Agosto 26th, 2016 Riccardo Fucile
“LA PRIMA CHE INCONTRO E’ PROPRIO CASA MIA. LA ABBRACCIO PERCHE’ HA SALVATO MIO PADRE, MA CAPISCO SOLO IN QUEL MOMENTO CHE NON CI ENTRERO’ MAI PIU'”
Torno ad Amatrice dopo un mese dall’ultima volta che l’ho vista. Qui sono nata, qui sono cresciuta, qui alle 3 e 36 del 24 agosto un terremoto ha ucciso oltre duecento persone, tra le quali anche le mie due zie e mia cugina.
Quello che è successo quella notte lo vedo nello sguardo terrorizzato di mio padre. Un sopravvissuto. Insieme al cane Ugo ha superato un armadio che gli cadeva addosso, sceso le scale tra calcinacci e quadri che volavano, preso la porta per scappare. La porta era bloccata, la casa si era spostata. Ha rotto la porta, è fuggito. Ha risalito la strada fino all’imbocco del paese.
Il paese non c’era più. La casa dove le sorelle e la nipote dormivano disintegrata. E non c’era neanche stamattina quando sono arrivata.
Torno ad Amatrice passando per una strada che non conoscevo, appena asfaltata e con un ponte che non avevo mai visto. Le altre vie di accesso sono chiuse.
Da est, il paese sembra intatto ma appena superi l’ultimo blocco, quello al quale accedono solo i parenti delle vittime, si aprono violenti i vuoti sulle case e sui palazzi.
La prima che incontro, in questa dolorosa camminata verso un passato che non c’è più, è proprio casa mia. La abbraccio, perchè ha salvato mio padre, ma capisco solo in quel momento che non ci entrerò mai più.
Continuo, manca l’orizzonte che conosco. Quei tetti che coprono le montagne, ora sono a terra, e tra una tenda che sventola – quella di casa di Marisa – e la testiera di un letto che si è trasformato in tomba, ora spuntano le cime verdi.
Sarebbe quasi più bello il cielo di questa Amatrice nuova, dove sul corso svetta solo la torre – senza campana, caduta dopo l’ennesima scossa – senza case, senza vita.
Sarebbe quasi perfetto se non fosse che sotto alle macerie sono sepolti ancora i corpi di tanti amatriciani.
I sopravvissuti vagano con le lacrime agli occhi e i vestiti sporchi, chi con una busta di plastica, chi – i più fortunati – ancora con gli occhiali a specchio.
Tra giornalisti, soccorritori e forze dell’ordine, quando incontro i miei compaesani lo sguardo si addolcisce, le braccia si tendono e anche l’uomo più burbero del paese finisce per stringerti, in lacrime per la perdita del figlio; l’altro, il compagno delle elementari diventato alto, ha perso madre, sorella e cugina.
Tutti hanno perso qualcosa, tutti lo vogliono raccontare presto, con dettagli, senza indugiare sui sacchi neri che contengono i corpi, le lenzuola bianche che coprono la morte.
Il vuoto sul bar di “Fofò” e sull’edicola, sull’unica boutique del paese, sul fotografo Caramella, quello con l’occhio storto.
Manca la vetrinetta dove esponeva le foto del carnevale e io da bambina mi cercavo sperando di essere venuta bene.
E manca il sonno, manca la dignità a Lisetta che tutta la vita ha indossato un abitino composto e ora si aggira in ciabatte con lo sguardo perso. Le case molti non le hanno più e ora dormono nella tendopoli al campo sportivo, le signore eleganti con le popolane. Tutti a mangiare una fetta di formaggio.
Intanto si scava ancora nella zona rossa e al tramonto si vede alzarsi ancora qualche nuvola di calcinacci tra le scosse che non smettono di agitarsi sotto i piedi. Una supera il quarto grado, gli occhi di Alfredo si sgranano in mezzo alla strada che conduce alla piscina. Ora è diventata una sorta di bar all’aperto.
Nessuno vuole fare la fine di Benito e Maria, li hanno appena estratti dalla piazza più nuova del paese.
