016 Riccardo Fucile
VITO PICCARRETA INTERROGATO PER SEI ORE DAI PM DI TRANI AMMETTE DI AVER DATO VIA LIBERA A DUE CONVOGLI CONTEMPORANEAMENTE
“Io non ho scritto questo”. Vito Piccarreta, il capostazione di Andria in servizio il giorno dello scontro dei treni tra Andria e Corato che ha causato 23 morti e 50 feriti, ha risposto così quando i pubblici ministeri della Procura di Trani, durante un interrogatorio durato oltre sei ore, gli hanno mostrato i registri di viaggio del 12 luglio, data dell’incidente.
Piccarreta ha ammesso di aver fatto partire il treno ET1021 diretto verso Corato, che si è poi scontrato con il treno ET1016 sul binario unico.
Ha spiegato di aver agito “in base a un automatismo”: c’erano due treni fermi in stazione — l’ET1642 proveniente da Corato con 23 minuti di ritardo e l’ET1021 — e alle 10:59 lui ha alzato la paletta e li ha fatti partire entrambi, il primo verso Corato, l’altro verso Barletta.
Ma ha negato di aver fatto la correzione a penna riscontrata sui registri cartacei di arrivi e partenze che gli inquirenti considerano sospetta.
Secondo la versione difensiva, dunque, la modifica dell’orario di partenza del treno non è opera del capostazione ma è stata aggiunta ad arte in un secondo momento. Anche se riporta come orario di partenza proprio le 10.59, orario in cui il capostazione dice di aver fatto partire il treno.
“La correzione l’ha disconosciuta. Non l’ha fatta lui”, ha detto il legale di Piccarreta, Leonardo De Cesare. “Ha risposto — ha spiegato l’avvocato — di non averla scritta lui. Un’alterazione posticcia c’è ma non l’ha messa Piccarreta”.
Un errore, comunque, c’è stato. Il convoglio fermo ad Andria e diretto verso Corato — secondo le indagini — non doveva partire perchè Piccarreta sapeva che da Corato era in arrivo un altro convoglio, che lui stesso stava aspettando in stazione.
Attorno alle 11.07, un minuto circa dopo il disastro, come risulta dai tabulati acquisiti dalla polizia, il capostazione di Andria ha chiamato il collega di Corato e lo ha avvertito di aver dato la partenza al treno.
A quell’ora nessuno dei due capistazione, indagati insieme ad altre quattro persone per omicidio colposo plurimo, lesioni personali colpose e disastro ferroviario, sapeva dello scontro mortale.
Il capostazione di Corato Alessio Porcelli, stando a quanto anticipato dal suo difensore Massimo Chiusolo, sosterrà però che Picarreta non lo ha avvisato “che aveva dato la partenza al convoglio ET1021″ e che “sapeva che da Corato erano in arrivo due treni, uno dei quali, l’ET1642, era appena arrivato ad Andria”.
Lunedì intanto è sceso a 17 il numero dei feriti ricoverati in ospedali pugliesi dopo il disastro ferroviario del 12 luglio.
Oggi è stato dimesso un ulteriore paziente dall’ospedale di Andria mentre, sempre da Andria, un altro paziente in prognosi riservata è stato trasferito alla “Fondazione Maugeri” di Cassano Murge.
I dati sono raccolti e diffusi dal dipartimento per le Politiche della Salute della Regione Puglia.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 18th, 2016 Riccardo Fucile
UNA TRAGICA FARSA: LE LISTE DI PROSCRIZIONE ERANO GIA’ PRONTE PRIMA DEL GOLPE PATACCA
Militari spogliati della divisa e lasciati seminudi, ammassati in uno stanzone e in quella che sembra una stalla per animali.
Le foto che circolano in rete mostrano il volto durissimo della repressione contro i soldati che hanno preso parte al tentativo di golpe in Turchia.
Le immagini si accompagnano a quelle dei linciaggi ai quali sono stati sottoposti decine di militari nelle ore successive al fallito golpe: uomini in uniforme picchiati a sangue e presi a cinghiate in pubblico. Europa e America inorridiscono e temono che le purghe in Turchia non rispetteranno i diritti umani.
