Luglio 14th, 2016 Riccardo Fucile
LA MOGLIE DI EMMANUEL SI CORREGGE SUL FATTO CHE IL PALETTO FU PRESO DAL MARITO, MA TUTTE LE TESTIMONIANZE CONFERMANO CHE FU MANCINI A COLPIRE LA VITTIMA QUANDO ORMAI LA LITE ERA CONCLUSA… E LA TESTIMONIANZA DEI VIGILI E’ AGLI ATTI
Ha in parte corretto le sue dichiarazioni davanti ai magistrati la vedova di Emmanuel Chidi Nnamdi, il nigeriano morto per difendere lei, Chinyere, dagli insulti dell’ultrà Amedeo Mancini, finito in cella per omicidio preterintenzionale aggravato da finalità razziste.
La donna, sentita una seconda volta dagli inquirenti, ha precisato che è stato il compagno a scagliare il paletto stradale contro il fermano e non il contrario, come finora sostenuto.
In linea con le altre testimonianze, tutte concordi sul punto, Chinyere ha detto che durante la lite e la conseguente colluttazione, è stato Emmanuel ad afferrare il segnale stradale (di quelli mobili con base circolare di ferro) e a scaraventarlo contro Mancini il quale, in seguito al colpo, è caduto per terra.
Le prime dichiarazioni
Nella prima versione, invece, la vedova aveva sostenuto che era stato il compagno il bersaglio del paletto. Chinyere si è giustificata dicendo che non parla bene l’italiano e che in quel momento, quando ha reso la testimonianza, era sotto choc e molto provata per quanto accaduto.
Per i suoi legali, pur nello stretto riserbo che mantengono sulla vicenda, non si tratta di una precisazione .
Non cambia la ricostruzione dei fatti
La precisazione di Chinyere non cambia in ogni caso la ricostruzione dei fatti da parte dei magistrati.
Ricostruzione che, sia nel provvedimento di fermo della Procura guidata da Domenico Seccia sia nell’ordinanza con cui il gip Marcello Caporale ha confermato il carcere per Mancini, si è sempre basata sulle dichiarazioni dei testimoni oculari non coinvolti nella vicenda e di quelli che sono giunti sul luogo dell’aggressione subito dopo, compresa una pattuglia della polizia municipale.
Gli insulti razzisti
Mancini d’altro canto non ha mai negato di aver rivolto epiteti razzisti a Chinyere e alla vittima (tra questi, «africans scimmia» e «negri di merda»), epiteti che hanno scatenato la reazione di Emmanuel.
Continua però a dire di averlo fatto perchè, convinto che stessero armeggiando insieme a un’altra persona di colore intorno a un’auto con l’intenzione di compiere un furto. La circostanza, tuttavia, non ha trovato conferma in altre testimonianze.
Inoltre è confermato che Emmanuel era ancora vivo quando sopraggiunsero in via XX Settembre due vigili urbani. Era lì, agitato, per la colluttazione appena avuta con Mancini. Poi improvvisamente un rumore sordo, un tonfo ed è caduto a terra.
È l’effetto di quel pugno sferrato da Mancini poco prima, non il fatto che avesse battuto la testa sul marciapiede come qualcuno aveva detto in un primo momento.
Nel ricostruire la dinamica dei fatti secondo il gip non “può essere invocata la legittima difesa: difatti l’indiziato ha inferto il pugno letale dopo essersi avvicinato nuovamente a lei (giacchè il primo scontro era cessato e i due stavano tra di loro distanti)”.
(da agenzie)
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Luglio 14th, 2016 Riccardo Fucile
ANCHE LA TAVERNA NON AVREBBE PIU’ INTENZIONE DI FARNE PARTE, VISTO CHE LA SINDACO E’ IMPOSSIBILE DIALOGARE
Libertà . È la nuova parola d’ordine di Virginia Raggi. Chiesta e rivendicata durante l’incontro con Beppe Grillo in Campidoglio.
Nei fatti ciò significa lo scioglimento, da parte del sindaco di Roma, del vincolo di obbedienza-cooperazione con il mini direttorio.
La convivenza era diventata impossibile. Qualcuno, tra i 5Stelle, vuol far credere che si è davanti a una separazione consensuale, ma è difficile da credere.
Le dimissioni irrevocabili di Roberta Lombardi dallo staff capitolino, formato anche dalla senatrice Paola Taverna, dall’europarlamentare Massimo Castaldo e dal consigliere Gianluca Perilli, hanno provocato un terremoto.