Sotto queste macerie gli amatriciani sono morti dopo una vita di lavoro. E che amara ironia quelle case ora polverizzate per le quali hanno faticato senza sosta. Sin da giovani, senza divertirsi troppo.
Costruire, come la miglior educazione contadina insegna, per poi lasciarsi schiacciare dai sacrifici di una vita. La sera al massimo un bicchiere al bar dei Baccari, scomparso; una fidanzata da far passeggiare sul corso che non c’è più per poi affiggere le partecipazioni sotto le logge che abbellivano il comune, se guardavi bene c’era disegnato anche il volto di Mussolini.
I più fortunati si sposavano a San Francesco, semidistrutta. Mamma e papà si sono sposati li. Dove abbiamo vissuto per dieci anni sono morte tre persone, madre, padre e figlia.
Dove compravo il panino al prosciutto prima di andare a scuola a piedi ancora si scava e l’edicola, che si illuminava nei giorni di neve alta e mi faceva sognare il mondo, ora è spenta.
Benedetta Perilli
(da “la Repubblica”)
argomento: terremoto | Commenta »
Agosto 26th, 2016 Riccardo Fucile
SERVONO CASE PROVVISORIE PER MASSIMO DUE ANNI, COME IN FRIULI E IN EMILIA
Case a pezzi su esistenze che non si arrendono. Vorrebbero ricrescere sulle macerie come se i mattoni fossero erba, tornare a sorgere uguali ma più forti, in grado di dondolare e vibrare senza accartocciarsi su se stesse, senza uccidere.
“Ho dovuto far demolire un pezzo di municipio per recuperare due persone di Arquata finite sotto la loro casa” che si trovava proprio lì, attaccata, dice Aleandro Petrucci sindaco di Arquata del Tronto. Ha dovuto togliere un altro pezzo alla sua città per liberare una delle case cadute giù col terremoto del 24 agosto.
Sono 46 i morti del comune che contava 1178 abitanti della provincia di Ascoli Piceno nelle Marche. Fino a ieri era noto per la rocca medioevale e per il vino Pecorino. Oggi lo è per il sisma che ha raso al suolo quel comune d’Europa racchiuso tra il Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, a sud, e il Parco nazionale dei Monti Sibillini a nord.
“I nostri paesi d’inverno sono quasi totalmente disabitati, d’estate almeno triplicano il numero degli abitanti”, spiega il primo cittadino.
“Mi ha telefonato il premier Renzi ieri sera, non me lo aspettavo – racconta il sindaco – mi ha sostenuto e spronato, mi ha assicurato che oggi il Consiglio dei ministri si sarebbe riunito. Mi ha detto ‘tieni forte’. Presidente siamo nelle sue mani, ho risposto io, e se volete che il comune rinasca servono interventi massicci. Renzi mi ha assicurato che già nel Consiglio dei Ministri di oggi ci saranno gli interventi straordinari”. Lo stanziamento dei primi 50 milioni per l’emergenza.
“Il problema – continua Petrucci – non è la prima accoglienza; speriamo che non ci abbandonino, altrimenti è finita, è desolante stare qui, tutte le case sono lesionate. Gli anziani non vogliono andare nelle tendopoli ma questo potrà durare per pochi giorni”.
Gli anziani non si spostano, sopravvivono dove hanno messo radici, a fondo, nella propria terra. Sono fieri del paese dove passò san Francesco nel 1215 e pernottò Garibaldi nel 1849, sulla strada per Roma. “Che alcuno non se parta della terra d’Arquata e suo contado con animo de non ritornare a detta terra”, si legge nello Statuto d’Arquata del 1574, una delle frasi più note legate a questo comune.
“La gente vuole che le case vengano ricostruite dove erano” dice il sindaco, “tutti pensano già al futuro. Mi hanno chiesto di ricostruire dove già erano le case. Arquata è un monumento storico con la Rocca, che dovrà essere il simbolo della rinascita, e le case del Cinquecento. Anche Pescara ha una sua storia. La gente vuole restare qua”. E anche ad Amatrice sindaco e cittadini vogliono che la città rinasca dov’è ora. L’obiettivo per il primo cittadino, Sergio Pirozzi, è di ricostruire dov’è ora “più simile possibile a prima”.