Il premier Binali Yldirim dichiara che finora sono stati arrestati 6.030 membri dell’esercito, ma il pugno di ferro di Erdogan (“pagheranno un prezzo molto alto per questo tradimento”, ha assicurato sabato scorso non appena tornato a Istanbul) colpisce migliaia di dipendenti pubblici: sospesi dalle funzioni 7850 agenti di polizia sospettati di aver appoggiato il colpo di Stato, con loro anche 30 prefetti su 81 e 614 gendarmi. Cacciati 1500 dipendenti del ministero delle Finanze.
Nei giorni scorsi il provvedimento ha toccato anche quasi 3mila magistrati (755 in arresto), un fatto per il quale ha protestato il vicepresidente del Csm Legnini: “Destano sconcerto le drammatiche notizie che arrivano dalla Turchia di sospensione, destituzione e in alcuni casi persino di arresti di 2.745 giudici poche ore dopo il golpe”.
E mentre il Washington Post anticipa che per il segretario di Stato americano la nuova torsione autoritaria di Erdogan potrebbe portare la Turchia fuori dalla Nato (ma il quotidiano è stato presto smentito), Federica Mogherini, alto rappresentante della politica estera Ue, fa sapere che il ripristino della pena di morte per punire i golpisti metterebbe fine alla trattativa per l’adesione della Turchia all’Unione europea.
Sulla pena capitale si è espresso Binali Yldirim: “Il desiderio della pena di morte espresso dai nostri cittadini per noi è un ordine, ma prendere una decisione affrettata sarebbe sbagliata”.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 18th, 2016 Riccardo Fucile
UN GOLPE DURATO APPENA 4 ORE: IL RUOLO DEI VERTICI MILITARI, QUELLO DEL CAPO DEL GOVERNO E QUELLO DI GULEN
Che cosa è avvenuto realmente in Turchia? Un golpe?
«Beh, golpe è una parola grossa. Al massimo potremmo definirlo un minigolpe improprio, a scoppio anticipato».
Perchè non credi al golpe?
«Primo: perchè nella mia vita professionale ho visto tutto e il contrario di tutto, ma un golpe di sole quattro ore non avrei mai potuto immaginarlo, neppure nello stato libero di Bananas. Secondo, ci sono retroscena quasi inquietanti, quantomeno improbabili».
Puoi raccontarli e spiegarli?
«Parto dalle notizie accertate. Ho conosciuto la Turchia trentasei anni fa, e vi sono tornato regolarmente. Ho intervistato tutti i leader politici, compreso il carismatico Recep Tayyip Erdogan, con il quale una volta ho litigato.Tanta frequentazione mi ha consentito di tessere importanti rapporti personali. Insomma, ho fonti credibili e preziosissime. Anche venerdì sera, per telefono, mi hanno messo in guardia».
In che senso?
«Mi hanno fatto capire: attenzione, può essere una sceneggiata. Domani Erdogan sarà più forte di oggi».
Ma ci sono stati circa 200 morti…
«Sì, ma – scusate il cinismo – il bilancio delle vittime è simile a quello dei morti di Ankara durante la manifestazione pacifista. Credete che importi a Erdogan?».
Insomma, cos’è accaduto?
«Noi giornalisti, spesso per vanità o per attrazione fatale della prima Repubblica, tendiamo a preferire l’articolessa e i banali ghirigori old style, sottostimando i fatti. Ma sono i fatti, la sana cronaca, occhi attenti, umiltà e una mente attrezzata a ragionare a fare la differenza. Non mi sono sfuggite e non ne ho ridotto la portata, notizie e informazioni degli ultimi mesi dalla Turchia. La nomina di un nuovo capo del governo, Binali Yildirim, fedelissimo di Erdogan. Personalità grigia ma capace. Improvvisamente il presidente ha aumentato la pressione militare sui curdi in armi del Pkk, intensificando la repressione più violenta. E Yildirim ha annunciato, a tappe ravvicinate: primo, la pace con Israele dopo la rottura seguita all’assalto contro il convoglio navale pacifista turco, al largo di Gaza, costato 9 morti; secondo, una lettera di scuse di Erdogan a Putin, e la pace fatta con la Russia dopo l’abbattimento del cacciabombardiere di Mosca nei cieli della Siria; terzo, la mano tesa al regime siriano, cioè mano tesa a Bashar al Assad, che fino al giorno prima il presidente turco avrebbe fatto ammazzare: al punto che il sultano faceva affari con i tagliagole dell’Isis (petrolio di contrabbando),e portava armi agli estremisti islamici siriani, a partire dal sedicente Stato islamico; quarto, rilancio del ruolo della Turchia nella Nato e amicizia perenne con gli Usa».