L’esito di questo sommovimento tellurico ancora in corso è la separazione dei destini della Raggi da quella rete che doveva aiutarla o imbrigliarla, a seconda dei punti di vista, nella difficile gestione della Capitale.
Le rovine pentastellate a Roma presentano da una parte il sindaco, a cui è sempre andata stretta la presenza del mini-direttorio che dal primo momento ha provato a commissariarla, e dall’altra appunto lo staff che troppe volte in così poco tempo si è scontrato con il primo cittadino.
In particolare tante sono state le occasioni di liti al femminile, con Perilli e Castaldo più defilati
La prima defezione che si è registrata è quella di Roberta Lombardi che ha deciso, senza possibilità di ripensamenti, che su Virginia Raggi non ha più intenzione di metterci la faccia. Anche Paola Taverna, secondo quanto si apprende, non avrebbe più intenzione di proseguire, anche perchè è la stessa Raggi che non ha intenzione di confrontarsi con loro.
Quindi non ci sarebbero più le condizioni per un lavoro comune e sereno.
La senatrice 5Stelle era stata descritta furiosa dopo la nomina dell’ex alemanniano Raffaele Marra, vicecapo di gabinetto. Nomina che il sindaco ha messo nero su bianco senza consultare nessuno.
Per quanto riguarda Lombardi, la goccia che ha fatto traboccare il vaso, già colmo anche in questo caso dopo la nomina di Marra, è il comportamento tenuto dal sindaco nei confronti di Daniela Morgante.
L’ex assessore della Giunta Marino, portata da Roberta Lombardi, sarebbe dovuta diventare prima titolare del Bilancio e poi capo di gabinetto.
Viene raccontato che Raggi aveva dato la sua parola a Morgante garantendone la nomina, come chiesto dallo staff.
Poi, da notizie di stampa, è emerso che il magistrato della Corte dei Conti non sarebbe più diventato il capo di gabinetto. È quest’ultimo inciampo che ha fatto saltare gli equilibri generali e ha portato Beppe Grillo a Roma per una full immersion di due giorni.
Due giorni in cui ha incontrato Virginia Raggi in Campidoglio. Da sola, senza mini-direttorio. Segnale che la convivenza è diventata impossibile.
E il giorno seguente ha visto il Direttorio. Ma dello staff romano neanche l’ombra.
Al sindaco il leader 5Stelle ha chiesto di restare uniti e di evitare correnti perchè questo è il momento di lavorare.
La sovrastruttura del mini direttorio, e questo lo ha capito anche Grillo, era diventata più un impedimento che un aiuto per un sindaco che preferisce confrontarsi — viene spiegato — solo con Luigi Di Maio.
(da “Huffingtonpost“)
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Luglio 14th, 2016 Riccardo Fucile
VIGILI URBANI, AMA E AGENTI MOBILITATI PER CACCIARE I BARBONI SOTTO IL PONTE FABRICIO DOVE E’ CADUTO IN ACQUA LO STUDENTE AMERICANO… MA NON FUNZIONA COSI’: SE NON SI DANNO ALTERNATIVE SERVE SOLO A SPOSTARE IL PROBLEMA ALTROVE
E’ iniziato lo spot a Cinquestelle: “Non ci possono essere baraccopoli nè sugli argini del Tevere, nè da nessun altra parte”. Lo ha detto la sindaca di Roma Virginia Raggi che stamani ha partecipato a un’operazione mediatica (con più telecamere che disperati) di sgombero e di bonifica dai rifiuti sulle banchine del Tevere, cui hanno preso parte polizia, vigili urbani e Ama. Gli agenti hanno cominciato dal ponte Fabricio, all’altezza dell’isola Tiberina, a poche centinaia di metri dal punto in cui lo studente americano Beau Solomon è stato gettato in acqua, dopo aver reagito a una rapina.
Gli agenti hanno rimosso i primi insediamento abusivi di senza fissa dimora che da tempo occupano le sponde del Tevere. Presente sul posto anche l’assessora all’Ambiente Paola Muraro, che ha seguito il blitz iniziato alle 8 di questa mattina.
“Bisogna ripristinare legalità : stiamo dando risposte ai cittadini – ha detto Muraro – a Roma sono saltate le regole, oggi qui stiamo ripristinando le regole. Senza rispetto delle regole non c’è legalità . Con i presidenti di municipio si sta predisponendo un intervento massiccio sui rifiuti. Stiamo lavorando anche sulle telecamere in prossimità delle zone dei rifiuti. Ma sono i cittadini i primi a dover intervenire” ha concluso.