E chi ha dormito nelle tende, si sveglia dopo poche ore di sonno. Torna tra le macerie. “La notte è andata bene e abbiamo riposato ma siamo senza niente” dice Emidia, ospite del campo di Pescara del Tronto.
“Devo tornare in casa – aggiunge – per recuperare medicine e documenti. Mio marito non ha voluto abbandonare casa”. Come molti altri. Così, da stasera, una seconda tendopoli oltre quella di Pescara, sarà pronta a ospitare chi vuole restare il più vicino possibile alle proprie abitazioni. Allestita dalla Protezione civile, si trova nel campo sportivo a ridosso del centro di Arquata.
Federico Oliva, condirettore della Rivista Urbanistica e professore di Urbanistica presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, è ottimista. “Le polemiche non servono. All’Aquila uno dei problemi fu la grandezza del centro storico. E ci furono scelte sbagliate, dalle quali però abbiamo imparato.
L’approccio delle New Town è stato un errore. Quelle 19 città che Berlusconi fece sorgere in luoghi disponibili, con una scelta del tutto casuale e che non durarono, perchè erano fatte male. Quello che è davvero importante per la ricostruzione è agire per gradi”. Con metodo giusto.
“Superata l’emergenza delle tendopoli, che sorgono subito dopo il terremoto – continua Oliva – si fanno le costruzioni temporanee. Map, i Moduli abitativi provvisori della Protezione civile.
Ma questa parte temporanea deve davvero essere temporanea, durare due, tre anni, poi deve essere smontata.
Così si fece in Friuli, dopo il terremoto del ’76, che distrusse Gemona dove questo metodo ha funzionato.
Negli anni della ricostruzione in molti si spostarono nelle campagne vicine per non restare in case provvisorie. Ma alla fine tornarono a ‘casa’. E così è stato anche dopo il sisma del ’97 in Umbria e nelle Marche del 1992 come nel 2012, nel terremoto in Emilia”, spiega. “Il sindaco di Arquata ha ragione, bisogna ricostruire, ci vorrà tempo. Ma si può fare, lì come ad Amatrice e Accumoli. Si faranno case nello stesso punto, magari non nello stesso modo. Saranno abitazioni dal punto di vista energetico più confortevoli, più adatte a famiglie di questo secolo. Se si affronta la ricostruzione con quello che abbiamo imparato, se si aspetta, si può fare”.
D’accordo il ministro dei beni Culturali Dario Franceschini: “Ricostruire i borghi è una grande sfida inedita che il paese dovrà condurre, ma che l’Italia deve a quelle comunità locali straziate che vogliono avere nella loro prospettiva poter tornare a vivere nei loro borghi così come erano. Le possibilità ci sono. È un percorso più difficile e più lungo, ma che credo che si deve condurre. L’Appennino ha già il problema di borghi abbandonati, di una bellezza straordinaria”.
Arquata è crollata, collassata su stessa. Mentre Norcia, distante pochi chilometri, è ammaccata ma ancora in piedi. “Siamo fortunati ma questa nostra fortuna è stata aiutata da scelte politiche importanti: dopo il terremoto del 1979 è stata messa in atto una ristrutturazione di Norcia e di tutte le frazioni, non è stato semplice, ci sono voluti anni, ma abbiamo voluto ricostruire tutto rispettando le norme antisismiche, visto che siamo una zona sismica ad alto rischio”, racconta l’assessore del Comune di Norcia, Giuseppina Perla. “Dopo aver preso quella decisione – dice -, abbiamo ristrutturato secondo la normativa antisismica, per cui, dopo le scosse di ieri, le lesioni e i crolli più importanti li abbiamo avuti solo negli edifici vecchi non ristrutturati. Certo, questo non vuol dire che le case costruite con criteri antisismici non abbiano subito lesioni, ma sono lesioni contenute, che hanno salvato tante vite umane. Quindi aver speso quei soldi in più per una ricostruzione che tenesse conto dei criteri antisismici, ha dato i suoi frutti”.
Si può fare.