D’accordo, ma il golpe o minigolpe che c’entra?
«A questo punto abbandoniamo il binario dei fatti comprovati ed entriamo in quello delle ipotesi, supportate però da forti indizi. Le Forze armate turche erano in agitazione, in opposizione a Erdogan, accusato di molte nefandezze: repressione della libertà di stampa, bugie sui profughi, rifiuto di partecipare attivamente alla coalizione internazionale contro il terrorismo. Ma la bassa forza, molti colonnelli e graduati minori non avevano realizzato che gli alti comandi si erano avvicinati al sultano»
Questa «bassa forza» era pronta ad agire in proprio?
«No, ma era influenzata da Fetullah Gulen, il predicatore sunnita che vive in esilio negli Usa. Un islamico visionario e moderato, amico anzi quasi fratello di Erdogan – o almeno del primo Erdogan. Fu Gulen a spalancare al futuro sultano le porte delle fondazioni più influenti. Gulen è miliardario, controlla scuole, università , ha radici nella magistratura, nei servizi segreti, nella polizia, ed è molto popolare tra i soldati. Forse, i tempi del minigolpe sono stati quelli di una prova di forza».
Innescata da chi?
«Non mi stupirei che la miccia sia stata accesa dallo stesso Erdogan o dai suoi fedelissimi»
Vuoi dire che potrebbe essere un «golpe fasullo»?
«Esattamente. Le mie fonti turche hanno sostenuto questa possibilità ».
E il viaggio aereo di Erdogan nei cieli d’Europa?
«Temo che qualcuno, compreso qualche collega, abbia confuso Erdogan con Ocalan. Il leader del Pkk Abdullah Ocalan, che ho intervistato nella valle della Bekaa, fu cacciato dalla Siria e vagò nei cieli in cerca di asilo politico, prima d’essere catturato dai turchi e condannato all’ergastolo.Pensate possibile che Erdogan lanci un appello al popolo invitandolo a scendere nelle strade e di proteggere il Paese, mentre vola su Francoforte, pronto a scendere a Berlino per inginocchiarsi davanti a Merkel supplicando asilo politico? E magari, dopo il no di Merkel, pronto a virare su Londra per comprendere le intenzioni della neopremier May? Ma per favore, solo a pensarci mi vien da ridere. Amici e colleghi, questo è il risultato di non conoscere ciò di cui si parla, magari sbraitando scemenze in un salotto televisivo».
Quindi, secondo te, dov’era il presidente?
«In vacanza, a Marmara. È salito sull’aereo diretto ad Ankara, poi ha preferito dirigersi a Istanbul, avendo saputo che c’erano migliaia di persone ad attenderlo, assonnate ma festanti. Fine del golpe, quattro ore dopo. Ma per cortesia, siamo seri finalmente».
Per te, insomma, è quasi una farsa?
«Se non ci fossero i morti, direi di sì».
Ma a chi ha giovato questo minigolpe, come lo hai chiamato?
«A Erdogan. È molto più forte. Magari spera di avere i voti per cambiare la Costituzione, e trasformare la Turchia in una Repubblica presidenziale».
La tua opinione?
«Spero di no, soprattutto per i miei amici turchi. E per i miei colleghi che in quel Paese rischiano ogni giorno la prigione. Se non peggio».
Antonio Ferrari
(da “Il Corriere della Sera”)
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Luglio 18th, 2016 Riccardo Fucile
LO STUDIO SULLA RIDISTRIBUZIONE DELL’ACCOGLIENZA PER INCENTIVARE I COMUNI
Una distribuzione più equilibrata dei richiedenti asilo, con una media di due o tre per ogni mille abitanti, via libera a nuove assunzioni comunali, più soldi nelle casse degli Enti locali e meno nelle tasche degli extracomunitari.
Eccolo il piano del ministro dell’Interno Angelino Alfano, d’intesa con i Comuni, per affrontare l’emergenza immigrazione.