Fino a che qualcuno ha posto alla Raggi la domanda più logica e semplice: “Che ne sarà dei senzatetto?”
Solitamente quando si interviene è già pronta una soluzione alternativa, accade così nelle città civili, in modo da evitare che il problema si sposti semplicemente da un luogo ad un altro.
La Raggi si è arrampicata sugli specchi: ” Bisognerà trovare una soluzione, non possiamo accettare una baraccopoli, nè qui sugli argini del Tevere nè da nessuna parte”.
Appunto: i servizi sociali di un Comune servono a questo, a programmare gli interventi dopo aver trovato una soluzione per i senzatetto.
Non a tappullare un buco in una condotta sotto pressione per poi farla esplodere altrove.
Dio ci salvi dagli apprendisti stregoni.
(da agenzie)
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Luglio 14th, 2016 Riccardo Fucile
CHI SPORCA NON PAGA MAI… IN UN ANNO SOLO TRE MULTE PER I CANI… E L’AMA HA 8.000 DIPENDENTI
Il D-Day è arrivato ma nelle strade di Roma non sembra cambiato nulla.
Allo scadere della mezzanotte i vicoli più nobili del centro sono colmi come al solito di sacchi neri con gli scarti dei ristoranti, su cui gabbiani giganteschi si avventano spargendo cibo e scatolame.
Uno spettacolo degno di Hitchcock, che pure ieri notte si è ripetuto al Portico d’Ottavia, l’angolo più suggestivo del ghetto.
Mentre in piazza Madonna dei Monti dai cassonetti tracima un magma putrido fermentato dall’implacabile caldo africano.
Eppure sette giorni fa l’assessore Paola Muraro aveva gettato il cuore oltre l’ostacolo, scandendo il primo proclama della giunta pentastellata: «L’Ama sta programmando una pulizia straordinaria in alcune zone. Fortini, il presidente dell’Ama, ha detto che mercoledì la città verrà pulita. Le risorse ci sono, diamogli fiducia».
Una questione di fiducia, forse di fede, perchè molti ormai pensano che solo un miracolo possa restituire decoro all’Urbe.
L’Ama, l’azienda ambientale con i suoi quasi ottomila dipendenti e un piano finanziario che l’anno scorso toccava i 720 milioni, finora ha fallito.
Sette colli di invincibile sporcizia. Ma quello che i più ignorano è quanto venga a costare questa disfatta quotidiana.
Sì, perchè l’ultimo dossier disponibile segnala che ogni romano paga per il miraggio dell’igiene urbana ben 250 euro: 85 euro in più della media nazionale, ben 102 in più rispetto a un abitante della pianura padana.
Una spesa senza senso: il popolo della capitale produce il 4,5 per cento dei rifiuti d’Italia ma si accolla il 7,8 per cento dei costi totali.
Sono informazioni grottesche, censite da un ufficio misconosciuto del Campidoglio: l’Agenzia per il controllo della qualità dei servizi pubblici, che analizza non solo i dati economici ma pure il gradimento, infimo, dei cittadini per le prestazioni.
L’ultimo rapporto si ferma all’aprile 2015 e racconto la follia di una metropoli dove i tributi per la pulizia aumentano addirittura più dell’immondizia: il costo del servizio, o meglio del disservizio, è lievitato del dieci per cento l’anno con un incremento dal 2003 in poi del 120 per cento.
Già nel 2010, all’epoca di Gianni Alemanno sindaco, ogni romano pagava 228 euro contro i 209 di un milanese, i 179 di un bolognese, i 162 di un fiorentino.
Nell’Urbe lo spazzamento delle strade è arrivato a inghiottire 150 milioni l’anno.
Poi nel 2015 si è pensato di chiedere una quarantina di milioni extra allo Stato, come risarcimento per il lerciume che piove sulla capitale durante “le manifestazioni a carattere nazionale”.
Una mandrakata — come si dice a Roma – per alleviare i bilanci dell’Ama, che intanto ha costantemente ridotto l’investimento per nettare piazze e vie. Nonostante i tagli, però, lo “spazzamento” dell’Urbe costa il triplo della media nazionale: sono vere ramazze d’oro
Tanto denaro per nulla. L’insofferenza per il servizio è sempre più alta, con un 79 per cento di abitanti “insoddisfatto” della pulizia.
I romani non cercano alibi e si assumono tutta la colpa della sporcizia.