Ricostruire. La gente già ci pensa, si aggrappa all’idea di una casa anche se è ancora troppo presto, ci sono le macerie, i dispersi, le tende sono nuove. “Stiamo già lavorando a una serie di cose – spiega una fonte dell’Esecutivo -. Adesso c’è la gestione dell’emergenza. Poi c’è da progettare l’intervento di ricostruzione ma visto che il problema del rischio sismico è più generale, una delle ipotesi è quella di lavorare a un programma integrale”. Un piano che potrebbe mettere insieme fondi pubblici, agevolazioni ai privati e risorse europee.
Nel Lazio, al termine della Giunta regionale convocata in seduta straordinaria, il presidente della Regione, Nicola Zingaretti, sui tempi non si sbilancia: “Valuteremo presto con il governo i costi della ricostruzione che faremo con i sindaci di Amatrice e Accumoli”.
Per le aree colpite dal terremoto serve “un piano”, con “fondi, finanziamenti e aiuti” e la politica deve dimostrare senso di unità “, afferma la presidente della Camera Laura Boldrini che ha visitato la nuova tendopoli di Arquata del Tronto, “le persone preferiscono dormire in macchina pur di non lasciare il loro posto e noi dobbiamo tenere conto di questo. Anche perchè abbiamo visto in passato che allontanare le persone in via definitiva è molto negativo, non funziona”. “Dobbiamo evitare – conclude Boldrini – per quanto possibile, le New Town”.
New Town. Città nuove col nome da cartone animato che fanno immaginare tetti rossi e finestrelle verdi. Troppo lontane dalla nostra storia. E non compromettere la “bella articolazione urbana” dei centri colpiti dal terremoto “con l’edificazione di New Town, come è stato fatto a L’Aquila”, è quanto sostiene anche Vittorio Sgarbi, che è anche assessore alla Rivoluzione al Comune di Urbino e ricorda il buon modello del Friuli e di Nocera.
Il critico parla di Arquata che, insieme a Amatrice e Accumoli, è “un centro importante”. C’è la chiesa di San Francesco che custodisce una copia della Sindone di Torino, rinvenuta nel corso del restauro nel 1600. Il telo si trovava piegato e racchiuso in un’urna dorata, nascosta dentro la nicchia di un altare. Nessuno vuole lasciare le proprie case a pezzi, ricostruire è possibile, case di pietra, che il vento non sposti e che il fuoco non distrugga.
Per il post-terremoto, con un provvedimento previsto dall’ultima legge di Stabilità e attuato con una delibera pubblicata in Gazzetta Ufficiale proprio venti giorni fa, afferma Confedilizia, il governo “ha varato un sistema di gestione delle calamità naturali che permette a cittadini e imprenditori danneggiati di ottenere considerevoli aiuti per la riparazione o ricostruzione delle case e per il ripristino delle attività produttive. Confidiamo che le relative risorse siano incrementate, a beneficio delle popolazioni colpite dal sisma che ha colpito Lazio e Marche”.
Censimento del costruito, agevolazioni per aiutare i privati a sostenere i costi di eventuali interventi, polizza assicurativa obbligatoria per ridurre le spese che lo Stato si trova a dover affrontare per la ricostruzione.
Ci sono cose da fare per ridurre i mille pezzi che un terremoto sbriciola. Paolo Clemente, ingegnere civile e responsabile del laboratorio prevenzione rischi naturali e mitigazione effetti dell’Enea, parla di prevenzione. “Per gli edifici di nuova costruzione sappiamo cosa va fatto: dalla scelta di un sito adeguato ai materiali che vanno utilizzati, al modo in cui va realizzato. Il problema – dice – sono gli edifici già esistenti”.
“In Italia la classificazione sismica si è evoluta lentamente. Fino al terremoto dell’Irpinia nel 1981, solo il 25% del territorio nazionale era classificato sismico. Oggi circa il 70% del costruito non risponde ai requisiti attuali”. Gli edifici di oggi risalgono quasi tuti a prima degli anni Settanta. “Si dovrebbero raccogliere i dati di ogni edificio, analizzarli e operare una prima classificazione tra gli edifici che sono in regola e quelli che invece presentano criticità e per questi ultimi effettuare ulteriori approfondimenti per capire come intervenire”.