Un progetto ancora in via di definizione per quanto riguarda i dettagli, ma già strutturato per risolvere questioni importanti che hanno finora scatenato malumori e polemiche tra sindaci e governatori di qualsiasi colore politico.
Nonostante la percentuale di stranieri in Italia sia inferiore a quella nel resto d’Europa: 8,3% contro il 9,3% della Germania o il 9,6% della Spagna.
I punti chiave del piano Alfano hanno l’obiettivo di migliorare la gestione e l’integrazione di profughi e migranti – che al momento sono quasi 136 mila – ma anche quello di sostenere i Comuni che li accolgono.
Anche attraverso un allentamento del Patto di Stabilità . Lo scopo è quello di favorire una maggiore adesione alla programmazione dello Sprar, il «Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati» in vigore esclusivamente su base volontaria.
Ripartizione sul territorio
Più di un sindaco ha sollevato la questione: alcune città sono più caricate di altre per l’elevato numero di immigrati da ospitare.
Tanto da spingere il presidente Anci ed ex primo cittadino di Torino Piero Fassino a ribadire che «finora l’immigrazione è stata governata bene, ma i numeri stanno superando la soglia governabile. Se non lo vediamo per tempo questo problema rischia di travolgerci».
Ma il nuovo piano fissa dei paletti insormontabili: non più di due o tre persone ogni mille residenti. Alfano, in collaborazione con l’Anci, cercherà dei correttivi per le grandi città . In modo da attenuare i numeri delle metropoli e puntare sui piccoli centri più desertificati. Su quei piccoli centri che tra l’altro avrebbero maggiori opportunità nell’indotto occupazionale e sarebbero comunque tutelati dai vincoli della media numerica di presenze di profughi da rispettare.
Nuove assunzioni
I Comuni che aderiranno allo Sprar (attualmente sono 800) saranno premiati con la deroga al divieto di assunzioni.
Potranno cioè procedere a reclutare nuovo personale (cittadini italiani) da impiegare nei progetti di assistenza e integrazione dei migranti e richiedenti asilo. In questo modo si potrà attribuire maggiore consistenza al sistema pubblico.
L’incentivo prevede una revisione della Legge di Stabilità e costituisce uno degli aspetti più determinanti, seppur spinosi, del prospetto al vaglio del ministro Alfano e dell’Anci.
50 centesimi a migrante
Tra gli altri incentivi di carattere economico per le casse comunali c’è la possibilità di foraggiare con 50 centesimi a migrante a titolo di spese generali.
La quota verrà detratta dai 2,50 euro attualmente previsti quotidianamente per le spese spicciole – il cosiddetto pocket money o argent de poche – dei profughi.
Finora ai Comuni che partecipano allo Sprar non vengono elargite somme per spese generali a fondo perduto, ma solo quelle relative alle spese sostenute per il progetto di accoglienza di strutture ad hoc o appartamenti.
E che devono essere rendicontate e documentate minuziosamente proprio a garanzia del rispetto della legge (giusto per evitare casi di malaffare come Mafia Capitale).
Stop all’emergenza
La fotografia del fenomeno accoglienza fissa solo al 15% la quota di migranti gestiti dallo Sprar.
Il resto è di competenza dei prefetti che intervengono in emergenza e senza chiedere permesso inviando i profughi ai Comuni i quali provvedono – quando è possibile – a sistemarli in pensioni e hotel. Per ogni migrante all’hotel spettano 35 euro da cui vanno decurtati i 2,50 euro del pocket money.
Ma con il piano che Alfano sta mettendo a punto con l’Anci, le città che sposeranno il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati verranno esonerate dall’obbligo di ubbidire alle gare d’emergenza dei prefetti.
Grazia Longo
(da “La Stampa”)
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Luglio 18th, 2016 Riccardo Fucile
IL NUMERO TOTALE DEI RIFUGIATI ASSISTITI E’ DI 135.785 PERSONE, DUE OGNI MILLE RESIDENTI, MENO DELLA MEDIA EUROPEA, SEI VOLTE MENO DI AUSTRIA E SVEZIA… OCCORRE POTENZIARE LO SPRAR E UNA MAGGIORE ORGANIZZAZIONE
La situazione, a leggere le prese di posizione di molti politici locali, sembra fuori controllo.