L’agenzia comunale indica che il 55 per cento degli intervistati attribuisce la responsabilità del degrado ai cittadini.
Su questo fronte, c’è una rinascita del senso civico: in diversi quartieri sono sorti comitati di autodifesa dalla lordura e la differenziata — almeno stando ai responsi ufficiali — procede molto bene.
E il 94 per cento dei residenti chiede giustizia, invocando di “multare sistematicamente chi sporca”.
La stessa ricetta della sindaca Virginia Raggi: per la prima visita ha scelto Tor Bella Monaca, dove è nato il Jeeg Robot del cinema e dove i bambini filmano ratti da Oscar. E lì ha promesso multe più dure «nei confronti di chi si macchia di comportamenti lesivi per le persone e l’ambiente». Facile a dirsi. Perchè le sanzioni sono una rarità .
C’è un esempio lapidario. La metà dei capitolini è infuriata per gli escrementi dei cani sui marciapiedi.
Ebbene nel 2014 sapete quanti padroni maleducati sono stati castigati? Tre. Gli sporcaccioni restano impuniti.
Gli ultimi dati completi risalgono al 2014, quando gli ispettori dell’Ama e la polizia municipale si sono accaniti sulle auto in sosta davanti ai cassonetti con quasi 40 mila sanzioni.
Hanno colpito dolcemente chi sbaglia o bara sulla differenziata: 1318 multe.
E chi getta i rifiuti in giro? Solo 490 multe. Poco più di una ammenda quotidiana su tre milioni di abitanti, senza contare i turisti.
Nei primi sei mesi di quest’anno i controllori dell’Ama si sono impegnati di più: 2658 punizioni per la differenziata sbagliata e 322 per chi non differenzia affatto o butta la spazzatura dove capita.
Una goccia nel mare di immondizia.
Il sondaggio è illuminante: il 96 per cento dei romani non ha mai visto multare gli zozzoni metropolitani, nove persone su dieci non hanno mai neppure sentito parlare di multe.
Nel 1971 Eugenio Montale ha dedicato rime profetiche allo sciopero dei netturbini capitolini, ispirandosi a una ragazza che ”circumnavigava isole e laghi di vomiticcio e materie plastiche”: “Il trionfo della spazzatura esalta chi non se ne cura”.
All’epoca era un’eccezione, oggi pare la regola.
Gianluca Di Feo
(da “La Repubblica“)
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Luglio 14th, 2016 Riccardo Fucile
“MAI DIMENTICARE CHE QUEL PALLINO CHE LAMPEGGIA SUL COMPUTER SONO MILLE PERSONE”
La paletta non c’è più, abolita due anni fa. «Il cappello con la fascia rossa, invece, continuano a fornirmelo, ma non lo uso mai, visto che lavoro al chiuso. Ormai ne ho una bella collezione».
Parola di capostazione.
Non possiamo fornirne le generalità perchè i dipendenti di Rfi (Rete Ferroviaria Italiana, una delle tante società nelle quali sono state spacchettate le Fs) non possono parlare da soli con i giornalisti, tipo militari o calciatori.
Diciamo che Paolo, il nome è di fantasia, è uno degli otto capi della stazione di una grande città della Lombardia, dalla quale passano circa 250 treni e 25 mila persone al giorno.
Lui e i suoi colleghi fanno (sempre in due) dei turni di otto ore per coprire tutto il giorno, 24 ore su 24.
Dopo 35 anni di carriera, Paolo guadagna sui 2.100 euro netti al mese.
L’indennità notturna è di 2,5 euro all’ora, beninteso lordi, quella domenicale di 19.
Insomma, a fare il capostazione non si diventa ricchi. E tuttavia, Paolo ama il suo mestiere. Figlio d’arte, da ragazzino giocava con i trenini («Come tutti, credo») e da adulto ha continuato. Dovrebbe andare in pensione a 62 anni che forse diventeranno 66 per via della legge Fornero. «Non mi arrabbio tanto per questo, ma perchè dopo una vita che lavoro di notte mi dicono che il mio non è un lavoro usurante…».
Torniamo all’attualità .
Cosa fa oggi un capostazione? «Banalmente, io faccio arrivare e partire i treni. In pratica, sto tutto il turno davanti ai miei quattro computer, ma nell’ufficio ce ne sono in tutto dodici, e spingo dei bottoni».