Oggi però la gente guarda le case a pezzi, non le lascia, le aspetta, le immagina di nuovo in piedi. E si cominicia a progettare. Tutte le 13 chiese di Arquata del Tronto e delle sue diverse frazioni, che si estendono su un area montuosa di 93 chilometri quadrati, sono semidistrutte o inagibili. Il vescovo di Ascoli Piceno mons. Giovanni D’Ercole sta pensando di costruire chiese in legno. “Il recupero potrebbe essere molto lungo – dice D’Ercole – bisogna farle in legno, è la via più praticabile”, la più veloce. Le pietre cadute devono aspettare, ma torneranno in piedi.
(da “La Repubblica”)
argomento: terremoto | Commenta »
Agosto 26th, 2016 Riccardo Fucile
SI VA DA 100 A 300 EURO A METRO QUADRO… PER UN PALAZZO DI MEDIE DIMESIONI UNA SPESA DI CIRCA MEZZO MILIONE… LE DETRAZIONI FISCALI CI SONO, MA PARZIALI E SPALMATE NEL TEMPO
L’Italia ha una delle legislazioni più all’avanguardia, in tema di normativa antisismica. Il problema è che interessa solo le nuove costruzioni.
E in un Paese dove l’edilizia storica di vario tipo rappresenta l’80-90 per cento, è come dire che – se i lavori sono eseguiti come si deve – solo una piccolissima fetta di edifici è davvero al sicuro.
Oltre il 40 per cento del territorio italiano è a rischio sismico elevato e il 60 per cento degli edifici è stato costruito prima del 1974, quanto sono entrate in vigore le prime norme antisismiche. Almeno un terzo degli immobili andrebbe adeguato.
Sulla base di questi parametri nel 2013 l’Oice, l’associazione delle organizzazioni di ingegneria, architettura e consulenza tecnico-economica, stimava che il mercato per questo tipo di interventi valesse 36 miliardi .
Gli esperti concordano: il governo dovrebbe utilizzare i 10 miliardi della flessibilità concessi dalla Ue per investire sulla sicurezza. Con un ulteriore duplice effetto: aumentare l’occupazione e rilanciare l’economia
Perchè pure se l’adeguamento costa salato, può salvare la vita.
Ma di che cifre parliamo? “Con una spesa compresa fra 100 e 300 euro a metro quadro è possibile mettere al sicuro un edificio” spiega Camillo Nuti, a lungo docente di Tecnica delle costruzioni in zona sismica alla facoltà di Ingegneria di Roma Tre e attualmente ordinario di Progettazione strutturale ad Architettura: “Vuol dire 30 mila euro per appartamento di dimensioni medio-grandi e 200-600 mila euro per un classico condominio di quattro piani. Non poco ma si tratta di cifre che spesso, a pensarci, nel complesso vengono spese per una serie di interventi di tanti alti tipi ma assai meno importanti. Bisogna mettersi in testa che non ha senso rifare la cucina se poi le strutture della casa sono a rischio”.
Il campionario dei lavori che si possono effettuare è lungo: isolatori o cuscinetti antisismici da disporre alla base degli edifici, l’utilizzo della fibra di carbonio attorno ai pilastri che riduce notevolmente il rischio di fratture, la disposizione di controventi dissipativi tra un piano e l’altro per ammortizzare le scosse, rinforzi tramite l’installazione di catene o il risarcimento delle murature.
L’ultimo ritrovato, ancora allo studio, sono particolari pannelli in legno che coprono le tamponature all’interno e che sono in grado di fare da dissipatori. “È la dimostrazione che abbiamo un grande patrimonio di conoscenze e che le tecnologie esistono. Tutto sta a favorirne l’impiego” sintetizza Nuti.
Destinato a crescere ancora il numero dei morti accertati, 250. Mentre si organizzano le raccolte di abiti e scatolame e le collette dei deputati, Renzi annuncia: “Niente polemiche e ricostruzione in tempi certi”.