Per ora però – nonostante sia stata chiusa la via di accesso attraverso la Turchia e i Balcani – dal punto di vista numerico gli sbarchi non sono aumentati.
Numeri sostenibili
Insomma, il modello italiano di accoglienza diffusa è davvero condannato a franare sotto il peso della «pressione insostenibile» delle nuove ondate di migranti?
Può darsi, dicono gli esperti: ma perchè è un sistema che non funziona, e non per un afflusso esagerato di profughi e rifugiati.
L’Italia ha meno stranieri rispetto ad altri paesi (l’8,3% dei residenti, contro il 9,3 della Germania e il 9,6% della Spagna); gli sbarchi sono assestati più o meno ai livelli del 2015 (erano stati 79.618 al 15 luglio 2015, ora siamo a 79.533).
Il numero dei rifugiati gestiti dal sistema di accoglienza, pur se aumentati rispetto al 2015, è decisamente modesto per un Paese di 60 milioni di abitanti: in tutto sono 135.785 persone, poco più di due ogni mille residenti.
Meno della media europea, cinque o sei volte meno di Paesi come Austria o Svezia, dove ci sono 11 o 15 rifugiati ogni 1000 abitanti.
Non siamo nemmeno particolarmente generosi con la concessione dello status di rifugiato: nel 2015 ci sono state 83.200 richieste, ne sono state accolte 29.630.
Sprar ed emergenza
Un sistema di accoglienza che nel nostro Paese è spaccato a metà : da una parte il nuovo «Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati», lo Sprar, nato con la riforma del 2015. Dall’altra il sistema di emergenza gestito dai prefetti: strutture «temporanee» ma eterne, e centri di prima accoglienza.
Nel primo caso i Comuni – sono 800 ad aver aderito volontariamente – sanno sempre chi arriva e dove viene collocato, e forniscono servizi per l’integrazione di discreta qualità che aiutano l’inserimento dei rifugiati.
Nel secondo caso la procedura è straordinaria: i prefetti, se necessario, possono liberamente inviare rifugiati in una città senza chiedere il permesso, la qualità del servizio è scarsa, le strutture sono gestite da privati o coop che si limitano spesso a fornire solo alloggio e vitto. E arricchendosi, come abbiamo visto con la vicenda di «Mafia Capitale».
Come spiega Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di Solidarietà di Trieste e uno degli «inventori» dello Sprar, il modello italiano di integrazione «in realtà non esiste».
«Non c’è programmazione nè coordinamento – afferma – e così si arriva a una distribuzione delle persone in accoglienza del tutto ineguale: da una parte ce ne sono troppi rispetto alle possibilità , in altri posti praticamente non ce ne sono. Il risultato è il caos».
Basti pensare che il sistema Sprar oggi ospita solo 20.347 rifugiati; le strutture «temporanee» e di «prima accoglienza» (considerati a volte dei lager, o nella migliore delle ipotesi fucine di noia e rabbia) ben 113.622.
E anche lo Sprar, peraltro, sta entrando in sofferenza: l’ultimo bando ha visto adesioni insufficienti da parte dei Comuni.
E, unici in Europa, restiamo senza misure per l’inclusione sociale delle persone a cui è riconosciuto il diritto di asilo.
Appena arriva lo status cessa l’accoglienza, spiegano gli operatori sociali; e puoi finire subito in mezzo alla strada.
Serve programmazione
Come uscirne, come ripartire sul territorio i rifugiati nel modo più razionale?
Per Schiavone la strada da percorrere è l’estensione del sistema Sprar, cui tutti i Comuni devono obbligatoriamente aderire ricevendo in cambio risorse e incentivi, «per poter gestire le presenze sul territorio in modo intelligente ed equo.
Questo – spiega – è il metodo per fare vera inclusione sociale, smontare le paure dei cittadini e gestire bene il problema, con cui dovremo confrontarci a lungo in futuro».
Dello stesso avviso è Giulia Capitani, policy advisor di Oxfam Italia per immigrazione e asilo: «Va esteso Sprar – afferma – e ridotto il sistema “straordinario”. E da subito occorre un monitoraggio serio e indipendente del funzionamento dei centri d’accoglienza che ricevono soldi pubblici, a volte come sappiamo fornendo servizi pessimi».
Roberto Giovannini
(da “La Stampa”)
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