Ci sono miniere dove si sta decisamente peggio… «Sì, ma è un lavoro di responsabilità , perchè magari non ci pensi, ma quel puntino che lampeggia sullo schermo rappresenta mille persone. E poi finisce che non stacchi mai. Io vivo con l’orologio negli occhi anche quando sono a casa con mia moglie. Siamo sottoposti a continue sollecitazioni acustiche, le luci che lampeggiano, e visive, il cicalino che suona per ogni circostanza. Lo stress c’è. Infatti ogni anno siamo sottoposti a una visita tossicologica e ogni due a una visita generale per stabilire se siamo ancora idonei».
Di linee a binario unico ne gestisce anche lui.
«Di Bari non mi faccia parlare, non sarebbe corretto. Ma posso dire che il blocco telefonico da noi si usa solo se sono fuori uso tutti gli strumenti più sofisticati. Insomma, la regola della Bari-Barletta qui sarebbe l’eccezione».
In realtà , secondo Paolo le ferrovie italiane sono ragionevolmente sicure. «L’Ansfer è molto attiva, forse perfino troppo, mentre si arriverà presto a controlli su scala europea».
Ansfer? I ferrovieri hanno la sconcertante abitudine di parlare per sigle: sta per Agenzia Nazionale per la Sicurezza Ferroviaria.
«I rischi per il pubblico, semmai, sono altri». Racconti. «Intanto, in stazione. Nei momenti di massima affluenza, alle ore di punta, sulle banchine c’è spesso troppa gente. E poi i rischi per noi. Molte stazioni sono diventate delle corti dei miracoli. Nelle zone dismesse, sui binari abbandonati, nei magazzini vuoti c’è tutta una popolazione di tossici, prostitute, barboni. Il turno di notte sta diventando pericoloso. L’anno scorso un macchinista ha investito un balordo che gli è spuntato di colpo sui binari, al buio. È finito sotto inchiesta ed è stato fortunato perchè non l’ha ammazzato».
E lei, ha mai avuto paura? «Solo una volta, ma per me, non per problemi di circolazione. È successo quando un pendolare furioso per un ritardo è entrato nel mio ufficio e non si è limitato a protestare a voce. Risultato: cinque giorni di prognosi. Beh, meglio che a un mio collega della stazione di Coccaglio, mandato all’ospedale da quattro energumeni….».
A proposito di pendolari, noi utenti che stiamo dall’altra parte della barricata abbiamo l’impressione che l’azienda si sia concentrata sull’alta velocità e abbia abbandonato tutto il resto al suo destino…
«Però il servizio regionale, quello dei pendolari, si chiama così perchè è gestito da Trenitalia insieme alle regioni. E le regioni promettono molto, ma non sempre mantengono. In Lombardia stiamo ancora aspettando i mille treni nuovi annunciati da Formigoni… Dalle foto della tragedia in Puglia si vede che uno dei due treni è vecchiotto, ma l’altro, quello giallo, è nuovo fiammante, un treno che qui in Lombardia ci sogniamo. Certo, serve a poco se poi sulla linea sono ancora ai fonogrammi…».
Alberto Mattioli
(da “La Stampa”)
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Luglio 14th, 2016 Riccardo Fucile
PER SALVARE LE 23 VITTIME PUGLIESI SAREBBE BASTATO UN INVESTIMENTO DI 4 MILIONI
Sarebbero bastati meno di 4 milioni di euro per mettere in sicurezza il binario della morte. Un sistema automatizzato «modello base» tipo Ertms per linee convenzionali, molto più efficace dell’ormai tragicamente famoso blocco telefonico, costa 100 mila euro a chilometro, cento volte meno del raddoppio, che si aggira sui 10 milioni al chilometro, più 20 per le gallerie.
Ma nessuno poteva imporre alla Ferrotramviaria e alla Regione Puglia di fare questo investimento: l’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria (Ansf) non ha alcun potere sulle linee «ex concesse», ossia su tutte le reti regionali affidate in gestione a privati o a enti pubblici.
Nel grafico: le linee al di sotto degli standard di sicurezza.
Nella mappa stilizzata dell’Italia tutte le tratte su cui non ha competenza l’Agenzia Nazionale di Sicurezza Ferroviaria, che quindi non ha alcun potere di imporre sistemi riconosciuti a livello europeo.
La tratta più lunga è quella delle Ferrovie Emilia Romagna (Fer) di 349 chilometri. In tutto le linee raggiungono un’ampiezza di circa mille chilometri su cui ogni giorno viaggiano migliaia di persone
In Italia ci sono 3365 chilometri di ferrovie che non appartengono alla rete nazionale o regionale Rfi, quella delle Ferrovie dello Stato, ma a una trentina di soggetti diversi, pubblici, privati o misti.