E il governo potrebbe mettere sulla messa in sicurezza tutta la flessibilità chiesta a Merkel, l’equivalente degli 80 euro
Ma ecco sorgere il problema economico. Chi effettua lavori di adeguamento sismico in zone a elevata pericolosità può recuperare il 65 per cento della spesa, ma in dieci anni. Proprio come previsto per gli interventi per il risparmio energetico.
Il problema così è che, trattandosi di somme ingenti, in pochi vi ricorrono. Anche perchè si tratta di un investimento sul futuro che non dà ritorni immediati in bolletta, nè estetici, come nel caso di una ristrutturazione.
Così, se la proposta di ricorrere ai margini di flessibilità concessi dalla Ue potrebbe essere una soluzione, si potrebbe pensare anche a un’altra strada: una detrazione immediata o quanto meno in un arco di tempo assai più ristretto rispetto a quello attuale. E le mancate entrate potrebbero essere compensate dal gettito Iva derivante dagli incentivi e dalle tasse pagate da imprese e progettisti.
Con un mercato dei lavori stimato in 36 miliardi, solo l’imposta sul valore aggiunto potrebbe portarne sette nelle casse dell’erario. A meno che non si voglia pensare che la vita di una persona, dal punto di vista fiscale, valga quanto una caldaia a condensazione.
Paolo Fantauzzi
(da “L’Espresso”)
argomento: terremoto | Commenta »
Agosto 26th, 2016 Riccardo Fucile
A SOLI 17 KM DALL’EPICENTRO DEL SISMA NON HA SUBITO DANNI PERCHE’ LE CASE SONO STATE RICOSTRUITE CON NORME ANTISISMICHE DOPO I TERROMOTI DEL 1979 E DEL 1997
Case, chiese e strade danneggiate, ma nessuna vittima, nè ferito a Norcia.
Eppure si trova a 17 km in linea d’aria dall’epicentro del sisma, 4 chilometri di profondità nei pressi di Accumoli, che ha provocato decine di morti e devastazioni tra le Marche e il Lazio.
Il piccolo borgo della Valnerina non è stato miracolato dal patrono San Benedetto, ma è salvo grazie alla “buona ricostruzione” seguita al sisma del 1997 e al più grave del 1979, quando ci furono cinque morti e centinaia di sfollati.
Sul fronte dei terremoti “siamo ancora indietro sulla prevenzione”, ha detto il sismologo Enzo Boschi, intervistato dall’AdnKronos. La prova è Norcia: lì “dopo il terremoto del 1979 si è proceduto con interventi antisismici sugli edifici” e così “i danni provocati dal sisma di questa notte sono quasi irrilevanti”.
“Purtroppo in Italia si costruisce bene, con criteri antisismici, solo dopo un terremoto grave” ha aggiunto.
“La forte scossa che ha colpito stamani anche l’Umbria ha causato danni contenuti a differenza di quanto purtroppo accaduto nelle Marche e nel Lazio. Ciò testimonia che la ricostruzione in Umbria è stata una buona ricostruzione che ha saputo garantire sicurezza per la popolazione e qualità e velocità degli interventi”, ha detto la presidente umbra, Catiuscia Marini, visitando le zone colpite.
“Come Umbria — ricorda ancora Catiuscia Marini — ci siamo subito posti l’obiettivo innovativo di non limitarsi alla semplice riparazione del danno, ma di mettere in sicurezza l’intero territorio”.
Norcia ha avuto danni “contenuti” nonostante abbia registrato nel proprio territorio tutte le scosse più forti, dopo quella principale di magnitudo 6 delle 3.36: alle 4.32, di magnitudo 5.1, e alle 4.33 con magnitudo 5.4.
“La città — ha riferito all’Ansa l’assessore comunale Giuseppina Perla — era piena di turisti, stavamo vivendo un’estate meravigliosa”. “Le case sono tutte antisismiche e hanno retto, però ci sono delle lesioni”, ha spiegato.
Nel corso dei controlli sono infatti emerse alcune lesioni ad abitazioni private, infrastrutture e beni culturali, fra i quali la basilica di San Benedetto.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: terremoto | Commenta »