Duemilasettecento chilometri di questa rete sono a binario unico, ma fin qui nulla di male, perchè il doppio binario significa solo più capacità di trasporto, non più sicurezza.
Il ministro Graziano Delrio riferisce però che 600 chilometri a semplice binario sono governati con il sistema del blocco telefonico e quindi sono a rischio esattamente come la Ruvo-Barletta.
Se diamo un’occhiata alle linee che sfuggono ai controlli dell’Agenzia nazionale della sicurezza possiamo arrivare a un totale di mille chilometri sotto gli standard di sicurezza minimi.
Ci sono infatti ferrovie a doppio binario senza un sistema automatico per il distanziamento dei treni e ancora troppi arcaici marchingegni che l’Agenzia ha condannato alla rottamazione sulla rete Rfi. Ma in ogni caso cento milioni di euro basterebbero a liberare i pendolari di tutta Italia dall’incubo di uno scontro frontale o di un tamponamento.
Facciamo un passo indietro. Nel 1991 l’Europa, con la direttiva 440, impone la liberalizzazione del servizio ferroviario.
Nasce il problema di controllare che tutti gli operatori rispettino le norme di sicurezza. Nel 2007 nasce l’Ansf, che però prende sotto il suo controllo solo Rfi, la rete principale, con la missione di estendere «gradualmente» le sue competenze a tutte le altre imprese. Non lo potrà mai fare.
Nel 2015 Delrio firma una bozza di decreto ministeriale per dare ad Ansf, ora presieduta da Amedeo Gargiulo, la vigilanza su tutte le altre ferrovie. La presenta il 2 febbraio alla Conferenza delle Regioni e qui il provvedimento si incaglia. Ovvio: l’Agenzia imporrebbe investimenti in sicurezza che gli enti locali farebbero solo tagliando i servizi o scaricando il peso sugli utenti.
Ecco un esempio. Nel 2012 una direttiva dell’Ansf impone a Rfi di eliminare il blocco elettrico manuale, un sistema che molti ferrovieri rimpiangono per la sua efficace semplicità : rossi e solidi come macchine del caffè da bar, questi «istrumenti» servivano ai dirigenti del movimento a bloccare l’accesso dei treni sul semplice binario finchè questo era impegnato da un altro convoglio.
Rfi li ha tolti, così come aveva fatto con il blocco telefonico, e fra il 2005 e il 2015 ha equipaggiato tutte le sue linee con i più moderni sistemi elettronici. Investimenti importanti, che le Regioni e i soggetti privati non hanno nessuna voglia di sostenere.
Nell’Italia a due velocità le ferrovie secondarie amministrano la sicurezza secondo coscienza e portafogli, con grande libertà e fantasia.
In Lombardia Ferrovienord adotta il blocco automatico a correnti codificate e il blocco conta assi, molto affidabili, e sta installando il sistema di controllo marcia treno e il sistema di supporto alla condotta come sulle linee Rfi.
In Piemonte Gtt (Gruppo torinese trasporti, controllato dal Comune di Torino), che opera su 57 chilometri di binario unico e su altrettanti di doppio binario fra Torino e Ceres e sulla Canavesana, unisce sistemi automatizzati a vecchie tecniche come il «sistema a spola» fra Pont e Rivarolo e fra Ceres e Germagnano.
In Liguria la ferrovia a scartamento ridotto Genova-Casella, l’adorato trenino rosso che ha appena ripreso servizio fra ali di folla, ricorre ancora al telefono: il capotreno scende in una delle 11 stazioni di incrocio, chiama la «centrale» e chiede il consenso per passare. La velocità media è di 25 chilometri l’ora.
Sistemi artigianali resistono in Sardegna (Sassari-Sorso), in Campania, in Calabria (Cosenza-Catanzaro Lido), in Sicilia (Circumetnea).
Tutte queste imprese non Rfi rispondono al ministero dei Trasporti attraverso gli Ustif, Uffici speciali trasporti a impianti fissi, che danno il nulla osta e ogni sei mesi controllano a piedi la linea e visitano locomotori e vetture.
«Gli Ustif sono carrozzoni», tuona Dario Balotta, presidente dell’Osservatorio nazionale liberalizzazioni infrastrutture e trasporti, ex segretario della Fit-Cisl Lombardia. «Così non si garantisce la sicurezza per tre milioni e mezzo di pendolari».
Alessandro Cassinis
(da “La Stampa”)
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Luglio 14th, 2016 Riccardo Fucile
IL GIOCATTOLO SI E’ GIA’ ROTTO: ALL’ORIGINE LA NOMINA DI FRONGIA A CAPO DI GABINETTO BLOCCATA DALLO STAFF… GRILLO APPOGGIA LA RAGGI E NON APPLICA LE REGOLE PREVISTE, ORA SI TEME UNA REAZIONE A CATENA
Roberta Lombardi lascia lo staff del Movimento 5 Stelle a Roma.
Si conclude così il braccio di ferro tra la sindaca Virginia Raggi e il mini direttorio capitolino, in teoria chiamato a supportarla.
Così dopo l’impasse sul capo di gabinetto -con Raggi decisa a sostenere la nomina di Daniele Frongia e Raffaele Marra suo vice ma poi costretta a desistere- i rapporti tra il mini direttorio romano e la sindaca sono ormai ridotti al lumicino.
Ieri Raggi ha incontrato Beppe Grillo, che invece non ha visto di persona, al contrario di quanto previsto, Lombardi.
E nel faccia a faccia con la sindaca l’ex comico aveva dato il via libera al siluramento del direttorio.
Così poco dopo Roberta Lombardi – esponente di spicco dello staff romano composto anche da Paola Taverna, Massimo Castaldo e Gianluca Perilli – ha firmato le sue dimissioni irrevocabili.
A scatenare il malcontento proprio la scelta di Raggi, poi naufragata, di nominare Frongia a capo di gabinetto e Marra come suo vice.
Una decisione, la sua, che avrebbe violato il codice etico sottoscritto a Roma e che prevede in un passaggio di concordare con il mini direttorio tutte le nomine del caso.
Ma per Lombardi, che con Perilli avrebbe mosso accuse alla Raggi durante una riunione di fuoco, la sindaca avrebbe commesso anche un errore di coerenza, scegliendo una persona, in questo caso Frongia, che aveva corso alle elezioni per fare il consigliere e non il capo di gabinetto: non si lascia una poltrona per un’altra, questa la stilettata piovuta dallo staff per bocca di Lombardi.
Da quel dì la distanza tra le due esponenti grilline è divenuta incolmabile, ma anche sul mini direttorio romano è calato un cono d’ombra, con rapporti sempre più sporadici e freddi con il Campidoglio.
Grillo, nel suo blitz di ieri, avrebbe tentato di rasserenare gli animi ma la distanza tra i due fronti alla fine è apparsa incolmabile.
Da qui la scelta di appoggiare la sindaca, in questa fase la vera scommessa “di governo” del Movimento.
E a questo punto non è escluso che all’addio di Lombardi possano seguirne altri a stretto giro. Un nuovo terremoto interno per i Cinquestelle.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 14th, 2016 Riccardo Fucile
VIRGINIA UN MESE FA: “SE UN SINDACO RICEVE UN AVVISO DI GARANZIA DEVE SENTIRE I CITTADINI CHE SI POTRANNO ESPRIMERE SUL BLOG”…ORA INVECE SULLE CONSULENZE ASL IL M5S FA MURO
Il Movimento 5 Stelle si prepara a fare scudo attorno a Virginia Raggi.
Se il neo sindaco di Roma dovesse essere iscritto nel registro degli indagati a causa delle consulenze alla Asl di Civitavecchia non dichiarate, i grillini sono pronti ad alzare le barricate in difesa del primo cittadino.
È una questione non degna di molta attenzione, spiegano dallo staff del sindaco. La difesa quindi è totale. Lo stesso Beppe Grillo è arrivato a Roma e per due ore si è intrattenuto in Campidoglio per far vedere che da parte sua c’è il “massimo sostegno” senza se e senza ma. “Virginia adesso deve solo pensare a lavorare”, dicono le persone a lei più vicine.
Quindi per il sindaco di Roma, da cui passa il futuro del Movimento sul piano nazionale in vista delle elezioni politiche, si farebbe un’eccezione anche alla regola del sondaggio online.
Un mese fa, in piena campagna elettorale, era stata la stessa Raggi a dire che “se un sindaco riceve un avviso di garanzia deve sentire i cittadini che si potranno esprimere creando un accesso al sito del Comune o sul blog di Grillo”.
In realtà nulla di tutto questo è in programma.
In caso di iscrizione nel registro degli indagati, che la Procura di Roma secondo il quotidiano La Stampa sarebbe a un passo dal mettere nero su bianco, alcun sondaggio verrà fatto. Neanche in caso di avviso di garanzia.
Ciò dimostra come la figura della Raggi, al momento, non deve essere scalfita in alcun modo: uno stop a Roma sarebbe un pessimo biglietto da visita per le prossime elezione in cui Luigi Di Maio si gioca la premiership contro Matteo Renzi.
I vertici del Movimento 5 Stelle considerano quella della Raggi una semplice “dimenticanza”.
Alcuni nel mondo pentastellato romano avevano storto il naso poichè per legge chi riveste incarichi politici e amministrativi, come la Raggi che nel 2013 era consigliere comunale, ha l’obbligo di dichiarare tutti i dati relativi all’assunzione di altre cariche presso enti pubblici e privati, e relativi compensi.
Se sia o meno tutto regolare saranno, a questo punto, i magistrati a deciderlo.
I 5Stelle però hanno già emesso sentenza. E la sentenza è che non sarà ascoltata la Rete e che la Raggi andrà avanti.
(da “La Stampa”)
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Luglio 14th, 2016 Riccardo Fucile
L’ACCUSA E’ DI CORRUZIONE E TURBATIVA D’ASTA NELLA VICENDA DELL’APPALTO SUI RIFIUTI… L’ESPONENTE DI FORZA ITALIA ERA PRESIDENTE DELLA PROVINCIA DI NAPOLI
Pd e Sinistra italiana votano con Fratelli d’Italia e Forza Italia.
Ed è così che l’Aula della Camera nega l’autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni telefoniche di Luigi Cesaro (Forza Italia) richiesto dal gip del Tribunale di Napoli il 14 aprile 2016.
Contro l’autorizzazione hanno votato in 285, i voti a favore dell’istanza dell’autorità giudiziaria sono 74: quelli del Movimento 5 Stelle e Scelta civica.
Mentre 20 sono stati gli astenuti (Lega).
L’inchiesta riguarda il periodo in cui Cesaro era Presidente della provincia di Napoli; l’ipotesi accusatoria è quella di turbativa d’asta e corruzione, nell’ambito di una vicenda che riguarda le procedure d’appalto per l’affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti nel comune di Forio, al fine di favorire la società CITE.
Il relatore Marco Di Lello ha tuttavia sottolineato che compito della Camera non è quello di entrare nel merito della inchiesta, ma di verificare solo se sia stata rispettato l’articolo 68 della Costituzione.
L’autorizzazione è stata negata perchè le intercettazioni non sono avvenute casualmente, ma in una data successiva (gennaio 2012) all’inizio delle inchiesta anche a carico di Cesaro.
Il nome di Cesaro era emerso nell’ambito dell’inchiesta che il 16 gennaio scorso aveva portato alla richiesta di arresti domiciliari, trasmessa a Palazzo Madama per il senatore e coordinatore regionale di Forza Italia Domenico De Siano.
Per la stessa vicenda erano finiti ai domiciliari un imprenditore e un funzionario comunale, mentre il gip aveva disposto l’obbligo di firma per altri sei indagati. Cuore dell’inchiesta le ipotizzate su mezzette e appalti per la raccolta dei rifiuti in tre comuni: Lacco Ameno, Forio d’Ischia e Monte di Procida.
I fatti si riferiscono a un arco di tempo che va dal 2010 al 2012. Decisive per gli sviluppi dell’inchiesta proprio le intercettazioni telefoniche.
Che avevano “monitorato” anche la campagna di tesseramento di Forza Italia in vista del congresso provinciale del 2012: tessere sarebbero state acquistate, questa l’ipotesi degli inquirenti napoletano, dalla componente politica di De Siano e Cesaro al prezzo di dieci euro.
Ciò per acquisire maggior peso all’interno del partito e fare in modo così di inserire propri candidati nel ”listino bloccato” per le elezioni politiche dell’anno successivo. Venivano avvicinati in particolare giocatori delle sale bingo ai quali sarebbero stati regalati in cambio del tesseramento un buono da 10 euro per partecipare al gioco.
Una vicenda comunque non penalmente rilevante, tanto che non faceva parte delle contestazioni elencate nell’ordinanza cautelare.
De Siano si era dimesso dall’incarico e aveva annunciato di voler rinunciare alle prerogative parlamentari per poter essere giudicato. Cesaro aveva invece detto di essere sereno “certo di aver sempre agito nella massima correttezza politica e istituzionale”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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